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Autore: iam_theinsecure    17/01/2013    2 recensioni
" Ho passato questi ultimi 3 anni a fissare la mia vita non muoversi nemmeno di un millimetro, a vederla rimanere immobile e diventare noiosa. Sono come un giocattolo rotto dimenticato dal proprio bambino.
Sospesa.
Quella parola mi era passata per la testa per un'intera settimana.
La mia vita. Era. Sospesa.
Sospesa ad un filo che non si sarebbe mai spezzato, ad un filo che non è mosso dal vento, ad un filo immobile, che non si muove.
Non sono triste. Non sono nemmeno felice se è per questo.
Solo... sospesa. "
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jay McGuiness
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- But just because it burns it doesn't mean you're gonna die -



Sophie.

 
Non immagini nemmeno quanto mi manchi…
 
 
Ogni tanto quel nome spuntava nitido e chiaro in mezzo alla nebbia in cui erano immersi e confusi i miei pensieri.
 
Non era un nome qualsiasi, quello.
 
 
Era la mia migliore amica…
 
Appunto. Era.
 
 
Violet, ora basta pensare a queste cazzatte…
 
Ma mi manca…
 
Non importa. L’hai persa ormai, anzi. È lei che ti ha abbandonata quando tu avevi bisogno di qualcuno che cercasse di capirti…
 
 
La malinconia si tramutò in rabbia.
 
Ero come davanti a quella porta che avevo chiuso completamente tempo prima, quando avevo deciso di voltare pagina e mollare la mia vecchia vita: la porta sbatteva, come se qualcuno dall’altra parte stesse cercando di aprirla senza riuscirci.
 
Vedevo la maniglia muoversi freneticamente e gli stipiti tremare.
 
L’avevo chiusa a chiave quella porta.
 
Sarei tornata indietro solo e quando lo avrei deciso io, unica proprietaria della chiave.
 
E no. Non volevo tornare indietro…
 
Non avrei ripercorso i miei stessi passi.
 
 
Voltai le spalle a quella porta e cercai di guardare davanti a me, anche se c’era il nulla.
 
 
Ma solo perché brucia non vuol dire che morirai…
Devi rialzarti e provare.
 
 
Quelle parole non sarebbero mai più uscite dalla mia testa; me le sarei anche tatuate sulla pelle se non fossi riuscita a ricordarle per sempre, ma lo avrei fatto.
 
Avrei fatto di esse il mio motto e la mia forza.
 
Dovevo aggrapparmi a qualcosa e quella decisiva forza era l’unico appiglio che riuscivo a trovare, rannicchiata ad occhi chiusi sulla poltrona, nel salotto, completamente al buio.
 
 
-
 
 
Il campanello…
 
Chi diamine poteva essere che rompeva alle tre del pomeriggio di un giorno qualunque della settimana?
 
Martedì? No. Mercoledì, Violet. Oggi dovrebbe essere mercoledì.
 
Presi il mio cellulare dal tavolo in cucina e controllai in fretta lo schermo che indicava la data del giorno e l’ora.
 
 
15:34 – Mercoledì 22 Novembre
 
Già… Mercoledì, ho sparato e ci ho preso.
 
Lanciai il cellulare sul divano, attenta a tirarlo dall’angolazione giusta per non farlo rimbalzare e cadere a terra.
 
Il campanello suonò di nuovo, ma non con lo squillo insistente di qualcuno che ha fretta di entrare a tutti i costi: suonò per cinque secondi, veloce e rapido.
 
Non era Geneeve.
 
Lei aveva le chiavi…
 
Oppure, se le avesse dimenticate a casa del suo ragazzo, sicuramente si sarebbe attaccata insistentemente al tasto del campanello e, senza darmi nemmeno il tempo di capire se era lei, avrebbe cominciato a sbattere i pugni contro la porta urlandomi di aprire.
 
Sapeva che molto spesso passavo interi pomeriggi con le cuffie alle orecchie e la musica sparata al massimo.
 
 
Non volli guardare nemmeno dallo spioncino della porta.
 
Adoravo le sorprese, anche se dubitavo fortemente che avrei trovato qualcuno di interessante dall’altra parte del portone, sulla soglia di casa mia.
 
 
Aspettai che suonasse una terza volta.
 
Se era qualcosa di importante avrebbero suonato sicuramente ancora.
 
 
Più mi avvicinavo alla porta più il cuore accelerava il proprio battito: mi piaceva l’idea che chiunque fosse fuori non sapeva che mi trovavo dall’altra parte della porta, attenta ad ascoltare qualsiasi rumore avrebbe fatto.
 
 
Poi sentii il suono ovattato di una testa che si appoggia contro una superficie liscia.
 
Si stava arrendendo.
 
Non avrebbe suonato una terza volta.
 
 
Poi il campanello squillò ancora, proprio quando mi sarei aspettata di sentire quel qualcuno lasciare il viale davanti a casa mia e andarsene.
 
Prova superata.
 
Sorrisi e soddisfatta aprii la porta.
 
 
Quella marea di capelli ricci… avrei potuto riconoscerla in mezzo ad una folla di un migliaio di estranei.
 
Ricordavo male il suo sguardo o ero io che ero annegata in un altro, irriconoscibile?
 
 
Suonerà anche banale, ma vedevo il cielo e le profondità del mare in quegli occhi.
 
 
Jay…
 
 
Una strana reazione fece bruciare i miei occhi, che cominciarono a riempirsi di lacrime che non volevo far scendere.
 
Che cazzo mi sta prendendo?
 
Possibile che fossi così tanto debole davanti alla quasi incontrollabile voglia che avevo avuto per una settimana di mettermi a piangere se non l’avessi mai più rivisto?
 
 
Mi voltai un secondo per cercare di riprendermi.
 
