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Autore: mairileni    18/01/2013    12 recensioni
«Io odio arrabbiarmi con te, lo sai questo?»
«Sì.»
«E... ti sarai accorto che non è un grande periodo per me e la mamma, sì?»
Faccio sì con la testa.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oh, no! Ancora lei! *tutti scappano*
Ebbene sì! Buonasera! *v* 
 
Disclaimer: Matthew Bellamy, Dominic Howard e gli altri non sono miei, né mi pagano per scrivere.
 
Questa fic nasce da un momento di frustrazione avuto durante la stesura di un'altra - nghhhhhh, che fatica quella fic - per cui mi sono bloccata. Avevo questa idea che mi ballonzolava in testa già da un po' e così ho iniziato a scrivere *v*
 
Le idee ballonzolano? Non lo so. Però è bello dirlo: ballonzolano. Ballonzolano. Ballonzolano. Ahah.
 
Ma stendiamo un velo pietoso.
 
Grazie a chi leggerà, magari ditemi cosa ne pensate!
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
Matthew, in ascolto
 
 
Sabato, 6 giugno 1992
 
 
Davanti a me, la posizione di Matthew è così innaturale da farmi venire voglia di passargli il dito sulla spina dorsale ogni cinque minuti per controllare che la sua schiena non si sia effettivamente spezzata, piegata all'inverosimile sul tavolino di legno del bar.
Una mano è talmente stretta sulla penna da essere diventata di un colore giallognolo nei punti in cui le dita incontrano la plastica, l'altra è aperta sulla pagina del quaderno, quasi a tenerlo fermo per evitare che scappi dal furioso massacro infertogli dall'inchiostro.
 
«Matt?»
Il rumore bassissimo dei numeri lasciati sul foglio in sottofondo, nient'altro.
«Matt?»
Mi allungo a toccargli una spalla con religiosa circospezione, facendolo sobbalzare.
«Oh -- Eh? Hai detto qualcosa?»
«Possiamo ordinare?»
«Er...sì, sì, io non prendo nulla, fai tu.»
«Come sarebbe a dire che non prendi nulla?»
«Non ho fame.» replica distrattamente, tornando subito alle sue operazioni.
«Matt, penso che dovresti mangiare qualcosa.»
Nessuna risposta.
«Matt?» cantileno.
«Mh?»
«Matt, si può sapere cos'è quella roba che stai facendo? La finisci?»
 
Finalmente il mio amico ficca il suo paio di occhi gelidi nei miei. 
«Quella roba, come la chiami tu, è un'equazione che c'è di compito. E come faccio a finirla, se continui a interrompermi?»
«Intendevo finiscila di scrivere! Non puoi farla a casa? O sul mio quaderno, dato che ne ho più bisogno di te?»
Senza staccare gli occhi dai miei, Matthew scoppia in una brevissima risatina, tanto acuta quanto inquietante - o forse è più inquietante il fatto che questo sia davvero il suo modo di ridere.
«Ok.»
«Allora, cosa prendi?»
«Mh, davvero, non ho molt--»
«Doppio Cheeseburger?»
«Puah...come vuoi.» capitola, schifato.
 
Quando io ho già addentato il mio panino con foga, Matthew appoggia il suo sul vassoio per dare inizio all'usuale analisi dettagliata del cibo che deve mangiare - how typical.
«Bells, ci sono scritti sul menù, gli ingredienti.»
«'I sa mai...» mugugna, sollevando uno strato alla volta e attirando su di sé gli sguardi curiosi di tutti gli altri presenti.
«Bells, accidenti, non cambia da un giorno all'altro! Insalata, formaggio, della carne del cazzo e dei pomodori di merda!»
In tutta riposta lui alza piano la testa con fare teatrale.
«Carne del cazzo e pomodori di merda, dici? Mh, detto così sembra buono!» esclama, sorridendo sarcastico «Perché non provi a farti assumere qui? Scommetto che ti prenderebbero!»
Rido sguaiato, beccandomi la presa in giro che mi merito, mentre lui continua inesorabile:«Sì, Dominic, dovresti pensarci, sul serio! Potresti metterti il cappellino della divisa e poi accogliere ogni cliente dicendo:"Hey, tu, stronzo, cosa prendi? Un panino di merda o della carne del cazzo?"»
 
