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Autore: SusanTheGentle    18/01/2013    10 recensioni
Un amore improvviso, due cuori che si incontrano ma che non riescono mai a toccarsi davvero come vorrebbero...almeno fino all'ultimo giorno. Nessuno sa. Forse nessuno saprà mai. Solo Narnia, unica testimone di quell'unico attimo di felicità.
Caspian e Susan sono i protagonisti di questa nuova versione de "Il Viaggio del Veliero". Avventura, amore e amicizia si fondono nel meraviglioso mondo di Narnia...con un finale a sorpresa.
"Se vogliamo conoscere la verità, dobbiamo seguire la rotta senza esitazione, o non sapremo mai cos'è successo ai sette Lord e dove sono finite le Sette Spade"
Il compito affidatogli questa volta era diverso da qualsiasi altra avventura intrapresa prima. C'era un oceano davanti a loro, vasto, inesplorato; c'erano terre sconosciute alla Fine del Mondo; una maledizione di cui nessuno sapeva niente. Non era facile ammetterlo, ma era probabile che nessuno di loro sarebbe mai tornato. Stava a lui riportarli indietro.
Caspian si voltò a guardare Susan, la quale gli rimandò uno sguardo dolce e fiero, e all'improvviso capì che qualsiasi cosa fosse accaduta, finché c'era lei al suo fianco, avrebbe sempre trovato la forza per andare avanti"

STORIA IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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13. Le sette spade

 
 
Susan, Lucy e Eustace attesero per tutto il pomeriggio il ritorno dei loro compagni.
Occuparono il tempo sul Veliero dell’Alba. Lucy mostrò alla sorella ogni particolare della nave, facendole da guida da poppa a prua.
“Lì c’è la cambusa. Il cuoco prepara dei manicaretti eccezionali, vero Eustace? Questo è il ponte di combattimento, là c’è il ponte di comando, dove di solito sta Drinian al timone. Per di qua si va negli alloggi dell’equipaggio, dove dormono anche i ragazzi. Io e te dormiremo nelle cabine più grandi, invece, quella del Re e quella del capitano. Oh, e guarda qui!”
Lucy portò Susan nella cabina di comando, dove la grande carta nautica dell’Oceano Orientale era dispiegata sul tavolo di legno pregiato, situato di fronte ai ritratti dei Sette Lord di Telmar.
“Susan?” la chiamò Lucy.
Susan si voltò e vide che la sorellina le porgeva un arco finemente decorato e una faretra bianca. All'interno di essa c’era almeno una dozzina di frecce, ornate all'estremità da una particolare piuma scarlatta.
“I miei doni!” esclamò la Regina Dolce, prendendoli dalle mani della ragazzina.
“Caspian li ha custoditi per noi. Non è un bel gesto?”
“Sì” mormorò Susan, accarezzando il legno liscio della sua arma prediletta.
“Lui sapeva che saresti tornata”
La ragazza alzò il capo e vide che Lucy le sorrideva. Ricambiò, aggiustandosi poi arco e frecce dietro la schiena.
Tutto ora era come doveva essere. Susan si sentiva di nuovo una Regina di Narnia a tutti gli effetti.
“Senti, ehm…poi com’è andata?” sussurrò Lucy titubante, sbirciando Eustace che girovagava nella cabina curiosando qua e là.
Susan le restituì uno sguardo leggermente interrogativo.
“Tra te e Caspian, voglio dire”
“Bè…E’ andata che ci amiamo” sorrise.
Anche Lucy fece un sorriso smagliante.
“Magnifico! Quindi vi sposerete?”
Susan trattenne il fiato.
Sposare Caspian! Sarebbe stata la realizzazione di tutti i suoi sogni.
“Allora?”
“Oh, io…io non so…” rispose Susan, con il cuore che le batteva fortissimo.
All’improvviso ricordò che quella mattina, Caspian aveva iniziato a parlare di qualcosa che riguardava entrambi. Purtroppo era stato interrotto e non avevano più avuto modo di riprendere la conversazione. Era una cosa sulla quale aveva a lungo riflettuto.
E se fosse stato…Possibile che Caspian le volesse chiedere di…sposarlo!
Sua moglie.
Se lo fosse diventata, nessuno avrebbe più potuto separarli. Il matrimonio era sacro per Narnia, e una volta uniti i due sposi non potevano essere disgiunti. Era una delle leggi principali della Grande Magia, Susan le conosceva bene e di sicuro anche il Re.
“Chi è che si sposa?” chiese Eustace avvicinandosi alle cugine.
“Ancora nessuno, credo” rispose Lucy, scambiandosi uno sguardo d’intesa con la sorella.
Susan annuì.
“Ma succederà prima o poi, vedrai. Me lo sento”
Le due sorelle si abbracciarono ridendo.
“Oh, lo spero tanto Lu. Lo spero tanto”
Susan si sentì davvero come una sposa in attesa mentre se ne stava sotto il portico della casa di Bern con la sorella, il cugino e le figlie del Lord, tre graziose fanciulle molto ben educate con le quali le Pevensie strinsero subito amicizia.
