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Autore: happylight    15/01/2013    1 recensioni
È un modo strano di osservare la città, quello.
Islanda muove i primi passi sicuri, per poi scivolare veloce sul ghiaccio. Si lascia trasportare dalla velocità un attimo, il vento leggero che gli scompiglia i capelli candidi, ed alza il capo a guardare le mura inclinate delle case che sembrano incombere su di lui, lì sopra gli argini del canale ghiacciato.
Sembra tutto diverso in qualche modo, è come se la città lo volesse abbracciare, farlo sentire parte di sé. È piacevole, avere il freddo sulla pelle e sentirsi così circondati, come protetti.

[Spin-off di Amsterdam]
[Prima classificata al contest Amsterdam indetto da AmyLerajie sul suo blog]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Islanda, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spin-off della fanfiction di AmyLerajie "Amsterdam"

 

Prima classificata al contest Amsterdam indetto da AmyLerajie sul suo blog.
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È un modo strano di osservare la città, quello.

Islanda muove i primi passi sicuri, per poi scivolare veloce sul ghiaccio. Si lascia trasportare dalla velocità un attimo, il vento leggero che gli scompiglia i capelli candidi, ed alza il capo a guardare le mura inclinate delle case che sembrano incombere su di lui, lì sopra gli argini del canale ghiacciato.

Sembra tutto diverso in qualche modo, è come se la città lo volesse abbracciare, farlo sentire parte di sé. È piacevole, avere il freddo sulla pelle e sentirsi così circondati, come protetti.

Si ricorda all’improvviso di essere in mezzo alla folla di Amsterdammers che si sono riversati a pattinare sui canali ghiacciati, e cerca di prestare più attenzione; vorrebbe evitare di investire i bambini biondissimi che gli sfrecciano attorno a tutta velocità reggendo in mano mazze da hockey e lanciando grida entusiaste, oppure di sbattere contro uno dei tanti tavolini che sono stati sistemati sul ghiaccio, dove la gente ha appoggiato dei piccoli fornelli da campo per riscaldare il vino.

Islanda torna lentamente indietro su i suoi passi e vede che Olanda è ancora lì fermo dove lo ha lasciato, seduto sul bordo della piccola barchetta di legno rimasta incastrata dal ghiaccio e trasformata in una momentanea panchina per chi deve allacciarsi i pattini.

Lo vede lì, a fissare il ghiaccio con un’espressione scocciata, gli occhi storti come se volesse sfidare la lastra che ha ricoperto tutti i canali di Amsterdam.

Ad Islanda sale spontaneo un sorriso sulle labbra: se tutti gli olandesi attorno a loro sapessero che razza di imbranato è la personificazione della loro nazione quando si tratta di pattinare probabilmente si metterebbero a ridere.

Ed invece eccolo lì, Jan, a guardare il ghiaccio come ad avvertirlo di non farlo cadere. Come se potesse essere colpa sua, o come se questo potesse salvarlo da una sfilza di capitomboli.

Islanda sente un moto di tenerezza per quell’uomo grande e grosso e ricorda un giorno di anni passati, quando l’olandese l’aveva portato in quella grande arena dal nome nordico, e lui con grande pazienza l’aveva aiutato a mettere un piede traballante dopo l’altro sul ghiaccio della pista.

Scivola fino ad arrivare dall’olandese e si siede accanto a lui sul bordo della barca, poggiando le mani sul legno ed alzando gli occhi al cielo terso e azzurrissimo; poi rivolge lo sguardo a Jan, che ha ancora quell’espressione imbronciata.

“Sai” comincia Islanda, cercando di suonare il più convincente possibile “Non devi farlo per forza, Jan.”

L’altro scuote il capo, guardando sempre avanti. “Capita così raramente che il ghiaccio sia spesso a sufficienza da potervi pattinare, non voglio perdermelo. Poi ci toccherebbe forse aspettare altri dieci anni.” Jan si volta verso di lui e prova a piegare le labbra in su, cercando di non far vedere come la cosa lo agiti.

Islanda si immerge un attimo in quel sorriso nervoso, prima di alzarsi in piedi, ruotare su se stesso e porgere una mano all’olandese.

Quello lo fissa un attimo, incerto, prima di afferrare il palmo dell’islandese e farsi tirare su in piedi. Olanda traballa un attimo, l’equilibrio instabile, e Islanda lo sente aggrapparsi alla propria mano come se fosse un’ancora di salvezza.

Gli viene da ridere, ma cerca di trattenersi. Non sarebbe carino prenderlo in giro quando sta facendo tutti quegli sforzi –ne è consapevole- solo per fargli piacere. Forse lo farà più tardi, ma solo un pochino.

