Crossover
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Autore: Siirist    13/01/2013    2 recensioni
Siirist Ryfon è un giovane ragazzo della città di Skingrad, figlio di benestanti agricoltori che sogna di entrare nella Gilda dei Guerrieri per ricevere onore e gloria. Ma non è una persona comune, discende da un'antica casata elfica, della quale fece parte millenni prima un Cavaliere dei draghi leggendario. Un giorno la sua vita cambierà drasticamente e verrà catapultato in un mondo di magia, tecnologia, intrighi politici, forze demoniache e angeliche, per poi affrontare la più grande crisi della storia di Tamriel. Questa fanfic è una crossover tra tre mondi fantasy che amo: Final Fantasy (di cui troviamo le ambientazioni, come Spira, Lindblum), "Il ciclo dell'eredità" di Paolini (di cui sono presenti molti dati, quale i draghi con i Cavalieri e il sistema della magia, ma l'ispirazione è molto libera) e The Elder Scrolls IV: Oblivion (di cui sono presenti le città). Oltre a questo ci saranno anche alcune citazioni di One Piece e di Star Wars. I personaggi principali sono tutti originali. Ci saranno alcune comparse da vari manga (Bleach, ad esempio) e in alcuni casi i nomi saranno riadattati (Byakuya), in altri saranno quelli originali (Kenpachi).
NB: il rating è arancione in quanto è adatto alla maggior parte della storia, ma in alcuni capitoli dove compaiono i demoni (non il primo che si incontra all'inizio, quello è ridicolo) gli scontri possono essere anche molto cruenti.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PISTOLERO

 

Ritornati nella loro camera d’albergo, Sylgja appoggiò a terra tutte le buste piene di vestiti con un sonoro sbuffo.

«Potevi anche aiutarmi, sai?» si lamentò.

«No, non credo.» rispose senza troppa considerazione il mezz’elfo.

Indispettita, la ragazza gli lanciò addosso la prima cosa che le capitò sotto mano, il tostapane. Seduto con le spalle rivolte verso di lei, il ladro alzò il braccio destro e afferrò l’oggetto senza nemmeno guardarlo.

«Tu e i tuoi riflessi.» mugugnò.

Siirist era stato a contare i soldi che gli erano rimasti, e considerando che le tre stanze che aveva preso per sé e i suoi compagni venivano otto bronzi ciascuna a notte, i cinque ori rimasti non sarebbero durati ancora per molto. Era necessario trovare un’altra soluzione per l’alloggio.

«Vestiti elegante per la cena di stasera. Suggerisco il vestito blu scuro.» disse mentre usciva dalla stanza.

Andò a quella di Durin e gli diede cinque argenti.

«Sono per cena, mangiate quanto volete, io e Sylgja abbiamo qualcuno da incontrare questa sera.»

«D’accordo.»

E con questo, ritornò ai negozi d’abbigliamento di prima.

 

Quando, alle sei di sera, rientrò nella sua camera d’albergo, trovò Sylgja già pronta.

«Perché questa eleganza?» gli chiese, notando lo smoking del mezz’elfo.

«Perché stasera saremo a cena dal granduca.» sorrise e andò a guardarsi un’ultima volta allo specchio.

«Cosa?!»

«Oh, non ti ho mai detto di conoscerlo personalmente?» disse con naturalezza, girandosi verso di lei.

«No! Come?»

«Gli ho salvato la vita quarantuno anni fa, da allora mi adora.»

«Vantati poco.»

«Hehe. Bene. Vogliamo andare?»

Scesero per strada dove trovarono un taxi, chiamato dall’albergo, già pronto. Il conducente era un uomo pulito e ben vestito, giovane e con un bel sorriso.

«Dove desiderate andare, signore?» chiese educatamente.

«Al palazzo del granduca.»

Quello sgranò gli occhi.

«Siete sicuro?»

«Assolutamente.»

«D’accordo…» rispose insicuro.

Siirist aprì la portiera per Sylgja e la fece salire prima di accomodarsi lui stesso, al che l’automobile partì. L’arrivo al palazzo di Zanarkand via auto era molto diverso da quello via drago. A vederlo dall’alto, l’alta torre che costituiva la residenza del granduca era sì imponente, con la superficie gelatinosa della montagna d’acqua, la più alta di tutta la metropoli, ricoperta dalla tipica pavimentazione della città, luogo in cui si era svolta gran parte della battaglia tra Cavalieri e Scorpioni quel fatidico giorno in cui questi ultimi si erano impossessati della Lama di Luce, e da un lussureggiante giardino nella parte posteriore. Arrivandovi via terra, invece, si percorreva una lunga strada ben sorvegliata che si separava dalla superstrada principale di Zanarkand e, arrivati alla parete della montagna gelatinosa, essa era coperta da un alto muro. A una ventina di metri dal cancello, il tassista fermò l’auto.

«Non mi avvicino oltre. Sono 57 guil, ma potete anche pagarmi dopo quando ritornate, se volete.» disse, convinto che i suoi passeggeri sarebbero stati rimandati indietro.

«No, pago subito. Potete andare, grazie.» rispose il mezz’elfo.

«Come volete.» scrollò le spalle, restituendo le tre monete di rame di resto per le sei di bronzo.

Siirist portò la mano alla maniglia della portiera, ma prima di aprirla, si rivolse a Sylgja.

«Fai silenzio, qualunque cosa accada, e fidati di me, seguimi anche se quello che faccio ti sembra assurdo.»

La ragazza ormai aveva imparato che non era il caso di controbattere.

«D’accordo.» sospirò, scrollando le spalle e alzando gli occhi al cielo.

Siirist entrò in stato di calma assoluta e, dopo qualche secondo di concentrazione, attivò la sua illusione. Aprì la portiera e scese, richiudendola dopo che anche Sylgja fu uscita. Si diressero verso il muro, la ragazza che teneva il mezz’elfo per mano, e i due bot di sicurezza stanziati davanti al cancello nemmeno li notarono. E loro continuarono a camminare. Nessuna delle centinaia di guardie situate all’interno del muro, che vedevano l’esterno grazie ad una sfera da trasmissione visiva, disse loro di fermarsi per mezzo dell’altoparlante. Siirist e Sylgja continuarono a camminare fino a che raggiunsero il cancello e lo attraversarono come se niente fosse, mentre i soldati di guardia credevano di aver visto un taxi arrivare a venti metri dal cancello e poi rigirare e allontanarsi.

Le illusioni di base erano rivolte a una sola persona o ad un gruppo; chiunque non ne facesse parte, avrebbe visto i bersagli dell’illusione immobili, mentre questi si immaginavano di fare chi sa che, oppure li avrebbe visti muoversi per schivare attacchi inesistenti, o saltare su una sporgenza non presente, finendo quindi in un precipizio, o anche dirigere i propri attacchi a se stessi quando erano invece convinti di aver preso di mira il proprio nemico. Chiunque avesse il titolo di illusionista era in grado di eseguire attacchi mentali di questo tipo, chi più efficaci, chi meno, ma i pochi eletti erano quelli capaci di illudere non le persone direttamente, ma il mondo stesso, perciò chiunque guardasse un fiore colpito da un’illusione, lo avrebbe visto viola anziché rosso, oppure il dì sarebbe potuto apparire come la notte; ed era da questa forma di illusione che Adeo aveva sviluppato la sua illusione reale. Essa consisteva nel modificare l’ambiente in tutti i suoi aspetti, arrivando ad illudere tutti i sensi; il tatto era il più complesso da ingannare, perché si poteva nascondere dalla vista un muro e farci andare a sbattere una persona, ma il contrario, illudere il senso del tatto che quel muro non è realmente presente e permettere alla persona colpita dall’illusione di passarci attraverso, era qualcosa che solo Adeo, con le sue conoscenze di magia organica, era riuscito a fare. E da lì il processo inverso: creare un’illusione che coinvolgesse tutti i sensi e farla effettivamente diventare reale: una spada apparsa dal nulla e creata solamente dalla mente dell’illusionista non solo dava l’idea di ferire, dunque danneggiare la persona nella mente, ma arrivava ad avere effetto fisico sul corpo. Per Siirist le illusioni reali erano una delle parti più divertenti, e anche più difficili, di tutto il grimorio di Adeo, e Glarald e Akira ancora ricordavano quante il giovane Cavaliere ne aveva fatte passare loro, intrappolandoli in scatole, facendo apparire all’improvviso dei muri davanti a loro, cancellando le porte dalle pareti o facendoli camminare per svariati minuti lungo un corridoio di dieci metri. La Guida aveva spesso urlato contro il suo cosiddetto apprendista, mentre il vampiro non si era mai azzardato ad alzare la voce con il suo padrone, per quanto, specie nei primi tempi, Siirist avesse visto spesso lampi d’odio nel suo sguardo.

