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Autore: past_zonk    16/01/2013    1 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
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Image and video hosting by TinyPic ...Ok, gente che pensava che questa fanfiction fosse in pausa: vi sbagliavaaaate! Ahauahauah. No, vabè, ma nessuno mi segue tranne la mia elfetta, quindi con chi sto parlando? Oook, chissenefrega!
Questo capitolo è il mio preferito, in assoluto asghashgsgaghas. Questa presentazione non ha il minimo senso, davvero.
Un paio di note prima di iniziare: la canzone che si sente a fine capitolo è Minor Swing di Django. BENE.
Addio, VI HO AMATI
eveyzonk.



Jumpin’ in a dream – capitolo settimo.
Zittire.

 
 
Rikku aspettava.
Camminava ed aspettava, tremava ad un lampo e aspettava, si fermavano per riposare sotto una torre parafulmine ed aspettava.  
Cosa? Braska.
Aspettava che si girasse verso lei e le chiedesse: “vuoi divenire mia guardiana?”.
Ma non rimaneva in stasi solo per quello. Aspettava anche e soprattutto la risposta che lei stessa avrebbe dato all’invocatore.
Al momento Rikku si sentiva imprevedibile.  Auron le aveva detto di rifiutare, per il bene del pellegrinaggio, e blablabla, ma in realtà non stava a lui decidere. Ad un tratto realizzò che non gliene fregava veramente, veramente un cazzo di Auron. Che pensasse quel che voleva.
“Ti dicevo, a Zanarkand ero un grande blitzer. Tutti mi amavano, roba che appena mi vedevano WOAAHHHH QUELLO E’ JEEECHT, e così via…”
Il terriccio della Piana dei Lampi le si era attaccato sotto le suole degli stivali, i capelli erano elettrizzati (aveva schivato un lampo per pochissimissimo), gli occhi erano spenti e stanchi dalla notte insonne ancora da smaltire. Affianco a lei camminava Jecht, instancabilmente logorroico, con passo sostenuto e la sua solita scelta di abbigliamento. Come facesse non lo sapeva.  Insomma, chiunque sarebbe morto assiderato, stecchito a terra come Tidus quando le faceva credere d’essere stato punto da una di quelle api killer della Piana della Bonaccia.
“E beh, è stancante, dopotutto. Sai, ragazze che piangono, altre che aprono le…ehm…EHM…Poi tutto il caos appena compari sullo stradone principale! Sai, quello che quando giri a sinistra vai verso la via delle pizzerie? Quella in cui ti dicevo mio figlio usciva la sera con i tre schizofrenici dei suoi amichetti? Proprio lì…AH! Bei ricordi, belle pizze. Pizze di tutti i tipi. Pizze per tutti. Pizze, insomma! Di cosa stavo parlando, ancora…?”
Ecco, restando in tema di mostri: lì ce n’erano di spaventosi, oltre Jecht, e oltre i soliti occhi volanti, giganti di ferro, elementi di tuono (brrr!) e chimere cornute (eheh), Rikku era riuscita persino a catalogare due o tre specie mai viste prima (probabilmente estinte) – tra cui un serpente piumato di uno sgargiante rosa, che Jecht aveva proposto alla bionda di utilizzare come sciarpa, proposta poi saggiamente rifiutata (visto anche lo sguardo di Auron).
Mostri estinti…! Il vecchio dello Zoolab avrebbe adorato averne dei campioni. Chissà se c’era, lo Zoolab, in quest’epoca? Ad Auron sarebbe piaciuto visitarlo, e perdersi nei continui combattimenti di quel posto. Dopotutto era un giovane abbastanza competitivo…
“In realtà il sushi non mi piace. Mia moglie è convinta che io adori il sushi, perché sai – una lunga storia – lo andammo a mangiare al nostro primo appuntamento, ed io non potevo fare la figura del cretino, anche perché vantavo gusti raffinati, all’epoca – quando mia moglie ancora non sapeva che preferissi il grasso di maiale al vino rosso casereccio dei vigneti di Zanarkand est…”
La coscienza del fatto che in quell’istante, mentre camminava svogliata, Rikku non avesse pensato ad Auron riferendosi al suo vecchio Auron, il mitico guardiano, la colpì. Era insolito, per lei.
Non aveva riflesso in questo giovane ragazzo yevonita i gusti e i tratti dell’uomo che un tempo conosceva ed adorava.
Aveva pensato: a quest’Auron piacerebbe lo Zoolab.
Con un sospiro sommesso continuò a camminare.
“Rikku?”
Non è che forse era nervosa perché le dovevano venire? Mh, pensava di aver calcolato bene, e avrebbe come minimo dovuto aspettare una settimana…
“Biondina?”
A meno che i viaggi temporali non facessero sbalzare il ciclo…
“RIKKU MI STAI ALMENO ASCOLTANDO?!”
