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Autore: demolitionlover    03/08/2007    8 recensioni
Immaginate di dover stare per un mese in una casa con il vostro nemico del liceo. Immaginate che questo nemico sia Frank Iero. Allora, vi va di leggere sta demenza? Sono xMurderScenex e bho non sapevo che fare, così invece di stare buona, ho scritto sta ff, recensite?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo questo capitolo pronto da un secolo, ma come al solito do l'esempio di essere più pigra di un bradipo.
Come ben saprete il 3 novembre, i Chem saranno in Italia! *O* finalmente! domani vado a compare i biglietti *ma chi cazzo se ne frega* anche se non ne sono ancora molto convinta. Mi scuso anche se in questa fanfiction sono comparsi poche volte gli altri chem, però nel prossimo capitolo ci saranno. lo prometto.
anyway, non ho più niente da dire.
grazie mille alle recensioni <333 scusate se aggiorno sempre in ritardo, avreste il diritto di uccidermi :°D


Capitolo Ottavo

Entrai in bagno e chiusi la porta a chiave.
Doveva essere presto, forse le sei del mattino. Non sapevo esattamente perché mi fossi svegliato a quell’ora. Una volta che apro gli occhi, non mi addormento più. Accesi una piccola radiolina verde sopra il davanzale di una finestra e chiusi gli occhi.
Mi era mancata la musica.
Mi mancava suonare la mia adorata Pansy.
Aprii l’acqua della doccia. Il mio Sidekick suonò.
Guardai il mittente del messaggio appena ricevuto. Una morsa allo stomaco mi confuse per cinque secondi, poi premetti in fretta il tasto “Cancella” e spensi il cellulare, entrando nella doccia senza pensarci.
La musica finì e partì un’altra canzone. Una canzone che avevo sentito per notti intere, quando avevo chiuso ogni rapporto con Virginia.
Mr Brightside dei Killers.
La canzone del ballo. Il ballo che forse mi aveva cambiato più di tutta le persone della mia vita messe insieme.
Goccioline calde d’acqua cadevano veloci sulla mia pelle, facendomi il solletico sulle spalle.
Chiusi gli occhi e rimasi a sentire le note della canzone, isolandomi da tutto.
Avevo bisogno di quei momenti di isolamento. Ogni tanto la mia testa sembrava che scoppiasse da tutto quello che ci frullava all’interno.
Pensavo, parlavo, pensavo, parlavo. Ma la maggior parte parlavo, senza pensare.

Quando mi ero alzata, il posto a fianco al mio era vuoto.
Iero era sparito.
Mi ero alzata dal letto, ancora assonnata e rimbambita. Mi sentivo qualcosa nel petto, mentre camminavo e non trovavo Iero.
Finchè sentii lo scroscio dell’acqua della doccia. Quel peso dentro il mio petto cominciò a farsi sempre più leggero, fino a sparire del tutto.
Non ci potevo credere. Avevo paura che mi avesse lasciata da sola! Scossi la testa, facendomi pena da sola e mi avviai in cucina.
Notai una radio sulla mensola vicino al frigo e l’accesi.
Le note di una canzone iniziarono. Era incredibile sentirla lì, di nuovo. L’ultima volta che l’avevo sentita, ero tra le braccia di Iero e tutto mi sembrava così a colori. ?Per una volta nella mia vita, tutto andava alla perfezione.
Che sciocca che ero stata. La batosta arrivò dopo, quando fece svanire tutti i miei sogni e le mie speranze con una scusa.
Misi su il caffè e mi sedetti sullo sgabello. Non sapevo bene cosa fare. Non sapevo se farmi trovare triste per quella canzone, oppure essere indifferente.
Sapevo che nessuno dei due avrebbe ignorato quelle note, quella voce di Brandon.
Afferrai un libro di cucina e lo sfogliai di malavoglia.
Pensai alla festa che si sarebbe tenuta il martedì. Cosa avrei potuto organizzare? Dovevo chiamare tantissima gente e cercare di scegliere la musica giusta.
Insomma, un casino.
Ero ferma davanti alla ricetta di un dolce al cioccolato. Si chiamava Sacher. Mia nonna me la preparava sempre. Era una delle cose più buone del mondo, uno dei pochi dolci che riuscissi a sopportare.
Ero talmente concentrata sui dolci, che non sentii la porta del bagno aprirsi.
Iero uscì vestito con un paio di jeans semplicissimi e una maglia a maniche corte rossa. Mi sorrise, i capelli neri ancora bagnati e arruffati.
Dio, se era carino.
Si sedette sullo sgabello di fronte a me e appoggiò la testa su una mano.
“Che ci fai sveglia a quest’ora?”
“Tu cosa ci fai sveglio a quest’ora?” chiesi senza guardarlo, sfogliando il libro.
“Non avevo sonno”
“Anche io”
Le note della canzone continuavano a suonare. Si divertivano a stuzzicare le cicatrici che avevamo.

