Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Nezu    15/01/2013    2 recensioni
[Gin/Shiho, Jigen/Fujiko] Gin e Vodka hanno una missione: eliminare il ricco signor Lenher e la sua figliola. Lupin ha puntato gli occhi sul tesoro di quella famiglia e non ha intenzione di farselo soffiare. Jigen è inevitabilmente tirato dentro allo scontro, mentre Shiho Miyano è inquieta per la presenza di Gin e Crazy Mash, dopo anni di silenzio, torna a tormentare il suo vecchio collega.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

4 – Face the truth

Non nevicava più. Continuò a fissare il vetro con insistenza, ammirando quando il suo fiato lasciava nuvolette appannate su quella fredda superficie. Non riusciva ad essere pienamente soddisfatto: lui era così vicino, eppure non abbastanza. Gli era sfuggito ancora, come quella volta, nove anni prima, quando era riuscito a regalargli solo buchi di pallottole. Non erano sufficienti, per un regalo d’addio.

Ma, nonostante avesse fallito la sua missione, non riusciva a trattenere la risata che cominciava a risalirgli nel petto, per esplodere alta, cattiva, terribilmente distorta. Lui era lì ed era fuggito come un cucciolo spaventato. “Ahi, ahi, Jigen… è il tempo che ti ha rammollito o il tuo nuovo amichetto? O è perché lei non c’è più?”

Se la ricordava bene, dopo così tanti anni, ma non era una cosa strana: donne di quel genere sono assai rare. La miglior killer in circolazione, corteggiata da tutte le organizzazioni malavitose del mondo; si era lasciata assoldare da un uomo prestigioso, che pagava in contanti, ma si era sempre rifiutata  di lavorare in gruppo fino a quando non aveva conosciuto Jigen.

Oh, se la piccola Ariadne avesse capito subito che seguire quell’uomo col cappello era pericoloso… specie a causa degli altri componenti del gruppo. Scoppiò a ridere e il vetro davanti a lui s’appannò così tanto da celargli alla vista la città addormentata.

Erano stati un bel gruppetto in fin dei conti, no? Lui, Jigen, Ariadne e Gin. Il loro datore di lavoro non si era mai lamentato del loro operato, erano professionisti dopotutto; un vero peccato, proprio, che tutto quell’oro finisse nelle mani di un lardoso miliardario e che quel misero 30% che il vecchio intendeva rifilare loro andasse diviso per quattro – sei, contando quelle due macchiette che dovevano aiutarli. Un vero peccato, specie quando c’era qualcuno che sul mercato offriva molto di più per i suoi servigi.

Davvero, se si fosse lasciato sfuggire un’occasione come quella se ne sarebbe pentito… rimpianti per tutta la vita, no, non avrebbe potuto sopportarlo. Il primo era stato Jigen. Davvero, doveva fidarsi ciecamente di lui se gli dava le spalle senza tanti problemi, quando sapeva di che pasta era fatto il suo collega.

Una scarica era bastata per lui e per quel paio d’idioti mandati dal capo; ancora si chiedeva come fosse riuscito a sopravvivere, con tutti quei buchi nella schiena: fortuna, probabilmente, solo una sfacciatissima fortuna.

Poi aveva cercato Gin, ma invano. Quella volpe doveva aver annusato il pericolo nell’aria o qualche offerta più allettante, ma non c’erano più tracce di lui. Scomparso, come una nuvola di fumo. Era andato dal capo, allora, pronto a regolare i conti e a prendersi un po’ di extra dalla sua cassaforte, quando Ariadne gli si era parata davanti.

Lei gli aveva dato qualche problema, effettivamente, ma alla fine il proiettile decisivo era arrivato anche per lei. Tutto il resto era filato liscio come l’olio e, davvero, Mash aveva considerato la faccenda chiusa, almeno fino a che non era venuto a sapere di Jigen. Il caso aveva voluto che anche Gin sbucasse fuori nel momento più opportuno.