Quasi mi strozzo con le patatine, mentre Matthew prosegue il suo show lanciandosi nella magistrale interpretazione di altre ipotetiche scenette di cui io - ovviamente - sono lo zimbello.
 
 
*
 
 
«Ma che-- No, Dom, ma tu devi essere stupido.»
«Ah, beh, grazie!»
«Non scherzo! Ma guarda quante cazzate sei riuscito a scrivere su una riga sola! Ma cos'è?»
 
Matthew regge in mano il mio quaderno di matematica, osservando scandalizzato le due grandi pagine a quadretti martoriate da decine di strati di cancellature.
 
«La prossima la facciamo insieme, sì?» mormora, esausto.
«D'accordo.»
 
Mentre cerco di raccapezzarmi tra gli errori compiuti, noto con la coda dell'occhio che il mio amico si è lasciato cadere senza troppa grazia sul letto.
«Fa' come se fossi a casa tua, Bells, mi raccomando.» commento ironico.
«Tu non ti preoccupare. Intanto copia il testo dell'equazione.» replica calmo, togliendosi con la punta del piede sinistro la scarpa destra, che cade oltre il bordo del letto con un piccolo tonfo.
«Fatto. Mi aiuti?»
Mi risponde di sì, ma non si smuove dalla sua comoda posizione.
«Vieni qui, Matt.»
«Mh...mi piace, qui.» la voce come uno sbuffo contro la stoffa delle coperte.
«Ma avevi detto che mi avresti aiutato!»
Mi giro sulla sedia quel tanto che basta per guardarlo male.
«Ma ti aiuto. Da qui. Tu dimmi.»
«Quanta pazienza» sussurro, raggiungendolo sul letto «Vengo io, ho capito.»
 
La piazza e mezzo su cui dormo - o meglio, su cui ogni tanto dormo da solo e non con Matt a scroccare - è uno spazio troppo ristretto per qualsiasi attività diversa dal sonno, ma ce lo faremo bastare.
Mi sistemo con la schiena contro la testiera, appoggiando i libri sulle gambe incrociate mentre controllo il regolare sollevarsi ed abbassarsi del petto del mio amico, che sta sdraiato su un fianco con un'aria corrucciata dipinta sul volto, ad occhi chiusi.
«Bells, va tutto bene?» 
«Sì, certo.»
«Ma vuoi dormire?»
«No.» replica seccato «Ti ho detto di no.» 
Gli occhi sempre chiusi.
«Mh...mi ascolti?»
«Cristo, Dom, ti ascolto, non devo avere gli occhi spalancati per usare le orecchie!»
«Ok, ok. Allora, io non ho capito cosa si intende con "condizioni di esistenza"; come faccio a sapere quali sono?»
«Mh...l'hai messo il minimo comune multiplo?»
«Sì.»
«E qual è?»
Glielo mostro, costringendolo - con suo grande disappunto - ad aprire gli occhi.
«No. È sbagliato.» 
«Ma come? Non era--»
Mi prende la penna dalle mani, scribacchia svogliatamente il passaggio corretto e ritorna al suo inopportuno riposino.
«Ah, ma quindi non posso mischiar-- Aaah, ma allora ho capito! E ora come faccio a trovare le condizioni di esistenza?»
Silenzio.
«Matt?»
 
Non è possibile: si è addormentato di nuovo. Da un momento all'altro!
Mi sporgo su di lui con cautela, sforzandomi di non fare nessun rumore - che invece faccio, perché sono sempre stato un po' goffo - e appoggio i libri sul comodino.
Prova del nove.
«Matt?»
Nulla.
 
Accolgo di buon grado quello che ormai succede da settimane - Matt che si addormenta sul mio letto nei momenti più disparati - e passo il resto del pomeriggio a rimuginare su quella che - anche se lui non lo ammetterebbe mai - so essere la causa della sua stanchezza.
 
 
***
 
 
«Oddio, Dom, mi dispiace, non sai quanto mi dispiace!»
«Matt, è a posto!»
«No, non è a posto, dovevo aiutarti e...scusami, ti prego, ero così stanco.»
«Bells, stai calmo, ok? Mi aiuti un'altra volta, tanto ci vediamo ogni giorno.»
«Non so cosa dire. Scusa.» pigolo, mortificato.
«Non è nulla.»
 