L’espressione di Orla nel varcare la soglia del cancello come se esso non ci fosse neanche stato era impagabile, se Siirist non fosse stato in calma assoluta sarebbe sicuramente scoppiato a ridere. Dal cancello si estendeva una strada che raggiungeva la torre, che scendeva fino al fondale marino. La luce lungo la strada era molto forte, ma nel resto dell’area sottostante la montagna d’acqua era molto buio, e Siirist riuscì a vedere solo grazie ai suoi occhi demoniaci: dalla struttura principale si estendevano i vari hangar per le aeronavi del granduca e in fondo, Siirist sapeva, era ormeggiato un sottomarino, una delle prime macchine da trasporto costruite dopo le navi e le automobili.

Percorsero tutta la strada, arrivando al portone di servizio della torre e lo attraversarono come avevano fatto con il cancello. Entrati nel palazzo, Siirist annullò l’illusione reale, mantenendo comunque quella che li rendeva invisibili, e abbandonò la calma assoluta ed ebbe un leggero mancamento. Si sentiva mentalmente stanco come se non avesse dormito per settimane di fila, la testa gli doleva come dopo la peggior sbronza della sua vita e dopo aver preso la più forte mazzata immaginabile dritta sulla nuca. Le illusioni reali erano certamente potenti, con una mente come quella di Adeo, sarebbe stato possibile creare qualcosa di così forte da resistere addirittura al fuoco nero, almeno per un po’, ma persino il grande illusionista trovava appena stancanti compierle, per una persona poco dotata come Siirist, non c’era niente di peggio. Si accasciò a terra con le mani alle tempie e le dita che massaggiavano la fronte.

«Che succede?» si preoccupò Sylgja.

«Succede che la tecnica che ho appena usato è la più complessa e difficile per me da eseguire. Ma non c’era altro modo, con un incantesimo, non solo il mio filatterio avrebbe reagito, sarebbero scattati tutti gli allarmi del palazzo.» rispose con un bisbiglio, per non aggravare ulteriormente l’emicrania.

‹Ti è venuta bene, però, non ti è mai durata così a lungo.›

‹Infatti si vedono i risultati, sono sfinito. Un’illusione reale combinata al fuoco nero sarebbe qualcosa di imbattibile, ma è assolutamente fuori discussione pensare che sia possibile. Per quanto potente, una tecnica che mi riduce così dopo un solo utilizzo è inutile in battaglia.›

‹Immagina un’illusione reale combinata al Confine assoluto: potrebbe negare persino i poteri divini.›

‹Già ma, come ho detto, è inutile.› sbuffò il biondo.

‹Suggerirei di allenartici di più, sarebbe da tenere in considerazione.›

‹Lo farò.› rispose rimettendosi in piedi.

«Andiamo.» disse a Sylgja.

‹Questa notte dormirò come un sasso. Adesso proviamo un po’…› pensò, ignorando il continuo martellare nel cranio.

Si avviarono verso uno degli ascensori che li avrebbero portati al piano della torre che si trovava all’altezza della superficie dell’acqua gelatinosa della montagna e il mezz’elfo incominciò a cercare la frequenza mentale di Glallian. Erano passati molti anni dal loro ultimo incontro e il modo di pensare del granduca era indubbiamente cambiato da quando era bambino, perciò ci mise un po’ a trovarlo. Dopo aver forzato un servitore del palazzo a prendere l’ascensore ed esserci salito anche lui insieme a Sylgja, era arrivato a metà strada quando trovò la mente del vecchio amico.

‹Cosa…?!›

‹Non allarmarti, Glallian, sono Siirist. Sono con un’amica e vorremmo cenare con te, se non ti dispiace. Nascondi la cosa ai Cavalieri e incontriamoci all’ingresso formale del palazzo.› e chiuse lì la conversazione.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Ryfon intraprese un corridoio, alla fine del quale raggiunse l’atrio, la grande statua di marmo nero, con venature che tendevano al blu molto scuro, raffigurante il grifone Septim che si ergeva in cima alla fontana al centro del salone. E ad attenderli vi era Glallian. Considerando che l’ultima volta che il Cavaliere lo aveva visto aveva avuto cinque anni, era cambiato notevolmente. Era alto all’incirca un metro e ottanta, con la schiena dritta e il fisico asciutto e le spalle larghe. Aveva un portamento nobile, elegante, raffinato, ma anche deciso e autoritario. I suoi brillanti occhi azzurri mostravano la stessa energia che il mezz’elfo aveva visto anni prima, ma assieme ad essa vi era la stanchezza derivata dall’essere il governatore di una delle principali città dell’Impero. Mettici anche il periodo di guerra, le sue responsabilità erano moltiplicate. Aveva qualche ruga attorno agli occhi e ai lati della bocca, non aveva un filo di barba e i capelli stavano incominciando a ritirarsi. Sorridendo, Siirist rilasciò la sua seconda illusione e Septim poté vederli.

«Da quanto tempo.» disse il mezz’elfo con un leggero inchino.

«Troppo, vecchio amico.» rispose avvicinandosi per abbracciarlo.

«Qui il vecchio sei tu. E pensare che ti ho conosciuto che eri un bambino!» sfotté, battendogli la spalla mentre si stringevano.

«Tu invece non sei cambiato per niente, stai sempre a far danni, ho sentito.» ribatté dopo essersi separati.

«Devi essere più specifico.» scosse la testa Ryfon con aria soddisfatta e al contempo rassegnata.

«Davanti ai cancelli di Orzammar.»

«Ah. Sì. Se la sono cercata.» alzò le spalle.

«Che posso fare per te?»

«Come ti ho detto, averci per cena, e sarebbe più che gradita una dose doppia di pozione per il mal di testa, la più forte che hai. Inoltre ho bisogno che ti occupi del pagamento delle stalle per i chocobo e di tre stanze al Sole azzurro. Ti ridarò tutti i soldi con gli interessi, tranquillo, ma per il momento non ho modo di prelevare i miei soldi. Senza contare che sono in forma di tesori che vanno ancora convertiti in guil.»

«Di che parli?»

«Ilirea, amico mio. Ma ora andiamo a mangiare perché ho fame, e non è bene far aspettare un demone affamato. A proposito, ti devo ringraziare per aver accolto Tomoko, la sua cucina è migliorata notevolmente da quando è stata qui. E la testa mi scoppia, quindi vorrei quella pozione il più in fretta possibile.»

«Certamente.» rispose, per poi prendere il suo comunicatore e chiamare un servitore.

Ordinata la pozione, lo rimise in tasca e guardò Sylgja.

«Quanto ancora dovrò aspettare prima che mi presenti la tua amica?»

«Glallian, questa è Sylgja, una ragazza che ho conosciuto a Rabanastre e che ho portato con me nei miei viaggi da lì. Sylgja, Glallian Septim, granduca di Zanarkand nonché cugino di quarto grado dell’Imperatore e diciassettesimo nell’ordine di successione al trono di Arcadia.»

«Che spero sia un titolo inutile e che i miei cugini sopravvivano tutti e continuino a governare, perché non voglio lasciare Zanarkand per nessuna ragione!»

«Molto piacere. È un onore essere in vostra presenza.» disse inginocchiandosi e chinando il capo.