L’albhed fu riportata alla realtà dalle mani di Jecht che le pizzicarono leggermente la spalla.
“Aouch! Sì, sì, sì ti sto ascoltando!” urlò la ragazza con uno sguardo assassino.
Assicuratosi dell’attenzione del suo interlocutore, Jecht parve calmarsi. Rimase in silenzio per qualche istante, poi cominciò a fare una larga panoramica dei modelli di jeans che era abituato ad indossare. Cambiavano con il cambiare della moda; a zampa, a vita alta, stracciati, a vita bassa. Il discorso di Jecht portò anche ad una certa denotazione della situazione sociopolitica di Zanarkand, il tutto interpretato secondo i gusti estetici in quanto jeans delle persone. Robe del tipo: quando erano a zampa, non era solo l’estremità della caviglia del pantalone ad essere ampliata, ma anche la mentalità di chi li indossava.
Discorsi che necessitavano di una certa attenzione. Voli pindarici che neanche si potrebbero spiegare. E poi Jecht neanche indossava dei jeans, al momento, se proprio la si voleva dire tutta…
Rikku stava per impazzire. La pioggia batteva perpetua, senza mai fermarsi.
Davvero speri si fermi?
NGH.
“Jecht”
La voce di Auron fece scattare la testa di Rikku all’insù. Il cuore le batté un po’ più velocemente nel petto, mentre osservava il giovane.
I suoi capelli erano slegati, oggi. Non sapeva precisamente perché, ma non poteva fare a meno di osservarlo e sentire una presa allo stomaco.
La sua mascella seguiva un percorso mascolino e forte, per salire poi alle labbra piene, al naso dritto e agli occhi castani, quasi sul cremisi. Il taglio e la forma degli occhi erano particolari, donavano all’uomo una certa componente affascinante.
E poi c’era la sua presenza. Era alto, slanciato, muscoloso ma non troppo – quando dormiva, con una semplice e sottile maglia di cotone nera indosso, Rikku poteva seguire con lo sguardo la linea accennata di un addominale, oppure la concavità del suo stomaco piatto comprimersi nel respirare –, insomma…era perfetto.
E poi la pioggia gli donava, pensò.
Rikku disse a se stessa di non chiedersi il significato di quella affermazione; era più che altro una sensazione, il fatto che la pioggia lo facesse sembrare più bello.
“Auron, che vuoi?” disse un po’ scorbutico l’altro uomo.
“Mi stai facendo venire un mal di testa”
Braska si girò verso i tre, scambiando uno sguardo di complice esasperazione con l’albhed, quasi s’aspettassero una litigata fra i due testardi guardiani.
“Non si può neanche parlare, ora?” scattò il blitzer.
Auron sbuffò forte, visibilmente irritato.
“Jecht…quello che Auron cerca di dire…” provò a spiegare Rikku. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei “…è che, insomma, va bene parlare, ma con…mh, parsimonia…”
I tre uomini fissarono Rikku in silenzio per qualche istante. Poi Jecht, con un sorriso blando, si voltò verso l’invocatore per dire: “Sbaglio o ha appena difeso lo scorbutico, qui?”, facendo cenno con la testa verso Auron.
Braska ridacchiò.
I quattro continuavano a camminare, lentamente, passando di parafulmine in parafulmine.
“Comunque” continuò poi l’uomo da Zanarkand “Sono l’unico a voler fare un po’ di conversazione, per questo parlo sempre io. Perché non parlate un po’ voi?” chiese con tono esasperato.
“Perché è proprio necessario parlare?” ribatté Auron, imitando quasi il tono prima usato dall’abbronzato.
“Perché se si discute fra compagni, ci sono più possibilità che il lavoro di squadra durante i combattimenti aumenti” disse Rikku, faccia da sapientona.
 “Concordo con lei” annuì Braska.
“Deciso! Di che parliamo allora?” chiese Jecht, radiante.
“Spero non di jeans” borbottò Auron, annoiato.
“Mhhh!” Rikku fece una sorta di piroetta, come se la aiutasse a pensare meglio “facciamo così, un gioco a domande! Uno fa una domanda e tutti rispondono, colui che chiede compreso”
“Mh, per me va bene”
“Sfida accettata biondina!”
“Ngh, io vado avanti a perlustrare”
“AURON!” si infiammò l’albhed “Non puoi scappare dal gioco”. Corse verso l’uomo, puntandogli un dito sul petto.
Auron alzò un lembo della bocca in un ghigno stiracchiato “Dimmi di nuovo cosa devo fare e giuro che ti lego ad una di quelle statue con i tuoi amici kyactus sopra e ti lascio in balìa dei fulmini” disse il moro con voce roca, senza far udire gli altri. Poi abbassò uno sguardo severo sulla ragazza, strizzando leggermente gli occhi in un espressione…violenta.
