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Autore: mamogirl    16/01/2013    1 recensioni
{Seguito di Love Story}
Natale, un periodo da trascorrere insieme a chi si ama e alla propria famiglia. Perchè una famiglia lo è anche se disfunzionale, anche se i rapporti con il proprio padre funzionano tramite assegni e soldi o se di un padre non si è mai vista l'ombra.
E così erano le famiglie di Brian e Nick. Ed è così che riuscirono a farle diventare un'unica famiglia.
La loro.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Brian Littrell, Nick Carter
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love Story'
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Through the years we all will be together
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L’interno della chiesa era già decorato e abbellito per le celebrazioni natalizie della settimana successiva: stelle di Natale illuminavano l’altare, punti rossi su cui le luci della chiesa si specchiavano e si riflettevano poi attorno ad essa. Non era piena quella sera ma a Brian non importava poi più di tanto: ai bambini del coro l’unico pubblico che importava era quello formato dai genitori, dagli zii e dagli nonni che ora stavano affollando le panche di legno delle prime file.
Era una differente adrenalina quella che scorreva dentro le vene insieme al suo sangue, elettrizzando i nervi e facendoli scattare con rinnovata vitalità: era l’eccitazione di veder nascere, prendere forma e contenuto qualcosa che aveva progettato per giorni e giorni, un progetto per cui aveva cercato di preparare i bambini fino all’ultima nota. Era già soddisfatto di che cosa erano riusciti a creare in quelle poche settimane a disposizione e sapeva che niente, nemmeno la peggiore delle stonature, sarebbe riuscito a scalfire l’orgoglio che sentiva battere nel suo petto mentre osservava i bambini parlare fra loro tutti agitati, sì, ma anche oltremodo felici e contenti.
Tanti anni prima, anche lui era stato uno di quei bambini e il ricordo che più teneva caro nella sua memoria erano le sensazione che si provava una volta che ognuno avesse preso posto sui gradini e iniziato a cantare. Lì, in quel momento, non esistevano più differenze fra chi avesse più parenti fra il pubblico e chi meno. Esisteva solo quella magica e unica emozione di lasciarsi trasportare via dalla potenza di tutte quelle voci messe in insieme che regalavano un qualcosa di speciale, formavano un’armonia che era difficile da riprodurre se si scambiavano ruoli o strofe. E Brian ricordava come ci si sentiva quando tutti gli occhi venivano attratti su di lui, da quella voce avuta in regalo che sembrava sempre aleggiare un po’ più in alto degli altri, quasi come a rammentare a tutti quei ragazzini che lo avevano sempre preso in giro che sì, forse non aveva nessun altro all’infuori di sua madre ma quando incominciava a cantare non c’era nessuno che riusciva a resistere o ad abbassare lo sguardo verso il proprio figlio. E quei bambini, che ora lui aveva preparato per quello spettacolo, erano simili a lui: ognuno di loro aveva un motivo per sentirsi un disadattato, per sentirsi così fuori dall’acqua insieme ai propri compagni di scuola che era ancora un mistero come continuassero a sorridere in quel modo così naturale e vero che solo i bambini avevano.
Ed era quello che aveva cercato maggiormente di trasmetter loro. Non aveva solo semplificato note e accordi trasformandoli in punti preziosi che potevano farli diventare degli eroi speciali, non aveva solo spiegato loro perché si cantavano determinate canzoni e che cosa significavano.
No, aveva cercato di far loro capire che cantare non doveva diventare qualcosa per farsi belli davanti agli amici o per avere solamente successo con le ragazze ma un rifugio, un mondo dove potevano sentirsi liberi di mostrarsi per quello che erano ed andarne maledettamente orgogliosi.
Due braccia si strinsero attorno alla sua vita mentre il mento di Nick si posava sulla spalla. “Nervoso?” Sussurrò poi nell’orecchio.
“Non molto.”
“Non hai paura che possano sbagliare?”
“No. So che non mi deluderanno. – Rispose Brian, appoggiando le mani sopra quelle di Nick. – Non li ho spaventati, minacciandoli di chissà quale punizione se mai dovessero prendere una nota sbagliata. Se lo avessi fatto, probabilmente ora li vedresti tutti in un angolo terrorizzati a ripetere e ripetere. E sbaglierebbero perché più pensi a tutto quello che devi fare e più ci sono probabilità di cadere nel panico e sbagliare. Non funziona così con la musica. O, almeno, non con me. – Nick ridacchiò, accompagnando così il sorriso che si era formato sul volto di Brian. – Sanno che mi deluderanno se dovessero combinare qualche disastro e, visto che ho promesso loro la festa dopo al locale, non credo che faranno qualcosa per rovinarla.”
“Ci sai davvero fare con loro, lo sai?”
Brian scrollò le spalle, anche se quella consapevolezza aveva già provato a bussare alla sua porta un paio di volte. “Forse perché sono ancora un bambino come loro.”
“Su questo, posso sicuramente non obiettare.” Lo prese in giro Nick, terminando quella punta ironica con un bacio sulla pelle del collo.
Una tonalità di rosso incominciò a risalire dal collo fino al viso mentre Brian si voltava di scatto. “Nick!”
“Che c’è?” Domandò lui di ribatto, fingendo confusione.
Brian si guardò intorno, cercando di capire se qualcuno li avesse visti. Appurato che si erano salvati, rivoltò la sua attenzione verso il compagno, tirandogli un buffetto sul petto. “Siamo in una chiesa! Non... non si fanno certe cose!”
“Intendi questo?” Lo sfidò Nick, allungandosi e lasciandogli un bacio sull’angolo della bocca.
“Nick!” Lo riprese di nuovo Brian, spingendo Nick lontano dalle luci e dal centro dell’attenzione.
“Andiamo! Siamo già all’inferno perché stiamo insieme, qualche piccola smanceria in un luogo pubblico...”
“... e consacrato...” Aggiunse Brian, le braccia conserte che fissava Nick, lo sguardo accigliato di chi non credeva nemmeno a mezza virgola di ciò che l’altro stava dicendo.
“… e consacrato non peggiorerà di certo la nostra situazione.” Terminò Nick, sfoderando il miglior e il più grande sorriso possibile.
Brian continuò ad osservarlo senza muovere nemmeno il più piccolo muscolo del viso. Solo un sopracciglio si mosse, verso l’alto facendo immediatamente sospirare Nick. “Non vale come scusa, vero?”
“Decisamente no.”
Nick sospirò ancora, quella volta più melodrammaticamente. “Scusa.” Mormorò poi, a labbra serrate e sguardo abbassato, anche se gli occhi erano rivolti verso Brian con quella luce cucciola a cui il ragazzo non riusciva mai a dir di no. Con pochi passi, annullò quei pochi centimetri di distanza. Appoggiò una mano sul petto e l’altra sul braccio, mentre si sporgeva per essere più vicino al viso di Nick. “Potrai scusarti a casa. Da soli.” Pronunciò in un sussurro roco prima di riprendere il suo posto, mantenendo una certa distanza fra loro due.
Nick lo fissò per qualche secondo con lo sguardo attonito, prima che esso fosse sostituito da una fiamma ben differente. “Amo quando prendi quel tono.”
Un sorriso fintamente innocente disegnò le labbra di Brian. “Non ho idea di che cosa tu stia parlando.”
“Certo. Ovvio. Come no. – Acconsentì Nick, usando quello stesso sorriso. – Allora, canterai anche te?”
“Forse.”
La fronte di Nick si aggrottò in confusione. “Forse? Ma sulla scaletta c’è scritto il tuo nome e ho visto Blaine aggirarsi attorno a noi con uno sguardo abbastanza preoccupato.”
“Se lo faccio, non mi farò accompagnare da lui. – Rispose Brian mentre recuperava la sua chitarra. – Ma non so...”
