Ciao
a tutti! Ero già estasiato dal successo che ha raggiunto questa fic, ma i
commenti ricevuti con lo scorso capitolo sono stati tutti a dir poco grandiosi:
non solo l’ucronia sul mio personaggio preferito è piaciuta in sé, anche se con
qualche dose di tragicità in più rispetto alle altre, ma il finale vi ha dir
poco rapito! XD
A
qualcuno è piaciuto così tanto da suggerirmi di renderlo il finale dell’intera
fic… ^__°
Però
non sarebbe mica bene, non possiamo lasciare che il povero Ivan si esili dentro
la macchina: la sua sofferenza è finalmente venuta a galla, ed è un appello che
non può restare inascoltato! E poi… come potrei trattenere America dal
lanciarsi alla riscossa, me lo dite voi? XD
Già che ci sono, vi anticipo che questo NON È L’ULTIMO CAPITOLO, ce ne sarà
ancora un altro, per tranquillizzare tutti voi che mi avete fatto presente
quanto siate tristi che siamo ormai alla conclusione… Andiamo dunque a vederla!
Buona
lettura, e grazie mille del sostegno! ^__^
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!
Non
avrebbe permesso a Russia di rendere la sua geniale, spassosa, e non
dimentichiamoci educativa macchina in un perfido congegno irretisci-e-rapisci
nazioni.
Certo
sarebbe stato difficile per chiunque prevedere una cosa del genere, ma in
generale lui era un tipo che le cose le notava sempre dopo: l’indifferenza troppo
ostentata durante le ucronie degli altri, e l’ostilità aperta nei confronti
della sua invenzione che a momenti superavano persino il livello di Inghilterra
avrebbero dovuto risultargli un po’ sospette. Mentre gli altri chiedevano,
ammiravano e ci ridevano su, Russia per la maggior parte del tempo era rimasto
sulle sue, isolato, a riflettere vicino la finestra; evidentemente, non era
rimasto affatto immune alle possibilità della macchina come aveva voluto far
credere.
Anzi,
l’esatto contrario, pensò Alfred, dando un altro giro al cacciavite: anche se probabilmente
non aveva premeditato quella “fuga”, Russia aveva già capito cosa gli sarebbe
stato mostrato in risposta all’unica domanda che gli interessasse davvero, ed
era rimasto indeciso fino all’ultimo se averne la conferma o meno, perché sapeva.
Sapeva. Alla fine, il confronto tra quel Russia ucronico, quel sé stesso che
avrebbe potuto diventare e ciò che invece era si era rivelato un a dir poco un
baratro, e lui, con angoscia, si era convinto di star guardando dal basso
anziché dall’alto.
Non
aveva creato la Macchina dell’Ucronia perché il suo rivale si facesse ancora
più complessi di quanti non ne avesse già al punto da indurlo a preferire
l’illusione alla realtà, sbottò nella sua mente, facendosi coraggio, mentre
chiudeva il coperchio alla batteria.
Lo
avrebbe riportato indietro costi quel che costi: era pur sempre in gioco
l’onore della sua invenzione.
Saltò
sopra una sedia: “Ascoltatemi tutti, e niente panico! Ho finito di modificare
il telecomando di riserva: con questo sarò in grado di riprendere il controllo
dell’apparecchio, entrarvi, e recuperare quel bamboccione di Ivan. Quindi,
signore e signori, rilassatevi, il vostro eroe penserà a tutto.”
Il
commento di Cina fu a dir poco drammatico: “Ai-ya… Se è così allora non lo
rivedremo mai più…”
Cuba
si abbracciò con Vietnam: “Adios, señor Russia! Sigh!”
“È
spacciato, sigh!”
“Piantatela
voialtri menagrami! E ringraziatemi piuttosto!”
Era
già saltato giù dalla sedia quando sentì dei passi concitati dietro di lui.
Era
Ucraina: “Fammi venire con te, America!”
“Negativo!”
–alzò lui le braccia- “Non sappiamo cosa troveremo dall’altra parte. Potrebbe
essere pericoloso.” –declamò con tono basso da uomo d’azione.
“C’è
mio fratello dall’altra parte! E ha bisogno di aiuto!”
Le
mise una mano sulla spalla con fare da macho: “Non ti preoccupare, te lo
riporterò sano e salvo!”
“Ma
potrei esserti utile a convincerlo a tornare indietro! Per favore…”
“Se
qualcosa va storto con la macchina altri potrebbero rimanere intrappolati nella
realtà alternativa, ed è un rischio che nessuno qui deve correre: solo l’eroe
può farlo!”
Strinse
la labbra e insistette ancora, come non era solita fare: “Io non ho paura! Lui
è il mio fratellino! Ho il diritto di venire anche io!”
“Spiacente,
Ucraina, ma come ho già detto questa potrebbe rivelarsi una missione
pericolosa, niente roba per donne e bambini, perciò…”
Il
pensiero di essere stato appena afferrato per il bomber e sbattuto con violenza
contro il muro riuscì a tappargli quella sua bocca larga.
“STAMMI
BENE A SENTIRE, STUPIDO PALLONE GONFIATO!”
“……”
Quando senti certe cose uscire dalla bocca di ragazze come Ucraina, non ti
resta altra scelta che sturarti le orecchie e stare a sentire (non riusciresti
a reagire neppure volendo per via dello shock!)…
“Non
prendermi per una ragazzina piagnucolona solo perché lo sembro e a volte mi
comporto anche come tale! Io sono Ucraina, sono la nazione dei cosacchi, e noi
cosacchi non scherziamo! Ho combattuto e preso a calci nel sedere Polonia e
Turchia nei loro tempi migliori se non lo sai!”
