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Autore: Betta7    13/01/2013    6 recensioni
"Una vacanza? Altro che vacanza, sarebbe stato un vero inferno."
"La vacanza con Kurata sarà un suicidio."
I pensieri di due ragazzi in parte destinati, in parte lontani anni luce.
Sarà davvero così?
Una vacanza potrà davvero sistemare le cose distrutte in un anno e mezzo?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10.
MIA.

 
Naozumi stava davanti a lei con lo sguardo di un cane bastonato e abbandonato dal suo padrone. Quella che lui riteneva la persona più importante della sua vita gli stava confessando, un’altra volta, di non amarlo e di preferire, un’altra volta, Akito Hayama. L’odio verso di lui, durante gli anni, aveva avuto i suoi alti e i suoi bassi ma quella volta, indubbiamente, toccò il culmine. Lo detestava. Lo disprezzava perché gli aveva tolto l’unica cosa che aveva sempre desiderato, l’unica cosa per cui aveva lottato nella sua vita, l’unica cosa – lavoro escluso – che lo aveva veramente appassionato dopo una vita vissuta con degli affetti non veri. Naozumi Kamura non aveva mai avuto una vera famiglia e lui, la sua, l’aveva trovata in quella ragazza che gli aveva sempre dimostrato affetto sincero. La stessa ragazza che, adesso, lo stava distruggendo. Ma se proprio doveva distruggerlo, Naozumi desiderava non essere l’unico a portarne le conseguenze.  Se proprio doveva soffrire, sarebbero stati in tre a farlo.
Questo stava lì a dimostrare che, infondo, non aveva mai voluto bene né tantomeno amato Sana; il suo era più ‘amo te perché non ho nessun altro’ , ecco una cosa del genere.  Ma questo tipo d’amore, si sa, è un amore malato. Un amore che non arriverà mai lontano. E, nonostante tutto, anche Kamura lo sapeva. Se avesse veramente fatto ciò che pensava, avrebbe perso Sana davvero per sempre. Ma ormai l’aveva comunque persa quindi, pensò, tanto valeva rovinarle la vita come lei l’aveva rovinata a lui.
Ascoltava le parole di Sana, piene di dolcezza, con un fare raggelante. Avrebbe voluto buttare fuori tutto ciò che aveva dentro in una parola che l’avrebbe ferita sicuramente: odio. La odiava. Lei gli aveva fatto scoprire l’amore, l’affetto, la gioia e, di colpo, adesso glieli stava togliendo.
“Ciao Sana, stammi bene..” si congedò immediatamente dopo che lei ebbe finito di scusarsi. Ma scusarsi di che? Di avergli rovinato la vita, probabilmente.
Avergli fatto da amico, confidente, spalla su cui piangere, non era servito a niente. Non c’era competizione con Hayama, ovviamente.
Ma anche Hayama si sarebbe sbalordito presto sul suo conto…