Rikku sentì un brivido percorrerle la schiena. Guardò in silenzio negli occhi il monaco, spaventata e allo stesso tempo attratta da quella sua attitudine. Poi arrossì e girò sulle punte, allontanandosi.
“Come non detto!” disse con voce un po’ più alta del dovuto, ancora scossa dallo scambio di sguardi di poco prima.
“Auron, suvvia!” fece Braska “…per piacere”
“Mh, d’accordo, ma se non voglio rispondere non rispondo”
“Ok, ok, mister elusivo! Inizio io!” fece la ragazza “Colore preferito? Verde!” disse, mantenendosi sul sicuro.
“Blu” disse l’invocatore.
“Giallo!” esclamò Jecht.
“Mh. Rosso”
“Ma dai! Ora io, ora io, biondina! Mh, allora, argh…il vostro primo bacio? Io ad una ragazza più vecchia. Ero già un figo!”
Rikku rimase un attimo interdetta “Anche io” rispose, facendo ridacchiare Jecht.
“Una commessa che vendeva pozioni” disse Braska, timido.
“Passo” mormorò Auron.
“Ed io che l’avevo chiesta appositamente per te!” ruggì Jecht.
“Braska tocca a te!”
“Fatemi pensare…Hobby? Io voto per la pesca”
“Oltre fare l’amore?” chiese Jecht, ridacchiando “…Mh, Blitzball?”
“Direi andare a caccia di tesori…”
“Leggere” disse annoiato Auron.
Poi tutti rimasero in attesa della domanda di Auron, in silenzio. Il ragazzo sembrava star riflettere. Poi parlò.
“Siete in battaglia, avete davanti a voi un nemico da sconfiggere per il bene del paese. Un vostro amico sta per morire, ma si può ancora salvare. Che fate?” fu la domanda seria dell’uomo.
Braska rimuginò un po’ sulla domanda “Auron, perché sei sempre così complicato? Comunque…se è per il bene del paese, credo ucciderei il nemico…” disse quasi a malincuore l’invocatore.
“Io non sarei in battaglia, quindi non è un problema mio!” esclamò Jecht, facendo alzare ad Auron gli occhi al cielo.
“Io…Lo so che sembra egoista, e…insomma sono egoista, quindi salverei il mio amico. Lo so che probabilmente per mano del nemico, se non lo uccidessi, morirebbero molte più persone, ma per me un amico è la cosa più preziosa. Non potrei lasciarlo lì a morire”
Rikku corrucciò lo sguardo verso il terreno umido della Piana. Sapeva che Auron l’avrebbe contraddetta con la sua aria di superiorità. Era statistico. Aspettò il commento con rassegnazione.
“Auron, tu non hai risposto mi pare” fece notare l’invocatore, curioso.
Il giovane osservò per un attimo l’albhed, riflessivo “Sono d’accordo con Rikku”
L’albhed alzò velocemente gli occhi verso di lui, arrossita vistosamente.
Vide un qualcosa di incuriosito nello sguardo di Auron, prima che si girasse e proseguisse nella sua direzione, chiaramente abbandonando il gioco.
Il brivido di poco prima non si decideva ad abbandonarla.
 
 
 
A lui piaceva quella pioggia.
Se avesse dovuto catalogare le – poche – cose che gli piacevano davvero, la pioggia avrebbe avuto un buon posto in classifica.
Gli piaceva il modo in cui gli scorreva sui vestiti, in cui – incurante – lo toccava, il modo in cui strisciava e raggiungeva e s’insinuava.
Ad Auron piaceva la pioggia perché lavava le persone, donava una nota diversa, dava loro qualcosa di aggiuntivo rispetto al solito odore che si portavano dietro; se Braska solitamente profumava di talco, insieme alla pioggia il suo odore assumeva una nota più malinconica.
Jecht – che naturalmente puzzava di vino, oppure di qualcosa che assomigliava al curry – bagnato dalla pioggia aveva lo stesso esatto odore di un cane bagnato.
Rikku…
Auron non sapeva davvero spiegarselo.
Non riusciva ad incastrare l’odore di Rikku con un paragone ben preciso; poteva tanto profumare di caramelle alla liquirizia, quando puzzare di olio di motori. Oppure entrambe le cose. Vari mix, tra spezie albhed, shampoo alla mela, polvere da sparo, smalto per unghie, sangue, borotalco, sudore, lucidalabbra fruttato.
E con la pioggia quelle sue note caratteristiche si spandevano, danzando nell’aria.
Fin da bambino, Auron aveva giocato a provare ad indovinare l’indole delle persone esclusivamente dal loro odore. Questo gioco era rimasto un suo tratto caratteristico. Ogni volta che ritrovava se stesso ad odorare un’altra persona, si rallegrava e si prendeva in giro allo stesso tempo, felice di poter ritrovare in se stesso una traccia di un lui più bambino. Nessuno sapeva quanto ad Auron mancasse l’infanzia che non aveva vissuto veramente.