«Su, non essere così formale. Ogni amico di Siirist è mio amico, dammi del tu e sentiti libera di essere spontanea. Seguitemi.»

E si diressero verso la scalinata che li avrebbe portati alla sala da pranzo in cui il Cavaliere d’Inferno aveva mangiato tanti anni prima.

«Da quanto sei a Zanarkand?»

«Poco più di una settimana.»

«Sei stato da Keira?»

«Purtroppo no. Ci ho provato, ma i Cavalieri la tengono sotto stretta sorveglianza e hanno eretto ogni sorta di barriera attorno alla sua casa; non potrei mai avvicinarmi senza che se ne accorgano, nemmeno facendo come ho fatto qui.»

«Un vero peccato. Ti aiuterei, ma sai bene che non ho alcuna autorità sui Cavalieri. A proposito, come accidenti sei riuscito ad entrare senza allertare le guardie?! Mi devo preoccupare per il mio sistema di sicurezza?!»

«No, stai tranquillo. Ho usato un’illusione molto potente e particolare, e a saperla usare siamo solo io e un altro Cavaliere che me l’ha insegnata.»

«Se non ricordo male, le illusioni erano proprio il tuo punto debole una volta.»

«Sono un po’ migliorato da allora.» sorrise.

Arrivarono alla sala da pranzo in cui, anni prima, Siirist aveva bruciato la spalla al mistico di corte, e seduti al tavolo vi erano già quelli che dovevano essere la granduchessa e il figlio di Glallian. La donna era riccamente vestita, con capelli ramati tenuti in una lunga coda con dei nastri ogni dieci centimetri. Aveva una carnagione scura, un po’ come quella di Siirist, e splendidi occhi verdi. Le curve non erano molto pronunciate, ma aveva un bellissimo viso, ma con stampata la solita espressione dei nobili che Siirist non aveva mai sopportato. Il ragazzo, che doveva avere sui dieci o undici anni, aveva gli occhi di Glallian e i capelli della donna. Entrambi si alzarono dal tavolo in maniera composta e si avvicinarono ai nuovi arrivati.

«Molto piacere, io sono Indara. Mio marito mi dice che siete un mercante ed un suo caro amico, ma devo essere sincera, non ho mai sentito parlare di voi. E mi dispiace presentarmi in maniera così poco formale, ma non ero stata avvisata del vostro arrivo.» sorrise elegante.

«Il piacere è tutto mio, granduchessa, il mio nome è Tivein e questa è la mia amica Sylgja.» disse con un cenno del capo e un sorriso, felice che Glallian avesse inventato una bella scusa, per poi girarsi verso Orla.

«È un onore essere al vostro cospetto.» si inchinò la ragazza con tutto il rispetto del mondo.

«Io sono Samuel Septim.» si presentò formalmente il bambino.

Siirist gli sorrise e annuì poco convinto: possibile che un bambino fosse una tale statua di gesso? Glallian non era certo stato così.

«Vedo che non ha lo stesso entusiasmo che avevi tu in passato, Glallian. Ma dimmi, avete per caso un altro figlio di nome Tryen?» osservò soprappensiero, non realizzando lì per lì di aver detto qualcosa di compromettente: come se ne fu accorto, sviò il discorso.

Le facce quasi furiose dei due genitori fecero capire che la risposta era un secco “sì” e Siirist sorrise mentalmente per essere riuscito a distrarre Indara dalla questione di come e quando suo marito ed il nuovo arrivato si fossero conosciuti.

«Come lo sai?»

«L’ho visto che correva nel quartiere delle Due Torri qualche giorno fa. Era insieme ad un altro bambino.»

«Certo, Jon, sono sempre insieme. È uno dei nipoti di Keira. Hanno cinque anni tutti e due, sono nati a soli due mesi di distanza. Sono così piccoli eppure sono dei delinquenti.» spiegò Glallian.

E Siirist capì perché gli occhi del secondo bambino gli erano parsi familiari. Non riusciva a crederci, Keira era diventata nonna… E aveva più di un nipote…! Improvvisamente la voglia di andare a rivedere la vecchia amica si fece più forte, ma la represse come aveva imparato a fare con la fame.

«Non sappiamo più che farci. Riescono ad eludere tutte le guardie che mettiamo a sorvegliarli, sfuggono anche alle protezioni dei nostri mistici di corte!» si lamentò Indara.

«Keira dice che sono entrambi come era il Cavaliere d’Inferno da piccolo.» puntualizzò il granduca.

«Haha!» rise di gusto Siirist, immaginandosi più che bene di quanti problemi potessero essere la causa quei due: subito se ne pentì nel provare una forte fitta in tutto il capo.

La faccia della granduchessa fece capire al mezz’elfo che aveva pensato qualcosa che non poteva dire, perciò le invase la mente e scoprì che in realtà non amava particolarmente Keira e la sua famiglia e la considerava una brutta influenza sul figlio e che era una fortuna che il primogenito non aveva avuto alcun rapporto stretto con loro. Ma conosceva bene ciò che pensava di Keira il marito, per cui non si sarebbe mai permessa di dar voce ai suoi pensieri, e non sarebbe certo stato Siirist a dire niente.

«Vogliamo sederci?» propose Glallian.

«Con immenso piacere. Sento già un buon odorino provenire dalle cucine.» disse con un basso ringhio Siirist, qualcosa di facilmente confondibile con il rantolo causato dal mal di gola, se non si era al corrente della situazione del mezzo demone.

«State bene?» domandò incerta Indara.

Siirist la guardò con un mezzo sorriso e Glallian subito intervenì per sviare il discorso.

«Complimenti per l’olfatto! È quasi come se tu fossi un elfo!»

«Diciamo così, sì.» sorrise nel sedersi.

«Ah, bene, dalla a lui.» disse il granduca al servo appena entrato con la pozione.

«Molte grazie.» disse Ryfon, bevendola tutta in un sorso e pregando Obras che facesse presto effetto.

Le varie portate della cena erano principalmente a base di pesce, e nel mangiare l’aragosta, Sylgja non riuscì a trattenere un gemito di piacere, al che granduchessa e figlio le lanciarono un’occhiataccia di dissenso. Siirist ancora non riusciva a capire come Glallian avesse potuto sposare una donna simile, quando lui era rimasto, bene o male, la stessa persona allegra che era stato a cinque anni. Non avrebbe mai capito i matrimoni combinati, la cultura elfica su questo era molto avanzata: i matrimoni erano stati eliminati proprio per evitare unioni prive d’amore, e anche se esponenti di casati nobiliari continuavano ad unirsi, lo facevano sempre per scelta, e, se avesse voluto, Elisar avrebbe anche potuto donare la sua Collana ad una dunmer pescatrice, mentre Gilia, se fosse diventato conte, avrebbe comunque dovuto dire addio a Deria. A Hellgrind, invece, il matrimonio non era mai stato il modo per ottenere favori e alleanze, solo la forza dell’individuo contava: Alucard aveva ottenuto il permesso di Raizen di sposare Kikyou, ma se ella non avesse voluto, non lo avrebbe fatto.

«A cosa pensi? Sei stato in silenzio per oltre dieci minuti.» chiese Glallian.

«Stavo solo riflettendo sulle tradizioni dei vari popoli di Tamriel.» rispose vago.

«Dicci, che hai fatto in tutti questi anni che non ci siamo visti?»

«Ho girato quasi tutto il continente. E dico “quasi” perché manca ancora Ivalice. Cioè, ci siamo passati per due giorni, ma non posso dire di averla visitata. Sono invece stato per gran parte di Spira, mi mancano solo Bevelle e le isole meridionali, sono stato in tutta Alagaesia, escludendo Lindblum, e a Condoria; non sono stato in alcuna delle sue Città delle Macchine, ma mi sono percorso tutta Junon da Wutai a Nibelheim.»

«Sei stato anche a Hellgrind?!» disse una voce da dietro.

«Tryen, finalmente sei arrivato!» gli disse il padre.