*

 
Trovarsi, di nuovo, tra le braccia di Akito era davvero la cosa migliore che le era capitato nel giro di un anno. Ma il pensiero di Naozumi da solo, triste e scoraggiato non la abbandonava neppure per un attimo. Hayama, seppur con disappunto, se n’era accorto e continuava a fissarla mentre, in macchina, tornavano a casa.
Finalmente la settimana di vacanza era finita, finalmente Tokyo  li stava nuovamente accogliendo e questo sicuramente avrebbe portato non pochi cambiamenti. Intanto: sarebbero tornati a vivere insieme? No, forse per un periodo sarebbe stato meglio vivere separati. Si, probabilmente sarebbe stata la decisione migliore da prendere.
Si girò a guardarlo, i capelli biondi mossi dal vento gli davano quel non so che di infinitamente sexy anche se, ammettiamolo, Akito sarebbe stato sexy anche con un sacchetto di spazzatura addosso.
“Perché mi fissi?” chiese lui distogliendo lo sguardo dalla strada.
“ Così, sei bello!” rispose lei sorridendo e facendogli una linguaccia.
Akito d’altra parte aveva una sola domanda in mente: “Perché Sana si ostinava a scegliere sempre lui?”. Insomma, Kamura non aveva fatto altro che starle accanto quando lui era sparito, quando l’aveva lasciata, era andato fin lì solo per passare qualche giorno con lei mentre lui avrebbe voluto scappare da quella vacanza, e Kurata riusciva sempre e solo a metterlo da parte. Quasi gli fece pena, ma quest’ultima subito sparì per lasciare spazio ad un’infinità di dubbi. Che il loro amore fosse solamente qualcosa che era rimasta dal passato?! Magari tutto quell’amore si era semplicemente tramutato in affetto.
Ma no, se provi affetto per qualcuno non ci vai a letto, non ami tutto ciò che è, non senti bruciarti le mani quando non l’hai tra le braccia. Insomma, il loro non era affetto. Era ben altro. E tutto quello che poteva fare per dimostrare a Kurata ciò che provava lo sapeva già.
L’autostrada era piena di buche, Sana continuava a cadere, sbattere la testa e farsi male ovunque. Akito, intanto, sorrideva soddisfatto. Era proprio una bambina.
Ma Tokyo era vicina, dopo circa tre ore di macchina finalmente erano arrivati e dopo aver accompagnato tutti gli altri, Akito si era riservato Sana per ultima. Casa sua, dall’esterno, sembrava sempre uguale: la solita facciata da casa delle bambole.
Il silenzio calò velocemente, entrambi non sapevano che fare. La prima a parlare fu Sana, spezzando il gelo all’interno dell’auto.
“ Bè, allora… vado..” aprì lo sportello e mise un piede fuori sperando che anche lui dicesse qualcosa. Ma niente, Akito si limitò ad annuire e a fare uno dei suoi soliti sorrisi sghembi.
“Ciao Sana..” disse. Due parole, nessuna espressione o alcuna emozione. Due parole di congedo che tagliavano più di un coltello al centro del petto. Faceva male, troppo male da non riuscire nemmeno a descrivere.
Avviandosi verso la porta di casa con le chiavi in mano il rumore della macchina di Akito fu l’unica cosa che riuscì a captare; poi chiuse la porta e capì tutto.
La settimana appena trascorsa non aveva cambiato assolutamente nulla, aveva solamente stravolto nuovamente i suoi sentimenti. A che cosa era servito quindi mettersi di nuovo in gioco? A che cosa era servito mandare, per l’ennesima volta, a fanculo Nao? A nulla. Solo a rovinarle la vita, di nuovo, a distanza di un anno.
Si ritrovò a porsi tutte quelle domande e a chiedersi se avesse sbagliato qualcosa, se per caso avesse fatto o detto qualcosa che lo avesse ferito. Ma, ripercorrendo l’intera settimana, nulla l’aveva soddisfatta e nulla le aveva dato una risposta.
Portò la valigia in camera sua, l’aprì sul letto e cominciò a tirare fuori i vestiti. Non aveva pianto, non doveva e non poteva farlo. Troppe lacrime erano state versate in nome di quell’amore ma ora basta, si disse.
Buttò la valigia per terra lasciando il letto libero e si ci stese, da sola. Il pensiero che Hayama l’avesse abbandonata di nuovo la tormentava, non riusciva a concentrarsi su altro. Mentre era impegnata a fissare il soffitto della sua camera da letto il telefono squillò. Dio, era una settimana che non sentiva quel rumore infernale e adesso le sembrava il suono più snervante che avesse mai sentito. Si trascinò a fatica verso il telefono e lo prese.
“ Pronto? “ disse curiosa di sapere chi la chiamava alle sette di sera.
“ Kurata? “. La voce di Akito le pervase le orecchie.
“ Hayama.. dimmi.” La sua invece, di voce, era chiara e limpida. Sapeva già cosa stava per dirle e non si aspettava che anche lui capisse tutto quello che stava passando, un’altra volta.
“ Io penso che… “. Voleva solo dirle che doveva andare a vivere da lui, ci avrebbe messo un secondo, l’emozione tradiva anche lui a volte.
“ Non disturbarti: che vuoi prenderti del tempo, che non vuoi stare con me e che questa settimana è stata un errore. Giusto? Se ho sbagliato qualche lettera dimmelo!” lo interruppe lei, come al solito.
Non avrebbe dovuto farlo, non doveva. Stava rovinando tutto, di nuovo.
“ Questo è quello che tu vuoi?” chiese lui con la voce spezzata.
“ No, questo è quello che vuoi tu. “ tuonò Sana alzando sempre di più il tono arrivando quasi ad urlare.
“ Bene, hai ragione Kurata, è proprio questo che voglio. “. Poi più nulla, la chiamata era terminata.
E non solo la chiamata, anche loro erano terminati, finiti. Per sempre.
Questo era quello che era uscito fuori da una settimana di inferno, come previsto. Loro non potevano stare insieme e se mai c’avessero solamente provato tutto sarebbe terminato in quel modo: con una telefonata e migliaia di lacrime.