Era per questo che si irritava con se stesso – e si schiaffeggiava mentalmente, dicendo ‘cazzo Auron smettila’ – quando si ritrovava a pensare all’odore di quella ragazza.
Perché mai, mai, aveva fallito nel leggere qualcuno.
 
 
La luce era fioca nella caverna, Rikku cercava di mantenere viva la fiammella che era riuscita a creare con una magia fire. Auron aveva la testa poggiata al muro e pensava, pensava intensamente a qualcosa che lo distraesse dalla realtà.
Davvero non doveva permettere a se stesso di ricordare perché era in quella situazione.
Naturalmente fallì.
La grotta era umida, fredda, si sentivano i tuoni in lontananza, e più vicino, invece, varie imprecazioni albhed lanciate sotto fiato dalla bionda.
Auron non voleva proprio ricordare come s’era ritrovato in quella situazione di merda.
“Cazzo!” Rikku piagnucolò, cadendo sulle ginocchia ed irritandosi a tal punto che un paio di lacrimoni le spillarono dagli occhi.
Auron decise di non aver mai visto una ragazza piangere per cose così stupide.
“Fammi uscire di qui” si lamentò ancora una volta la bionda.
Auron sbuffò e rimase in silenzio.
“Hai davvero intenzione di non fare niente?!” incalzò lei.
Silenzio.
“Auron!?!”
Se Auron avesse risposto, Rikku avrebbe pregato per quel silenzio che invece ora le stava concedendo.
“Hm”
Il fuoco si spense.
Auron grugnì, si massaggiò il ponte del naso, e pensò che Braska avrebbe trovato qualche sorta di metodo per liberarli da quella grotta.
“Senti, Auron. C’è solo un modo per uscire da questa grotta…”
“HO DETTO CHE NON HO INTENZIONE DI GIOCARE!” sbottò il ragazzo.
La sua voce rimbombò fra le pareti di pietra gelida.
“Ok…ok, stai calmo” borbottò l’albhed.
“Braska arriverà alla locanda in mezza giornata; chiamerà qualcuno e ci verranno ad aprire”.
In realtà era stata tutta colpa di Rikku.
Le era sembrata malinconica per tutta la giornata precedente (il giorno in cui erano appena arrivati alla Piana dei Lampi), e per quella notte s’era irritata quando avevano deciso di lasciare una tenda più piccola solo per lei. Aveva detto d’aver paura dei tuoni e dei fulmini, ma Auron non riusciva neanche a pensare a quel suo, diciamo, tratto caratteristico come ad una fobia. Gli sembrava impossibile aver paura di una cosa del genere. Era insensato.
Quella mattina la bionda aveva le occhiaie, e digrignava i denti mentre dichiarava un acuto mal di schiena. Inoltre, per la metà mattinata che avevano trascorso camminando (e dialogando fra loro), Rikku non aveva aperto bocca – cosa alquanto strana per la ragazza – ed era rimasta alquanto sulle sue.
Auron sapeva che il suo atteggiamento  poteva essere tenuto al suo – innegabile, nonostante i comportamenti bruschi – essere una ragazza. Decise di non volerlo sapere, in ogni caso.
Ad un tratto, mentre il gruppo procedeva a velocità media-alta, Rikku s’era fermata davanti a quella grotta.
“Ho bisogno di parlare con Auron. In privato.”
Auron era rimasto alquanto stupito dalla richiesta della ragazza, ma immaginò subito che volesse parlare del pellegrinaggio, quindi annuì e la seguì nella grotta, fra le risate di Jecht – che cavolo avesse da ridere non lo sapeva – e i cenni rassicuranti di Braska.
“Senti” iniziò a dire con tono nervoso “Jecht mi avrebbe preso in giro per tutta la vita, e Braska si sarebbe preoccupato fin troppo se mi avesse sentito: io non posso dormire da sola.”
Auron alzò il sopracciglio “Non puoi?” chiese sbalordito.
Rikku sbuffò forte “NO! Non posso! Mi viene un infarto!”
Auron alzò il lato d’un labbro, ironico “Non vedo dove sia il problema”
Rikku lo stava per picchiare.
Poi, improvvisamente, la pietra che faceva da porta alla grotta si chiuse, alzando polveri e facendo tossicchiare i due.
Avevano scoperto che la grotta aveva una sorta di antico meccanismo, un giochetto, un indovinello per far riaprire l’uscita.
Ora però la situazione era ferma ad un punto morto.
Auron aveva vissuto abbastanza, militato abbastanza ed affrontato abbastanza missioni di quel genere da sapere che era una trappola. Lo sentiva.