“Confermiamo…”
–fecero Feliks e Sadiq, toccandosi i fondoschiena come ancora doloranti…
“Quindi
se hai finito di montarti la testa, egomane maschilista che non sei altro, tu
ora mi fai venire con te in quella tua stramaledetta macchina a salvare quel
problematico del mio fratellino, oppure, giuro sul mio forcone, che ti spezzo
le ossa in tre! Mi hai capito?”
Si
concesse qualche secondo per riprendersi, e adottò la tattica del sorridi e fai
finta di nulla: “…… Benvenuta a bordo allora!”
“Umpf!”
–sbuffò concedendogli il permesso di staccarsi dalla parete.
Polonia
e Turchia corsero a sedersi: semplice precauzione su suggerimento delle loro
chiappe…
America
stava ancora cercando di capire se la scena in cui era rimasto coinvolto fosse
realmente accaduta quando notò che Bielorussia lo stava fissando; lo fissava, e
saggiava col polpastrello dell’indice l’affilatura della punta del suo
coltellaccio.
“…
Beh, direi che vieni anche tu.”
Se
la sorella maggiore era stata capace di tanto, alzare bandiera bianca con
l’altra era più che un obbligo, era istinto di sopravvivenza!
Alfred,
borbottando e comprendendo finalmente come facesse Ucraina ad essere sorella di
Russia, si guardò intorno, sperando di non veder sbucare qualche altro pazzoide
desideroso di unirsi alla spedizione di salvataggio. Grazie al cielo non ce ne
fu nessuno, e avrebbe dovuto condividere i suoi meriti di eroe solo con le due
ragazze.
“Bene,
se qualcuno è a conoscenza di un motivo per cui non dovremmo andare a salvare
Russia, parli ora e tacerà per sempre… Perché non credo che queste due gliela
faranno passare liscia.”
Ucraina
e Biel rivolsero un’occhiata sottecchi ai presenti: nessuna obiezione!
<<
Ma guarda un po’ che roba… >> -si
passò una mano tra i capelli Alfred- << E io che volevo essere gentile a non esporla a rischi… Secondo me sono
i rischi che dovrebbero avere paura di loro due. >>
Passato
lo spavento però gli venne da sorridere: se pensava che facevano tutto ciò
preoccupate per il loro fratellone psicodisturbato, non erano affatto
spaventose, anzi, erano stupende in un certe senso. Avrebbe voluto anche lui
delle sorelle tanto affettuose e pronte a fare di tutto per lui… Poi si ricordò
di aver Canada e subito gli chiese scusa, senza che questi capisse…
“Pronte?”
“S-si!”
“Fratellone, ti faremo tornare!”
America
pigiò un tasto al telecomando e lo schermo si riattivò, facendo ricomparire il
vortice; aveva riassunto il controllo della sua invenzione, almeno in
apparenza, quindi meglio procedere comunque con cautela.
“Tutte
dentro!”
“Fate attenzione!” –si premurò Inghilterra.
“Coraggio!” –urlò Cina.
“Se
non torti posso avere la tua mazza da baseball?” –domandò Canada.
“Va
bene, ma non toccare i miei comics! Aspetta che valgano qualcosa e poi vendili
per costruirmi un monumento alla memoria alto almeno cinque metri, non di
meno!”
Stufo, Arthur gli mollò una pedata nel sedere che lo ficcò dritto nel vortice:
“Piantala di dire cretinate e vai a salvare Russia!”
“L’EROE
ALLA RISCOSSAAAAAAA…” –urlò con l’effetto risucchio…
Le altre due si gettarono nel vortice un attimo dopo. Gli altri fissarono
nervosamente lo schermo ansiosi di vederli ricomparire e sentirli dire di essere
arrivati sani e salvi, ma così non fu.
Italia
si spaventò: “Staranno bene?”
Germania aggrottò la fronte e fissò nello schermo le forme indistinte in cui si
era trasformato il vortice già da qualche minuto: “La macchina è ancora accesa
se non altro: possiamo solo sperare di vederli ricomparire tutti sani e salvi.”
“Speriamo
di non dover attendere troppo…” –sbottò Arthur, che già camminava su e giù per
la stanza, trovando insopportabile quel loro dover restare allo scuro.
“E
se Russia decidesse di non tornare?” –fece Italia abbattuto.
Inghilterra
si aspettò qualche commento del tipo << Forse non sarebbe poi malissimo… >>, invece non vi fu nessuna
malignità del genere: anche lui era preoccupato soprattutto per America, era
una cosa naturale; ma Russia era ugualmente uno di loro, le cui sofferenze,
sebbene non giustificassero i suoi mille errori, erano adesso riuscite a far sì
che tutti potessero comprenderlo un po’ meglio, capire che il suo essere ciò
che era aveva i suoi perché, come per chiunque altro di loro dopotutto.
Ecco
perché nessuno avrebbe mai potuto gioire nel non vederlo tornare.
Guardò
il mondo riflettere in tal modo, pieno di speranza, lo rassicurò: “America e le
sue sorelle non torneranno senza di lui, e considerato quanto America ci tenga
a riabilitare la sua macchina, sono certo li rivedremo tutti dal primo
all’ultimo! Umpf!”
Fatto
coraggio soprattutto a sé stesso, riprese a camminare.
Che
ironia, pensò, continuando a fissarsi in quello specchio su di un futuro mai
nato.
Grazie
a quella stessa grandezza che l’altro non aveva mai avuto, e prima, brindando,
aveva addirittura rifiutato, poteva continuare a guardarli attraverso la
finestra anche standosene comodamente seduto sul freddo tappeto di neve, che
nel frattempo aveva smesso di cadere. Era proprio alto, non c’era dubbio, finì
così il proprio pensiero.