*

 
Da quasi due settimane l’unica cosa che Akito Hayama faceva era correre. Correre per non pensare e di conseguenza non star male. Due settimane prima era appena tornato a casa da quella vacanza e l’unica cosa che gli era venuta in mente era di risistemare casa per accogliere di nuovo Kurata. Aveva già pensato di spostare il divano in modo da poterci mettere il telefono che si portava ovunque andasse, poi voleva andare a riprendere il letto matrimoniale dalla cantina dove l’aveva sotterrato dopo averla lasciata, e poi ovviamente doveva sistemare il bagno perché Sana impazziva quando si trattava di pulizia.
Due settimane dopo però casa di Hayama era esattamente per come l’aveva lasciata prima di partire, niente divano spostato, niente letto matrimoniale e niente bagno splendente. Niente di tutto questo era stato cambiato proprio perché la sua vita era rimasta uguale. Le parole di Sana avevano eliminato tutti i buoni propositi che si era creato e avevano trasformato tutto in rabbia. Rabbia perché Kurata sapeva fare solo una cosa: rovinare tutto. Sapeva prendere i suoi sentimenti, buttarli via e poi pretendere di risistemare le cose.
Per quella sera Tsuyoshi aveva organizzato una cena a casa sua, cena a cui ovviamente Sana avrebbe partecipato. Lui, però, non era poi così tanto sicuro di volerci andare. Gli sembrava quasi di essere tornato a quando il suo migliore amico gli aveva proposto la vacanza. Quella cena, come quella vacanza, sarebbe stata un suicidio ma non andarci avrebbe significato non volerla vedere e di certo non era così. Akito desiderava incontrarla, voleva spiegarle, avrebbe voluto sicuramente stare con lei per tutta la vita ma il suo orgoglio- quel maledetto- non gli permetteva di farlo. Aveva sempre odiato quella parte del suo carattere, le innumerevoli volte che lo aveva utilizzato con Kurata non era stato minimamente d’aiuto, anzi aveva solamente distrutto ogni cosa. Quella volta, ancora più delle altre.
Probabilmente la colpa di tutto quello era sua, per non aver parlato quando l’aveva accompagnata a casa, per non aver detto anche una stupida frase che potesse lasciarla contenta e far si che non pensasse male. Ma lui era Akito Hayama e non era tipo da romanticismi, lui preferiva chiamarla e dirle di punto in bianco che la aspettava con le valigie per trasferisci nuovamente a casa sua. Si, lui era tipo da fatti, non da parole.
Quella sera però doveva parlarle, anche se lei non avesse voluto ascoltarlo.