Una mano si posò su quella di Brian, palmo sopra il dorso. “Che cosa ti blocca?” Gli domandò, cercando di non far trapelare la preoccupazione. Perché lo era, visto che mai prima di quel momento aveva visto il ragazzo rinunciare ad un’opportunità per cantare. O per lasciarsi scappare la possibilità di inventarsi qualcosa con Blaine.
“E’... – Brian si lasciò sfuggire un respiro, un soffio d’aria che sapeva di nostalgia e lacrime. Le dita incominciarono a giocare nervosamente con la chitarra che teneva in mano, picchettando le corde in una melanconica melodia. - ... l’ultima volta che ho cantato in questa chiesa, mamma c’era ancora. Pensavo di potercela fare ma... continuo a guardare verso le panche e mi aspetto di vederla apparire, tutta infreddolita perché, nella fretta di venire direttamente dalla caffetteria, si dimenticava sempre la sciarpa e i guanti. Non si sedeva mai in prima fila, qualche fila più indietro, e mi faceva solo un cenno anche se sapeva che l’avrei notata sempre e comunque.”
Per qualche secondo, Nick maledì il fatto che si trovassero in una chiesa perché tutto quello che voleva fare era abbracciarlo e scacciare via quelle lacrime, che ancora non erano scese, con l’unico modo che conosceva.
“Cantavo sempre quella canzone, era la sua preferita anche se non è la tipica canzone natalizia. Ma lei l’adorava e io volevo solo farla felice.”
“Quale canzone?”
““Mary did you know?” – Rispose Brian. – Non la canto da quell’anno.”
Nick azzardò ad avvicinarsi, ormai incurante di ciò che la gente potesse dire. Prese l’altra mano di Brian e la staccò dalle corde, facendogliela appoggiare per terra. Era come se il mondo attorno a loro si fosse messo in attesa, qualcosa che ormai Nick aveva preso l’abitudine di assaporare a pieni polmoni: i bambini ancora urlacchiavano, Blaine da qualche parte stava provando l’organo della chiesa e i primi parenti incominciavano ad affollare le prime panche, parlottando fra loro a voce alta. Nick non sentiva nulla, non percepiva la presenza di nessun altro se non quella di Brian e quel desiderio, ormai simile a un fuoco dalle fiamme così alte che chiunque avrebbe potuto notarle anche dall’altra parte della città, di cancellare quello sguardo così triste.
“Ehi, ti ricordi ciò che ti ho detto ieri notte?”
“Mi hai detto tante cose.”
“Ti ho promesso che avrei cercato di aiutarti a tenere vivo il suo ricordo. – Rispose Nick. – Allora, dove si sedeva solitamente?”
“Quinta fila ma Nick...”
“Sh...” Lo zittì Nick mentre tirava fuori il suo cellulare e incominciava a schiacciare i tasti.
“Che cosa stai facendo?”
“Niente. Vai a prepararti e ci vediamo a fine concerto.”
“Nick...”
“No, niente ma. Quando uscirai là fuori, guarda solamente fra il pubblico.”
Che cosa poté fare Brian se non sorridere e annuire?
E fu quello che fece, pronunciando a bassa voce parole di ringraziamento per chiunque avesse deciso di mandare Nick nella sua vita. Osservò il ragazzo mandargli un bacio e poi scomparire oltre il gruppo di bambini che si stavano riunendo davanti a lui, pronti a riempirlo di domande per gli ultimi accorgimenti. Ogni ansia e paura venne cancellata mentre tentava di rassicurare i piccoli attorno a lui e, senza nemmeno che potesse accorgersene, il concerto era già incominciato, il coro procedeva velocemente ed egregiamente saltando da una canzone all’altra suscitando sempre uno scroscio di applausi. Erano ormai al termine quando Brian salì sull’ultimo gradino in alto dell’altare, la sola chitarra ad accompagnarlo mentre incominciava a cantare il suo assolo. Per buona parte della prima metà, Brian tenne gli occhi chiusi mentre cantava quella canzone che non aveva mai dimenticato e che aveva canticchiato solamente in un sussurro, tanti Natali precedenti trascorsi solamente con la sua stessa anima come unica compagna. E, quando gli riaprì, si ritrovò a fissare uno sguardo che, anche se sorretto da occhi di colore differente, aveva sempre desiderato poter rivedere. Era un’espressione di orgoglio, un’emozione che sarebbe rimasta sul volto anche se avesse sbagliato una note o se avesse perso un battito. Era quello un orgoglio che poteva nascere solamente da una fonte di amore che non avrebbe mai visto la sua fine. Per qualche secondo, tutto ciò che Brian riuscì a fare fu continuare a fissare Nick come se lui fosse l’unica persona in quella chiesa e, in qualche modo, lo era. Solo quando Nick ricambiò il suo sorriso, mormorando a soffio di labbra quelle cinque parole riservate solo a lui, Brian si accorse delle due persone ai lati: a destra vi era Bill e, vicino a lui, le mani appoggiate una sull’altra, vi era una donna che non aveva mai visto ma che, molto probabilmente, doveva trattarsi di Isabelle. Nick non gliela aveva mai descritta e lui non aveva mai chiesto, immaginandosela come una donna altea, fredda esattamente come l’uomo che era entrato nel suo locale qualche giorno prima. Invece, la donna affianco del padre di Nick possedeva sì un’eleganza raffinata ma il suo viso, incorniciato da qualche ciuffo nero lasciato volontariamente fuori dalla crocchia dove tutti gli altri capelli erano raccolti, aveva un’espressione calda e rassicurante, quell’espressione che chiunque avrebbe collegato subito ad una persona affettuosa e non schiva dei suoi sentimenti. Entrambi, persone che lui non aveva conosciuto se non su racconti e immagini che la sua stessa mente aveva creato, lo stavano osservando con occhi colmi di orgoglio.
Il cuore gli si gonfiò in petto mentre quelle ondate di amore lo avvolgevano, trascinandolo al di sopra di quella tristezza che lo aveva tenuto sotto le sue scure acque fino a quel momento.
E mentre i suoi occhi tornavano a fissare Nick, per la prima volta Brian si sentì come se finalmente il suo desiderio fosse stato realizzato.
Aveva una famiglia.
E quella consapevolezza mitigava l’ormai sordo rimpianto di non averne più una tutta sua.

 

 

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Erano trascorsi anni dall’ultima volta che Nick aveva messo piede in quell’edificio. Da piccolo, lo aveva sempre messo in soggezione vista la sua imponente e massiccia facciata, uno di quegli edifici che si stagliavano nella loro differenza con quegli altri che lo circondavano, così moderni e costruiti d’acciaio. Il marrone ormai era diventato scuro, a causa dello smog, della pioggia e del vento ma, in giornate in cui il sole splendeva alto nel cielo, le sue finestre ancora creavano giochi di luce e riflessi che si posavano sulla strada e sul marciapiedi sotto di esso.
Al suo interno, niente sembrava essere cambiato: le piastrelle erano della stessa tonalità con la quale si era divertito da piccolo ad inventare personaggi e ambienti, un bianco e nero alternati come in un’immensa scacchiera; alle pareti, uno stuccato bianco, erano ancora appesi copie di capolavori mischiati fra loro senza senso ma seguendo solo la logica del nome e dell’importanza. Forse le piante erano cambiate, almeno così Nick si augurava e le poltrone della sala d’aspetto erano state decisamente rinnovate visto che non se le ricordava così comode e morbide. Di certo, una delle cose che non era cambiata era la segreteria di suo padre, quella stessa donna i cui capelli erano stati fili grigi già quando lui era un ragazzino. E, in tutti quegli anni, era evidente che non avesse ancora imparato a sorridere, nemmeno per errore.