Ridacchiò: tutto sembrava andare per il verso giusto. Il panico sul volto del suo caro vecchio amico era stato qualcosa di impagabile; non vedeva l’ora di trovarselo di fronte, di vederlo scappare come un coniglio. L’avrebbe inseguito, sì, l’avrebbe inseguito con sommo piacere. Chissà se anche Gin si sarebbe unito a loro… forse era tempo di organizzare una rimpatriata in grande stile. In memoria dei vecchi tempi, ovviamente.

*

< Bé, non è stato molto carino da parte tua lasciarci in quel modo, sai?>

In un’altra situazione Jigen avrebbe volentieri mandato al diavolo quell’idiota del suo collega, ma date le circostanze sentiva di meritarsi un poco di biasimo. Non riusciva a darsi pace. Cosa gli fosse preso, in quel momento, sdraiato tra la neve del parcheggio, non lo sapeva proprio, sapeva solo che più ripensava a quanto era successo e più se ne vergognava.

In realtà neanche Lupin sembrava troppo intenzionato a fargliela pesare: vagava pensoso per la stanza, mentre ripeteva ad alta voce tutte le informazioni che aveva accumulato fino a quel momento e come pensava di articolare il suo geniale piano. Dal divanetto lì vicino Erika Lenher lo fissava attenta.

Sembrava aver recuperato un po’ di lucidità dopo quanto era successo poche notti prima e per fortuna, perché se l’Organizzazione avesse provato ad attaccare di nuovo bisognava essere tutti pronti e reattivi. Avevano richiamato anche Goemon per l’evenienza e ora il samurai stava seduto accanto alla ragazza, spada in grembo e occhi chiusi, intento a meditare.

Ad un certo punto il ladro più famoso del mondo interruppe il suo andirivieni e guardò Jigen come se lo vedesse per la prima volta dopo secoli. < Dov’è Fujiko?>

L’uomo sgranò gli occhi da sotto il cappello.

< Credevo fosse con voi quando Gin ha attaccato.>

< Lo era, ma poi si è precipitata fuori non appena sono cominciati gli spari. Credevo fosse venuta da te.>

Calò un silenzio di tomba e Jigen non poté fare a meno di pensare che quello era l’inizio di un altro, terribile, casino.

*

C’erano delle regole che si era data, dopo essere stata costretta a lasciare Shinichi e il dottor Agasa. Regole che aveva seguito con cura maniacale, perché, lo sapeva, se qualcuno, chiunque, l’avesse riconosciuta, per lei sarebbe stata la fine. Troppe volte aveva sfidato la sorte, troppe volte si era salvata per il rotto della cuffia: non doveva accadere più.

Così non usciva mai prima d’indossare la sua maschera; non quella che aveva dovuto portare per tutti gli anni in cui era stata costretta a collaborare con l’Organizzazione, ma un travestimento fisico: occhiali spessi, parrucca, lenti a contatto, abiti completamente diversi da quelli che indossava usualmente.

Da quando aveva saputo che Gin era in circolazione, la sua attenzione aveva rasentato la paranoia. Specie in quei momenti, in cui era costretta a camminare per strade particolarmente affollate, doveva costringersi a non voltare continuamente la testa per controllare che non ci fosse nessuno di sospetto; era un logorio nervoso massacrante.

Fece un respiro profondo, cercando di mantenere la calma. Accanto a lei una fiumana di persone si lasciava trascinare dalle solite faccende di poco conto; avrebbe tanto voluto mischiarsi a loro, riuscire a comportarsi con naturalezza come tutta quella gente così banale, così normale.

Ci provò. Si mise davanti ad una vetrina, come moltissime altre donne, e osservò la merce esposta: una serie infinita di scarpe, nessuna delle quali le piaceva veramente. Se Akemi l’avesse vista in quel momento, con ogni probabilità sarebbe scoppiata a ridere: la sua sorellina, quella che aveva consacrato la sua vita allo studio e alla scienza, cercava quella frivolezza che le aveva sempre dato il voltastomaco. Davvero ridicolo.

Ma era davvero così innaturale? Shiho lanciò un’occhiata attorno a sé, per vedere se aveva attirato l’attenzione di qualcuno: nessuno la stava osservando. Si sentì un po’ rincuorata, forse non era così fuori luogo come le sembrava.