*

 
Neanche il tempo di accendere la tv che si ritrovò un suo film su un canale sconosciuto al mondo, chissà perché li mandavano ancora. Era un film di circa cinque anni prima, ai tempi stava già con Akito e la loro rottura non era nemmeno in considerazione. Tutto andava bene, non c’erano incomprensioni, non c’erano problemi, semplicemente la loro vita aveva preso il verso giusto. Sorrise al pensiero di quei momenti che, sicuramente, non sarebbero tornati.
Fino a quel momento era rimasta al buio nella sua camera e, benchè odiasse il buio, in quel periodo non le dispiaceva affatto. No, non era la tipica espressione di Hayama che stava a significare ‘ Lo adoro ’ , semplicemente non le dava più così tanto fastidio. Un sacco di volte aveva litigato con il bel biondino perché la notte accendeva la luce e lui finiva per svegliarsi. Allora la spegneva e Sana, puntualmente, la riaccendeva. Erano proprio una coppia da cartone animato, della serie ‘ tu dici si, io dico no, tu dici no, io dico si ‘ , ma erano sempre stati in quel modo e ormai, diventati grandi, come avrebbero fatto a cambiare?
Capitava spesso, persino, che di punto in bianco nel cuore della notte Sana lo abbracciasse e si ritrovasse con la faccia immersa nel suo petto. Certo, Akito non disdegnava sicuramente certe attenzioni, anzi, a volte se la rideva tranquillo quando capiva la paura della sua ragazza.
A ripensarci forse Akito non era la sua anima gemella, cosa che aveva sempre creduto dall’età di quattordici anni, quando per la prima volta lo aveva visto con occhi diversi. Non più il teppistello della classe e neppure il ragazzo problematico a causa della sua famiglia, no. Per la prima lo aveva visto da un’altra angolazione e ciò che vedeva le piaceva davvero.
Spesso si chiedeva “ ma perché lo amo? “ e, sebbene cercasse la risposta ad ogni ora del giorno, quella non arrivava mai. Perché non c’era un motivo, lo amava e basta. E tutto quello che Akito poteva fare: combinare casini, sbraitare, ferirla.. non avrebbero cambiato nulla. Tantomeno i suoi sentimenti.
Alzò gli occhi cercando la sveglia, vide l’orario: le 18.47. Doveva sbrigarsi per andare da Tsuyoshi e Aya. Ah si, un’altra serata da sballo, yuppi.
Avrebbe preferito morire soffocata col gas piuttosto che andare lì e vederlo. Dopo la loro telefonata non si erano ne più sentiti, ne più visti e questo rendeva le cose ancora più complicate. Quasi le sembrò di ritornare alla settimana d’inferno, dove ogni uscita, ogni momento era una tortura.
Cominciò a prepararsi, non indossò nulla di così particolare: un paio di jeans, delle ballerine nere e una maglia azzurra. Lasciò i capelli sciolti e si truccò pochissimo, Hayama non avrebbe dovuto pensare che lei si era fatta bella solo per sorprenderlo. Che poi, in realtà, non aveva mai fatto una cosa del genere: Akito la amava anche quando era senza trucco – cosa che capitava molto spesso – e con il pigiama addosso. Non era un tipo che badava molto agli abiti. Mise un girocollo con un ciondolo a forma di farfalla e si limitò a questo, niente orecchini.
Mentre era intenta a mettere l’eyeliner un flashback le invase la mente. La collana che portava, per chissà quale strano gioco del destino, gliel’aveva regalata proprio lui perché un giorno Fuka gliel’aveva mostrata e lei se n’era innamorata. Allora il giorno dopo Akito aveva girato tutte le gioiellerie di Tokyo e quando finalmente l’aveva trovata gliel’aveva lasciata sulla porta di casa, di modo che quando fosse rincasata dal lavoro l’avesse vista.
Ricordò anche il bigliettino che Akito l’aveva scritto: “ Alla mia dolce farfalla..”. Bè, di certo non era nel suo stile ma ogni tanto gli prendeva qualche scatto di improvvisa dolcezza e faceva cose che Sana non avrebbe mai pensato venissero da lui.
Comunque, finito il momento ricordi, aveva preso la sua auto e si stava dirigendo verso casa Sasaki-Sugita. Era strano anche dirlo quasi come dire casa Hayama-Kurata. Sogni, solo sogni.
Erano le 19. 56, era arrivato il momento di entrare e affrontare Akito e tutti i suoi amici pieni di domande. Mettere da parte le recenti espressioni buie e trasformare  tutto in un mega sorriso, pur sapendo di non riuscire a mentire. Paradossale, no? Lei che faceva l’attrice, il che la portava a fingere per il 99% delle sue giornate, non sapeva mentire.
Davanti la porta il desiderio di non suonare il campanello la tentava proprio, continuava da almeno cinque minuti buoni ad allungare l’indice verso quel maledetto pulsante e ad allontanarlo sperando di trovare il coraggio di scappare. Proprio quando lo stava per trovare qualcuno alle sue spalle sbattè il portone con forza, probabilmente più irritato di lei.
Non era Akito, non era Akito, non doveva essere Akito. Pregava Dio e chi per lui di evitare che fosse Hayama, in quel caso non avrebbe più potuto fuggire da quella cena ma, cosa ancora peggiore, si sarebbe ritrovata sola con lui.
Sfortunatamente per lei – e in quanto a fortuna lei non era un granchè – era proprio Akito avvolto nel suo cappotto color sabbia, intonato ai suoi occhi.
Alla sua vista si bloccò, poi abbassò lo sguardo e si avvicinò alla porta anche lui. Grandioso, la serata non poteva cominciare in maniera peggiore.
In silenzio suonò il campanello e ad aprire fu Fuka che li squadrò da testa a piedi buttando un’occhiata malefica ad entrambi.
Una volta entrati, Akito da una parte e lei da un’altra. Gli sguardi si raggelavano e Fuka cercava in ogni modo di farli ragionare, andando prima da uno e poi dall’altro, ma senza successo. Niente, non volevano parlare, chissà per quale motivo poi.
“E’ pronto tesorino!” asserì Aya rivolgendosi a Tsuyoshi con un sorriso che le partiva da un orecchio e finiva all’altro portando in mano una pizza fatta in casa. A Sana piaceva molto la pizza, ma col tempo aveva imparato ad odiarla per tutti i ricordi che le procurava.
 