«Tryen, ma che maniere sono? Porta rispetto.» lo rimproverò la madre.

«Non fa niente.» disse Ryfon.

«Perché, chi è? Chi sei? Non ti ho mai visto prima.» si avvicinò a Siirist.

E nel suo sguardo, il mezz’elfo rivide il granduca da piccolo.

«Un vecchio amico di tuo papà.»

«Sei troppo giovane per essere un suo amico.» storse la bocca.

Glallian soffocò una risata.

«Dai, siediti.» disse.

Il bambino obbedì e si mise sulla sedia vuota alla sinistra del Cavaliere.

«Ti ho visto che correvi qualche giorno fa assieme ad un tuo amico.»

«Sì! Avevamo fatto esplodere il laboratorio alchemico di Proventus, quindi stavamo scappando.» disse a bassa voce, il peso dello sguardo severo della madre che lo schiacciava.

«Il vostro capo mistico di corte?» suppose Siirist.

Glallian annuì.

«Lo troveresti meno simpatico di Reberio.» disse prima di prendere un sorso di vino dal suo calice d’oro giallo e nero.

Ah, Reberio! Quell’insulso mago che aveva osato umiliarlo. Però, almeno, gli aveva dato una bella lezione e, grazie a lui, non era stato troppo arrogante contro gli Scorpioni ed era riuscito, in un modo o nell’altro, a salvarsi la pelle. Ma subito Siirist comprese la cazzata, ben più ovvia di quella precedente del mezz’elfo, commessa da Glallian, perché vide il sospetto negli occhi di Indara: il mezz’elfo era stato presentato come umano e non appariva più vecchio di vent’anni, perciò come era possibile che avesse conosciuto il mistico di corte che era morto più di quarant’anni prima durante la battaglia con gli Scorpioni? Ryfon pensò fosse meglio proseguire il discorso e non darle il tempo di dar voce ai suoi pensieri: lo avrebbe potuto fare quando fosse stata da sola, allora, anche lo avesse fatto, non avrebbe rappresentato un problema per la segretezza del Cavaliere.

«Suppongo che questo Proventus se la sia cercata.» si rivolse quindi verso il Septim più piccolo.

«Sì!» esclamò Tryen.

Gli occhi furenti di Indara alle parole del Cavaliere erano stati impagabili: ottimo, già aveva smesso di pensare all’incongruenza venuta fuori prima. Siirist si trattenne dal ridere.

«Che cosa ha fatto?»

«Ci ha dato una medicina schifosa!»

«Una medicina per cosa?»

«Per la tosse.»

Il mezz’elfo alzò lo sguardo verso il granduca e questi capì da solo che doveva fornire ulteriori spiegazioni.

«Proventus è un ottimo mago e alchimista. Si è diplomato all’Università Arcana con il titolo di maestro di oscurità, luce, acqua e fuoco, inoltre conosce anche alcuni incantesimi di magia spaziale e organica, ma niente di curativo, perché per guarire usa le sue pozioni che, ammetto, non hanno un buon sapore, ma sono molto efficaci, come avrai potuto constatare tu stesso. Tryen e Jon si sono presi la polmonite perché si sono messi a giocare nella cella frigorifera e, dopo tanti giorni di cura, era rimasto loro parecchio catarro e non facevano che tossire. La pozione di Proventus è stata efficace nel rimuovere il catarro ma ammetto che il solo odore era nauseante. So abbastanza di alchimia da sapere di non voler sapere quali siano gli ingredienti di una pozione.»

«I Cavalieri non potevano fare nulla? Di sicuro sono più abili di un mistico di corte in quanto a magia curativa. Non voglio sminuire l’Università Arcana, ma anche un’intera vita umana di studi non può portare agli stessi livelli dei secoli di studi e allenamenti dei Cavalieri della prima brigata.»

«È vero. Ma diciamo che non erano molto inclini a guarire né Tryen né Jon. Certo, se fossero in vero pericolo li salverebbero, perché è loro dovere proteggere la mia famiglia e chi è sotto la mia protezione come la famiglia di Keira, ma dopo che questi due delinquenti hanno rubato loro armi e armature e non gliene hanno restituite per quasi una settimana, non stanno loro molto simpatici.»

«Ups.» mormorò Tryen.

‹Hahaha!›

Siirist non poteva crederci, nemmeno lui aveva mai rubato a dei Cavalieri prima di diventarlo lui stesso! Per dei semplici umani, riuscire a commettere un furto a danno di abili Cavalieri della prima brigata era qualcosa di sensazionale! Da ladro, avrebbe tanto voluto fare i suoi complimenti al bambino, ma da Cavaliere e guerriero sapeva fin troppo bene il legame che c’era tra una persona e la sua spada, e da ospite pensava che stuzzicare così tanto la granduchessa sarebbe stato maleducato anche per lui.

«Non avreste dovuto. I Cavalieri andrebbero rispettati, sono qui per proteggervi, non li dovete insultare. E la spada di un Cavaliere è la cosa più importante che ha dopo il suo drago.»

«Lo so, però volevamo mostrare a Keira che siamo anche più bravi del suo amico Siirist!»

Era incredibile, non importa in quale generazione, per una ragione o per un’altra il mezz’elfo non sarebbe mai stato simpatico ad una granduchessa di Zanarkand. Nel sentire che suo figlio aveva commesso quell’atto solo per dimostrare qualcosa a Keira e per essere al livello del biondo, Indara era diventata furiosa, fredda come solo gli elfi sapevano fare, o almeno così Ryfon aveva sempre creduto. Se un’occhiata avesse potuto uccidere ed ella avesse saputo chi aveva veramente davanti, del mezz’elfo sarebbe rimasto anche meno che se fosse stato colpito dal Vuoto. Ma, in tutta onestà, dell’opinione della granduchessa di Zanarkand gli interessava meno che di quella di Delmuth.

«Del Cavaliere d’Inferno? E cosa c’entra il rubare le armi agli altri Cavalieri?»

«Il Cavaliere d’Inferno è un ladro incredibile, il migliore al mondo!» esclamò Tryen.

«Non so che cosa vi ha raccontato Keira, ma Siirist Ryfon non è di certo il migliore al mondo. Anzi, non dovrebbe neanche andare in giro a dire che è un ladro!» rispose un po’ infastidito: l’amica doveva imparare a tenere la bocca chiusa.

«E tu come lo sai?» corrugò la fronte il bambino.

Il mezz’elfo sorrise.

«Perché ho conosciuto Siirist Ryfon. Quando rivedi Keira, dille che le manda un abbraccio e che la rivedrà presto, d’accordo?»

«Veramente?!» chiese il bambino con somma ammirazione.

«Sì. Quindi tu e Jon dovete smettere di creare guai, siamo intesi?»

«Va bene!» sorrise a trentadue denti.

Era incredibile quanto assomigliasse al padre, non era niente come il fratello: le statue a Tronjheim erano più vive di Samuel.

Finirono di mangiare e Sylgja rimase con Tryen mentre Siirist andò con Glallian nella sala da ricevimento privata di quest’ultimo.

«Non sono solo qui per chiederti soldi e aiuti, ma anche per avvisarti del pericolo. Un messaggero è già stato mandato ad Arcadia per avvisare l’Imperatore e, di conseguenza, il Consiglio degli Anziani, ma lo dico anche a te per sicurezza: gli Scorpioni si sono alleati con Valendia, Thedas e Palamesia. Ho incontrato i Valendiani e le loro armi, sono delle macchine ben più evolute delle nostre e non sono sostenute da nulla di mistico come le nostre Materia. Stanno preparando un attacco in grande scala contro tutte le principali città dell’Impero Septim e i loro numeri sono incalcolabili. Le nostre truppe vanno armate al meglio; al momento l’esercito dei nani sta marciando per Balfonheim, da cui dovrà prendere diverse navi e andare ad Arcadia.»

«Sì, ho sentito.»

«Gli Scorpioni sono più di quanto avessimo pensato, ci vogliono schiacciare su ogni fronte, addirittura senza l’intervento dell’angelo.»