Because I want it all
?It started out with a kiss
?How did it end up like this
?It was only a kiss, it was only a kiss



Quando la canzone arrivò a quel punto, alzai lo sguardo automaticamente.
Non mi aspettavo che anche lui lo facesse.
Invece mi trovai a fissarlo in quegli occhi. Dio, se erano grandi. Mi guardava come se avesse voluto dire qualcosa, qualcosa per giustificarsi di quella strofa.
“Stavi sentendo anche tu questa canzone?” chiese quasi in un sussurro.
“Già, a quanto pare..” dissi cercando di mantenere un tono normale.
Stava per dire qualcosa, ma la caffettiera cominciò a brontolare, avvisandomi che il caffè fosse pronto.
Presi due tazze dalla credenze e le misi sul bancone.
Mi girai e afferrai la caffettiera. Frank mi guardava, sempre con quella espressione di qualcuno che vuole dire qualcosa, ma non sa come dirla.
“Te la ricordi quella canzone?” disse ad un tratto. Aveva sparato la domanda più stupida che potesse fare. Mi sedetti e cercai di non incontrare il suo sguardo, quegli occhi potevano essere davvero potenti.
“E’ stato tanto tempo fa, Frank” risposi cercando di chiudere il discorso.
Lui annuì, forse un po’ deluso dalla mia risposta, e bevve piano il caffè sfogliando il giornale di ieri.
Calò il solito muro di silenzio fra di noi. Gli diedi un’occhiata veloce, giusto per vedere cosa stesse facendo. I capelli si stavano arricciando leggermente sulle punte, rendendolo ancora più dolce. Leggeva lentamente, come se volesse imprimersi ogni parola nella mente.
Anche se leggeva a mente, solo seguendo lo sguardo riuscivo a capire come stesse leggendo. Era una cosa che avevo imparato al corso di giornalismo, a volte il linguaggio degli occhi poteva servire.
“Non ti prenderai qualcosa con i capelli bagnati?”
“Bunny, sei la mia mammina ora?” disse facendo un ghigno, più che un sorriso. Io gli risposi con una linguaccia e mi alzai a posare la tazza nel lavello, come fece Frank dopo di me.
Mentre lavavo la mia tazza e lui la sua, mi voltai e gli dissi una cosa che, subito dopo, mi pentii di avergliela detta.
“E’ stupido che tu mi chieda se mi ricordi quella canzone. Dopotutto era l’unica cosa che mi era rimasta di te..”
“Era?”
“Frank, sei qua ora. Non sei più una stupida canzone. Sei..” Stavo oltrepassando il limite. Era come se gli avessi offerto la chiave per aprire il mio cervello su un vassoio d’argento. Mi guardò attendendo la mia risposta, una misera risposta.
“..sei reale”
“ah”
L’unica cosa che aveva saputo dire era un banalissimo “ah”. Mi aspettavo che dicesse qualcosa di più gentile. Scacciai quel pensiero, lui era Frank Iero. Non Jack di Titanic. Cosa mi aspettavo? Che mi prendesse la mano e mi sussurrasse un mi dispiace, perdonami per tutto quello che avevo detto?
Arrossii senza un motivo, sperando che non si notasse. Dopotutto la mia carnagione non era chiarissima.
“Perché arrossisci?”
“Non sto arrossendo!” risposi un po’ stizzita.
“Sì, che lo stai facendo. Bunny, hai le guance rosse!”
“Ah, piantala!” dissi andando in camera. Sentii la sua risata calda dalla cucina. Idiota.