“Kurata ma come ti sei conciata?”.
Akito si era appena svegliato, di domenica mattina, dopo una serata molto movimentata con Sana. L’aveva costretto a girare per tutta la città in cerca di un pub che le piacesse dove fermarsi a bere qualcosa. Il risultato di questa ricerca, ovviamente, era stato vano ed erano tornati a casa con i piedi distrutti e con la stanchezza fino all’ultima punta dei capelli.
Erano circa le 12.25 quando Akito aveva aperto gli occhi e si era ritrovato la sua ragazza con il grembiule da cuoca, in testa una cuffietta bianca e la faccia completamente sporca di farina. Soffocò una risata, sapeva che si sarebbe arrabbiata.

“ Perché, non ti piaccio?” chiese lei imbronciata. Ma come, si era svegliata presto solo per cucinare per lui e questo era il ringraziamento? Annotazioni: mai più fare qualcosa per Hayama.
“Sembri uscita dalla terza guerra mondiale, dimmi che la cucina di casa mia non è ridotta come te!” disse ridendo Hayama, cosa davvero formidabile.
“Casa nostra. Vorrei ricordarti che abito da qui da ben sette mesi e due settimane.” Rispose prontamente lei per sottolineare il suo completo possesso dell’abitazione.
Da quando viveva con Hayama le cose erano sicuramente migliorate, certo c’erano stati momenti brutti ma erano sempre riusciti a separarli perché da casa tua non puoi mica scappare. E poi il fatto di potersi vedere quando volevano e, specialmente addormentarsi insieme la sera, aveva cambiato radicalmente il loro rapporto.

“Ok, Kurata. Dimmi cosa stai tentando di cucinare, vedo di darti una mano!” aveva detto alzandosi dal letto. Si scompigliò un po’ i capelli ma qualche ciuffo gli cadde ugualmente sul viso e decise di ignorarlo.
“Sto facendo la pizza, so che ti piace tanto. Ma non capisco qui.. Vedi? “ indicò una parte della ricetta e poi continuò: “ Mettere a lievitare l’impasto. Che vuol dire? Il lievito l’ho già messo. “ .
Akito strabuzzò gli occhi: come era possibile che una donna non sapesse cosa significava ‘ lievitare ‘ ? Cominciò a ridere di gusto sotto gli occhi interrogativi di Sana che, davvero, non capiva e aveva passato una decina di minuti a guardare la pasta sul tavolo.
“ Lascia fare a me Kurata, ti prego.” Disse lui continuando a ridere, mise poi l’impasto in una ciotola e la coprì con un canovaccio mettendola sul piano della cucina.
“Ecco cosa significa lievitare Kurata.”. Indicò la ciotola e fece per tornare di là, ma Sana, di nascosto, aveva preso un pugno di farina e, non appena lui si era girato, PUFF.
Akito si ritrovò la faccia completamente ricoperta di farina e rimase per circa dieci secondi immobile per poi cominciare a rincorrere la sua cara fidanzata per tutta la casa con la farina tra le mani. Inutile precisare che la casa era diventata totalmente bianca.