Il granduca si sedette su una poltrona, la fronte corrugata, una mano che tormentava il mento.

«Farò in modo che saremo pronti.»

«Bene. Mi duole dirti che ho un altro favore da chiederti.»

«Cosa?» sorrise.

«Quando avrò finito di imparare quello che ho da imparare da Wallace, intendo andare a Kami no seki, almeno fino a che Rorix sarà pronto per ritornare da me. A Hellgrind ciò che conta è la forza, non è un posto per una ragazza come Sylgja, che sarà vista da chiunque come una gracile preda. Ti voglio chiedere di trovarle un posto qui in città.»

«Naturalmente, non sarà un problema. Ma mi sembra molto affezionata a te, non credo sarà felice di sapere che vuoi lasciarla indietro.»

«Ancora c’è tempo prima che accada, ma rimane inevitabile. Non posso portarla con me, e non intendo solo a Hellgrind, anche dopo quando tornerò a Vroengard, e dopo ancora. Stare con me, di questi tempi, è pericoloso, e lo sarà sempre di più.»

«Capisco.»

 

In quattro mesi, Siirist aveva creato qualche centinaio di Materia e svariate dozzine di armi. Le ultime costruite erano due pistole a colpo singolo, in grado di sparare colpi dal quantitativo di 1000 douriki. La prima era caricata con una Materia di fuoco, la seconda con una di vento. E ora, dopo essersi preparato innumerevoli armi di diverso tipo, aveva deciso di andare ad allenarsi ad usarle, e per questo aveva deciso di andare due giorni sul monte Gagazet. Non era andato sulla cima come aveva un tempo fatto con Althidon, perché non aveva la minima voglia di ripetere quell’esperienza di freddo insopportabile, ma era rimasto ad un’altitudine di 500 metri. Si era accampato fra gli alberi della grande foresta che ricopriva l’area in cui era andato e aveva innalzato due tende, una per sé, una da usare come ripostiglio. Sotto alla seconda aveva depositato le due casse piene di armi, tutte diverse fra loro, e ora aveva pensato bene di occuparsi del fuoco. Lo accese in poco tempo usando la nederite che si era portato dai Beor e si era steso sul sacco a pelo che gli aveva fornito Glallian. Era lì per addormentarsi quando percepì una presenza ostile e si alzò di scatto, la sinistra che andò istantaneamente alla coscia dove aveva legato la fondina della pistola a fuoco. La presenza sparì e il mezz’elfo si stese di nuovo prima di addormentarsi.

La mattina dopo si svegliò a causa della presenza di alcune persone e aprì gli occhi per ritrovarsi davanti gli orchi, Barrett e Tifa.

«Che state facendo qui?»

«Avevamo bisogno di tornare in mezzo alla natura, quella città ci stava facendo impazzire.» rispose Ghorza-gul-Marak.

Siirist annuì, osservando come gli orchi fossero simili in molti aspetti agli elfi. Ma non fosse mai che esprimesse ad alta voce i suoi pareri, specie di fronte ad un elfo.

«Va bene. E voi due?» alzò le sopracciglia in direzione di Tifa.

«Hai mai seguito un allenamento con le pistole?» chiese svogliato l’omone.

«Anni fa, quando venni la prima volta a Zanarkand, ne riportai indietro due a Vroengard. Mi ci sono un po’ allenato, sì, di nascosto così che il mio Maestro non le vedesse, sparando a bersagli sempre più distanti, sia fissi che mobili.»

«Hm. E che pensavi di fare qui, esattamente?»

«Cacciare mostri con pistole e fucili.»

«Novellino. Vieni con noi.» e si allontanò.

Siirist stava per controbattere ma la ragazza lo fermò e gli fece segno di seguire Barrett. Il mezz’elfo sbuffò e si alzò. Uscirono dalla macchia e raggiunsero l’aeronave usata dai quattro nuovi arrivati e, sul terreno attorno ad essa, Ryfon vide diverse casse e congegni diversi. Wallace si avvicinò ad uno di questi e premette un tasto, facendolo aprire e sollevarsi in aria, dove incominciò a ruotare rapidamente su se stesso e a muoversi a scatti. L’omone attivò uno sferoschermo e, da quello che capì il biondo, impostò i comandi per la macchina volante. Essa partì rapida verso Siirist e gli volteggiò intorno prima di scattare a dieci metri di distanza. Allora Barrett afferrò una pistola e la lanciò al Cavaliere.

«Usa questa, non voglio che mi distruggi la macchina con le tue pistole da 1000 douriki.»

Lanciò una pistola, in modello identica alle due alle cosce di Siirist, e questi la prese al volo nella sinistra. Mosse il braccio e prese di mira il congegno volante e premette il grilletto. Il colpo di luce partì a la macchina fu colpita; fu percorsa da quelle che sembravano scosse elettriche e incominciò a muoversi anche di più a scatti, come fosse impazzita, prima di allontanarsi di altri dieci metri.

«Ancora.» disse Barrett.

Nuovamente Siirist premette il grilletto e colpì la macchina, che ancora si imbizzarrì e si allontanò di altri dieci metri.

«Ancora» ripeté il costruttore di Materia.

Ryfon sbuffò e di nuovo sparò.

Quando la macchina ebbe raggiunto i cento metri di distanza, Barrett disse che quella era la gittata massima che avrebbe avuto la pistola impugnata dal mezz’elfo, per cui, dopo che essa fu colpita, ritornò a dieci metri dal Cavaliere.

«Ora usa la destra.»

Ryfon voleva dare fuoco a Barrett: quell’allenamento era una totale perdita di tempo, gli era inutile, la sua mano era ferma e aveva un’ottima mira, con un’arma a Materia ben calibrata, non avrebbe mai mancato un bersaglio immobile. Difatti, dopo altri dieci spari con la pistola nella destra, la macchina volò da Wallace.

«Molto bene, sai come sparare con le pistole.»

Prese un fucile e lo lanciò a Ryfon, sorridendo sadico.

«Ora usa questo.»

Il mezzo demone era lì per rivolgere la bocca del fucile alla testa dell’omone, ma si trattenne per non dargli quella soddisfazione e nuovamente sparò alla macchina volteggiante, solo che questa volta essa raggiunse una distanza di 250 metri.

«Soddisfatto?» chiese retorico Siirist.

«Adesso due insieme.»

Una seconda macchina volante andò ad affiancarsi alla prima e Siirist, con due pistole in mano, sparò ad entrambe. Passò una settimana in quel modo, con i congegni che andavano sempre più lontano, verso l’alto, in direzioni opposte, e con pistole, fucili e armi a colpo multiplo anziché singolo, Siirist continuò a colpire i bersagli che rimanevano sempre immobili. Inizialmente l’omone gli aveva dato del tempo per prendere bene la mira, poi gliene aveva dato sempre meno, arrivando a costringere Siirist ad aprire diversi occhi mentali per determinare con accuratezza la distanza dei congegni da lui e l’angolo con cui avrebbe dovuto sparare.

«Sei veloce. Hai aperto uno dei tuoi, come si chiamano, occhi mentali?» disse Barrett impressionato, ma cercando di nasconderlo.

L’ultimo esercizio era stato particolarmente difficile, con venti macchine volanti che volteggiavano incessantemente nel cielo, di cui solo due alla volta si fermavano e illuminavano e il compito di Siirist era di colpirle entro due secondi. Lo aveva sempre fatto in mezzo.

«Più di uno, ad essere sincero.» ammise il mezz’elfo, andandosi a riposare.

«Ha! Dovresti farlo senza!»

«In un combattimento serio ne ho sempre almeno dieci aperti, non ha senso che mi alleni senza usarli. Oppure potrei usare il fulmine per velocizzarmi e colpirli con facilità.»

«Non te l’ho mai chiesto, ma quanto hai di Flusso vitale?»

«Centomila douriki e due Cerchi d’argento.»

A Barrett e Tifa caddero dalle mani i panini che stavano mangiando.

«Sorpresi?»