Per fortuna, non era cambiato nemmeno ciò che aveva sempre amato di quel luogo, troppo austero e serio per lui: la magnifica ed enorme vetrata che si specchiava nel più bel quadro che lui avesse mai potuto vedere. Al di là dei suoi occhi, New York dormicchiava sotto la neve giacendo in quello che d’estate era un colpo di verde che metteva immediatamente gioia e che d’autunno rubava l’arancione, il rosso e il marrone ai migliori pennelli. Il cuore di Manhattan, il cuore di quella città protetto da grattacieli e dalla vita frenetica che, però, non azzardava mai a superare i cancelli di Central Park.
Pur sapendo che fosse impossibile, Nick cercò di individuare il suo appartamento fra tutti quegli edifici; dal lato destro, più o meno a metà, lì vi era il museo. Con piedi immaginari, seguì la strada che solitamente la metro faceva per riportarlo a casa, risalendo immaginari scalini e passeggiare fra quei marciapiedi che erano diventati anche la sua casa. Sorpassò il piccolo supermercato dove lui e Brian si fermavano sempre a fare la spesa per la settimana; il panettiere che li accoglieva la domenica mattina, quando si concedevano una brioche subito dopo aver salutato il vecchio signore dell’edicola, un buffo angolo sempre pieno di pittoreschi personaggi.
E, finalmente, ecco casa.
Non la poteva vedere, a meno che non avesse indossato dei super potenti occhiali o venisse dotato di un’inumana vista. Ma sapeva che era lì, l’edificio più basso del quartiere ma pur sempre contenente quattro piani. Poteva ricreare perfettamente la tranquillità di quella strada, i minuscoli giardini tenuti sempre in ordine dalla vedova che abitava al primo piano e che molto spesso chiedeva loro aiuto, il carretto di gelati che ogni tanto passava nei mesi estivi e che richiamava attorno a sé le orde di bambini, urla e grida che si potevano sentire fin sopra la terrazza dove Brian aveva creato un piccolo angolo di ombra.
E più in là, girando attorno all’isolato e attraversando tre incroci, ecco il luogo in tutto quello era nato. La caffetteria, con la sua vetrina perennemente scintillante perché Brian voleva che fosse pulita e splendente ogni giorno, anche se pioveva da settimane. E lì, in quel locale così prezioso ormai ad entrambi, la sera prima Nick aveva osservato con orgoglio e traboccante felicità come la sua famiglia, suo padre e Isabelle, avevano accettato Brian senza remora o obiezione. Non ne aveva mai dubitato, era impossibile odiare quello scricciolo di ragazzo, ma vederlo così a suo agio con quelle persone che non solo non conosceva ma di cui aveva avuto informazioni di parte... vederlo così era stata un’emozione che gli era rimasta in gola per tutta la serata.
Era stato in quel momento, mentre era intento a studiare quell’insolita coppia formata da Brian e la sua matrigna, che a Nick era nata l’idea che l’aveva spinto ad essere lì quel giorno. Perché in quel frammento di tempo, la sua mente aveva dipinto nell’aria un’altra scena, simile nell’ambientazione e nell’atmosfera ma con nuovi personaggi. Non vi era solo Brian che chiacchierava con Isabelle come se si conoscessero da anni, non vi era solo suo padre che tentava di distrarlo dai suoi pensieri parlandogli della casa che avevano acquistato fuori città. No, c’era un’altra figura anche se non riusciva a distinguerne i tratti. Ma assomigliava a Brian, aveva gli stessi riccioli biondo miele e quella mascella che li rendeva indiscutibilmente legati.
Ma non sapeva come rendere reale quella scena. Non sapeva come riportare o portare il padre di Brian nella sua vita. Aveva solo un nome ma, oltre a quello, un vecchio indirizzo londinese che non aveva più garanzie di essere quello giusto.
Il ricordo, anche se più era stata un’illuminazione, lo aveva svegliato quella mattina presto, così presto che Brian ancora stava dormendo accoccolato contro di lui e la sveglia non lo aveva ancora avvertito che era ora di andare al lavoro. Ed era proprio quello il centro del suo ricordo, uno dei tanti momenti che lui aveva passato svogliatamente all’ufficio di suo padre, seduto sul pavimento mentre l’uomo impartiva ordini per chiudere affari. Certo, a quei tempi lui era stato troppo piccolo per comprendere di che cosa effettivamente suo padre si occupava ma ora, forse, poteva tornargli utile. Perché solo con l’età aveva capito che cosa significasse il termine “acquisire società” e, per fare quello, suo padre e la sua azienda si fornivano delle informazioni che venivano date loro da quella che lui aveva sempre chiamato “i servizi segreti industriali”.
Se questi James Bond potevano scovare qualsiasi piccola informazioni su società che si trovava anche dall’altra parte del mondo, poteva di certo riuscire a scoprire che fine avesse fatto Ethan Jestfield.
Così, determinato nella sua decisione, Nick aveva chiamato al lavoro e informato che quel giorno sarebbe arrivato in ritardo e, non appena Brian era uscito di casa, era andato a recuperare le vecchie lettere di sua madre in modo da recuperare l’indirizzo.
Busta che ancora stava ben protetta all’interno della sua giacca. E la stava proprio tirando fuori quando suo padre apparve sulla porta, avendo finalmente terminato la riunione della prima mattina.
“Nickolas!”
L’abbraccio fu molto più veloce rispetto a quello di qualche giorno prima ma era sempre una novità, soprattutto la naturalezza con la quale era diventato il loro saluto quando a malapena si erano scambiati uno sguardo negli anni passati.
“Papà. – Lo salutò Nick, sedendosi di fronte alla scrivania. – Scusa se sono arrivato senza chiamare ma...”
“No, Nickolas. Sei mio figlio, non c’è bisogno che tu prenda un appuntamento come se fossi un cliente.”
“Oh, va bene... io... ecco, sono venuto qui per chiederti una cosa. Un... un favore.”
L’espressione del padre si fece seria, le linee agli angoli degli occhi divennero tesi. “Certo. Qualsiasi cosa.” Rispose mentre la mano destra si allungava per raggiungere il primo cassetto, lì dove teneva il blocchetto per gli assegni.
“No, papà. Non sono qui per chiederti dei soldi.” Aggiunse subito Nick. avendo intuito che cosa suo padre stesse per fare.
“Ah. Non ci sono problemi, anche se...”
“Papà, tranquillo. Se mai avessi bisogno anche di quelli, tu saresti il primo a saperlo. – Lo tranquillizzò Nick. – Si tratta del padre di Brian.”
Impercettibilmente, la confusione di Bill aumentò. “Isabelle mi ha informato che aveva abbandonato Brian e sua madre ancor prima che lui nascesse.”
“Sì, è così.”
“Lasciami indovinare: vuoi trovarlo?”
“Sì. Brian non lo farà mai. Esattamente come me, ha paura di essere rifiutato ancora. E questa volta di dover affrontare direttamente questo rifiuto mentre, per tutti questi anni, ha accettato la situazione perché era così che aveva sempre vissuto. Ma, anche se tenta di non pensarci, il dubbio è sempre lì. Ci sarà sempre una parte di lui che anelerà per sapere chi è suo padre, conoscere e sapere per quale motivo non si è mai fatto sentire e se gli è stato davvero così facile far finta che loro due non fossero mai esistiti.”
“E se fosse davvero così? – Obiettò Bill. – E’ molto nobile ciò che tu voglia fare e dimostra quanto tu sia innamorato di Brian. Ma hai tenuto conto del fatto che quell’uomo non voglia avere niente a che fare con lui?”
Oh, Nick vi aveva riflettuto e aveva preso in considerazione quella possibilità. E sapeva che aveva il cinquanta percento di realizzarsi ma poteva anche non accadere. E lui non voleva pensarci, altrimenti avrebbe desistito perché il pensiero di far soffrire Brian e sapere che in parte sarebbe stata colpa, era un deterrente troppo imponente e impertinente da non prendere in considerazione nell’equazione. Avrebbe rinunciato, ne era certo.