E
ne iniziarono altri, in quel silenzio di ghiaccio che non si scioglieva, ai
confini di un tepore che aveva sempre desiderato, ma da cui si era allontanato
con le sue stesse stolte gambe.
Dentro
la casetta l’altro Russia, le sue sorelle e gli amici baltici continuavano a
festeggiare: parlavano tra di loro sempre sorridendosi, rievocavano momenti
belli e divertenti passati, brindavano facendosi scudo l’uno con l’altro dalla
cattiveria del mondo.
Lì
fuori aveva smesso di nevicare; Ivan osservava, con un velo dinanzi le iridi
viola, il viso rischiarato dalla luce calda proveniente dall’interno, mentre
sulle sue spalle battevano le più tenui e distanti luci della città.
In
quel suo ammaliato osservare lo attraversavano ovviamente anche pensieri del
tipo: che ne sarebbe stato di lui? E del mondo che si era lasciato dietro?
Rifletteva
e finiva sempre col dirsi di aver fatto bene ad “esiliarsi” in quella scatola
dei sogni irrealizzati, trasformato per sempre in uno spettro che non può più
far soffrire a nessuno: se niente poteva sentirlo e toccarlo, nemmeno il dolore
poteva.
Basta
guerre, rivoluzioni, repressioni nel sangue. Basta sangue, davanti gli occhi e
sulle mani. Basta sorridere per i motivi più sbagliati e abbietti. Basta una
volta per tutte col gelo, fuori e dentro, meglio non fare o sentire più nulla.
Se
quella prigionia volontaria avrebbe significato liberarsi da tutto ciò, non gli
importava affatto restare lì, a quella finestra, a guardarsi felice una volta
tanto.
Vedersi
piccolo, e innocuo, una persona inoffensiva, insignificante, che pur non
sorridendo spesso avvicina tutti a sé, di cui nessuno ha paura o motivi per
detestarla.
Basta
sensi di colpa, basta incubi, basta essere il mostro.
Guardare
da una finestra, seduto, invisibile, nella storia che aveva distrutto, per
sempre: la punizione più giusta per i suoi peccati, e allo stesso tempo la
medicina migliore per qualcuno che, ormai, non ce la faceva davvero più.
Non
ce la faceva più. Poteva sul serio accontentarsi dell’apatia più totale, ai
margini di quel dolce camino dove lui, le sue sorelle e i suoi amici danzavano
come fiamme vive anche nell’orrendo mondo di Germania trionfatore.
Poteva
davvero accontentarsene.
Certo
i conti da fare non finivano certo lì: se lui poteva, altri forse no. A
riferirglielo fu il calpestio sulla neve fresca di passi, veloci nel loro
avvicinarsi alle sue spalle.
“Russia!”
America
rallentò e riprese fiato: “Ed eccolo qui…”
“Fratellone,
stai bene?” –domandò Bielorussia preoccupata.
Di
fuori si, rispose loro una sua occhiata pressoché inespressiva, prima che si
girasse di nuovo, e riprendesse a fissare.
Quell’accoglienza
così desolante fu un boccone amaro per le sue sorelle. Ad America ricordò
piuttosto uno di quei classici falliti da telefilm, che con lo sguardo vacuo perdono
davanti un televisore il tempo che potrebbero dedicare a riaggiustare la
propria vita.
“Ma
guarda un po’ che paura ci hai fatto prendere!” –si lamentò lui con la sua
brevettata strafottenza da duro- “Su, ormai ti sarai stancato di questo
programma: alza il sederone e torna a casa con noi, da bravo.”
Russia
lasciò andare un respiro più rumoroso, prima di aprir bocca: “Io non voglio
venire.”
“Apri
bene le orecchie…” –gli ribatté Alfred, già spazientito- “Hai idea della
figuraccia che hai già fatto fare a me e alla mia meravigliosa macchina? Non ne
farò certo una seconda non riportandoti indietro solo perché ti sei fatto
venire una crisi esistenziale o roba del genere!”
Ucraina
alzò gli occhi al cielo e superò America di un passo, senza colmare però del
tutto la distanza tra lei e il suo fratellino seduto lì per terra.
“Russia…
Ti prego, torna a casa!”
“Fratellone,
se servisse a farti tornare, sono pronta a giurarti che non chiederò mai più di
sposarti! Per favore!”
America
si strofinò le mani: “Uh, cosa sentono le mie orecchie! L’hai detto, ti sono
testimone! Eh eh eh! È un buon patto, eh Russia?”
Il
suo smagliante sorriso scese giù lentamente, man mano passava il tempo senza
che rispondesse.
“Vi
prego, lasciatemi perdere.” –ribadì Ivan, senza girarsi- “Preferisco davvero
starmene qui, sul serio. Qui dove non do fastidio a nessuno…”
Bielorussia
strinse i pugni: “Che importa se a qualcuno non vai a genio? Posso pensarci io
a pestarli tutti!”
“Dove
non corro il rischio di uccidere involontariamente mia sorella perché l’ho ossessionata
al punto che ora vuole annullare la propria identità in me…”
Bielorussia,
spentasi come un fiammifero, tornò indietro di un passo.
“O
dove non devo pensare che l’altra mia sorella così gentile nel profondo mi odia
per tutto il male che le ho inferto da fratello ingrato qual sono…”
America, sorpreso, osservò il silenzio di Katyusha, e l’arricciarsi nervoso delle
sue labbra, come se, anche se ne fosse uscito qualcosa, non sarebbe stato
all’altezza di ciò che davvero, nascosto molto bene in lei, non avrebbe mai
avuto il permesso di uscire fuori. Non riconobbe la piagnona a cui era
abituato, già sparita prima di venire lì, in quell’espressione accigliata e in
quel petto in fuori.