«Non riesco a capire perché tu voglia usare le Materia.» disse scuotendo la testa Barrett.

«Dovresti essere onorato anziché continuare a lamentarti. Te l’ho ripetuto diverse volte, voglio differenziare i miei stili di combattimento.»

«Lo so, ma non ricreerai mai delle Materia di quel livello.»

«E non è il mio scopo. Tu insegnami e basta, poi sarò io a pensare a come usare le Materia.»

«Bah. Finisci di mangiare, è ora di passare alla prossima fase dell’allenamento. Con le tue capacità fisiche, ho pensato di renderla più difficile del solito, vedremo come te la cavi.»

A giudicare dal tono della voce, dalle parole usate e dall’espressione di piacere depravato dipinta sul muso da scimmione di Barrett, Siirist era certo che avesse in mente qualcosa che fosse ai limiti delle capacità umane, ma dopo essersi allenato con quello schiavista di Althidon, che spingeva i suoi allievi ai limiti delle capacità dei Cavalieri, e con la Volpe, il mezz’elfo era certo che tutto ciò che Barrett gli avrebbe fatto fare a confronto sarebbe stato una passeggiata in estate per la valle di Rivendell.

Finito di mangiare, dunque, Siirist si rimise in piedi e riprese in mano le pistole, ma Wallace gli disse che ne avrebbe dovute usare altre due che gli passò, per poi riprogrammare le macchine volanti e tutte e venti andarono ad un’altezza di venti metri.

«Ora incominceranno a spararti delle leggere scariche elettriche da cento douriki ad una velocità di sei spari al secondo. Suppongo che con la tua forza, neanche le sentirai, difatti avrei voluto sostituire le Materia con altre da diecimila douriki, ma non le ho portate, purtroppo. Dovrai evitare di venire colpito e, nel frattempo, abbattere le macchine: per farlo, dovrai aspettare che si illuminino, come prima, e dopo essere state colpite dieci volte, le macchine si spegneranno e cadranno a terra, ma ogni volta che verranno colpite, accelereranno sia la loro velocità di spostamento, sia quella di sparo, fino ad un totale di quindici spari al secondo. Per concludere la sessione di allenamento, quindi, dovrai sparare come minimo duecento volte, e hai a disposizione centocinquanta colpi per pistola. Prenderò anche il tempo per vedere quanto ci metti.»

«Sembra tosto come allenamento…» cominciò.

«Lo è.» rispose soddisfatto Barrett.

«… per un essere umano. Falle partire e preparati ad essere meravigliato.»

«Ragazzino arrogante che non sei altro.»

«Sono più vecchio di te.»

«Ma hai la maturità di un dodicenne!»

«Siete entrambi dei deficienti! State zitti e cominciate!» sbottò Tifa.

I due uomini rimasero colpiti da quell’uscita e la fissarono, per poi guardarsi a vicenda imbarazzati.

«Sì, cominciamo…» mormorò Barrett.

«Bene…» rispose Ryfon.

Le venti macchine volanti incominciarono a roteare e a muoversi a scatti più rapidamente, indicazione che erano lì per incominciare a sparare. Con il settimo senso e il colore dell’osservazione al massimo dell’allerta e la mente velocizzata al massimo delle sue capacità, Siirist era pronto a schivare tutti i proiettili fulminanti che gli sarebbero arrivati addosso, mentre con cento occhi mentali aperti, era attento a cogliere un’eventuale illuminazione da parte delle macchine. Partì subito in una serie di flic all’indietro per evitare le scariche elettriche e dopo sei secondi, la prima macchina si illuminò, ma Siirist non volle rischiare di sprecare un colpo, perciò si limitò ad osservare quanto durasse l’apertura nelle difese nemiche.

‹Neanche un secondo, eh? Interessante.›

Per colpire le macchine al momento giusto, si sarebbe già dovuto trovare con la pistola puntata nella direzione giusta il momento che il bersaglio si fosse illuminato. Le macchine lo seguirono incessantemente mentre il mezz’elfo continuava la sua serie di flic e un altro dei costrutti si illuminò per la stessa durata del primo, così che il ladro ebbe la conferma che fosse quella la sua finestra d’opportunità. Percepì che una terza macchina si stava per illuminare ed eseguì un salto raggruppato all’indietro, il braccio sinistro già esteso il momento in cui la macchina incominciò a brillare, e premette il grilletto, centrando in pieno il bersaglio.

‹E uno. Altri 199 e posso mandare Barrett a quel paese.›

Siirist impiegò in tutto quattro minuti e quarantasette secondi a completare l’allenamento, più che altro per colpa dei bersagli, perché doveva aspettare che si illuminassero. Andò da un Wallace incredulo con il dito medio alzato e gli chiese di ripetere l’esercizio, solo che questa volta indossò i bracciali incantati che gli aveva dato la Volpe a Skingrad.

«Ora i miei douriki fisici sono solo a 700, perciò sarà molto più difficile per me. E sentirò anche l’effetto delle scariche elettriche semmai venissi colpito. Vediamo di rendere questo allenamento più utile e interessante, va bene?» disse sicuro.

Barrett sorrise soddisfatto e fece ripartire le macchine. E dopo appena due minuti e mezzo, si stava piegando dal ridere nel vedere Siirist a terra dolorante, con il corpo percorso da scosse elettriche. Era riuscito solo a neutralizzare due macchine, poi era stato reso impotente dai troppi colpi ricevuti. E come era caduto a terra, le macchine avevano continuato a bersagliarlo, obbligandolo a richiamare il sangue demoniaco e sfruttare il potere passivo delle bestie del fulmine di essere immuni agli attacchi elettrici. Barrett aveva quasi rischiato di soffocare per le troppe risa.

«Sì, sì, ridi poco e fai ripartire l’allenamento. Abbiamo appena cominciato.» disse Ryfon a denti stretti, rialzandosi e preparandosi a ricominciare.

 

Passarono due settimane con Tifa che si occupava della gestione delle macchine da allenamento mentre Barrett era ritornato a Zanarkand con un’automobile. Un paio di volte il mezzo demone aveva trovato difficile resistere e non saltare addosso alla ragazza, ma gli bastava mangiare ogni sera l’ottimo stufato preparato da Azuk-lob-Khalak e ogni istinto demoniaco era represso. Durante il resto della giornata, invece, gli orchi sparivano per andare a caccia e in esplorazione della “affascinante e misteriosa natura”, come la definivano loro. Siirist non metteva in dubbio che il Gagazet potesse avere il suo fascino, ma per lui non sarebbe mai stato nulla se non fatica, freddo, difficoltà a mantenere il pene rilassato e tanta paura. Per i mesi immediatamente successivi al loro allenamento con Althidon sul gigante bianco, Siirist aveva continuato a sognarsi la battaglia con il behemoth, e aveva presto realizzato che, se il mostro non fosse finito nel precipizio, loro tre non sarebbero sopravvissuti, nemmeno usando i loro migliori incantesimi. Poi era arrivato Raiden ed aveva spodestato il signore della montagna dal suo titolo di peggiore incubo.

Siirist era andato in mezzo alla foresta dove si era accampato le prime due notti, per poi andare a dormire in una delle cabine dell’aeronave, a raccogliere un po’ di legna da ardere e nuovamente percepì la presenza ostile che aveva sentito il primo giorno che era arrivato lì. Ma questa volta era più vicina e più decisa. Portò le mani alle fondine alle cosce, maledicendo le pistole d’allenamento che vi teneva, perché sapeva bene che se la creatura che lo stava osservando era forte quanto la sua presenza dava ad intendere, quelle patetiche Materia da 10 douriki non sarebbero servite a niente.

‹Ci manca solo che mi tocca usare i miei poteri demoniaci. Con Tifa nelle vicinanze, non posso permettermi di usarli, non dopo tutto questo tempo di astinenza sessuale.› ringhiò.