*


“Devi girare di qui, Iero!”
“Dove?”
“Qui, Cristo! Sei peggio di una talpa polacca!” disse sbuffando e tornando a guardare l’elenco degli animali che conteneva lo zoo.
“Una talpa polacca? Perché, esistono delle particolari speci di talpe?” chiesi ridacchiando e girando a destra.
“Ovvio, la tua è la peggiore. Comunque, tu che animale scegli?”
“Non saprei, io amo i cani”
Virgi si voltò a guardarmi con espressione annoiata e sbuffò. Adoravo quando sbuffava, era una delle cose che mi divertiva di più, vederla sbuffare.
“Iero, sei idiota o che? I cani non sono animali da zoo, se vuoi vedere i cani ti porto in un canile, va bene?”
“Sì, grazie mammina”
“Prego, amore della mamma” ribattè facendo la finta dolce. Scoppiai a ridere e parcheggiai nel grande spazio davanti al cancello dello zoo.
“Dai, scendiamo. Aspe, passami la giacca”
“Che ti serve?!”
“Non si sa mai!”
“Sei un pessimista nato, figurati se pioverà!”
“Beh, meglio prevenire, no?”
“Esagerato” disse aprendo la portiera e ridendo.
Una volta scesi dalla macchina, la guardai discutere con il custode dello zoo, che non ci voleva fare entrare. Indossava una salopette di jeans sopra una semplice maglietta bianca a maniche corte. I capelli svolazzavano al vento, potevo sentire il suo profumo anche se era a tre metri distante da me.
Si voltò e mi sorrise alzando il pollice in senso di vittoria.
Il custode ci aprì il cancello e entrammo un po’ intimoriti in quell’ambiente. Non ero mai stato allo Zoo di New York.
“Siete voi gli Iero?”
Mi voltai e vidi un ragazzo biondo, i capelli spettinati e due occhi castano chiaro, che si posarono subito su Virginia.
“Gli Iero? Qua di Iero ce ne è uno solo!” ribatté lei sorridendo al biondo.
“Scusatemi, avevo letto sul libro delle prenotazioni così” si giustificò il ragazzo sorridendo sempre a Virginia. Sentii il palmo della mano formicolarmi, come se.. avessi voluto dargli un pugno.
“Dunque, io sono Alex, Gerard mi ha detto di farvi vedere come si lavora in questo zoo, avete già scelto gli animali?”
Virginia mi guardò disperata. Mi ricordavo bene le sue fisse. Una di quelle era l’organizzazione; era totalmente fissata sull’essere organizzati.
“Beh, io ho deciso, lui no” rispose facendo la finta scocciata.
Io la guardai offeso. Mi aveva appena fatto fare una figura di merda con quel bamboccio.
“Io ho deciso. Faccio quello che fa lei” risposi spiazzandola. Lei mi sussurrò un “copione” piano e poi tornò a sorridere in modo irresistibile al ragazzo, che se la stava mangiando con gli occhi.
“E quindi?”
“Roba marina. Sai, delfini, foche, balene, pinguini..”
Il ragazzo annuì e sorrise. Perché diavolo doveva sorridere ogni tre secondi? Mica respirava sorridendo?
“Bene, allora seguitemi”
“Certo!” disse euforica Virgi, mettendosi vicino al bambolotto. Non sapevo cosa mi stesse accadendo dentro di me, sentivo qualcosa mangiarmi tutto l’intestino, il formicolio alla mano non passava più e sentivo bisogno di nicotina e caffeina. Un tuono ruppe il silenzio che c’era nella mia mente. Anche io sono piuttosto irritato Dio, anche io.