 
<< Che ci fai qui? >> dissi sorridente , ancora voltata.
 
<< Non merito nemmeno di essere salutato come si deve? Si fa così con i ragazzi gentili che ti offrono un passaggio sotto il proprio ombrello? Ingrata… >>
 
 
Non avevo detto nemmeno ciao, appena lo avevo visto, non aveva tutti i torti, ma non poteva pretendere che cominciassi a fargli le feste manco fossi un cagnolino ammaestrato.
 
 
<< Scusa, hai ragione. È stato maleducato da parte mia… è che mi hai colta un po’ alla sprovvista… >>
 
<< Non ti aspettavi di trovarmi davanti casa tua, hai ragione… è solo che non avevo nemmeno il tuo numero di telefono e quello di questa casa non è nemmeno sull’elenco telefonico, così… >>
 
<< Già… questa casa non ha un telefono fisso >>
 
<< Cioè. Non è che mi fossi messo a cercare intenzionalmente il tuo numero di telefono… cioè… io… non sono quel tipo di ragazzo che… >>
 
<< Uno stalker? >> chiesi schietta, interrompendo quel leggero attacco di panico che stava avendo.
 
<< Si… esattamente >>
 
Fece un lungo respiro e, paonazzo, affondò una mano tra i suoi capelli, imbarazzato.
 
<< In un certo senso è stata un po’ anche colpa mia… avrei dovuto darti il mio numero di telefono quella sera >>
 
<< Ma evidentemente non volevi… >>
 
<< No no… non pensarci nemmeno. Non sono molto brava a fare la cosa giusta nel momento giusto. È colpa mia… >>
 
<< Come stai? >>
 
<< Prego siediti… è ora che faccia gli onori di casa, no? Meglio tardi che mai >> non risposi alla sua domanda.
 
Abbassai le maniche fino a tenerle con le dita, fino alla punta del pollice, sapendo di star coprendo i tagli vecchi e anche quelli nuovi, ancora freschi.
 
Mi sfuggì un occhiolino
 
 
Io. Che faccio un occhiolino. Che mi prende?
 
Io non sono capace di fare occhiolini in modo sexy alla gente. Sarò sembrata una deficiente con un attacco di congiuntivite acuta, diamine.
 
<< Ti va una tazza di thé? >> continuai, cercando di distrarlo.
 
 
Si voltò, verso il tavolo della cucina, scioccato, rendendosi conto di quante tazze di thé fossero sparse in giro per la cucina e il salotto.
 
 
<< Thé dipendente? >>
 
<< No… emh… a me in realtà non piace nemmeno… mi piace solo prepararlo… >>
 
 
Altra figura di merda.
 
Ma, cazzo, Violet, non potevi semplicemente dirgli che si, ami alla follia il thé e che tutto quello che hai preparato è per te? No eh!?
 
 
Ma era quella la verità.
 
La mia era una specie di dipendenza: sentivo spesso la necessità di trovare in quel gesto la tranquillità che mi serviva.
 
Mi sentivo meglio se preparavo il thé.
 
Kay beveva sempre il thé che preparavo.
 
Le prime volte, perplesso, credeva fosse per qualche ospite…
 
La prima volta che mi beccò ne avevo preparate solo cinque di tazze.
 
Mi chiese: “ Qualche tua amica è venuta a trovarti? ”
 
Dall’incidente nessuno veniva più a trovarmi per sapere come stavo, nemmeno mia zia Kate e mio zio Mitchell: loro prima venivano di continuo.
 
Erano come genitori per me.
 
Ma nessuno sopportava l’idea di guardarmi e di pensare allo schifo che mi era successo.
 
In fondo li capisco: nemmeno io riesco a guardarmi allo specchio senza pensare a come era pieno di lividi e graffi, a com’era distrutto.
 
A Kay risposi che era tutto per lui quel thé e felice accettò tutte e cinque le tazze, a patto che potesse mangiare anche i biscotti.
 
 
<< Scusa… non avrei dovuto dirti quelle cose così… private. Mi dispiace >>
 
<< Non fai altro che scusarti… sbagli. Non ti scusare se ti stai aprendo con me… in fondo io non ho fatto altro che parlare delle mie di stramberie quando ti ho riportata a casa, quel giorno… ora è il tuo turno, a me fa solo piacere. E si… mi piacerebbe molto bere del thé ed aiutarti a finirlo >>
 
<< Vuoi un po’ di biscotti? >>
 
Nella dispensa avevo sempre un pacco dei biscotti preferiti di Kay: ogni tanto aprivo la busta, annusando con calma il contenuto, ripensando a lui. Ne prendevo uno e, senza necessariamente averne voglia, lo mangiavo con calma.
 
 
<< Stavo proprio per chiederteli… >> e mi sorrise.
 
 
 
-
 
 
* spazio dell’autrice *
 
Eccoci. Eccoci èwé
 
È passato tanto, vè?
 
Scusate tanto se i capitoli usciranno prossimamente un po’ senza una scadenza ben precisa, ma la scuola ultimamente mi sta impegnando anche troppo e in fondo penso anche che la metà delle persone che avrà letto i miei capitoli abbia avuto poco tempo, ultimamente, per farlo.
 
Ringrazio come sempre tutte le persone che recensiscono… in parte scrivo anche per tutte quelle persone che si complimentano con me. È davvero un piacere scrivere quando senti tanta partecipazione da parte della gente.
 
By the way… spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo, ah… e Nicole, ho seguito il tuo consiglio e allungato un po’, ma non troppo. Hai ragione… quando le cose sono corte finisce che leggendole tutte d’un fiato, arrivi alla fine deluso… capitava anche a me.
 
Un bacione prisoners…
 
 
- Annalisa.

  
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