“Bene” disse Rikku “Io gioco”
Auron sbuffò forte, poi pensò che non poteva davvero impedirglielo, quindi la lasciò andare. Rimase seduto al suo posto, per una mezz’oretta, con la testa contro la pietra fredda della caverna, ad ascoltare gli squittii e le riflessioni ad alta voce che Rikku si lasciava scappare.
“Auron! AURON!”
Aveva deciso in precedenza che l’avrebbe lasciata a se stessa, però quando la voce dell’albhed urlò il suo nome, un battito gli mancò al cuore e saltò in piedi, correndo fino a raggiungerla, all’estremità della grotta. Quando la trovò perfettamente in salute, e scoprì che la sua paura era stata immotivata, la vena sulla fronte gli si gonfiò dall’irritazione.
Era irritato soprattutto dal fatto che s’era, effettivamente, spaventato per l’albhed.
“Cos’hai da urlare così?!”
“T’ho spaventato?” chiese lei con voce ironica.
“No” mentì.
“Ho bisogno che tu colpisca qui con la tua katana”, gli disse.
Auron alzò gli occhi al cielo.
“Non colpisco niente”
Quando Rikku simulò per l’ennesima volta quel gesto – le mani sui fianchi e le guancie gonfie dall’irritazione – Auron si frenò dal ridacchiare. La trovava buffa, ma non l’avrebbe mai ammesso. Non l’ammetteva neanche a se stesso.
“Daiiii…”
L’espressione arrabbiata si mutò in una di tristezza. Le sopracciglia prima aggrottate si incurvarono in una forma perfettamente concava, il labbro inferiore scivolò in avanti, il mento si ingrugnò in un tremolio impercettibile. L’espressione degli occhi era però ancora giocosa, anzi, era persino complice, come se gli dicesse di stare al gioco e non ignorarla.
“Non compri il mio consenso con questi giochetti eretici” disse lui, ironico.
“Ah no?”
L’espressione cambiò ancora una volta. Un sopracciglio ora era più in alto dell’altro, le lunga ciglia nascondevano le iridi, il labbro inferiore veniva mordicchiato da un canino di porcellana, le ginocchia erano chiuse verso l’interno, le mani unite dietro la schiena.
“Ti prego” gli disse, in voce bassa.
Auron tossì. Si girò di spalle e spalancò gli occhi.
Donne. Donne! Demoni.
“Auron…” lo chiamò, con tono di lamento.
“VA BENE!” Auron si girò, leggermente arrossito, e – senza guardarla – le chiese dove dovesse colpire “però smettila, sei odiosa e irritante”
“Cos’è ti da fastidio aver perso?” chiese lei con sguardo soddisfatto.
“Non ho perso un bel niente!”
Rikku indicò un punto (all’occhio umano normalissimo) sul muro.
Auron sollevò la sua katana e diede un colpo secco.
La caverna cominciò a tremare leggermente, qualche pietruzza cadde dal soffitto. Auron si guardò intorno e cercò di affinare i sensi.
Una ventata d’aria entrò nella caverna, Rikku sorrise. Il ragazzo si fermò ad osservarla per qualche secondo prima di chiederle bruscamente cosa fosse successo.
“Ho aperto la porta” disse, semplicemente, scoppiando in una risata.
Auron sbuffò e si diresse verso l’uscita.
Se non l’avesse fatto subito, avrebbe corso il rischio di finire col ridere con lei.
 
Una volta arrivati all’uscita, Auron sentì subito qualcosa di diverso. Come…un magnetismo.
Non c’era davvero modo di percepire quelle cose, soprattutto quando poi lui era un guerriero e non un mago, ma l’istinto di Auron aveva quasi sempre ragione.
Osservò la ragazza dirigersi verso la cavità.
“Rikku, non–“
Troppo tardi. La ragazza fu lanciata indietro da una sorta di forza. Una barriera…
“Auch! Che cazz…”
Il guerriero le andò vicino, le porse controvoglia la mano per aiutarla ad alzarsi, irritato dalla sua impossibilità di fermarsi a riflettere.
L’albhed rifiutò l’aiuto e si tirò su in un salto.
“Mh, sembra ci sia una barriera” disse preoccupata.
“Pf”
“Non provare a dire ‘te l’avevo detto’, Mr. Antipatia!!!” urlò la ragazza.
Auron alzò gli occhi al cielo. Quanta pazienza stava sfruttando?
“Come usciamo di qui?” chiese, frustrato “Sembra un qualche meccanismo albhed, no?”
“Beh, in effetti sì…”
Rikku cominciò ad esplorare nuovamente le pareti della caverna, speranzosa di trovare qualche indizio.
Auron non provò nemmeno a infrangere la barriera con la sua katana: sapeva sarebbe stato inutile. C’erano dei limiti che i guerrieri dovevano conoscere. Quello non era il suo campo.
“Eccolo!”
Il ragazzo camminò svogliato verso il muro scuro dove la ragazza stava cercando di leggere qualcosa.