“Ma non è altrettanto giusto che Brian almeno lo sappia? E non ho intenzione di intromettermi, non voglio decidere per lui. Voglio fare ciò che lui ha fatto con me, dargli una possibilità. Ma da solo non si metterà mai a cercarlo e... ha già trascorso così tanto tempo da solo, non voglio che sprechi altri anni nell’incertezza. Ha il diritto di conoscere metà della sua eredità.”
“Brian non è solo. Ha te. E ha anche noi. Isabelle non ha intenzione di dimenticarsi di lui, manca poco che lo adotti.”
“No, per carità. – Nick scoppiò a ridere. – Non trasformiamo la nostra storia in qualcosa di torbido stile Beautiful! So che ci sarete e mi rende al settimo cielo sapere, mi fa sentire più tranquillo sapere che Brian avrà una rete di supporto se mai dovesse succedere qualcosa. Ma...”
“Ma...”
“Non è la stessa cosa. Per quanto potrà amare Isabelle come se fosse una madre, non sarà mai la sua. E, insieme, ci sarà sempre il vuoto per non avere un proprio rifugio, lo stesso che io ora ho a disposizione grazie a lui.”
Una lieve aura di silenzio cadde fra padre e figlio, adornata da sprazzi di orgoglio paterno nel constatare, ancora una volta, la maturità di quel ragazzo che era cresciuto lontano dai suoi occhi ed era tornato in versione adulta.
“Papà, se quell’uomo dovesse risultare essere uno stronzo bastardo che non vuole nemmeno parlare con Brian, sì, farà male. Farà maledettamente male ma, almeno, saprà la verità. E potrà finalmente liberarsi del passato. E io sarò lì, passo dopo passo, fin quando quella cicatrice scomparirà. – Non c’era bisogno di esplicare la rabbia che ribolliva nelle vene di Nick anche solo pensando a quanto sarebbe stato devastato Brian da quella conclusione. E odiava, oh, odiava quell’uomo che aveva quel potere senza nemmeno, ancora potergli dare un viso. E lo odiava anche per il fatto che avrebbe potuto rendere ancor più felice Brian, più di quanto lui avrebbe potuto aspirare. – Ma guarda noi, papà. Voglio che anche Brian abbia questo.”
“Non sarà facile.”
“Per i tuoi James Bond non dovrebbe essere così difficile.”
“Hai almeno qualcosa?”
Nick annuì, recuperando la lettera che aveva tenuto in tasca. “La madre di Brian ha scritto per un anno a suo padre. Una delle ultime, è stata rimandata indietro. A quei tempi, si trovava in un appartamento di Londra. Ho provato a cercare su internet ma non ho avuto molta fortuna.”
Bill prese il foglio che Nick appoggiò sul tavolo, leggendo il nome e l’indirizzo. “Ti farò sapere. Se è ancora vivo, dovrebbero essere in grado di trovare qualsiasi informazione su di lui. Anche quale sia la sua marca di gelato preferita.”
“Potrebbe sempre tornare utile.” Rispose con una battuta Nick, sentendosi in qualche modo sollevato che suo padre avesse accettato di aiutarlo. Per i successivi minuti, si ritrovarono a parlare di molto altro, con Nick che volle sapere se molte delle persone che aveva conosciuto da piccolo lavorassero ancora lì e gossip e chiacchiere vennero mischiate insieme in un pot-pourri di ricordi e nuove conoscenze.
Al momento dei saluti, scambiati di fronte all’ascensore, Bill non poté non esporre l’unico dubbio che ancora non era stato esplicato.
“Nickolas, che cosa farai quando ti darò tutti i dettagli di quell’uomo?”
“Semplice. – Rispose Nick con un sorriso di convinzione e apparentemente privo di ansia o timore. – Li passerò a Brian e sarà lui a decidere.”
Detto così, sembrava facile.
Ma Nick aveva ormai abbandonato l’illusione che qualsiasi cosa nella vita potesse essere semplice: anche la più piccola e all’apparenza insignificante era frutto di lotte, sacrifici e anni di fatica. Nemmeno quell’avventura sarebbe stata una passeggiata ma Nick era sicuro di un’unica cosa: insieme, lui e Brian l’avrebbero superata.

 

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Fu quando si ritrovò davanti alla porta di casa che Nick si accorse di non avere con sé le chiavi. Controllò una seconda volta nelle tasche della sua giacca, non trovando niente se non il suo abbonamento della metro, così passò a svuotare la sua borsa riuscendo nell’intento di lanciare tutti i suoi fogli in ogni direzione possibile. Eppure, il suo mazzo di chiavi non apparve nemmeno per miracolo.
“Perfetto! – Pensò mentre cercava di riporre tutti i documenti gettati. – Brian vorrà la mia testa su un vassoio d’argento!”
Provò a bussare alla porta, scordandosi all’improvviso se Brian fosse o meno a casa. Il “E’ aperto” che si alzò dall’interno della casa gli rispose mentre la sua mano girava la maniglia. Non appena messo piede in casa, fu l’odore e il delizioso profumino ad accoglierlo e un’atmosfera che sapeva di romantico: le luci erano soffuse, arrivava in corridoio solamente la luce della cucina mentre la sala era illuminata dalle fiamme di candele posizionate ovunque ci fosse un posto libero. La voce di Frank Sinatra si diffondeva in libertà nell’aria, un sussurro di parole che ultimamente Brian gli aveva canticchiato durante i dormiveglia e ora quelle stesse lo accompagnavano mentre si toglieva le scarpe e la giacca fino allo stipite della cucina. Lì vi si appoggiò contro, le braccia incrociate davanti al petto mentre i suoi occhi si posavano ad osservare Brian, intento a finire di cucinare. Esattamente come più di un anno prima, Nick non si stancava mai di osservare il ragazzo, trovando sempre qualcosa di nuovo che catturava la sua attenzione: a volte erano dettagli così invisibili che il giorno dopo scomparivano esattamente come si erano presentati; altre, invece, erano più durature e costituivano dei piccoli tasselli che formavano quel mosaico che era il suo amore per Brian. In quel momento, a interessarlo era quel minimo lembo di pelle che si intravedeva ogni qualvolta Brian alzava le braccia per poter prendere qualche ingrediente o utensile. Canticchiando a labbra chiusa la canzone in sottofondo, Nick si avvicinò e appoggiò le dita su quel punto, assaporando parte di quel calore.
Le sue labbra, come di consueto, trovarono il loro piccolo angolo sul collo di Brian, lasciandovi una traccia di saluto per poi risalire fino alla mascella. “A che cosa è dovuto tutto questo?”
“Un ragazzo non può organizzare una cenetta romantica per il suo compagno senza avere un secondo fine?” Domandò Brian scherzando mentre con una mano continuava a mescolare ciò che aveva sul fuoco.
“Tu hai sempre un secondo fine. – Scherzò Nick. – Che film strappalacrime vuoi farmi vedere stasera?”
“Nessuno. - Rispose Brian, fingendo un broncio sul suo viso. Diede un’ultima girata e, senza nemmeno assaggiare, spense il fornello lasciando così a riposare il tutto per qualche minuto. Dopodiché, si voltò pur sempre rimanendo nell’abbraccio di Nick. – Ma, se proprio non mi credi, posso sempre portare questa cenetta alla vecchia e cara signora Birfy. Sarà molto contenta, soprattutto se sarai tu a consegnargliela...”
L’espressione di totale sgomento, con una piccata punta di terrore, illuminò il viso di Nick. “Non oseresti...” Pronunciò con le labbra completamente spalancate.
“Oh, non vedo per quale motivo non dovrei...” Brian non riuscì a terminare la sua frase perché le dita di Nick, che ancora erano lì a bearsi sulla sua pelle, incominciarono a solleticare quello stesso lembo, facendo subito scattare in lui una reazione.
“Allora?” Mormorò innocentemente Nick, interrompendo per qualche secondo l’attacco delle sue dita.
“Non vale!”