‹Pessimista. Ti basta la tua forza fisica per fare a pezzi la maggior parte dei mostri di queste parti, e se non dovesse essere sufficiente, hai a disposizione forma draconiana e Ataru. Potresti distruggere anche un behemoth con la tecnica della sottrazione del Flusso, ti vai a preoccupare per qualche animalaccio di queste parti basse? Però è il caso che ti togli i bracciali.› disse spavaldo Rorix, per poi finire con un tono meno sicuro.

Siirist ci aveva già chiaramente pensato, ma era indeciso se farlo o no. Sentiva la presenza nemica molto vicina e il problema del togliere i bracciali era che gli serviva qualche minuto per recuperare le forze e in quel frangente sarebbe stato completamente in balia di un eventuale attacco.

‹Allora usa un’illusione reale, non lo so, qualcosa che ti dia un margine di vantaggio.›

Siirist ci pensò su. Un’illusione reale troppo prolungata lo avrebbe lasciato spossato, ma usarla per equipaggiarsi con delle pistole dalla Materia potente al punto giusto non era una cattiva idea. Estrasse le due pistole dalle fondine e, entrato in stato di calma assoluta, le avvolse nell’illusione, rendendole identiche alle sue altre due pistole, quelle caricate con Materia di fuoco e vento con un potere di 1000 douriki. Un’illusione reale così limitata non sarebbe risultata essere troppo faticosa, ma sarebbe stato comunque bene minimizzare la durata dello scontro.

‹Lì!› pensò, individuando esattamente l’ubicazione della bestia grazie all’Ambizione.

Alzò la mano destra e sparò una sfera di vento che distrusse tutti gli alberi lungo il suo passaggio, ma la fiera la evitò, rifugiandosi ancora più dentro la macchia. Non era certamente intenzionata a rendergli il compito facile. Ora che si era allontanata a sufficienza, Siirist pensò bene di ritornare all’aeronave di Tifa per equipaggiarsi con delle armi migliori e smettere di usare la sua illusione. Partì di corsa, al massimo della velocità che gli consentivano i suoi 700 douriki attuali, le pistole riposte nella fondina. Ma come ebbe dato le spalle alla belva, la percepì lanciarsi di nuovo verso di lui. Si muoveva con una rapidità e un’agilità impressionanti all’interno di quella fitta foresta, e in breve raggiunse la sua preda. Il mezz’elfo si buttò a terra faccia in avanti e il mostro gli passò sopra con un balzo; con un’esplosione di energia magica, si diede una spinta sulle braccia piegate e si sollevò di un paio di metri, le mani rapidamente portate alle fondine, e puntò in avanti le pistole. Sparò quattro colpi in rapida successione, combinandoli, e liberando quattro sfere di fuoco esplosivo che devastò gli alberi. Ma della fiera ebbe solo un rapido scorcio del posteriore, con il pelo nero e la lunga coda, che terminava in una lama seghettata, che emanavano dei rivoli di fumo nero.

‹Una bestia d’ombra? Felino o canide?›

Resosi maggiormente conto del pericolo che correva, Siirist riprese a correre verso l’aeronave. Uscì dalla macchia e annullò l’illusione sulle pistole e uscì dalla calma assoluta.

«Tifa! Lanciami le pistole caricate a luce più potenti che hai!» chiamò con urgenza.

«Che succede?»

«Fallo e basta!

Il tono ansioso del Cavaliere colpì anche gli orchi che misero mano alle armi: avendo dovuto lasciare le loro nell’aeronave rimasta nel bosco a est di Anvil, ne avevano prese di nuove ad un’armeria di Zanarkand, ma chiaramente non erano per niente come quelle forgiate da Ghorza-gul-Marak. Senza aggiungere altro, Tifa corse nell’aeronave e uscì con due pistole da 5000 douriki ciascuna, come disse al biondo, gliele lanciò ed egli le prese al volo. In quel momento la fiera, che si trattava di una volpe d’ombra, uscì dalla macchia con un balzo e fece per attaccare il mezz’elfo alle spalle, ma questi si voltò e sparò in rapida successione. I piccoli proiettili di luce dorata colpirono la bestia in pieno ventre e la bloccarono a mezz’aria, facendola capitolare. Ma essa era troppo potente per essere abbattuta da una raffica di soli 5000 douriki, perciò si rialzò senza quasi aver accusato il colpo. Caricò Siirist con una testata, ma questi la evitò con un balzo verso l’alto; in aria roteò con il busto teso e compì un mezzo avvitamento per ritrovarsi a testa in giù e con il viso rivolto verso l’animale: alzò le braccia e liberò un’altra serie di colpi. Azuk-lob-Khalak sopraggiunse con la spada sollevata sopra la testa e menò un fendente sul collo della belva; la lama di acciaio di Dalmasca graffiò appena la pelle della volpe d’ombra, così le abbatté il martello sulla spalla, schiacciandola. Azzoppata, la bestia ringhiò e fece per azzannare l’orco, ma nuovamente Siirist, ritornato a terra, la tempestò di colpi di luce in faccia, obbligandola a balzare indietro, ma con molta meno prontezza, vista la condizione della zampa anteriore destra. Mosse l’arto con un guaito di dolore, riassestandolo, e si lanciò su Azuk-lob-Khalak, ma arrivò Ghorza-gul-Marak che assestò un fendente con il suo spadone, buttando la volpe a terra, ma questa, con la coda, attaccò l’orchessa, tagliandola sul braccio sinistro, e, rialzatasi, la bestia assestò una zampata ad Azuk-lob-Khalak, evitando gli attacchi del mezz’elfo, per poi scattare verso quest’ultimo.

‹Adesso è anche più incazzata.› osservò Rorix.

‹Già. È un mostro forte, per sconfiggerla è necessario più potere. Ma con le armi che hanno, gli orchi non possono fare molto, e io, con questi bracciali addosso, sono impotente.›

Si buttò di lato per evitare la carica dell’animale, e solo grazie al settimo senso riuscì ad evitare, roteando su se stesso, la falciata con la coda di essa, e, giratosi, le sparò un colpo sull’occhio. Con un ringhio furioso, la volpe si accasciò a terra, sangue che le usciva dal bulbo spappolato. Con un flic dietro, Siirist evitò un fendente della coda, e dopo il movimento, il mezz’elfo fece un salto dietro raggruppato e, terminatolo, ancora in aria, liberò una raffica di proiettili di luce contro il nemico. Ma la fiera, furbamente, girò la testa per impedire di venire colpita sull’occhio sano, e nessuno degli attacchi la danneggiò.

«Tch.» fece una smorfia Ryfon, ritornato a terra.

«Spostati!» intimò la voce meccanica di Tifa.

Siirist sfruttò il colore dell’osservazione per vedere uno dei cannoni dell’aeronave rivolgersi verso il mostro e sparare grandi proiettili di luce. Si spostò in tempo per evitare di essere colpito mentre la volpe venne presa in pieno. Rotolò a terra lasciando alcune chiazze di sangue sul terreno, ma presto le ferite si richiusero e agilmente evitò i successivi attacchi della ragazza. Ma almeno la volpe era, per il momento, tenuta a bada, e questo diede al mezz’elfo e agli orchi l’opportunità per ritirarsi nell’aeronave.

«C’è ancora tutto l’equipaggiamento per il tuo allenamento disseminato fuori, Siirist, non possiamo abbandonarlo qui, è di grande valore e Barrett ha impiegato anni per metterlo a punto. Se ce ne andiamo lasciandolo qui, non ti vorrà più vedere!» disse ancora Tifa attraverso l’altoparlante.

Ryfon ringhiò ma annuì, correndo dentro all’aeronave e togliendosi i bracciali.

‹Va bene, ma guadagna un po’ di tempo mentre mi riprendo.› la raggiunse mentalmente.

La volpe era stata forzata a ritornare al limitare della macchia, ma era evidente che cercasse in ogni modo di riavvicinarsi alle sue prede. Se solo il Cavaliere fosse abbastanza bravo da comunicare con i mostri, le avrebbe fatto capire che le sarebbe convenuto allontanarsi e si sarebbero risparmiati ulteriori fastidi, ma purtroppo quello era un ramo delle tecniche mentali che Adeo non aveva mai approfondito, e di conseguenza Siirist non l’aveva mai imparato.