Sembrava albhed.
“Che cos’è?” chiese, indicando le lettere incise nella pietra.
“Un…indovinello, credo…”
“In albhed?”
“Già” disse lei, cominciando a spolverare con le dita le lettere “Allora…vediamo un po’…” la ragazza fece fiorire una piccola fiammella sul palmo per permetterle di leggere con più chiarezza.
Una volta lette le parole, la bionda sgranò gli occhi e rimase in silenzio.
La scritta recitava: Ca te xie di jiue byccyn
ih pam pyleu taje tyn
syclre, tuhha a lyh bancehu:
huh ce clybby tym tacdehu!
“Allora?” chiese, irritato, l’uomo.
“Dice…ehm…se di qui tu vuoi passar…
“Hm, continua”
Rikku sbiancò “Non so quanto ti possa far piacere sentire come continua…”
Auron si preoccupò per un istante, poi deglutì “Continua” ripeté.
“Un bel…bacio…devi dar…”
Gli occhi di Auron si sgranarono.
Rikku abbassò gli occhi al terreno, continuando “Maschi, donne e can persino…non si scappa dal destino…”
Il monaco sospirò. Poi si grattò la nuca.
“Hm”
Rikku ridacchiò nervosa “Allora…vado io o vai tu?” chiese.
“Scusa?”
La ragazza strisciò un piede sul terreno, facendo alzare un po’ di polvere.
“Intendo…col…bacio…”
“No, no” Auron ridacchiò, acido “Non c’è alcuna possibilità che…io…beh…insomma…” non sapeva che dire, così tossicchiò, imbarazzato fino all’osso.
I due rimasero in silenzio, solo il rumore delle gocce di pioggia in lontananza.
Poi Auron sbuffò forte, irritato, e si girò verso Rikku, tutta rossa e occhi spalancati. Si avvicinò, veloce e secco, e le stampò per un momento le labbra sulla guancia. Fu un battito d’ali.
Il cuore di Rikku fece un doppio salto mortale all’indietro.
La scritta dal muro scomparse: al suo posto, ne uscì un’altra.
Rikku deglutì forte e poi lesse, con voce tremante “Mai di qui voi uscirete…” iniziò. Tossicchiò nel leggere le righe che seguivano.
L’espressione di Auron era terrorizzata.
“Mai di qui voi uscirete” ripeté “…se sulla bocca non vi bacerete…questa è la grotta dell'imbarazzo, dove persino chi è sano…diventa pazzo…” la voce di Rikku aveva raggiunto un volume microscopico e inaudibile.
Auron si girò di spalle, nascondendo la maschera di imbarazzo misto a disperazione che gli dipingeva la faccia.
Ancora, come s’era cacciato in quella situazione?
Rikku sospirò “Beh, immagino rimarremo qui a vita” disse, un po’ triste.
Auron strinse la mascella. Poi sospirò anche lui.
Rikku ridacchiò “Non facciamone una tragedia, su” cerco di tirarlo su la ragazza “…Aspetteremo Braska…”
(In realtà dentro lei si dibatteva la voglia di baciarlo, perché voleva baciarlo, lo voleva davvero; perlopiù lo voleva per provare a se stessa che era sbagliato, che non erano fatti l’uno per l’altro. Per liberarsi. Perché Auron era così: rischiava di trascinarti con sé nell’abisso dei suoi occhi).
“Perché dovete essere sempre così?” mormorò sottovoce il monaco, a denti stretti.
“Così come?” chiese seria Rikku, guardando le spalle dell’altro.
“Stupidi!” urlò in risposta, girandosi improvvisamente “Così…stupidi!” ripeté, alzando la voce in maniera così poco da lui e gesticolando.
Rikku sembrò ferita.
“Non fate altro che pensare a tutto come un gioco! Beh, non lo è! Non lo è affatto! Non fate altro che ridere, e divertirvi, e dire giochi osceni, quando non c’è nulla per cui essere allegri! Estremamente nulla! Vi odio! E odio Sin, e odio i vostri indovinelli del cazzo!”
Auron aveva il fiatone, gli occhi erano leggermente spalancati, l’espressione turbata. L’eco della sua voce ancora risuonava nella caverna, quando Rikku ridacchiò, un po’ amara.
“Non capite proprio, vero?” chiese.
“Cosa?” la voce dell’uomo ritornò relativamente calma.
Rikku continuava a ridere, amara.
Auron camminò un paio di passi verso lei.