“In amore e in guerra...”
Brian riuscì a sgattaiolare via dalle dita di Nick, abbassandosi e uscendo dall’abbraccio. “Se fai il bravo e mi aiuti, potrei ripensare alla mia idea.”
“Piatti?”
“Sono in salotto. – Rispose Brian mentre aspettava che Nick si spostasse dal fornello prima di riprendere il suo posto. Lo osservò per qualche secondo mentre si allontanava dalla cucina e poi sospirò, ridacchiando fra sé e sé. – Già che ci sei, puoi accendere il camino?”
La testa di Nick apparve da dietro lo stipite. “Non ti sembra di aver già acceso troppi fuochi?”
“Sono candele.”
“Sempre fuoco è! Hai in mente una messa satanica? Qualche sacrificio? – Gli occhi di Nick si illuminarono. – Dimmi che almeno la nostra vittima è Aj. Gli dei là sopra avrebbero di che mangiare per molto tempo.”
Uno strofinaccio per metà umido lo colpì in pieno viso, seguito dalla risata cristallina di Brian. “Smettila!”
“Ma... ma è la verità!”
“Non accendere il camino allora.”
“Ma tu lo vuoi acceso.”
“Allora accendilo.”
“E se mandiamo a fuoco la casa?”
Brian sospirò melodrammaticamente. “Vorrà dire che mi farò consolare da quel bel pompiere che verrà a salvarmi.”
“Perché devo morire proprio io?”
“Perché io sono in cucina. Tu sei più vicino alle candele e al camino.”
Nick rimase in silenzio per qualche secondo, riflettendo sulle parole di Brian. “Mi arrendo.”
Con un sorriso trionfatore, Brian ritornò ai fornelli. “I piatti!”
Dopo qualche secondo, Nick ritornò in cucina con in mano i piatti, allungandoli poi a Brian. Lo osservò versare con accurata attenzione la pasta sui due piatti, cercando di non sporcare. “Non è niente di elaborato. – Si scusò Brian. – Solo maccheroni e formaggi. Ma prometto che la vera sorpresa è il dolce.”
Senza aspettare né fare domande, Nick si precipitò verso il forno lottando contro la voglia di aprirlo per vedere che cosa stava cucinando; aveva imparato la lezione quando, una volta, lo aveva fatto e Brian non gli aveva parlato per tutto il pomeriggio solo perché quella piccola, lieve e flebile ventata d’aria aveva rovinato il suo sufflè. Accese solamente la luce interna del forno ma, anche stringendo e sforzando gli occhi, non riuscì a capire che cosa stava profumando così dolcemente la cucina.
“Niente sbirciare. In salotto.”
“Ma... ma...”
“Niente ma!”
“Non possiamo passare direttamente al dolce?”
“No.”
“Perché?”
Con un respiro frustato e mezzo divertito, Brian appoggiò i piatti sul tavolo, facendo segno a Nick di sedersi. “Perché non è ancora pronta.”
“Allora, posso sapere il perché di questa cenetta?”
Brian abbassò gli occhi sul piatto prima di iniziare a rispondere. Avrebbe preferito aspettare fino a quando non avessero finito di mangiare ma, allo stesso tempo, voleva tirar fuori quel peso. No, in realtà non era un peso perché non era qualcosa di negativo. Anzi. Era un’altra conquista, resa possibile da quella fiducia immensa che trovava ogni giorno in Nick. Lui, forse, nemmeno ricordava più che giorno fosse quello o i ricordi legati a esso ed era una delle tante cose che amava maggiormente e invidiava a Nick: quella capacità, così innata, di sapersi lasciare alle spalle il passato e guardare in avanti. Lo aveva fatto con suo padre, non appena compreso le ragioni dietro il suo comportamento e averlo perdonato; più di tutti, lo aveva fatto con lui, perdonandogli ciò che lui aveva fatto così tanta fatica a dimenticare.
Era stato un lungo e lento processo, di certo non aiutato dalla distanza, ma finalmente aveva compreso e imparato quella preziosa lezione. Ecco il motivo dietro a quelle candele e a quell’atmosfera. Era semplicemente il suo modo per ringraziare Nick, per quell’ennesima lezione di vita che gli aveva impartito semplicemente amandolo.
Non rispose ancora. Conscio di avere lo sguardo di Nick su di lui, Brian si alzò e si diresse verso l’albero di Natale, recuperando una piccola scatola che Nick era sicuro fosse nuova; la appoggiò al centro del tavolo, accanto alla bottiglia di vino che aveva comprato quel pomeriggio proprio per l’occasione.
“Sai che giorno è oggi?”
“Venerdì?” Rispose confuso Nick mentre il suo cervello andava alla ricerca di tutti i loro anniversari, tornando poi con un foglio bianco. No, era sicuro di non essersi dimenticato niente.
“Anche. Ma sapevo che tu non te lo saresti ricordato. Chi altri vorrebbe ricordare quel giorno?”
“A quanto pare, tu.”
“Già. – Annuì Brian, un’ombra ad oscurare l’azzurro degli occhi. – Come posso dimenticare il giorno in cui ti ho spezzato il cuore?”
I ricordi di quel giorno arrivarono come un’ondata ma gli argini per controbatterla erano ben alzati e troppo resistenti per essere abbattuti così facilmente. D’istinto, Nick allungò la mano e coprì quella di Brian. Avrebbe voluto urlargli, scuoterlo via da quella prigione che ancora lo teneva incarcerato dietro le sue sbarre ma qualcosa lo fermò. Perché l’ombra era semplicemente apparsa per qualche secondo, scomparendo dietro ad uno specchio di una nuova consapevolezza. In quei giorni, lui era rimasto in disparte mentre finalmente vedeva Brian togliersi strati e strati fino a rivelare finalmente la persona nascosta dietro quell’armatura alzata a protezione. E quello era un altro pezzetto e lo faceva sentire speciale il fatto che volesse condividerlo, anzi, forse quasi festeggiarlo.
“Prima che tu dica qualcosa, lasciami spiegare.”
“Non stavo dicendo niente.”
“Anche quando non parli, lo fanno i tuoi occhi per te. Ecco perché so leggerti così bene, mi basta perdermi per qualche secondo in quell’azzurro.”
“Io non ci sono mai riuscito. Con te, intendo. Hai sempre queste barriere a proteggerti, anche da me.”
“No. Non da te. Dal futuro. Per molto tempo ho vissuto nel passato, o, meglio, prigioniero di esso. Non riuscivo a crederci, non volevo ritrovarmi a dover affrontare qualcos’altro solamente perché ero così stato stupido a pensare che non sarebbe successo niente. Soprattutto dopo averti conosciuto, dopo averti lasciato entrare nella mia vita, avevo paura che qualcosa ti portasse via all’improvviso.”
“Così mi hai lasciato. – Mormorò Nick, la fronte aggrottata. – Ma Bri, ne abbiamo già parlato. Non ci sono più rimorsi.”
“Lo so. – Rispose Brian, voltando l’intreccio di mani in modo da poter accarezzare il dorso di Nick. – Ma anche se tu mi hai perdonato, perdonare me stesso è stato un po’ più difficile. Inconsciamente, continuavo a ritornarci, confrontavo ogni mia decisione per comprendere se stavo commettendo lo stesso errore e... e che cosa avrei fatto se ti avessi perso un’altra volta? Se avessi perso qualcun altro? Vedi, continuavo a girare attorno a questo e non riuscivo ad assaporare veramente noi.”
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“La tua matrigna.”
“Isabelle?”
“Sì. Ieri sera abbiamo parlato molto. Lo sai che anche i suoi genitori sono morti?”
“No. In realtà, non so molto di lei. Non mi era mai importato più di tanto avere informazioni sulla donna che aveva rovinato la mia famiglia. Ma ero idiota ai tempi.”
“Eri un bambino. La tua rabbia era più che giustificabile. Comunque, oltre ad aver parlato di te...”