Intanto gli orchi si occupavano di caricare l’attrezzatura di Barrett sull’aeronave.

«Quanto hai ancora?» domandò Tifa preoccupata.

‹Circa un minuto. Che succede?›

«La Materia di luce per il cannone è quasi esaurita, Barrett l’ha usata poco tempo fa per alcuni dei suoi esperimenti e non l’ha ricaricata. Altri tipi di elementi funzionerebbero?»

‹Purtroppo no. Se hai qualcosa in grado di concentrare le rocce del terreno, un impatto fisico simile potrebbe funzionare, come hai visto quando Azuk-lob-Khalak le ha lussato la spalla, ma altri elementi inconsistenti sono inutili contro la sua composizione d’ombra.›

«Come temevo.»

Tifa smise di sparare, il che mise gli altri tre in allarme, ma come l’animale ripartì alla carica, gli tagliò la strada con altre esplosioni di luce. La ragazza stava cercando di risparmiare i colpi, questo voleva dire che era quasi al limite, ma che c’era ancora un po’ di tempo. Bene.

‹Pronto.› comunicò il biondo.

Richiamato il sangue demoniaco, volò sparato verso la bestia nel momento in cui la ragazza mise di far fuoco, e con la sinistra le schiacciò la testa contro il terreno. La volpe cercò di attaccarlo con la coda, ma il mezz’elfo la afferrò per la lama e la strappò dal corpo del mostro, per poi afferrarla per l’estremità opposta, rotearla sopra la testa e abbatterla sul collo della creatura. 

Gli occhi di Ryfon ritornarono azzurri e si voltò verso l’aeronave.

‹Metti in moto.› disse a Tifa.

 

«Sì, sì, molto bella anche questa, ottimo lavoro.» sorrise Barrett.

Ci aveva messo un altro anno e mezzo a levargli dalla faccia quell’espressione da scimmione stitico, però, una volta che aveva visto come il suo nuovo allievo imparava bene ed in fretta, si era reso più simpatico. E ora che Ryfon aveva completato la sua quarta pistola “speciale”, Wallace era euforico.

«Adesso manca solo la scritta.» sorrise il biondo.

E incise “Rosa Blu” sul lato destro dell’arma a Materia, poi con una polvere liquida azzurrina riempì l’incisione sul metallo argentato e la mise in evidenza. La pistola era un revolver con un tamburo a sei entrate, ognuna riempita con una Materia diversa, intercambiabile con il martelletto, una che sparava sfere di fuoco, una che generava sfere di vento dall’effetto contundente, una che lanciava proiettili di luce perforante, una che creava proiettili di ghiaccio che, al momento dell’impatto, congelavano il bersaglio, una che sparava sfere d’acqua pressurizzata e l’ultima che liberava sfere elettriche. Rosa Blu era la gemella di un’altra pistola chiamata Regina Rossa, identica in tutto e per tutto se non per il colore nero anziché argentato, con il calcio e la scritta (sul lato sinistro) rossi. Le prime due pistole “speciali” che il mezz’elfo aveva costruito erano invece chiamate Ebano e Avorio, per via dei colori che aveva dato loro, ed entrambe recavano una scritta dorata che riportava i nomi di entrambe le pistole, Ebano sul lato destro, Avorio sul sinistro. Esse avevano le loro Materia inserite nel calcio anziché nel tamburo (non presente) ed erano le pistole più potenti e pericolose perché caricate con energia di Vuoto che sparavano sotto forma di piccole sfere nere.

«Ora bisogna solo aspettare che la polvere si asciughi.» disse soddisfatto.

Aveva messo sotto sigillo un totale di 107 armi a Materia tra pistole, fucili a impatto, mitragliatori,  di precisione, cannoni, pistole mitragliatrici. Aveva armi per ogni genere di evenienza e Materia di tutti i tipi. Si poteva ritenere soddisfatto dopo quasi due anni passati a lavorare sulle sue nuove armi; ora mancava solo che i fabbri gli creassero un abito adatto e il riequipaggiamento del Pistolero sarebbe stato completo. Si alzò dal tavolo da lavoro e si stiracchiò. Guardò Tifa che si era piegata per raccogliere qualcosa da terra e sorrise: si stava controllando perfettamente. Da quando aveva visitato il suo harem prima di andare ai Beor, Siirist non aveva più fatto sesso, eppure, grazie ad un abbondante consumo di carne e al non uso dei suoi poteri demoniaci, riusciva a tenere a freno i suoi istinti. E pensare che l’assistente di Barrett era proprio il tipo di ragazza che avrebbe volentieri stuprato e divorato. Ma anche lei, se confrontata ad Alea, appariva poco meglio di Fralvia. Ah, Fralvia, chi sa come stava? Che fosse diventata più brutta con l’avanzare dell’età, Siirist non voleva crederlo, al limite era rimasta uguale oppure era migliorata, un po’ come il vino. Si chiese se aveva le ragnatele in mezzo alle gambe o se si divertiva da sola, oppure, per l’amor di Obras, aveva addirittura un compagno di avventure. Eppure non riusciva a pensare a niente oltre che ad un goblin o a Oghren che si sarebbe mai avvicinato a lei. No, forse nemmeno un goblin.

«Barrett, Tifa, vorrei invitarvi a cena questa sera, se non vi dispiace.»

«Sai che non rifiuto mai un invito a mangiare!» rispose euforico l’omone.

«Dovresti, invece, ormai sei più grasso che muscoli.» lo rimproverò la ragazza, battendogli la pancia.

«Simpatica.» rispose acido.

Siirist rise.

«Vestitevi eleganti, ci vediamo tra due ore alla Stella dei mari.»

 

Due giorni dopo venne il momento di salutare il costruttore di Materia e la sua assistente perché era ora di lasciare Zanarkand. Felici di lasciare quella città fin troppo esuberante e “umana” per i loro gusti, orchi e nani si erano già avviati verso la stalla per chocobo sulla terra ferma; Siirist era invece rimasto con Sylgja a guardare il panorama dal punto più alto delle Due Torri.

«Vogliamo andare?» chiese la ragazza con tono evidentemente triste.

«Vorresti rimanere qui?» le chiese.

«Non posso dire che non mi dispiace andarmene. Ma tu non hai più motivo per restare, quindi è tempo di andare.»

Siirist sospirò.

«Non sono mai voluto entrare nell’argomento, ma quando andammo per la prima volta da Glallian, gli chiesi se fosse possibile per lui trovarti un posto qui a Zanarkand. Ho notato che ti piace, e non ti posso biasimare, e Hellgrind non è un posto in cui puoi venire. Non sarebbe sicuro, nemmeno con me.»

Orla non rispose. Continuò a guardare in avanti, gli occhi appena lucidi.

«Mi aspettavo che sarebbe venuto questo momento, prima o poi. Non potevo sperare di poter continuare a starti accanto senza diventare un peso per te.» sorrise amaramente.

«Adesso non esagerare.»

Sylgja si voltò seria verso di lui ma tenne la testa bassa.

«Mi mancherai.» gli disse non riuscendo più a trattenere le lacrime.

«Anche tu. Ma tornerò, lo prometto. Appena finisce questa guerra ti verrò a trovare.»

«Non morire!»

«Non ci tengo, grazie.» scherzò.

«Sono seria! Promettimi che non morirai!»

«Lo prometto.»

«In elfico!»

«Amin vesta.» disse dopo qualche attimo di esitazione.

Si staccò da lui e lo fissò intensamente negli occhi.

«Hai giurato in elfico, significa che non puoi rimangiarti la parola!»

«Lo so. Ci rivedremo, e la prossima volta ti presento Rorix e Alea.»

«D’accordo.» annuì con gli occhi lucidi.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola ZANMATO. Raizen è stanco e dice di voler passare il trono a qualcun altro e indice un torneo per decidere il prossimo Imperatore di Hellgrind.

  
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