“Pensa a come dobbiamo, come debba sentirmi…ad essere guardata dalla testa ai piedi, giudicata, disprezzata in ogni momento. A sentirmi riferire con soprannomi decisamente poco carini, a non poter partecipare a questo pellegrinaggio, anche se in questo mese mi sono affezionata a voi, e darei volentieri la mia vita per proteggere ognuno di voi…Pensa come debba sentirmi a cercare d’essere sempre allegra. Sorridere, sorridere, saltellare: ecco l’allegra Rikku! La ragazza senza una casa, né famiglia, sola e odiata perché ha le mani sporche e puzzolenti di olio! SAI COSA C’E’?” gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime “…sai cosa?” ripeté, con voce rotta “Non vorrei neanche per un istante essere baciata da una persona che la pensa com–“
Rikku non poté finire la frase.
Una scossa le percorse tutto il corpo.
Le labbra di Auron erano sulle sue.
Forti, marmoree, si mossero con paura, quasi. Lentamente, Auron le risucchiò le labbra e l’anima. Sembrava fosse tutto successo in un millesimo di secondo. Un lampo, e le loro labbra erano unite.
Gli occhi di Rikku, ancora spalancati dalla sorpresa, si chiusero lentamente, e le sue labbra cominciarono a muoversi a ritmo con quelle del ragazzo. Sembravano perfetti. Si incastravano perfettamente.
Il sapore delle lacrime salate si mischiarono a quelle della loro saliva. Fu un bacio un po’ impacciato, in effetti, ma Rikku non osò lamentarsi. In effetti non osò pensare.
Dopotutto, sarebbe stato impossibile, viste le urla animalesche della fangirl sopita che era in lei, e che stava sbraitando di gioia.
Poi ad un trattò finì. Auron si staccò per primo, e con uno sbuffo si diresse verso l’uscita ora libera.
“Sembrava l’unico modo per farti star zitta” mormorò, abbandonando la grotta e lasciando una sconvolta Rikku dalle ginocchia molli ancora lì dentro.
In realtà le ginocchia tremavano anche a lui.
 
 
“Braska, ehi, Braska”
“Cosa?”
“Guardalo”
“Chi?”
“Come chi? Auron! Guardalo. No, non guardarlo così direttamente, non farti vedere!!!”
“Ma insomma lo devo guardare o no? Che sta facendo?”
“Sta uccidendo con lo sguardo quel tipo albhed”
“…”
“Braska, lo vedi? Avevo ragione”
“Impossibile. È solo che non si fida degli albhed”
“È solo che quel tipo sta offrendo da bere a Rikku…”
“Mh”
“E guarda Rikku! Ogni tanto si gira a guardare preoccupata Auron”
“Jecht…”
“Ehi Rikku! Chi è il tuo amico?” disse l’uomo bruno, allontanandosi, con la sua solita scenicità.
Braska si diede uno schiaffo sulla fronte, disperato.
 
 
Non la stava guardando.
Noche non era seduto in quel preciso angolo per osservarla. No, non aveva scelto quel tavolo per il punto strategicamente perfetto per osservarla.
No.
Categoricamente no.
Ok, forse solo un po’, e forse solo perché davvero gli dava fastidio come quel ragazzo le stava offrendo da bere...Ma solo perché non era decente che una ragazza bevesse. Solo per quello…
Auron si morse l’intero della guancia, irritato al limite.
Era più che altro arrabbiato con se stesso. Non c’era il benché minimo motivo per cui gli sarebbe dovuto importare con chi Rikku se la faceva, soprattutto perché avrebbe comunque lasciato il pellegrinaggio in un giorno o due.
Buttò giù un altro sorso di sakè ustionante, chiuse gli occhi e fece schioccare le labbra per assaporare meglio il liquore. Una vena sulla fronte gli pulsava.
Era perché gli albhed erano così sfacciati.
Era perché odiava gli albhed e odiava come non avessero inibizioni.
Era perché aveva…baciato…Rikku.
Perché l’aveva fatto?
Aprì gli occhi, per osservare la faccia di Rikku mentre rideva – in quella maniera così sguaiata, a bocca aperta, a mostrare l’ugola e i denti bianchi –, probabilmente per qualche battuta del ragazzo che aveva davanti. Era biondo (ovviamente, come tutti gli albhed, anche un gatto morto lo noterebbe), ed era estremamente presuntuoso (ma se non lo conosci neanche!). Si atteggiava agli occhi della ragazza e continuava a cercare di avvicinarsi. Ad ogni battuta era di un passo più vicino, e Rikku ad ogni sorso aveva gli occhi sempre più lucidi.
Non gli piaceva.
Non gli piaceva il modo in cui le guancie di lei erano arrossite (probabilmente per il liquore), così bonariamente rosa sotto la luce calda del bar della Piana dei Lampi; non gli piaceva quello sguardo così ingenuo che lei aveva dipinto sulla faccia.
Non gli piaceva soprattutto il modo in cui aveva accavallato le gambe, in cui muoveva il piede, in cui la maglia aderent…AURON!
Il monaco strinse i denti,  strizzò e chiuse gli occhi.