“Si.
Diciamo le cose come stanno: il fatto che tu sia andato in giro per secoli a
dire che l’erede di Kiev eri tu, a riscrivere la storia in modo da far apparire
che mi sia volontariamente sottomessa a te, il genocidio dei miei contadini e
il fatto che ancora oggi che sono indipendente provi ad impicciarti degli
affari miei come se fossimo ancora “uguali” nel comunismo mi da… un po’ di
fastidio, fratellino.”
Russia
le sorrise sornione, come quando hai ricevuto una battuta che ti meritavi e non
puoi che stare al gioco; un sorriso anche un po’ fiero di lei, che finalmente
si decideva a sbattergli in faccia cosa sentiva sul serio…
Ma
poi, quel guscio di rancore si sciolse, e tornò la solita, incorreggibile
sorellona premurosa, con gli occhi sempre a un passo dalle lacrime: “Ma anche
il fatto che tu sia arrivato a… a questo… mi da molto fastidio, sai?
Moltissimo…”
Desiderando
di non uscire più dalla macchina non aveva solo snobbato la sua di vita, ma
anche quelle di tutti gli altri, inclusi i suoi amici, e soprattutto incluse
loro, le sue sorelle che diceva così importanti. Quello bruciava più di ogni
altra cosa, e insieme le dava un’idea di quanto grave fossero le condizioni di
Russia in quel momento.
Un
singhiozzo la interruppe, mentre sua sorella le carezzava una spalla.
“Ad
essere sincera, non so se di punto in bianco potrei smettere di desiderare di
sposarti…” –ammise Bielorussia- “Ma se per farti tornare vuoi che pianga
anch’io posso farlo, anche davanti ad America, non me ne importa! I-io… che ci
posso fare se sono ossessionata? Niente, come non puoi farci niente se ormai
sei diventato così! Non è… colpa nostra… Torna, ti prego…” –disse lei,
trattenendosi per miracolo fino all’ultimo dal diventare una copia altrettanto
disperata della sorella maggiore.
America
aspettò di vedere se gli occhi lucidi delle due potessero, se non risolvere
tutto, almeno sortire un effetto “ammorbidente” su quello scolorito blocco di
ghiaccio che aveva di fronte, prima di tornare all’attacco.
“Russia,
davvero preferisci stare in un illusione? Qui è tutto finto, lo vuoi capire o
no?”
“Lo so bene…”
“Non esiste nessun Russia piccoletto e felice, né le tue sorelle felicemente
sposate! E non esisteranno neppure se resti qui!”
“Lo so…”
“E
poi dai, questo mondo non è mica il massimo, via! Ti ricordo che Germania ha
vinto, e con lui la violenza e l’odio, e tu sei un misero operaio, anzi, uno
schiavo costretto a lavorare dal mattino alla sera in fabbrica! Credi davvero
che saresti stato felice qui? E tutti gli altri sottomessi da Germania? Non
scordiamoceli! Non lo capisci che il mondo senza di te, il vero te, è finito in
uno sfacelo?”
Russia
strinse le ginocchia al petto. Stavolta gli uscì qualcosa a metà tra un riso
isterico e un singhiozzo.
Ivan
strinse i denti e scosse il capo: “Eh… Eh eh eh! Ci avete fatto caso, eh?”
“Uh?”
“Perché…
Perché sembra che la condizione per cui il mondo sia felice sia la mia
infelicità?”
America si sbatté una mano in faccia: “Senti, se ora mi vuoi diventare una
sorta di emo depresso ti prendo a pugni e ti trascino via con la forza, come
farò in ogni caso, quindi come la mettiamo, eh?”
“……”
Si
sarebbe aspettato una risposta per le righe a quel punto, sapendo quanto Russia
non sopportasse essere provocato. Il fatto che invece l’avesse guardato con
quello sguardo stanco gli faceva afferrare la gravità della situazione: in
quello stato, Russia si sarebbe lasciato pestare più che volentieri senza
batter ciglio, tanto era stomacato.
America
abbassò il pugno e lasciò che si spiegasse.
“Quando
abbiamo visto l’ucronia in cui ti ho battuto avevo realizzato ogni mio
desiderio, raggiunto l’apice, e il mondo anziché essere contento per avergli
portato l’uguaglianza mi guardava come un despota, senza contare la faccenda di
Biel… Nel mondo reale ho perduto contro di te, io mi sono fatto un gran sangue
amaro mentre tutti giovano e ancora gioiscono al pensiero di cosa hanno
scampato… E in questa ucronia… In questa ucronia il mondo soffre sottomesso alla
barbarie di Germania, e io sono uno schiavo, piccolo, debole, ma felice col
poco che ha… Tu che ne deduci?”
Rise
di nuovo a singhiozzo: “Quindi è per questo che io sto così uno schifo? Dovevo
diventare un gigante violento e detestato da tutti perché loro potessero stare
bene? È assurdo! È totalmente assurdo, vero? Ah ah ah!”
Coprendosi
il volto come stava facendo, nessuno poteva capire se stesse ridendo o gemendo.
Seguì
un silenzio, in cui America, non sapendo ancora cosa fare o dire, guardò anche
lui dalla finestra.
“Io
non voglio tornare… Non ce la faccio più…”
America
si passò una mano tra i capelli, non ancora deciso a dargliela vinta.