“Guarda che casino hai combinato Hayama, guarda!!” disse indicando il divano marrone del salotto e cercando di divincolarsi dalla presa in cui Akito la stringeva dalle spalle.
“Ah sarei stato io?! E’ sempre colpa mia in questa casa!!” continuò lui sorridendo. Diminuì un po’ la stretta e Sana riuscì a staccarsi ma, prontamente, l’afferrò dal polso e la costrinse a buttarsi sullo stesso divano che poco prima aveva indicato.
“Che c’è Kurata, non parli più adesso?” sorrise lui. Poi si avvicinò e la baciò dolcemente nel collo per poi scendere sul petto, alzandole la maglietta e proseguendo nella pancia perfettamente piatta.
Sana intanto non diceva nulla, si lasciava trasportare dal tocco del bel biondino che si ritrovava addosso.

“Dillo che potrei chiederti qualsiasi cosa in questo momento e mi risponderesti sempre si!” la provocò ridendo sotto i baffi.
“ Mi sposeresti?” chiese di scatto lui lasciando Sana immobile con le mani sulla sua schiena.
Poi, lo accontentò su ciò che voleva sentirsi dire, e rispose semplicemente ‘Si’ prima di tornare a ciò che stavano facendo: amarsi.
 


“Sana, vuoi prendere questo piatto?”. Le parole di Fuka la riportarono alla realtà che non era sicuramente quella di Akito su di lei pieno di farina. La sua realtà presente si limitava ad un Akito lontano di quattro sedie a lei con in mano un piatto di sushi che gli avevano appena passato. Certo, una cosa ben diversa, non c’è che dire.
La situazione era molto imbarazzante, contornata dal silenzio che non aiutava sicuramente e dagli sguardi continui di tutti i loro amici. Hisae e Gomi fissavano entrambi Sana mentre Aya e Tsuyoshi avevano gli occhi bloccati su Hayama che, accorgendosene, aveva dato un calcio da sotto il tavolo al suo amico.
Sana invece era ignara di tutto quello che stava succedendo attorno a lei. Era immersa nei suoi pensieri, nella sua voglia di scappare da quella cena assolutamente assurda che Tsuyoshi gli aveva propinato. Finirono di mangiare e le ragazze se ne andarono in cucina, mentre i ragazzi si trasferirono in veranda. Tutti tranne Sana, che rimase a sedere nel divano del salotto col cellulare in mano sperando che sua madre la chiamasse per una qualsiasi emergenza. Ma il cellulare non squillava, ed erano appena le 21:40, avrebbe dovuto sopportare tutto quello solo per qualche ora e poi  sarebbe tornata a casa.
Sperava solo che quel momento arrivasse il più presto possibile. Ma, evidentemente, il destino si stava accanendo su di lei perché quando aveva alzato lo sguardo dal cellulare si era ritrovata Akito davanti che la fissava insistentemente.
Tremava al solo pensiero di una possibile conversazione con lui. E non era una metafora: la sua mano destra, quella che teneva il cellulare ben piazzato davanti alla sua faccia, era in preda ad un tremore che non le capitava così frequentemente.
Si fece coraggio, la fissava in una maniera così snervante che davvero non avrebbe potuto fare altrimenti.
“Bè?!”. L’unica cosa che riuscì a dire e l’unica che le sembrò adatta ma maledettamente sbagliata. Contraddizione? No, Sana Kurata, semplice.
“Bè che?” rispose stizzito lui.
“Perché mi guardi?” chiese lei.
“Io non ti guardo affatto. “ rispose secco lui.
“Ok.” Sana decise di terminare la discussione lì, non sapendo neppure cosa rispondergli.
Il suo cellulare squillò per un messaggio e, prontamente, Akito si avvicinò.
Mentre lei era intenta a leggerlo lui si faceva miliardi di domande su chi potesse essere.
“Kamura?” azzardò sedendosi sul divano proprio accanto a lei.
Sana era ufficialmente in iperventilazione, averlo così vicino non l’aiutava assolutamente, non dopo tutto ciò che era successo.
“Non credo ti riguardi, Hayama.” Tuonò lei girandosi nuovamente a guardare il cellulare.