Era solo un po’ di frustrazione…
Quella ragazza lo stava decisamente portando su vie del tutto blasfeme. Non che avesse rispettato con piacere i voti di castità, quando a soli 15 anni aveva cominciato a far parte della scorta sacra di Bevelle. Non aveva mai capito il significato di quegli ordini, quindi era passato ad essere un combattente monaco, accettando di buon grado tutte le libertà del ruolo, tra cui fottersi liberamente chi più gli aggradava.
Non che fosse un punto fondamentale della sua vita, ma Auronaveva avuto delle donne. Non era uno sbarbatello, né tantomeno un adolescente in piena crisi ormonale. Quindi, la giusta domanda ora, era: perché?
Perché stava anche solo facendo caso alla maglia attillata della bionda?
Era per il suo modo di avvicinarsi sempre a lui e dargli quell’affettuoso schiaffetto sulla spalla? O forse quando gli urlava contro e arrossiva e sembrava proprio una leonessa?
Forse era solo colpa di quella sua ingenuità…Oppure quel bacio…
Cazzo, odiava ammetterlo, ma a volte pensava che Rikku non fosse per niente consapevole della sua sensualità. Odiava davvero dirlo, ma il modo in cui correva qui e lì, il modo in cui saltellava, e ti si avvicinava e ti guardava – era come una bambina.
Auron era un uomo.
Infedele o meno, albhed o meno, stupida bionda o meno, non poteva negare che ogni tanto, persino lui – nella sua risolutezza –, lanciava uno sguardo a quelle sue gambe lunghe e toniche, quando si appollaiava nel terriccio per giocare con qualcosa che aveva rubato da mostri.
Auron fu riportato alla realtà dall’inizio di una canzone, costretto ad abbandonare le sue riflessioni.
Nei bar albhed non si poteva proprio star tranquilli, eh?
Un complesso di tre suonatori (chitarra, contrabbasso e violino) aveva iniziato una vecchia canzone swing, dai toni raminghi e viandanti.
Osservò verso la ragazza per notare che aveva gli occhi spalancati, e che tirava la mano del biondo sconosciuto che le era di fronte.
Inghiottì un altro sorso quando vide lui alzarsi e condurla al centro della stanza. Quando cominciarono a ballare, Auron non staccò gli occhi dalla scena per un solo secondo, rapito.
Doveva ammettere che erano bravi.
Lei ancheggiava leggera e lui era totalmente capace di starle dietro, portandola con coordinazione.
Per qualche assurdo motivo, il moro pensò che non sarebbe mai stato capace di condurre una ragazza in un ballo. Che non sarebbe mai stato capace di ballare con Rikku.
L’armonia raggiunse il suo apice con un ritornello trascinante.
Rikku sorrise e cominciò a volteggiare, saltellando sui piedi, facendo svolazzare nell’aria le sue lunghe trecce bionde, in trance. Attorno ai due ballerini, innumerevoli albhed ridevano e battevano le mani a tempo.
Auron doveva ammettere che l’atmosfera era molto più calda e allegra di qualsiasi altra locanda yevonita…
Dall’altro lato della stanza vide Braska ridere e muovere impercettibilmente il piede sul pavimento di legno a tempo, Jecht fischiare con due dita in bocca ad una giravolta di Rikku, che lo guardò e – complice – gli fece un occhiolino.
Quella ragazza non era proprio consapevole…per niente consapevole.
In quel momento il guerriero si sentì solo. Era come se tutti fossero in qualche modo attratti dalla musica, dall’atmosfera, ed ecco invece lui, buio e silenzioso, nel suo angolino strategico, a guardare, e – per Yevon! – invidiare la libertà che quegli albhed sapevano gestire.
Ora capiva.
Capiva, anche solo di poco, di cosa stesse parlando nelle molteplici sfuriate, Rikku. Cosa fossero quegli astrusi valori che in quelle due settimane e mezzo di viaggio lei aveva cercato di spiegare.
Tutti gli albhed sembravano fratelli. In armonia nonostante gli insulti, l’emarginazione, nonostante le guerre, Sin.
E per un momento, nel mondo, un momento solo, durante una canzone, sapevano ballare, ridere, e suonare, ma soprattutto…vivere.
Fu per questo che – alla fine della canzone – Auron s’alzò e uscì all’aperto, al buio, per osservare da sotto il tetto dell’ingresso la pioggia battere contro la terra umida, per pensare profondamente.
Pensò: sono impazzito?
E: forse è solo stanchezza.
Pensò fin quando la pioggia non si fece così insistente da impedirgli di rilassarsi.
Quando entrò, tutti erano a dormire, Rikku stava salutando l’albhed con cui aveva ballato. Quando Auron passò davanti la coppia, vide la bionda seguirlo con lo sguardo. La cosa lo irritò.
Non vedeva l’ora che lasciasse il pellegrinaggio, pensò fra sé, esasperato.
 
 
   
 
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