Islanda scivola piano all’indietro, trascinando con sé Olanda, che ha le gambe rigide e rischia di inciampare sulle punte delle lame dei propri pattini.

“Rilassati, Jan.” gli sussurra, afferrandogli anche l’altra mano e tenendole entrambi davanti a sé, cercando di dargli più sicurezza “Devi piegare le ginocchia e tenere le gambe morbide.”

“Una cosa alla volta…” replica lui, e Islanda non riesce a non sorridere, perché tutto sembra troppo una replica di quel giorno lontano al Thialf. 

Ma stavolta Jan sembra cavarsela meglio; pochi passi lenti e sembra che la tensione un pochino si sciolga, e le lame scivolano sul ghiaccio senza problemi. Islanda continua per un po’ a pattinare all’indietro, sperando di non travolgere nessuno, prima di lasciare una mano dell’olandese e mettersi a pattinare di fianco a lui.

Jan procede fissandosi i piedi e Islanda sta attento a dirigerlo bene in mezzo alla gente che affolla il canale, finché non si sente abbastanza sicuro da alzare lo sguardo e godersi la città ghiacciata.

Islanda inspira forte e sente il freddo entrargli dentro, il naso pizzicare e la mente svuotarsi di ogni cosa.

È tutto perfetto. La gente sul Prinsengracht, il campanile alto e scuro della Westerkerk in lontananza, la mano di Jan nella sua. Sente il calore della sua pelle anche attraverso il guanto, e come trema leggermente quando i pattini prendono un po’ di velocità.

Per un momento Islanda desidera cristallizzare quel momento in qualche modo, e potere tenerselo dentro come un segreto.

Si sente felice, completo, e non gli sembra sia possibile.

Il vento soffia un po’ più forte alle sue spalle, e Islanda si lascia trasportare un attimo; lascia la mano di Jan e sfreccia in avanti, l’aria gelida che gli fischia nelle orecchie.

Non sente il moto di sorpresa del compagno dietro di sé. Islanda scivola via e chiude gli occhi.

Gli sembra che tutti i mesi passati lo abbandonino, tutta l’incertezza e il dolore, quei momenti odiati in cui sentiva ciò che lo univa a Jan sfilacciarsi via lentamente, come un vecchio vestito.

Il vento soffia e porta via tutto. Non fa più male pensarci. Il ricordo è solo un ricordo.

Rivede se stesso, in piedi nella stanza di Jan, in mano il grosso quaderno di pelle che credeva contenesse le famose poesie che l’olandese scriveva in segreto, e che invece erano piene di vecchie lettere disperate, tutte indirizzate a Danimarca. Sentire quella morsa alla gola, nel leggere la scrittura ordinata confessare al danese un amore segreto, un tormento nascosto agli occhi di tutti.

È solo un ricordo adesso, nient’altro. Scivola via.

Jan che lo scopre, le dita che sfogliano incredule le pagine, mentre nella sua mente tutto prende il giusto posto. Quel “Dio! Ma cosa diavolo stavo pensando, sei suo figlio!” in una camera ad ore in un pessimo albergo della città, e tutti gli altri piccoli minuscoli dettagli insignificanti.

È passato, non fa più male.

L’incredulità, a cui segue il sospetto, a cui segue la gelosia, a cui segue la rabbia. Mesi di gelido silenzio, in cui qualcosa brucia costantemente nello stomaco.

Ancora non riesce a credere che siano riusciti a superare tutto. Ma è successo.

Ed è merito di Jan, della sua testardaggine, del suo ostinato e continuo tentativo di voler aggiustare le cose, di affrontare tutti i rischi e quello che ne segue per abbattere lo spesso muro di ghiaccio che Islanda erge attorno a sé. Con calma e pazienza infinita lo scioglie con il suo calore.

Perché lo sa, glielo ha detto e ridetto mille volte, e mille volte ancora. Quello è il passato, lontano e distante, cose vecchie ed arrugginite.

Adesso c’è solo lui. C’è solo Eirik.

Islanda ferma la propria corsa, frena i pattini e guarda in su. È proprio sotto il campanile, e osserva la luce del sole rifrangersi sulla punta azzurra e dorata.

Cerca di calmare il respiro affannato, chiude gli occhi e si concentra sulle voci della gente attorno a lui, sul rumore delle lame che tagliano il ghiaccio, lo rendono più sottile e più fragile.

Resta immobile, finché non sente delle dita intrecciarsi alle proprie. Le stringe forte, poi apre gli occhi e si volta verso l’olandese.

Gli occhi verdi lo guardano curiosi, e lui vi legge mille cose.

“Ti ho raggiunto.” sussurra Jan, e gli sorride.

Eirik sorride a sua volta e si stringe di più al fianco dell’olandese.

Non ha intenzione di lasciarlo allontanare.

   
 
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