“Spero solo cose positive.” Lo interruppe Nick con un sorriso.
“Anche. – Sorrise Brian di risposta. – Come stavo dicendo, abbiamo parlato di quel piccolo particolare che ci accomuna. Anche se abbiamo reagito in modi completamente differenti, io rinchiudendomi nei ricordi e lei con la rabbia, lo abbiamo fatto entrambi per non dimenticare, per appigliarci a qualcosa che potesse darci un’identità. E la mia era sempre stata costruita attorno a ciò che avevo perso e agli errori che avevo commesso. Tu... santo cielo, Nick, tu hai cambiato tutto. Grazie a te, non ho più paura di perdermi il passato perché so che, in qualche modo, tu non permetterai mai che io mi dimentichi di lei. Con te, finalmente, posso vivere il presente e pregustare il futuro, senza averne paura. Perché anche se dovessi perderti, e voglia Dio di no, sarò una persona migliore e più forte. Ed è tutto merito tuo.”
Occhi lucidi incontrarono i suoi, altrettanto resi cristallini dalle emozioni che dipingevano fuochi d’artificio dentro di lui. “Non volevo farti piangere.” Cercò di buttarla sul ridere ma anche la sua stessa risata sapeva di lacrime e commozione.
Nick non tentò nemmeno di asciugare quella piccola lacrima sfuggita via solitaria. “Vieni qua.” Sussurrò solamente, tirando a sé la mano di Brian che non aveva mai smesso di stringere fra le sue dita.
“Devi ancora aprire il tuo regalo.” Protestò debolmente Brian, alzandosi comunque e incominciando a girare attorno al tavolo.
Nick tirò per una seconda volta la mano di Brian, facendo cadere il ragazzo sul suo grembo. “Posso ancora aprirlo.” Mormorò, strofinando il viso contro il collo di Brian.
“Non è niente di che... – Incominciò a dire Brian mentre Nick prendeva il pacchetto ed incominciava a sciogliere il nastro. - ... è più simbolico che altro ma...”
“Le mie chiavi! Allora non le ho perse!” Esclamò estasiato Nick, recuperando quel mazzo che pensava di aver dimenticato chissà dove.
“Le ho prese ieri sera, altrimenti non avrei potuto farti questo regalo.”
Solo in quel momento Nick notò che il portachiavi non era il suo abitudinale. Fino a quella mattina, infatti, esso era sempre stato una semplice targhetta con riprodotto uno dei suoi tanti dipinti preferiti. Ora, invece, a racchiudere insieme le chiavi non solo dell’appartamento e della casella di posta ma anche quella del locale – e già solo quello poteva considerarsi un regalo speciale – vi era un semplice quadrifoglio, il cui verde smeraldo ormai era diventato così pallido e scheggiato da essere quasi scomparso.
“Lo avevo regalato a mamma per un compleanno. Le erano sempre piaciuti i quadrifogli, amava l’Irlanda e un giorno avrebbe voluto portarmi per poterla visitare insieme. Così, un pomeriggio di ritorno da scuola, lo vidi in un negozio e glielo comprai. Lo aveva... lo aveva anche il giorno in cui è morta. È una delle sue poche cose che si sono salvate quel giorno ed è uno di quegli oggetti che ho messo immediatamente via perché faceva male anche solo a guardarlo.”
“Un simbolo di tutto ciò che hai perso.”
“Sì. E ora sarà il simbolo di tutto ciò che ho guadagnato e la promessa di un futuro.” Rispose Brian, passando la punta dell’indice la superficie del portachiavi.
Nick appoggiò il suo indice sopra quello di Brian, non togliendo nemmeno per un secondo lo sguardo dal viso del ragazzo. Lo vide sorridere, lo vide finalmente abbandonare un altro peso di quel bagaglio che si era sempre portato dietro e che non gli aveva quasi mai permesso  di condividere. “Il nostro.”
La risposta che seguì non fu esplicata tramite parole e frasi. Seguì dapprima un singhiozzo, anche se solo accennato e tenuto ben stretto all’interno della gola, poi quelle stesse labbra si appoggiarono su quelle di Nick. Una carezza, lieve e puntellata da piccoli tocchi, si trasformò poi in un bacio dal sapore di dolcezza e di quell’infinito sentimento che in Brian sembrava mai cessare di bruciare né di abbassarsi di intensità.
Con la fronte appoggiata l’una all’altra, non c’era bisogno di aggiungere né di parlare. Lo facevano per loro i respiri, l’uno che entrava e si attorcigliava così stretto all’altro da non sapere più quale fosse il proprio cammino.
La cena fu quasi completamente dimenticata, lasciata lì sul tavolo come spettatori. I loro occhi, i loro sensi, tutti battevano e fremevano per loro stessi, senza dar importanza ad altro. Altri baci si susseguirono a quel primo iniziale, ognuno di essi con una dose di desiderio e di passione che aumentava di pari passo assieme ai battiti del cuore e ai respiri. Carezze incominciarono ad illuminare ogni centimetro della pelle, dall’attorcigliarsi insieme ai capelli fino a definire e seguire il profilo del viso, il collo e la schiena. I brividi continuavano a nascere, risalivano e scendevano alimentando le fiamme che avvolgevano ogni nervo.  
A ridestarli da quel mondo di sensazioni fu l’allarme del forno, che fortunatamente Brian aveva inserito in modo da non rischiare di bruciare la torta. Eppure, non riuscivano ancora a staccarsi l’uno dall’altro, dita intrecciate l’una fra l’altra e labbra che ancora si cercavano e si trovavano in flebili carezze.
“Dovremmo...” Tentò di mormorare Brian ma la sua voce si perse in un altro bacio, rapita via dalle labbra di Nick.
“La torta può aspettare.” Rispose Nick, riprendendo il suo assalto, cambiando però il bersaglio e puntando su quel particolare punto che sapeva che era più sensibile.
“Non hai... fame?” La domanda uscì fra un gemito e un respiro più affannato ma la punta di malizia scivolò sulle labbra di Nick, esattamente come esse continuavano la loro risalita verso la mascella.
“Mh.. sì ma... Ho già fra le mani ciò di cui ho più voglia.” Ed esse scesero, soffiarono sui fianchi prima di scomparire sotto la felpa, passando oltre la maglietta e finalmente poi in contatto con la pelle.
“Mh... – Mormorò Brian, inspirando il profumo di Nick ed assaporandone il sapore. - ... saremo scomodi. Intendo... farlo qui, sulla sedia.”
“C’è sempre il tavolo.”
La risata, Nick la percepì direttamente sulle sue labbra. “Te lo scordi. Ci mangiamo, studiamo e...”
Brian non poté terminare la sua frase perché le sue parole vennero rubate via da Nick. Un bacio e magicamente esse scomparvero, dissolvendosi in un’aria elettrica. “Abbiamo un camino.”
“Ottima deduzione.”
“Dici sempre che non sono romantico.”
Un bacio sulla tempia. “Mai detto.” E un bacio sulla punta del naso sottolineò quelle parole.
“Okay, non lo hai mai detto. Ma io non l’ho mai dimostrato.”
“Oh. E vuoi farlo adesso?”
“Perché rimandare? Il fuoco presto si spegnerà.”
Il fuoco, ben altre fiamme, avvampò sul viso di Brian, non importava da quanto tempo ormai fosse abituato a quel modo, unico e speciale, in cui Nick lo guardava in quei momenti. In quei preziosi attimi, quello sguardo aveva il potere di farlo sentire il ragazzo più affascinante di quel mondo e, allo stesso tempo, lo rendeva più consapevole di ogni parte del suo corpo. E, dopo tutti quei mesi, sapeva quale accentuare, quale gesto avrebbe reso completamente senza potere Nick e quale avrebbe ridotto se stesso solamente ad essere cera sotto le mani del suo compagno.