Tornò a fissare la vetrina, ma qualcosa nel riflesso le fece gelare il sangue: cappotto nero, tratti affilati, occhi di ghiaccio. Gin.

Rimase immobile, sguardo fisso sulla vetrina, ma dentro di lei si stava scatenando un putiferio: l’aveva vista? L’aveva riconosciuta? Forse se fosse rimasta lì dov’era, continuando a guardare il negozio, non l’avrebbe neanche notata. In fin dei conti aveva il suo travestimento, no? Come poteva riconoscerla?

Lo osservò nel riflesso mentre avanzava piano, lungo la strada dietro di lei; il suo passo, in genere così deciso, sembrava affaticato, più lento del solito. Che gli fosse successo qualcosa? Forse era ferito? Le venne il sospetto che ci fosse la storia della ragazzina Lenher dietro tutto questo, ma non ne aveva più sentito parlare dopo quella terribile esplosione. E difficilmente Gin si sarebbe fatto coinvolgere in un attacco del genere.

Era così presa nelle sue riflessioni che ci mise qualche secondo per rendersi conto che l’uomo si era fermato proprio dietro di lei e che i suoi occhi erano puntati su quelli di lei, nel riflesso. Vacillò per un istante, deglutì, poi tentò disperatamente di fissare quel dannato paio di scarpe attraverso la vetrina.

Ci fu un attimo in cui si sentì morire. Poi Gin, come se niente fosse, si allontanò così come si era avvicinato, lasciando Shiho in balia del suo stremato autocontrollo e dei brividi di panico.

Era ancora parecchio scossa quando tornò a casa; si chiuse la porta dietro le spalle con un po’ troppa forza e si disfò in fretta e furia di quella terribile parrucca che le dava un gran fastidio. Mise sul fornello il pentolino per il tè e si gettò sul divano, il viso affondato tra i cuscini.

Si sentiva veramente stanca, come se quell’incontro inaspettato l’avesse prosciugata di tutte le sue poche energie; mentre lasciava che il calore e il buio la cullassero e le permettessero un po’ di meritato riposo, un pensiero le attraversò la mente: doveva avvisare Jigen di quanto era successo. In fin dei conti lui le aveva promesso di aiutarla, no? Aveva paura di non essere riuscita a mascherare così bene la sua identità. Forse all’uomo qualche dubbio era venuto, mentre la fissava a quel modo…

Si alzò e frugò nella borsa per recuperare il cellulare. Stava per chiamare Jigen, ma qualcosa la trattenne: era sempre restia a parlare con lui, specie quando non poteva guardarlo in faccia… scosse la testa e gli inviò un sms, chiedendogli dove e quando potevano incontrarsi per parlare con comodo.

L’aveva appena spedito quando qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare. Gettò un’occhiata all’orologio: non aspettava visite a quell’ora. Deglutì nervosamente: forse stava davvero diventando paranoica.

Piano, ma molto piano, frugò ancora nella borsa ed estrasse la pistola: erano secoli che non la utilizzava, ma si sentiva più tranquilla ad averla sempre affianco. Tenendola ben stretta si avvicinò alla porta d’ingresso e cercò di sbirciare dallo spioncino, ma il corridoio era buio e non riuscì a vedere nessuno.

< Chi è?>

Avrebbe preferito che la sua voce suonasse un po’ più ferma, ma la pistola nella sua mano era più pesante che mai e lei sentiva che non era fisicamente in grado di resistere ad alcun assalto. Ci fu un silenzio inquietante dall’altro lato della porta e per lunghi, interminabili secondi la ragazza sentì il cuore martellarle nel petto.

Poi, quasi provenisse dall’oltretomba, arrivò strozzata la voce della sua anziana vicina.

< Per favore, signorina, potrebbe aprire?>

Questo la prese completamente alla sprovvista; abbassò immediatamente l’arma, senza però lasciarla andare, e aprì con cautela la porta. Ciò che vide di fronte a lei le mozzò il fiato in gola: nel corridoio c’era Gin, pistola puntata alla tempia della povera vicina di pianerottolo.