“Quindi…
a sentire te il nostro bel mondo reale starebbe bene, e lo è perché sei infelice,
vero?”
Ivan
sbuffò.
“Ma tu credi davvero alle idiozie che spari? Eh eh eh! Il mondo sta bene? Ma
andiamo! Guerre, stragi, dittature, carestie, ingiustizie, discrimazioni… Lo
chiami stare bene? Credi di essere tu la causa di tutti i problemi di questo
schifo di mondo? Tutte noi nazioni stiamo portando avanti questa solfa da
secoli, non facciamo altro che pestarci tra di noi, farci dispetti, far
soffrire i nostri stessi popoli, e renderci infelici con le nostre mani. Siamo
fatte così, ancora non lo hai capito? Siamo fatte… di umani! E gli umani
sbagliano, caro mio, è questo che fanno, e noi con loro.”
“……”
“Quindi per favore… Smettila di dire scemenze, e alzati… Imbecille!”
“Beh,
allora forse è la volta buona che una nazione che ha sbagliato tanto si faccia
un bell’esame di coscienza…”
“Tu?
Ma andiamo…”
“Si, io. Anche tu sei una nazione, anche tu hai sbagliato e sbagli, la
differenza tra me e te è che io non ho la tua stessa faccia tosta di fingermi
migliore di ciò che sono anche con me stesso: ecco perché io me ne sto qui a
soffrire come un cane e tu che puoi fregartene stai lì in piedi a cercare di
convincermi, bastardo.”
“……”
A quel punto fu Ucraina a non riconoscere più il solito America, il cavaliere
dall’armatura lucente sempre in bella mostra. Ora, sotto i suoi occhi, la
rimuoveva, e ne usciva fuori un altro tipo di sorriso, decisamente più
antipatico, sfacciato, da bullo, di quando nei film il cattivo getta la
maschera e ride alla faccia di quelli che ha gabbato.
“Eh
eh eh, tu si che mi capisci bene! Beh, dopotutto non sarei qui se non ci fosse
tutta questa sintonia, tra me e te.” –imitò quel suo ghigno tanto conosciuto e
temuto, come si fosse trasformato proprio in lui che doveva essere la sua
esatta antitesi- “Si, ben detto Russia! Io ci provo pure a fare l’eroe e a
compiere le miei buone azioni da bravo boy-scout, ma in fondo sono un bastardo,
un prepotente e un avido, di fama, ricchezza, potere e tante altre cose non
esattamente eroiche, e per procurarmele, devo rubare e spargere sangue di tanto
in tanto, così è la vita.”
Gli
ci voleva proprio, si disse gustandosi quel momento: si sentiva più leggero.
“Anche
io ho le mie colpe, e i miei sensi di colpa. Ma non mi sono mai lasciato
sopraffare come stai facendo tu. E ora non te ne uscire che tipo il tuo dolore
è più grande del mio che il dolore non si pesa.”
Una
mezza balla. Di certo non osava pensare di aver avuto una storia travagliata
quanto quella di Russia, senza contare che lui era anche più vecchi di lui: di
tempo per vedere tanto dolore e sangue fino a diventare assuefatto ne aveva
avuto in abbondanza.
“Sono
responsabile anch’io se il mondo fa schifo, come lo sei tu, come lo è Cina,
come lo sono tutti. Tutti, dal primo all’ultimo, e nessuno di loro quindi può
permettersi il privilegio di punirsi come vuoi fare tu. Non quando ci si è
anche comportati bene, e ci si è fatti volere bene dagli altri, non importa quanti
pochi siano.”
I
due fissarono, a lungo; quando Russia tornò a guardare dinanzi a sé, lo fece
più lentamente, con le ciglia aggrottate a far ombra a mille pensieri. Buon
segno, pensò Alfred.
“Se
siamo tutti così sullo stesso piano come dici, come mai allora io sono l’unico
a cui la tua macchina ha mostrato quello che vedo adesso?” –la sua voce era
bassa, quasi un fruscio, triste, come rami spogli al vento- “Perché agli altri
ha mostrato quanto bene stessero nel modo in cui sono, e a me invece ha
rimproverato di non essere diventato diverso? Almeno è l’idea che mi sono
fatto…”
Russia
si girò, speranzoso in una risposta. America abbassò gli occhi, e allora si
girò nuovamente, pensando di essersi illuso.
“La
mia macchina…” –disse Alfred calciando un po’ di neve.
Si
lasciò rincuorare il proprio lato eroico (realmente eroico) dagli sguardi delle
sorelle, a cui voleva a tutti i costi restituire lo sciocco e malinconico
fratellone: nemmeno lui voleva perdere il suo amico. Pur di non lasciarlo
andare, sarebbe stato pure disposto a sminuire la sua invenzione, causa di
tutto.
“Sai,
in realtà questa mia tanto decantata macchina non è poi questo granché.”
Questo
si che era un parlare interessante dalla bocca di America, pensò Ivan,
incrociando il suo sorriso tinto di umiltà; dote che fra l’altro tanto aveva
apprezzato in quell’altro sé.
“Semplicemente
non fa che ragionare su ipotesi, provare a svilupparle, ne sceglie una e te la
fa vedere; e qualche volta combina anche grossi guai.” –gli fece l’occhiolino-
“Non è detto che ciò che ti mostra sia davvero come sarebbe andata, non è detto
che non possano esserci altri infiniti scenari, anche più realistici, che non
ti mostrerà mai. Magari quel Russia lì dentro sarebbe esistito davvero se nel
corso dei secoli qualcosa sarebbe andato in modo differente, o forse non
sarebbe esistito affatto, forse sarebbe stata una vita di mezzo tra lui e te, o
qualcuno ancora più indemoniato di te, o più depresso in questo caso, eh eh
eh!”