Era eccitante, era meravigliosamente sconvolgente quel complicato eppur semplice gioco. Il controllo non era mai nelle mani di uno solo ed entrambi desideravano sottomettere ed essere sottomessi da quel piacere e da quell’ultima forma di amore.
Entrambi si alzarono e, senza mai lasciar andare quell’intreccio che li teneva sempre legati, si spostarono al centro del salotto, lì davanti a quel camino che scoppiettava allegramente e che attendeva solamente di poterli avvolgere nel suo calore.
Fuori dal quel mondo, separato solamente dal vetro appannato della finestra, piccoli fiocchi di neve danzavano nel cielo, correndo e ricorrendosi mentre decidevano dove appoggiarsi e risiedere per le prossime ore. All’interno, invece, due ombre danzavano anche loro su un ritmo che non aveva suoni né note, se non quello dei loro battiti e dei loro respiri. Si inseguivano e si lasciavano prendere, si accarezzavano e si stringevano fino a poi fondersi in un’unica ombra, proprio come da tempo le loro anime avevano già fatto.

 


*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

 

Era già tardi, quasi mezzanotte, eppure le luci della caffetteria ancora si riflettevano sul marciapiede ricoperto da un alto strato di neve. Dalla vetrina, Nick vide Brian intento a pulire il pavimento anche se, in quel momento, la scopa veniva utilizzata come l’asta per un improvvisato microfono mentre le sue anche si muovevano a ritmo della musica in sottofondo.
Non vi era il cartello “chiuso”, per quanto ormai poche persone si sarebbero comunque fermate lì davanti. E Nick, oh, Nick gli aveva già fatto quella paternale su quanto non fosse sicuro tenere aperto mentre faceva le pulizie di chiusura ma, come sempre, Brian aveva fatto le orecchie da mercante e rigirato la questione a suo favore. E per lui era ancora un mistero come ci riuscisse ogni volta.
“Bri, è mezzanotte, chi vuoi che venga al locale?”
“Chiunque abbia un problema. Chiunque non abbia un posto dove andare.” Aveva risposto Brian a quella domanda e, nei suoi occhi, Nick aveva potuto leggere una verità che andava ben oltre all’essere insoliti benefattori o colmi di un altruismo atipico di quella società. Era la luce di chi sapeva che cosa significava voler essere ovunque ma non in un luogo che non aveva più il significato di casa, era la consapevolezza di dover cercare compagnia all’infuori della propria cerchia senza mai avere la certezza di cancellare via la solitudine.
“Mi preoccupo semplicemente.”
Un bacio sulla punta del naso fu la prima risposta. “Tu ti preoccupi troppo. Ma ti amo anche per questo.”

Sì, era sempre con quel modus che Brian girava la questione a suo favore per poi gettarla nel dimenticatoio.
La borsa appesa alla spalla sembrava pesare più di quanto effettivamente lo fosse, tenendo conto che non conteneva altro che dei fogli, delle riproduzioni a fotocopie di quadri e la sua agenda.
E quella cartella.
Erano trascorsi solo cinque giorni da quando Nick era andato a chiedere un favore a suo padre e, dopo sole centoventi ore, ecco che gli aveva già portato i risultati della sua ricerca. Come investigatori privati, non si poteva dire certo che non avessero scelto i migliori nel campo.
Non aveva letto niente. La cartella era ancora sigillata, ben chiusa e custodita nella sua borsa. Non spettava a lui leggere, né trasmettere le informazioni. In fondo, esisteva anche la possibilità che Brian decidesse di non voler più sapere niente di suo padre, di chiudere definitivamente il passato e buttarlo in un fuoco le cui alte fiamme avrebbero fatto scomparire i ricordi.
Esattamente come Brian aveva fatto con lui.
“I got me a car, it’s as big as a whale and we’re heading on down to the love shack. I got me a Chrysler, it seats about 20 so hurry up and bring your jukebox money. Love shack...”*
Brian venne interrotto da due braccia che circondarono la sua vita e due labbra che si posarono sul suo collo. Fu il profumo emanato da quella persona a fargliela riconoscere immediatamente ma rimase al gioco e si finse preso di sorpresa, sussultando e voltandosi di scatto. Il sorriso rinforzato da una risata, non ancora scoppiata ma pronta ad uscire da quelle labbra, fu la ricompensa per quel gioco.
“Mi hai spaventato!” Lo rimproverò con uno sbuffetto contro il petto.
“Visto che avevo ragione? Chiunque potrebbe entrare e tu non te ne accorgeresti!”
Brian non rispose e, approfittando del fatto che Nick ancora non si era accorto della posizione in cui si trovavano, optò per far rispondere le sue labbra con un bacio.
“Stai tentando di cambiare discorso?”
Un altro bacio, un sorriso accennato.
“Bri, questa tua tecnica di sviamento non...”
Terzo bacio, il sorriso ormai che poco conteneva la risata sotto di esso.
“... funziona... – Un quarto bacio, quest’ultima sulla punta del naso. – Okay, non che mi lamenti ma mi vuoi spiegare tutti questi baci?”
“Guarda in alto.” Disse solamente Brian, alzando gli occhi verso il soffitto dove una foglia di vischio scendeva dal lampadario.
“Mi hai incastrato!” Commentò Nick.
“Oh, che persona cattiva che sono. Manipolare il mio ragazzo per avere dei baci!”
“Manipolatore. Proprio.” Ribattè Nick fra un bacio e l’altro.
“Davvero? Allora potrei...” Ma Nick non gli diede modo di finire, interrompendolo con un altro bacio.
“Ora chi è che manipola?”
“Non ho idea di che cosa tu stia blaterando.” Ribattè Nick, puntualizzando la frase con un ennesimo bacio.
“Sai... – Incominciò a dire Brian, facendo scivolare l’indice sopra il primo bottone della camicia che Nick indossava. - ... potremmo blaterare meglio a casa.”
Casa.
Bastò quell’immagine per scacciare via la leggerezza di quello scambio di battute, bastò quella parola per far ricordare a Nick ciò che conteneva la sua borsa e ciò che lo avrebbe aspettato a casa. Non ci sarebbero stati altri baci colmi di malizia e aperitivi di ben altra cena quella notte; no, ci sarebbero stati baci che avrebbero dovuto cancellare lacrime o lenire ferite.
Non riuscì a nascondere quell’ombra. La mano di Brian si appoggiò in una carezza sulla sua guancia “Che c’è?” Chiese con un tono di preoccupazione.
“Niente. – Rispose Nick con immediata naturalezza. – Cioè, c’è qualcosa. Devo dirti qualcosa. Ma non qui.”
La fronte aggrottata, linee che prima non c’erano apparvero fra le sopracciglia mentre Brian cercava qualsiasi mero indizio nel volto di Nick. “Devo preoccuparmi?”
“Quanto ti manca per finire?”
“Venti minuti. – Rispose Brian ancor più confuso. – Anche di meno se mi dai una mano con il bancone. Ma...”
Nick lo silenziò con un bacio, in parte per rassicurarlo nel miglior modo possibile che niente di quello che doveva dirgli aveva a che fare con loro due. “A casa.”
Brian annuì, rimanendo per qualche secondo ancora nell’abbraccio di Nick, chiedendogli con lo sguardo un’altra rassicurazione che non si trattasse di niente di così grave. Ma anche se la stretta delle braccia voleva far ciò, i pensieri infidi e strabordanti di dubbio continuarono a stargli affianco mentre riprendeva a pulire, quella volta in completo silenzio. Non voleva pensare che c’entrasse lui, non poteva pensarlo, eppure continuava a ritornare lì, a dubitare e chiedersi se avesse fatto qualcosa di sbagliato. E se...? No, no, Brian scosse violentemente quel pensiero fuori dalla sua testa, non aveva nemmeno un briciolo di credibilità quell’ipotesi così strampalata! Nick non si era stufato di lui, non dopo tutti quei giorni in cui si era messo d’impegno per mettere in pratica quella promessa che gli aveva fatto. Stava davvero cercando di mettersi il passato alle spalle e di questo, oh lui ne era sicuro, Nick gli credeva senza nemmeno bisogno che gli dicesse qualcosa.