Saluto Dom, lui apre la porta, spiffero sottile dallo spazio tra legno e cemento. Mi scuso ancora.
Esco, il calore timido di giugno sulla pelle, mi giro, Dom che fa ciao con la mano sulla soglia di casa sua, così leggero, così sereno.
Strada vuota.
Casa mia, aria stantia e pesante.
 
«Mamma? Papà?»
«Oh, ciao amore, com'è andata?» fa la voce di mia madre dal salotto.
Mi appoggio con la pancia sul corrimano delle scale, pigrizia improvvisa al pensiero di ripercorrere i gradini all'inverso.
«Bene, tu?» 
Risposta predefinita con domanda di cortesia inclusa.
«Bene, bene.»
 
Bugiarda.
 
«Sto di sopra, non mi va di man--»
«No, Matt, basta con questa storia, devi mangiare!»
«Ma io mangio, mamma, oggi ho preso un panino enorme! E il gelato, a merenda.» non è vero, dormivo «Chiedilo a Dom, se vuoi.» so che non lo farà e che se anche lo facesse lui mi coprirebbe.
Mi accorgo del mio tono troppo duro dalla reazione istantanea che esso ha causato sul viso di mamma, lo specchio di quello che sento dentro io in questo momento.
 
Ed è con un tono più amareggiato che dolce che le parlo, ora.
«Magari dopo, sì?»
Ed è con un tono più angosciato che accondiscendente che mi risponde, ora.
«Come vuoi, amore.»
 
Mi isso sul gradino successivo e mi volto di nuovo a guardarla. È invecchiata, in un mese.
«Papà?»
«È-- oh, lui è...fuori.»
«Fuori dove?»
Lei sorride.
 
Falsa.
 
«Si è offerto di fare la spesa al mio posto.»
Si è offerto di fare la spesa. 
Certo. La spesa.
Che brav'uomo.
«Sono di sopra, scendo per la buonanotte.»
«...Sì. Ciao, tesoro.»
Gradino, gradino, gradino.
«Neanche un po' di frutta?» 
«No, mamma, davvero, sto bene così.»
 
 
*
 
 
Non so da quanto sono chiuso in stanza - minuti? Ore? -, ma adesso ho percepito chiaramente il rumore di una porta sbattere, al piano di sotto, ed è significato riprendersi dallo stato di trance in cui ero caduto.
Ascolto.
Queste sono le chiavi appoggiate nello svuota tasche, questo il cappotto buttato sulla sedia dell'ingresso.
Questa la voce insinuante di mia madre, questa la voce calma e tagliente di mio padre.
Questo è il sollevarsi del tono, queste le grida ormai familiari.
Questo è mio fratello che alza il volume della tivù per non sentire.
 
Non ne posso più.
Non ne posso più.
 
Scateno tutta la mia rabbia facendola passare come una scarica attraverso il corpo e riversandola sulla tastiera, sul bianco e nero di questo ammasso di metallo, plastica e non so che cazzo di altro, premendo, spingendo, picchiando le note fottute, solo perché a loro non frega un cazzo che tu sia felice o meno, loro suonano e basta.
 
Smetto solo quando una mano pesante, sulla spalla, mi costringe a staccarmi dalla tastiera.
È mio padre, che probabilmente mi stava già chiamando da un po', dalla veemenza con cui mi urla contro.
Mia madre sta accanto a lui, con una mano a mezz'aria pronta a fermarlo in caso le cose degenerassero - cosa impossibile, perché nessuno ha mai alzato un dito su di me, almeno a casa.
«Matthew, sei impazzito? Ma non ti rendi conto che sveglierai tutto il vicinato? Ma sei fuori di testa o cosa?» grida.
Gli risponderei "o cosa" giusto per il sadico compiacimento che proverei a vederlo perdere il senno, ma non parlo.
Lo osservo come una specie rara senza ascoltare minimamente quello che ha da dirmi, mentre mi sbraita contro alternando i movimenti secchi delle braccia al roteare esasperato degli occhi.
Non ascolto.
 
Me l'ha insegnato Dom. Mi ha detto che non devo per forza ascoltare, se qualcuno mi dice qualcosa che non mi piace, e che posso togliere l'audio, come alla tv.
È stata la lezione più importante che io abbia mai imparato, e forse non è troppo ortodossa, ma è utile.
 