L’altro
Russia, dentro la casupola, rideva ad una battuta di Polonia, dandogli una
pacca sulla spalla; sullo sfondo, Bielorussia e Lituania si coccolavano in
piedi in un angolino.
“Ma
se c’è una cosa che sa fare davvero come si deve, è farti capire che stai bene
esattamente come sei. Non vuole affatto mostrarti se saresti stato meglio o peggio,
come hai detto tu. Tutto quello che fa, è dirti che… Tu sei tu. Le vite che
mostra non sono né migliori né peggiori, sono solo altre vite, e basta: non
hanno alcun peso ormai, né devi darglielo tu, perché non esistono né
esisteranno mai. Ma le tue avventure e disavventure, e le scelte che hai fatto,
sono reali invece, e ti hanno reso ciò che sei, ed è troppo tardi per
ripensarci o lamentarti. È un qualcosa che tutti devono accettare… per
accettarsi.”
“Dovrei
accettarmi per come sono?”
Guardò
le proprie mani inguantate, come potesse vedervi riflessa la propria faccia, a
volte candida, a volte intrisa di sangue, a volte piatta come una landa senza
un albero. Una landa fredda, e soprattutto sola.
“Vale
anche per quelli come me? Vale anche se hanno qualcuno di davvero importante a
cui hanno condizionato la vita?”
“Se
parli delle tue sorelle è normale che le loro vite siano in qualche modo condizionate
dal loro fratello, sei pur sempre la loro famiglia.”
“Ma con un fratello diverso, magari avrebbero vita più facile…”
Le
proprie sorelle si videro allora fissare, per la prima volta da quando erano
arrivate. Questo le rincuorò un poco, ma lo sconforto in quegli occhi era
tanto, e le parole che per un attimo sperarono di sentirsi rivolgere non
arrivarono.
Non
subito almeno, si girò prima, protendendo un po’ più il viso assorto verso il
vetro.
“Io…
Non so se potrò mai essere… un po’ più come lui…”
Come
aveva appena detto America, lui era lui, e lo era per i suoi motivi, doveva
accettarlo, e accettare che non si cambia da un giorno all’altro, anche con
tutte le buone intenzioni del mondo, visto che “l’altra parte” di ciascuno di
noi deve sempre mettersi in mezzo… Con una parte come la sua, non conveniva che
quelle due non ce lo avessero affatto un fratello così?
Allora
Biel si decise a rompere quel recinto invisibile da dietro cui si erano costrette
a osservare. Raggiunse Russia, gli si inginocchiò accanto e gli strinse il
braccio, poggiando la fronte contro la sua spalla.
“Noi non siamo di certo venute per vedere quel Russia…”
America
incrociò le braccia: “Anche se chiunque direbbe sia un fratellone di certo più
desiderabile di te, umpf!”
Ucraina
si poggiò all’altra sua spalla.
“Siamo
venute per te, per questo Russia qui… Anche se è così…”
“Fuori di testa?” –la aiutò Alfred.
Osservò
il suo amico fissare negli occhi le sue sorelle, e gli sembrò timido il modo in
cui poi volgeva il viso dai loro sorrisi commossi.
Alfred
sospirò, e parlò interpretando il ruolo della sua coscienza, facendo suonare le
sue parole come una gentile spinta
dietro la sua schiena: “Sono venute per te, anche se sei così, anche se forse
non ti sei comportato proprio bene. Sono venute per te... E non ti preferirebbero
in nessun altro modo. Sorelle come queste non meritano di essere abbandonate.”
“……”
Tu
sei così come sei, né potrai essere migliore o peggiore. Non certo cambiando il
passato almeno, che è bello che andato, e neppure restando lì, e abbandonare un
mondo vero, con le sue possibilità, sembrò continuare nella sua mente.
Ivan
ripensò alle parole che aveva ripetuto durante l’ucronia. Nulla dura per
sempre, prima o poi tutto finisce. Prima o poi sarebbe finito anche lui, o, con
un po’ di fortuna, solo quel Russia che ora era, e magari allora ne sarebbe
arrivato un altro che rassomigliasse di più a quello lì. Solo supposizioni,
come quelle che faceva la macchina, ma restandone all’interno, non ci sarebbe
stata alcuna occasione di farle avverare.
Ucraina
e Bielorussia si scostarono, sentendolo muoversi.
Si
erse in piedi, mugugnando per le gambe un po’ anchilosate, e riuscì a guardare
negli occhi, di nuovo a testa alta, silenziose, supplicanti di sentirgli dire
che era tutto passato, anche se non era vero.
“…
Scusatemi, vi ho fatto preoccupare.”
Un’ennesima
aggiunta alla lista delle sue malefatte, ma nemmeno a quella Katyusha e Natalia
gli rifiutarono un abbraccio.
“Lascia
stare!”
“Fratellone!”
America,
non volendo rischiare di cantar vittoria troppo presto, aspettò un po’ prima di
rilassarsi, e stiracchiarsi come si fa dopo un lavoro ben fatto! Ma
soprattutto, era stato un vero lavoro da eroe stavolta, di quelli che ti fanno
sentire fiero che non hai bisogno di ringraziamenti ed elogi, di quelli che non
senti il bisogno di metterti in mostra; di quelli insomma, che gli consentivano
di indossare di nuovo la sua brillante armatura, che desiderava davvero ma che
più di una volta aveva dimostrato di non meritare più di altri.