Le tre si profusero in grandi complimenti e apprezzamenti riguardo i bei giovani sovrani di Narnia. Fu davvero strano per Susan e Lucy sentir parlare in certi termini dei loro fratelli. Eustace fece finta di star male. Le tre povere ragazze gli credettero quando si accasciò al suolo, nel momento in cui la maggiore, che si chiamava Tara, disse che gli occhi azzurri di Re Peter l’avevano incantata.
In quanto a Caspian, né Lucy, ma soprattutto Susan, diede torto alle figlie di Bern in quanto ad apprezzamenti. E Susan si scoprì gelosa per la prima volta.
Quando i tre ragazzi ricomparvero con tutti gli altri, oltre a tirare un sospiro di sollievo, la Regina Dolce si soffermò ad ammirare la figura di Caspian avanzare nella luce del tramonto.
Alto, le spalle forti, il fisico atletico scolpito grazie ai molti allenamenti con la spada, i capelli lunghi e scuri mossi dalla brezza della sera.
Com’era bello il suo Caspian.
Susan sorrise, e Eustace dovette tirarla per una manica dell’abito per costringerla a posare lo sguardo altrove.
“Non vieni a mangiare? Che c’è, stai ancora male?”
“Oh, no, arrivo. Scusami. Ero solo...solo sovrappensiero”
Il ragazzino fece una piccola smorfia. “Lo sei un po’ troppo quando c’è nei paraggi quello là” disse indicando Caspian con un cenno del capo.
“Mmm…Tu dici?” sorrise ancora lei.
Si riunirono attorno a una grande tavolata all’aperto, nel cortile davanti alla casa.
Peter, Edmund e Caspian raccontarono che le cose al palazzo del governatore erano andate piuttosto bene. L’unico inconveniente era stato l’arrivo del principe Rabadash, il quale aveva tentato di opporsi alla corona di Narnia con un’arroganza senza pari.
“Credete che ci daranno ancora dei problemi?” chiese Susan preoccupata.
Aveva incontrato Rabadash solo una volta e per poco tempo, ma in cuor suo sentiva che era un individuo da cui guardarsi attentamente.
 “No, non credo” le rispose Peter. “Sembrava che avesse tutta l’intenzione di ripartire”
Raccontarono ancora che dopo aver congedato Gumpas, si erano recati dagli alti funzionari delle Isole Solitarie. Erano usciti dalla lunga seduta del consiglio che già si stava avvicinando il tramonto.
Si era discusso del rinnovo del governo, per il quale Caspian aveva proposto Lord Bern, non più come governatore, ma come duca.
“Siamo stanchi di governatori”
Bern, con occhi colmi d’emozione e gratitudine, si era inginocchiato davanti al suo Re e ne aveva preso le mani. Con grande stupore e ammirazione di tutti i presenti, Caspian lo aveva investito del titolo di Duca delle Isole Solitarie e l’uomo aveva giurato eterna fedeltà al regno di Narnia, a Caspian e ad Aslan.
Si era allora discusso degli accordi commerciali per abolire la schiavitù e dell’interminabile disputa che Narnia e Calormen avevano imbracciato dai tempi dei tempi.
Era stata una giornata lunga e stancante, specialmente per Edmund, il quale si era dimenticato com’era rimanere tutto il giorno a parlare di trattative, sanzioni, legislazioni e quant’altro.
Peter invece sembrava sempre a suo agio qualsiasi cosa facesse, e se era stanco non lo dava a vedere minimamente. Edmund invidiava il modo in cui,sia il fratello che Caspian, riuscivano ad avere sempre la mente lucida e pronta.
Non voleva essere da meno. Quel giorno non si era impegnato abbastanza, aveva lasciato quasi sempre la parola agli altri.
Peter non si era risparmiato nonostante non fosse il legittimo Re di Narnia. Ma Peter era Re Supremo, poteva permettersi di intervenire quando lo riteneva giusto, anche Caspian lo riconosceva. Lui invece era al disotto di loro. Si sentiva al disotto. Potevano dire tutto quel che volevano, potevano trattarlo alla pari, ma lui avrebbe sempre occupato un ruolo in seconda fila. Forse appena un poco più indietro degli altri, ma pur sempre secondario.
Ecco di nuovo quella punta d’invidia.
Non doveva pensare così.
Guarda Susan e Lucy, si disse.
Erano entrambe Regine, ma nessuna delle due aveva il dubbio di essere inferiore all’altra.
Forse però per loro era diverso. Erano donne, non avevano tutta l’influenza che avevano gli uomini. Non per sminuirle, ma le cose stavano così. La Regina era una figura assai importante, spesso le due sorelle, nell’Età d’Oro, avevano preso parte a stesure di leggi e piani di battaglia, ma l’ultima parola era sempre del Re. Egli era il condottiero del regno.
Prima lo era stato Peter. Ora Caspian.
E tu? disse una vocina antipatica dentro la sua testa.
E’ giusto, devo smetterla di pensarci. Hai tradito i tuoi fratelli Edmund, ricordatelo. Probabilmente, questo è il posto che ti spetta. Sempre un passo indietro a tutti.