*


Scoppiai a ridere per la milionesima volta. Quel ragazzo, Alex, era decisamente simpatico, oltre ad essere carino.
“Perché il tuo ragazzo se ne sta là da solo?”
“Non è il mio ragazzo!”
“Beh, dal modo in cui ti guarda, sembra” rispose alzando le spalle. Io mi voltai verso Frank. Era davanti alla piscina dei delfini e dava loro il pesce. Non sorrideva, anzi sembrava letteralmente infuriato.
Cercava di pulire il pesce che avrebbe dato dopo alle foche piccole, però non ci riusciva. Sussurrò un “ahi” e poi si guardò il dito con espressione sofferente.
Erano ormai le quattro e lui non aveva fatto nemmeno pranzo, era andato a fumarsi una sigaretta fuori dal bar, lasciandomi sola con Alex.
Non che mi fosse dispiaciuto, però la presenza di Frank mi tranquillizzava. Non capivo cosa potesse avere, così mi alzai e lo raggiunsi sul bordo della vasca.
Lui alzò lo sguardo e mi ignorò totalmente. Mi sedetti a gambe incrociate di fronte, proprio come lui. “Che hai?”
“Ho una spina nel dito” disse senza guardandomi, torturando il pollice della mano in cui c’era la spina.
“No, Frank, cos’hai in generale?”
“Niente, non sono affari tuoi” rispose scorbuticamente, alzandosi e andando verso il vialetto che portava a tutti le zone dello zoo. Io lo rincorsi e lo strattonai.
“Non sono affari miei?”
“Sì, hai capito benissimo” rispose voltandosi, ma io lo feci girare con un altro strattone.
“Sono affari miei, dannazione! Perché mi hai ignorato tutto il giorno?”
Frank spalancò gli occhi e mi scoppiò a ridere in faccia come se fossi idiota.
“Io ti avrei ignorato? E sentiamo, tu cosa avresti fatto?” chiese con le braccia incrociate sul petto.
“Io..sono stata con Alex, ma cosa centra?”
“Ah, adesso non centra niente eh? Allora dimmi, ti senti in colpa per me perché non ci sono quando ti stufi di flirtare con il biondone? Oh, quanto sei dolce Virginia, tanto dolce!” disse in modo sprezzante.
Io rimasi a bocca aperta. Non sapevo cosa dire, Frank si voltò e fece per andarsene. Una goccia mi bagnò la punta del naso. Poi arrivarono miliardi di gocce, ed eccomi dentro una tempesta.
“Virgi! Vieni dentro!”
Mi voltai a guardare Alex, che era corso al riparo sotto una finta grotta. Poi guardai Frank, dall’altra parte sotto una palma finta, con il giubbotto in testa.
Corsi verso di Frank.
“Che c’è?”
“Frank, avevi ragione sul giubbotto, ma non su Alex. Posso stare lì?”
“Perché dovrei?”
“Frank, dai. Sono bagnata fradicia, ho freddo e puzzo”
Mi diede un’occhiata veloce e poi increspò un angolo della bocca. Sorrisi e mi misi vicino a lui. Non mi guardava nemmeno, si limitava a tenersi il giubbotto sopra la testa.
“Mi sto bagnando lo stesso”
Lui sbuffò e sorrise “Sei difficile eh”
Ricambiai il sorriso e mi misi vicino a lui, in modo da non bagnarmi tanto la testa. Lui si avvicinò e mi annusò.
“Non puzzi..”
“Ho l'odore di un cane bagnato, non dire stronzate!” risposi ridendo.
“Io lo trovo buonissimo, ma pensala come vuoi”
Arrossii per il semi-complimento e guardai la cascata di acqua che scendeva dal cielo. Dannazione al mio sangue, al mio cuore, alle mie guance e dannazione a lui, che stava sorridendo beffandosi dei miei imbarazzi.
“Bunny, ti ho fatto solo fatto un complimento, non c’è bisogno di reagire così! Fai così con tutti?”
“Dipende..”
“E’ una tattica per far sciogliere di tenerezza gli uomini?” disse sorridendo e avvicinandosi al mio viso.
“Probabile, ma non sicuramente te, Iero” dissi sorridendo. Stavamo perdendo qualcosa di veramente importante. L’autocontrollo. Sorrise in modo troppo furbo.
“E come mai?” Ormai eravamo passati ai sussurri.
“Sei un pinguino, non ti puoi sciogliere”
“E’ qua che ti sbagli Bunny” Non ebbi tempo per rispondere. Il suo labbro inferiore sfiorò il mio superiore. Mi guardò negli occhi, accarezzando una ciocca bagnata dei miei capelli. Mi batteva forte il cuore, le sorprese mi facevano quell’effetto.
Soprattutto le sorprese di quel tipo.
Poi accadde una cosa strana, si scostò da me e scosse la testa sorridendo.
“Non possiamo, dai. Tu sei Bunny..” disse facendo un ghigno che cominciavo ad odiare.
“E tu sei Iero..” dissi cercando di avere un tono convincente.
Annuì e poi si voltò dall’altra parte. Cercai di nascondere quell’espressione delusa che mi si stava dipingendo sul volto.
Non riuscivo a capire perché mi avesse detto quella frase.
Mi odiai per essere stata al suo gioco, lui era Iero. Poteva anche essere più dolce o più bello, ma quella stronzaggine che aveva dentro rimaneva comunque.
Non dicevamo una parola.
Per l’ennesima volta, Iero mi aveva preso in giro.
“Coglione” sussurrai andandomene sotto la pioggia. Presi una direzione qualunque, non m’importava dove stessi andando.
Sentii i passi di qualcuno che mi rincorreva. Ma io continuai a correre e raggiunsi il bar, dove Alex era sulla porta.
Andai da lui e gli presi il viso tra le mani. Non gli diedi nemmeno il tempo per parlare, lo baciai e basta.
Sapevo di star facendo uno sbaglio, dopotutto non mi piaceva Alex. Però sapevo che dietro di me ci fosse Iero. Sapevo che stesse guardando. Volevo che se ne pentisse, che la smettesse di prendersi gioco di me.