Paura. Infantile, ecco che cos’era. Infondata, senza basi. E della stessa consistenza del niente perché essa si era sgretolata sotto ogni sguardo rassicurante che Nick gli aveva rivolto ogni volta che si erano scambiati uno sguardo o da come le sue dita s’erano strette attorno alle sue mentre camminavano sulla strada verso casa.
E così, quando entrarono nel loro appartamento, Brian non sentiva più la paura attanagliarli lo stomaco, certezza che venne in qualche modo confermata quando Nick lo fece sedere sul divano e appoggiò sul tavolo davanti a loro la sua borsa. Sì, doveva significare qualcosa legato al suo lavoro, forse un’altra proposta di viaggio all’estero.
E, magari, questa volta avrebbe potuto seguirlo.   
“Ho fatto una cosa e, ti assicuro, che l’ho fatta ritenendola qualcosa di giusto. – Esordì Nick mentre recuperava la cartella. – Per farlo, ho dovuto chiedere aiuto a mio padre. Avrei voluto parlartene subito ma volevo avere qualcosa di solido invece che darti una falsa illusione.” Con quell’ultima frase, allungò quella cartella beige sulle ginocchia di Brian.
“Di che cosa si tratta?”
“Aprilo.”
Perplesso, Brian fece ciò. Aprì la cartella e si ritrovò ad osservare la foto di un uomo sulla quarantina, fini capelli biondi, della sua stessa tonalità, raccolti in riccioli che ricadevano sulla fronte. Le mascelle marcate e decise erano ciò che prima catturavano l’attenzione sul viso, lasciando poi la strada agli occhi, con quell’impercettibile irregolarità che fino a quel momento Brian aveva pensato avesse solamente lui. Era come se si stesse specchiando, come se invece di una foto stesse osservando il suo riflesso. Anche le labbra erano identiche, due sottili linee rosa curvate in un sorriso. Quell’ultimo non era lo stesso, Brian aveva da subito imparato che il sorriso era un’eredità di sua madre. Eppure, quell’uomo in foto davanti a lui... era suo padre, bastava solo guardarlo per capire che qualcosa di ereditario li legava anche se nemmeno si conoscevano.
Ethan Jestfield. Quel nome era impresso nella sua mente dalla prima volta che aveva domandato a sua madre almeno il nome di quel padre che non c’era.
Davanti a lui, c’era la foto di suo padre. E informazioni. E per un lungo momento rimase spiazzato, incapace di prendere una decisione, anche la più semplice di andare oltre e leggere tutto ciò che c’era scritto su di lui. Anche se il dettaglio più importante, ciò che davvero aveva più importanza per Brian, non sarebbe stato presente in date o in studi accademici o quant’altro. Non era lì, fra quei fogli, che avrebbe trovato la ragione di quell’abbandono che non doveva ancor far così male. O, forse, lui si era solamente illuso di esserselo lasciato alle spalle.
“Non l’ho cercato né ho tentato di contattarlo al posto tuo. – La voce di Nick gli arrivò per qualche attimo ovattata, come se nemmeno si trovasse a pochi centimetri di distanza ma lontano. O forse era lui che si era ritrovato imprigionato in una bolla. – La decisione è solo tua.”
“Non ho bisogno di lui.” Il tono fu freddo, distaccato, quella stessa bugia che Brian aveva raccontato a se stesso ogni mattina in cui Nick ancora non era entrato nella sua vita.
“No, ovvio.”
“Non ho avuto bisogno di lui in tutti questi anni. Non ho avuto bisogno di lui quando mamma è morta. Non ho avuto bisogno di lui quando mi sono preso sulle spalle la caffetteria anche se avevo solo sedici anni. Non ho bisogno di lui ora che ho te. – Dalle labbra di Brian uscì una mezza risata, risonante di quel groppo che gli stava facendo tremare le mani. – Avevo bisogno di lui quando tutti i miei amici avevano un papà che insegnava loro ad andare in bicicletta. Avevo bisogno di lui quando avevo le partite di calcio e mamma non poteva venire perché stava lavorando. Avevo bisogno di lui quando suonavo quella maledetta campanella e nessuno arrivava.”
La mano di Nick circondò la sua, fermando almeno per quelle dita i tremori. “Hai ragione, non hai bisogno di lui. E sta nelle tue mani la decisione se volerlo o meno nella tua vita. Ma di una cosa hai bisogno ed è una spiegazione. E c’è solo una persona che te la può dare.”
“Non so che cosa fare.” Ammise Brian, sconfitto dalla sua stessa indecisione.
“Che cosa vuoi fare?”
“Non lo so! - Sbottò Brian, abbassando poi lo sguardo. – Vorrei dimenticare subito questo file, vorrei non averlo visto, vorrei continuare a vivere la nostra vita e a costruirla insieme. E dall’altra... vorrei solo... non so, anche solo per qualche minuto... non lo so.”
“Ehi. Non è necessario che tu decida adesso. Leggi oppure ce ne andiamo a dormire...”
Brian allungò il viso, in modo da poter appoggiare le labbra su quelle di Nick. In quel marasma di pensieri e incertezza, l’unica certezza, l’unico punto fisso era Nick. Leggeva nei suoi occhi quell’ansia e paura, a stento trattenuta dalle redini del controllo, di aver commesso un errore, di averlo fatto arrabbiare e di aver rovinato qualcosa. La riconosceva perché era la stessa che lui stesso aveva provato quando Bill era venuto nella sua caffetteria per cercare uno spiraglio per riprendere i rapporti con Nick. Aveva dubitato di sé ma mai della loro relazione e quei sentimenti erano lì, ora, riflessi negli occhi di Nick.
“Grazie.”
“Non voglio che tu abbia questo dubbio per tutta la vita. Magari non succederà niente, magari avrai un pezzetto della tua famiglia ma...”
“Vuoi che io sia felice.”
Nick annuì. “Come tu vuoi che io lo sia.”
“Ti spiace se... se rimango solo?”
Nick arruffò i capelli di Brian, lasciando poi un bacio sull’attaccatura della fronte. “Io vado a letto. Non rimanere alzato fino a tardi.”
“Non vado al lavoro domani mattina.”
“Se non ti trovo a letto fra, diciamo... – Nick diede un’occhiata al suo orologio. - ... diciamo fra tre ore, vengo qui a riprenderti.”
Brian alzò un sopracciglio. “E ciò dovrebbe spaventarmi?” Domandò divertito.
“Certo, certo, ridi pure della mia presunta mancanza di terrore.”
La risposta di Brian non si fece attendere e culminò in un cuscino tirato all’indirizzo di Nick. “Ma smettila!”
Nick evitò il cuscino, il quale andò a sbattere contro lo stipite della porta. E sorrise, sollevato nel vedere che le mura erano ancora alte e che dietro di esse ancora reggeva quel Brian che aveva visto emergere in quegli ultimi giorni.
“Tre ore!”
“Va bene mamma!”
Un ultimo bacio e poi Nick scomparve verso la camera da letto, lasciando Brian alle prese con ciò che quei fogli avrebbero parlato di suo padre. Non lo lesse immediatamente. Si alzò e andò in cucina, dove mise a bollire un po’ d’acqua mentre recuperava la sua marca preferita di the e, una volta preparata la sua tazza, ritornò in salotto. Dal suo abituale posto, recuperò una coperta e, finalmente, si mise seduto con in grembo quella cartella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

 

* "Love Shack", versione Glee.
Oddio, finalmente ce l'ho fatta! *__* E' stato tipo un parto questo capitolo! 
Ne manca solo uno! Quanto ci impiegherò? LOL

   
 
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