«--Matthew! Matthew, mi stai ascoltando?»
Ah, già, mio padre.
«Sì.» mento «Sì, ti sto ascoltando.»
«Cosa ti ho detto?»
Mia madre, poco più indietro, mi guarda speranzosa. Suggerisci mamma, ti prego.
«Io-- Er...che non devo suonare?»
Lei sospira pesantemente, lui si mette le mani tra i capelli.
«Io non so più cosa fare con te.»
Altre parole, altre frasi fatte, ma mi chiudo ancora nel silenzio assordante che mi offre rifugio così spesso, e non sento nulla, vedo solo le labbra che si muovono, mio padre che fa un cenno a mia madre per farla uscire dalla camera, lei che obbedisce malvolentieri, lui che si accuccia sulle punte dei piedi, accanto allo sgabello su cui sono seduto.
Si tiene in equilibrio con le mani, che ha appoggiato sulle mie cosce, bollenti sopra i jeans, e mi guarda dal basso.
Ha smesso di gridare, quindi tanto vale provare ad ascoltare quello che ha da dirmi.
«Perché lo fai, Matthew?»
«Faccio cosa?»
«Perché non mi ascolti?»
«Er...non so.»
Il cuore mi batte all'impazzata, perché poche volte siamo stati così vicini, da soli, ed evitiamo quasi sempre il contatto fisico tra noi, perché imbarazza entrambi, e non è naturale.
«Matt, ascolta...»
«Sì?» incalzo veloce.
Voglio proprio sentire, ora.
Mio padre apre la bocca, fa per iniziare a pronunciarsi e serra di nuovo le labbra, per due o tre volte.
«Er-- Sei migliorato con il piano, sai?» sputa, infine.
 
Ipocrita.
 
«Come lo sai? Non sei mai venuto ai saggi.»
«Hai ragione, Matthew, ma...sai che non vengo perché ho molto lavoro io-- se potessi verrei sempre.»
Non è vero. Non vieni perché ti vergogni fottutamente di me. Si vede da come ti sforzi per dirmi cose gentili.
«Come sai che sono migliorato?»
«Ti sento, ogni tanto, da sotto. L'altro giorno stavi facendo Rachmaninov, vero?»
«Era Tchaikovsky.»
«Ah, scusa.» sorride «E poco fa?»
Ma cosa sta cercando di fare?
«E-- era una cosa mia.»
«Oh. Sul serio? Era molto bella.»
 
Accolgo prudentemente la bugia che prudentemente mi è stata rifilata e ringrazio.
Le sue grandi mani mi ustionano le gambe, lì appoggiate, e posso sentire il suo respiro sulla pelle quando si avvicina un po' di più con il viso.
 
«Hai mandato fuori mamma per dirmi che sono migliorato con il pianoforte?»
L'ho detto o l'ho pensato?
Sospiro furioso di mio padre: l'ho detto. 
Si alza, ora è lui a essere in alto, freddo improvviso nel punto delle mie gambe da cui ha tolto le mani.
«Matthew. Non-- perché devi sempre complicare le cose?»
Il tono è decisamente cambiato.
«Era solo una domanda.»
Ma lui non pare voler sentire scuse e ricomincia a farmi la predica, anche se con meno trasporto di prima.
Non so se ridere o piangere, così smetto di ascoltare per riflettere meglio sulla questione e aspettare con calma che concluda il suo discorso.
Parla, parla, si agita e parla.
«--E cazzo, ascoltami, quando ti dico le cose!» grida.
Non l'avevo mai sentito dire parolacce. Non a me. Beh, non ci parlo poi così spesso.
«Pensavo volessi dirmi qualcosa di importante!»
«Ah sì?» urla «E per te non è importante la mia approvazione per quello che fai?»
«Lo sarebbe, se solo fosse reale!» grido, e sono già in piedi.
 
Per un attimo penso che stia per uccidermi, dato il modo in cui mi guarda.
«Come, scusa?» chiede retorico, in un sussurro.
«I-- niente.»
«Cosa vuoi di più, Matthew? Cosa devo fare, d'altro, per te?»
D'altro?
Perché c'è anche qualcosa che hai già fatto?
«Non so.»
«Non sai.» ripete «A sentir te non sai mai nulla.»
«Io...»
 