Non potevo crederci.
L’avevo rincorsa fino al bar, sapevo che se la fosse presa. Come al solito avevo detto la frase sbagliata.
Però non pensavo che andasse sulla bocca di un altro. Su quel biondino.
Si staccò da lui e si voltò verso di me.
“Ci vediamo a casa. Vieni, Alex” rispose prendendo per mano il ragazzo e sparendo dentro il bar.
Rimasi così. Senza parole, con la pioggia che mi bagnava dappertutto e un odio profondo per me stesso.
Non avrei dovuto dire quelle cose. Mi sedetti sul muretto e sospirai.
Presi il cellulare dalla tasca dei jeans e feci il numero di Gerard.
“Pronto?”
“Ho cercato di baciarla, ma ho rovinato tutto. Gerard, non mi voglio sposare. Penso che sia più di una vecchia amica” dissi tutto d’un fiato.
Non sentii nessuna risposta da parte di Gerard. Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che mi ascoltasse veramente. Gli altri ragazzi erano ancora delusi da me per l’altra sera, non avevo nessun’altro a parte Gerard.
“Vieni allo Starbucks sulla settima”
“Ok, arrivo” chiusi il cellulare e scossi i capelli bagnati.
Mi alzai e andai verso il parcheggio. Quando arrivai alla mia macchina, aprii la porta e il mio sguardo cadde sull’anulare della mano destra.
Quell’anello. Per quel dannato anello. Lo sfilai e lo guardai attentamente. Quelle lettere. Le aveva fatte incidere lei, l’aveva scelto lei, io non facevo parte di quella promessa. Io non volevo sposarmi.
Lasciai cadere l’anello, che rotolò per diversi secondi e finì nella fessura di un tombino.
Non mi sentii affatto meglio, perché era la promessa che simboleggiava quell’anello che mi faceva sentire il cuore come un macigno.
  
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