*

Quando Fujiko riprese conoscenza pensò di essere diventata improvvisamente cieca. Solo dopo qualche secondo si rese conto di molti elementi di primaria importanza: la benda legata attorno agli occhi, la testa che le pulsava dolorosamente, la scomoda sedia su cui era costretta a stare, le braccia legate allo schienale.

Cercò di sforzare la propria memoria e ricordare cosa diavolo le era accaduto: le era tutto chiaro fino al momento in cui lei e Lupin non avevano sentito gli spari nel parcheggio. Ricordava di aver intravisto una figura là fuori, di averla inseguita per tramortirla e ci sarebbe anche riuscita a mettere fuori gioco quell’uomo tozzo e dall’aria un po’ stupida, se qualcuno non fosse strisciato alle sue spalle e non l’avesse colpita con una violenza inaudita.

Il mal di testa lo doveva al suo aggressore, probabilmente. Senza perder tempo cominciò a saggiare le corde che le legavano le braccia, sperando di riuscire a trovare un punto di cedimento, ma pareva fosse il lavoro di un vero professionista. Stava quasi per lasciar perdere e preparare un nuovo piano, quando delle voci attirarono la sua attenzione.

Vodka era più perplesso ogni giorno che passava: prima Vermouth arrivava di punto in bianco, poi Gin se ne andava senza dare spiegazioni, Vermouth lo costringeva a seguirlo e alla fine di tutto si ritrovavano con una donna – una gran bella donna – legata ad una sedia e senza Gin, che aveva fatto perdere completamente le proprie tracce.

< Non fare quella faccia stupida, Vodka.>

L’uomo osservò un po’ perplesso la donna mentre si stiracchiava come un gatto, elegante in ogni suo movimento. Vermouth si avvicinò con nonchalance alla prigioniera, un sorrisetto dipinto sulle labbra.

< Fujiko Mine… – le soffiò in un orecchio – tu sarai la chiave che ci permetterà di giungere a Lupin.>

*

Fosse stato per lui, non si sarebbe certo scomodato per andare a cercare una tale piantagrane, anzi, l’avrebbe lasciata ben volentieri nelle mani del primo malintenzionato che passava; ma, ovviamente, la cosa non dipendeva da lui e, non appena si era reso conto che la sua amata cherì non si trovava da nessuna parte, Lupin aveva letteralmente dato di matto.

Dal canto suo, Jigen si sentiva in debito verso il suo amico, specie dopo quanto era accaduto quella sera, e non era riuscito a tirarsi indietro quando l’uomo gli aveva chiesto di ritrovarla mentre lui cercava di scoprire il nascondiglio di quel meraviglioso tesoro. Jigen gli avrebbe dato volentieri il cambio, ma in quel momento Lupin era il più adatto per trattare con Erika.

La ragazzina non sembrava nutrire una gran simpatia nei suoi confronti, mentre si trovava molto più a suo agio con il ladro e questo aveva tolto ogni possibilità di scelta. Quando lui e Goemon erano usciti dal nuovo nascondiglio per cominciare le ricerche, Lupin e Erika stavano ad un tavolo a smontare pezzo per pezzo quel vecchio orologio da taschino che pareva contenesse tutte le informazioni necessarie per trovare il tesoro.

< Che facciamo ora?>

Daisuke lanciò un’occhiata al samurai che aspettava stoicamente al suo fianco, la Zantetsu-ken stretta in pugno e un’espressione indecifrabile sul volto. L’uomo si sistemò meglio il cappello e si accese una sigaretta: l’aria si era fatta più fredda in quei giorni e il cappotto che indossava non era sufficiente a ripararlo dal gelo.

Controllò un’ultima volta il cellulare: Shiho l’aveva contattato una mezz’ora prima per fissare un incontro, ma, nonostante lui le avesse risposto subito, non gli aveva più scritto. “Avrà altro da fare che mandare messaggi a te” si disse mentre riponeva il telefono nel cappotto.

< Adesso, mio caro Goemon, setacciamo tutta la città, metro per metro.>

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Nezu