Ce
l’aveva fatta anche senza ricorrere alla sua arma segreta, si disse
aumentandosi ancora il proprio punteggio; peccato, se l’era studiata davvero
bene quella parte e gli sarebbe piaciuto metterla in scena. Ma si! Perché non
farlo lo stesso? Sarebbe stato un crimine altrimenti per uno esibizionista come
lui!
“Ehi,
Russia.” –lo chiamò- “Pensavo che magari il giudizio che ti sei dato è un po’
troppo severo. Magari sei più simile a quel Russia di quanto tu creda.”
Lui
e le sue sorelle si girarono: “Che intendi?” –gli chiese, fissandolo mentre
premeva alcuni tasti sul telecomando.
“Che
c’è qualcosa che hai dimenticato, un desiderio. Un desiderio che hai avuto
prima ancora di diventare quello che ora sei, e che continui ad avere, e che
avrebbe dovuto farti capire subito come stavano realmente le cose anziché
trascinarci qui, cretino!”
Russia
storse il naso, non riuscendo a capire cosa intendesse dire, con quel tono come
se lo conoscesse da una vita, neanche fosse il suo migliore amico.
“Non
è il dominio, non è il sopraffare gli altri, non è il comunismo né altre
banalità simili. Ecco…” –disse Alfred, finendo di armeggiare su quei tasti-
“Questo è quello che desideri davvero.”
Che
senso ha progettare una macchina della realtà virtuale se non puoi controllarla
per far apparire quello che vuoi a tuo piacimento?
Ecco dunque che la notte scura divenne un giorno azzurro; la casa e i suoi
abitanti sparirono insieme a tutta la città e i secoli alle loro spalle. Si
ritrovarono in un periodo qualsiasi in un paese qualsiasi, all’aperto, in una
distesa pullulante di vita e carezzata dal vento, immerso tra quegli alti fiori
che conosceva benissimo: corone appuntite gialle come l’oro, e un volto scuro
che fissa il sole che gli da tutto ciò di cui ha bisogno.
Davanti
a quel cambio improvviso e tanto drastico di paesaggio, Ucraina e Bielorussia
si guardarono intorno colpite, ma Russia lo era al punto che invece non si
muoveva di un millimetro. La sua bocca era rimasta spalancata, e forse non per
la bellezza di quel posto, finto quanto quello di prima, ma per cosa volesse significare,
ossia, che America aveva proprio ragione.
“Un…”
–fece la sua voce sottilissima- “Un posto caldo…”
“Circondato dai girasoli.” –finì lui, a bassa voce e con un sorriso,
presentandogli un regalo così bello che non sembrava possibile essere stato
pensato da quella testaccia dura dell’americano. Ivan richiuse la bocca.
Ora
si che era identico all’altro, pensarono i tre.
O
meglio ora si che si capiva che erano esattamente la stessa persona.
E
doveva averlo capirlo anche lui, visto che il sorriso continuava ad allargarsi
sempre di più, al punto che le lacrime, scendendo, arrivarono a bagnargli di
angoli della bocca.
Si
inginocchiò, carezzando un fiore un po’ più piccolo degli altri come fosse un
cucciolo, con le sue sorelline inginocchiate accanto a lui, che non gli si
staccavano di un millimetro.
La
macchina non aveva bisogno di simulare alcun calore, perché con loro al suo
fianco, Ivan ne aveva più che in abbondanza; e lui non aveva bisogno di nessuna
colpa a stringergli il cuore, perché in quel sogno tanto piccolo e immortale
dentro di sé, il mostro ritrovava la sua umiltà e la sua innocenza andate
perdute.
America,
forte della sua cultura in film, sapeva come comportarsi in quel momento: “Beh,
ragazzi, siete proprio belli, non c’è che dire…” –disse voltandosi- “Vi concedo
un paio di minuti, sarò buono, però dopo tutti a casa, eh? Umpf!”
E
si allontanò di qualche passo, dando il cinque a un girasole strada facendo.
Quando
sullo schermo riapparve il vortice, tutti si alzarono in piedi, e Inghilterra
smise di consumare il pavimento facendo avanti e indietro.
I
quattro saltarono fuori, e l’ansia di tutti si liberò in un’esultanza che fece
tremare i vetri! Russia ovviamente divenne il centro di tutto, ma ad America
non dispiacque. Semmai era contento che, come da fuori non avessero visto
quanto era stato figo nel convincere Russia, non avessero neppure potuto vedere
il suo “momento liberatorio”…
Mentre
tirava un sospiro di sollievo, il vecchio Arthur gli diede una fortissima pacca
sulla schiena che gli mozzò il respiro: per un attimo aveva avuto la tentazione
di abbracciarlo, quindi in qualche modo aveva dovuto rifarsi!
Ricevuta
la calorosa accoglienza di tutti, da Cina e Cuba come persino da Ceca e
Polonia, Russia pensò bene di dover fare ammenda.
“Vorrei
chiedere scusa a tutti voi per avervi fatto stare in pensiero: mi sono lasciato
prendere troppo dall’ucronia e non avrei dovuto.” –disse con una mano dietro la
testa- “Però ora che sono tornato ci tengo a ribadire che questo mondo è
comunque l’unico che ho, e mi va bene così com’è.”
“Umpf,
contento di sentirtelo dire.” –fece Lituania, scambiando con Russia un’occhiata
densa di ricordi e complicità.
“Infine,
voglio che sappiate che d’ora in avanti cercherò di essere meno… inquietante,
ecco. Farò del mio meglio!”
Quell’ultima
frase venne accolta naturalmente molto bene, anche se con qualche punta di
scetticismo; e in un caso persino con un po’ di preoccupazione.
“Che
ti prende, America?” –domandò Inghilterra.