“ Mi riguarda invece.” Trovò un coraggio mai avuto nel dire quelle tre parole che gli uscirono dalla bocca in un soffio.
“Perché dovrebbe riguardarti? Non vedo alcun vincolo tra di noi. “ rispose sarcastica Sana girandosi per guardarlo meglio negli occhi. Aveva la capacità di irritarla come nessuno sapeva fare. Lo odiava profondamente, non sapeva davvero come aveva potuto dire di amarlo follemente quando poi lui si comportava così e faceva crollare tutto quello in cui lei credeva.
Il silenziò calò e rimasero a fissarsi per almeno cinque minuti buoni quando, poi, vennero interrotti dall’allegra brigata che proponeva un gioco a dir poco stupido.
Ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere su un pezzo di carta un aggettivo da attaccare sulla fronte di un’altra persona che poi avrebbe dovuto indovinarlo.
Ovviamente la cosa fu organizzata per coppie e, inevitabilmente, Sana e Akito si ritrovarono a giocare insieme.
“Akito, tieni, scrivi tu!” disse Tsuyoshi passandogli carta e penna.
Impiegò almeno due o tre minuti prima di attaccare il post-it sulla fronte di Sana che, non appena si sentì toccare dalle sue mani, ebbe un brivido per tutta la schiena.
Maledizione! Doveva smetterla di fare in quel modo.
Il gioco cominciò e, come previsto, Tsuyoshi e Aya furono la prima coppia ad indovinare. Poi toccò ad Hisae e Gomi, e infine a Fuka e Takaishi.
Sana e Akito sembrava non riuscissero nemmeno a parlare, figuriamoci ad indovinare qualcosa.
“Avanti Sana è facile!” disse Fuka ridendo nel leggere la parola.
“Hayama se hai scritto qualcosa di osceno ti uccido!” si rivolse, finalmente, a lui.
“Oh, stai parlando con me? Allora esisto!” rispose lui fingendosi sorpreso. Che diavolo significava ‘io esisto’ ? Che pretendeva, che gli saltasse addosso? Ma che motivo aveva di comportarsi in quel modo? A volte proprio non lo capiva, era la persona più incomprensibile che lei avesse mai conosciuto. Ma, ai suoi occhi, era sempre stato tutto chiaro quando si trattava di Akito. Stavolta invece no, era diventato fin troppo complicato riuscire a comprendere ciò che le parole di Akito nascondevano.
“Dammi almeno un indizio.” Cercò di ignorare il pensiero che aveva appena formulato nella sua testa per concentrarsi sul gioco, indovinare e andarsene.
“E’ ciò che tu sei..” cercò di aiutarla lui. Ma Sana, come al solito, non ci arrivava. Allora cominciò a dire un sacco di aggettivi che credeva potessero descriverla.
“mmm.. ottusa, simpatica, ritardataria, incomprensibile” – momento, quello era Hayama, non lei – “sbadata, logorroica, gentile.. non lo so Hayama mi arrendo. “ Si staccò il post-it dalla fronte e, nello stesso momento in cui lei aveva letto ciò che Akito aveva scritto, quest’ultimo lo stava pronunciando a bassa voce.
“Mia.”
E, subito dopo si alzò indicandole la porta perché dovevano andarsene, insieme.
 
 
Lo so, come capitolo non è un granchè e giurò che vorrei crocifiggermi per il mio imperdonabile ritardo ma ho i miei buoni motivi per andare così lentamente, ve lo giuro. Ad ogni modo, ecco a voi la continuazione della mia storia che, presto, volgerà al termine. Infatti conto di fare uno, massimo due, capitoli per poi salutarvi e magari rivederci con un’altra storia che ho già in mente. JRingrazio infinitamente tutti coloro che leggono, seguono, mettono tra i preferiti e soprattutto RECENSISCONO la mia storia lasciandomi sempre a bocca aperta. State tranquilli: NON LASCERO’ MAI LA STORIA INCOMPIUTA. Vi prometto che la terminerò e che il finale sarà bello come ve lo aspettate!! Infine, mi piacerebbe dirvi che spero tanto non vi annoiate ad aspettarmi o a leggermi con così tanto ritardo: vi giuro che con i prossimi capitoli saprò ricompensarvi dell’attesa.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE.
Akura.
   
 
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