Mi guarda e annuisce, come a dare conferma a un'idea formatasi nella sua testa; cerca di calmarsi - e con risultati buoni, devo dire, se non fosse per il velo di tristezza nella voce -.
«Io odio arrabbiarmi con te, lo sai questo?»
«Sì.»
«E... ti sarai accorto che non è un grande periodo, per me e la mamma, sì?»
Faccio sì con la testa.
«Volevo chiederti cosa volessi fare per il tuo compleanno.»
«Il-- il mio compleanno?»
«Sì, Matthew. Il tuo quattordicesimo compleanno. Se vuoi organizzare qualcosa, qualsiasi cosa, a noi va bene.»
«Volevi dirmi questo?»
«Sì. Ho detto a mamma che dovevamo parlare di..."cose da uomini". Non stavi ascoltando?»
«Er...no, io...mi--»
«Smettila di balbettare, Matt. Respira, piuttosto.»
Cerca di sorridermi, di riprendere in mano la situazione.
«Beh, pensavo-- magari sto a casa e...»
«Non vuoi invitare nessuno?»
«Beh, D--»
«--A parte Dom, s'intende.»
A mio padre non è mai andato a genio. Non è abbastanza figo o cazzate simili, immagino. 
«In realtà...non penso di fare una festa.»
«Hey, come no? Sarebbe grandioso! Perché non inviti tutta la scuola?»
Vediamo...perché sono uno sfigato e verrebbero solo quelli del club di paleontologia - anzi, neanche, perché non hanno il permesso di uscire la sera -?
«Non--» mi blocco in tempo prima di proferire un'altro "non so" «Er...voglio dire, davvero, preferirei di no.»
«Neanche se me ne andassi lasciandoti casa libera?»
Se facessi una festa per ogni volta che mio padre se ne va e mi lascia "casa libera", gli invitati farebbero prima a trasferirsi qui.
«No, papà. Sul serio. Non mi va.»
Lui alza un angolo della bocca, deluso, credo. O completamente indifferente.
«Hai vinto. Fa' come preferisci. Non c'è davvero nulla che vorresti fare?»
«No.»
Sospira.
«Allora io torno di sotto. Dimmelo, se cambi idea, d'accordo?»
«Sì, certo. G-grazie.»
 
Sta per uscire dalla mia stanza, la mano sull'ottone della maniglia.
«Asp-- papà!»
«Cosa, Matthew?»
«Er...magari potremmo andare a fare un picnic.»
Sembra stupito.
«Un-- un picnic
«Sì!»
«E con chi?»
«Beh, pensavo...io, la mamma, Paul, Dom e-- cioè, se tu quel giorno puoi...»
Annuisce come se gli avessi confessato qualcosa di sconcertante.
«Mh...ok. Ok, si può fare!»
«Davvero? Ci-- ci sarai
«Certo!»
«Oh, beh-- wow. Grazie.»
Sorride ancora.
«Sei sicuro di non volere la cena?»
«Sì, sto bene così.»
«Ok. Mangerai di più domattina. Buonanotte, Matthew.»
«Buonanotte, papà.»
 
Mi sdraio piano sul letto, respirando a fondo il profumo di pulito delle coperte appena lavate.
L'idea per il compleanno è fantastica e non vedo l'ora.
Ripenso alla giornata passata con Dom - ridacchiando da solo al ricordo dei nostri discorsi - e all'idea del picnic, e a mio padre, a cui piace quello che faccio.
Sono felice, e mi addormento quasi subito.
 
 
*
 
 
Mi risveglio con il sapore del digiuno in bocca - che ore sono? Ah, è l'una - e una fame atavica.
Mi alzo piano, rendendomi conto di essere ancora vestito, e mi addentro nel buio del corridoio per intraprendere il mio viaggio verso il frigo.
Non ho neanche iniziato a scendere le scale e noto che la luce della cucina è ancora accesa.
Ascolto.
Non sento, cazzo.
Gradino, gradino, gradino.
Due voci.
Gradino, gradino, gradino.
Questa è mia madre.
Questo è mio padre.
Ora posso distinguere ogni parola chiaramente.
Mi siedo, la mano sinistra aggrappata ad una delle sbarre di ferro della ringhiera, e decido che starò qui, immobile sulle scale, ad ascoltarli finché non finiranno, a sentire cosa si dicono quando non sono davanti a noi. Non importa cosa succederà dopo.
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
Ecco, perdonatemi l'arrancante comicità iniziale, non volevo illudervi *O* tipo "Ahah, ahah, ahah ridiamBUM! Angst."
 
Spero comunque vi sia piaciuto, ci vediamo con il prossimo! *v* 
 
Cheers! ♡ 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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