“Russia che vuole provare ad essere buono?” –finì a bocca aperta.
“Non
ha detto proprio così, però penso che finalmente abbia deciso di migliorarsi un
po’. Dopo quello che è appena successo ti meraviglia tanto?”
“In un certo senso…” –gli dava i brividi!- “Ma la lezione non era che tutti
siamo così come siamo e basta? Se ora lui vuole cambiare…”
“Saranno fatti suoi…” –lo troncò l’altro con acidità, non capendo che ci
trovasse nel male a voler fare uno sforzo per cambiare in meglio.
America
si schiaffeggiò le guance: “Ma se cambierà troppo? Se diventerà tutto buono e
gentile e smielato con tutti? Non avremo più comunque il nostro Russia! Oh,
cielo, non riesco ad immaginarmelo! Non può accadere davvero, sarebbe così
assurdo!”
“Ma si può sapere che problemi ti fai?!”
Nel
frattempo, Russia aveva pensato bene di cominciare col proposito, partendo da
qualcuno che a causa sua ne aveva passate davvero tante: chi se non Lettonia?
Raggiunse Ravis, che ebbe la sua solita tremolante reazione.
“Lettonia, voglio dirti che mi dispiace se a causa del mio bullismo sei rimasto
un minuscolo tappo.” –disse pur potendo essere un po’ più delicato…- “Mi
rincresce molto.”
Lettonia
era diffidente, ma quell’ammissione sembrava sincera; forse era il caso di
concedergli un tentativo per rimettere a posto le cose.
“Ecco…
Beh, non importa… Lasciamoci questa storia alle spalle, Russia.”
Ivan
sorrise: “Oh, molto bene! E a proposito di spalle, da adesso in poi non ti
verrò più dietro di nascosto per farti paura solo per vederti sobbalzare e
gridare in modo buffo.”
“D-davvero? Grazie!”
America
iniziò a strapparsi i capelli: “Lo vedi Inghilterra? Il mondo sta diventando
sottosopra! Argh! Il mio cervello!”
“Tsk,
che idiota…”
Russia proseguì: “Inoltre cercherò di rifarmi dei fastidi che ti ho dato
diventando più gentile; ad esempio aiutandoti a diventare più alto!”
Toccato quel tasto, le corde di Lettonia vibrarono cristalline: “Sul serio?”
–fece lui con gli occhi stellati- “Saresti davvero in grado di fare una cosa
del genere? E come……”
“…
Eh eh eh!”
“……
Oh, no! Oh, no! Ti prego, non dirmi che intendi…”
Per
gli altri due baltici si trattava di una scena familiare, gli altri invece
rimasero pietrificati quando Russia afferrò Lettonia e gridò: “STREEEEEEEETCH!”
“AAAAAAAAAAAAAAAARGH!”
Tenendolo
alle due estremità, Russia prese a stirare la piccola nazione, allungandola e
accorciandola come un elastico, fino effettivamente a stirarlo anche di molto.
“Allora,
Lettonia, non sei contento? Non ti senti già più lungo di qualche centimetro?
STREEEEETCH!”
“NOOOO! AAARGH! LO SAPEVO CHE NON MI DOVEVO FIDARE! AIUTOOOOO!”
Lituania
ed Estonia indietreggiarono di un passo insieme ai loro goccioloni.
“Ma…
Non aveva detto di voler essere più buono, tipo?”
Lituania
provò a dire la sua: “Beh, credo a suo modo lo stia facendo: lo fa davvero perché
vuole aiutare Lettonia, stavolta…”
Cuba, ridacchiando, li abbracciò da dietro le spalle: “Eh eh eh, perché siete
così sorpresi, amigos: in realtà il señor Russia è sempre stato buono; ora lo è
ancora di più!”
“Tu…
dici?”
Bielorussia
congiunse le mani e sprizzò cuoricini: “Ahhh… Il mio fratellone è una persona
ancora più meravigliosa… Ahhh…”
Anche Ucraina batteva le mani contenta davanti quella inusuale tortura in buona
fede: “Ah, Russia, fratellino, che pensiero gentile!”
Come
si vedeva che erano della stessa famiglia!
“……Sai,
Inghilterra…” –fece America- “Forse avevi ragione: mi stavo facendo problemi
inesistenti.”
“Temo
di si…” –annuì tenebrosamente l’altro.
Russia
sorrise ancora di più, ormai preso dall’entusiasmo: “Dai! Ancora una volta:
STREEEEEETCH! Eh eh eh!”
Mi
sa proprio che il nostro Russia resterà sempre un po’ pazzerello, purtroppo per
Lettonia! XD
Con
l’augurio che la gente del suo paese possa trovare presto libertà e democrazia
dopo tanto travagliare, si chiude così la sua ucronia; nel corso di essa, Ivan
ha dovuto sostenere un importante confronto con sé stesso e la propria vita, il
che è qualcosa che anche tutti noi ogni tanto dobbiamo fare… Forse non avrà
trovato una risposta definitiva, né sarà in grado di cambiare da un giorno
all’altro, ma l’accettare sé stessi e i propri problemi è dopotutto un
importante primo passo; capire che cosa davvero vogliamo, e che a volte
dimentichiamo, ne è un altro, grazie al quale sarà sempre in grado di scampare
all’oscurità, al freddo e alla sofferenza della solitudine.
Ho
dispensato anche troppa saggezza per un solo capitolo credo, quindi la chiudo
qui, sperando di avervi ispirato tante interessanti riflessioni ^__^
Ed
ora arrivederci all’epilogo cari, lettori, con cui si chiuderà ufficialmente
questa fantastica storia di storie alternative ^__°
A
presto!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!