 “E il Tempio di Tosh, Task, o come diamine si chiama?” intervenne all’improvviso Eustace, scoccando occhiatacce a Ripicì.
Il topo stava cercando di soffocare una risata nel suo calice d’acqua, con il risultato di spruzzare bollicine tutte addosso a Drinian, seduto vicino a lui.
“Tash” lo corresse Caspian con calma. “Degli uomini si stanno già occupando dello smantellamento di quel luogo”
“Chi sono?”
“Gli stessi che vi lavoravano come schiavi, Eustace. Mi hanno espressamente chiesto di poterlo fare. Credo sia una gran soddisfazione per loro buttarlo giù mattone per mattone”
“Dopo tutta la fatica che avranno fatto! Insomma, non è una costruzione da niente!”
“Io penso che lo odino” intervenne Susan. “Credo che l’averlo costruito non gli abbia arrecato alcun piacere, è il contrario semmai. Quel Tempio è stato eretto con il sudore e il sangue delle loro schiene”
“E’ vero” annuì Caspian guardandola. “Ogni centimetro di quel luogo porta il segno di una frustata. Anch’io penso che non vedano l’ora di sbarazzarsene”
“Ma che ne sarà della maledizione di Tash?” chiese intimorita la minore delle figlie di Bern.
“Sono tutte sciocchezze, milady” dichiarò Ripicì.
“Non penso proprio, amico topo” affermò Bern con aria grave.
“Spiegateci meglio di cosa si tratta, per favore” chiese Edmund. “Anche quand’eravamo in cella avete continuato a parlare di questa maledizione o malattia, come l’avete chiamata voi”
Bern strinse la mano della moglie, seduta dinnanzi a lui.
“Non è né l’una né l’altra, ma è entrambe allo stesso tempo. Anche alcuni nostri servitori sono stati colpiti dal sortilegio. La nebbia verde ha cominciato ad arrivare dal mare a est da qualche mese a questa parte. Prima di iniziare a fare sacrifici, si ammalarono molte persone. Ma non si può propriamente chiamare malattia. E’ una strana condizione di sonno, quasi un sonno irreversibile. Le persone che ne sono state colpite si addormentano e non si svegliano più. Non sentono, non sognano, non hanno incubi, niente. Sono lì, vive, in salute, ma irrimediabilmente addormentate.
“Io avevo una certa influenza qui a Portostretto, e cercai di parlare al governatore della situazione, ma egli non mi ascoltò, e per mettermi a tacere mi rinchiuse addirittura in prigione. Provai a fargli capire che facendo finta di nulla, la nebbia sarebbe avanzata sempre più, con il rischio di colpire tutta la popolazione e protrarsi oltre, ma Gumpas era troppo occupato nei suoi nuovi affari con Rabadash per darmi ascolto. Poi gli venne la brillante idea- sotto consiglio del principe, ovviamente- di cominciare a far credere che tale malattia fosse in realtà la maledizione che Tash aveva gettato su di noi, per punire chi non gli era davvero fedele. Il resto lo sapete da voi”
Tutto intorno al tavolo calò il silenzio, nel quale tutte le menti dei presenti realizzavano silenziose conclusioni diverse.
Il grosso Kal spezzò quel ciclo di pensieri.
“Avevate ragione a credere che la nebbia si fosse protratta oltre le Isole Solitarie, perché è arrivata sin nel nostro arcipelago. Anche nelle Sette Isole ci sono stati casi di questo sonno eterno. Noi lo chiamiamo così”
“Di che cosa può trattarsi veramente?” chiese Lucy, tremante, perché tutta quella storia le aveva messo paura “E dove vanno le persone che sono state prese dalla nebbia?”
“Nessuno lo sa, Maestà” rispose Bern.
“Rabadash sembrava credere davvero a quello che diceva riguardo all’ira di Tash” intervenne Edmund. “Ne ha accennato prima di andarsene. Io credo che qualcosa di vero ci fosse. I Calormeniani sono malvagi, ma non dei bugiardi. E non mentirebbero mai su qualcosa che riguarda la loro divinità. Ne hanno troppo rispetto e troppa paura”
“Non possiamo fare proprio niente per quelle persone addormentate?” chiese Susan. “Chissà, forse potrebbe aiutarli il tuo cordiale, Lucy,”
“Sì, potete tentare”
“Che sciocca! Non ci avevo nemmeno pensato!” esclamò la ragazzina schizzando in piedi.
La moglie di Bern le portò di sotto, tra gli alloggi della servitù. C’erano due cameriere e uno dei maggiordomi profondamente addormentati nei loro letti. Non sembravano affatto malati, pareva proprio che dormissero, anche se effettivamente c’era qualcosa di strano nel loro stato. Non era un sonno normale, era…non avrebbero saputo spiegare la sensazione che si aveva nell’osservarli. Sembravano sospesi tra una dimensione e un’altra, o qualcosa del genere.
Lucy capì all’istante che la sua pozione non avrebbe funzionato, ma fece comunque un tentativo.
“Mi spiace” disse mortificata voltandosi verso Bern, il quale scosse il capo e le sorrise, come a dire che se l’aspettava.
“Non è una vera malattia, è più che logico che il vostro cordiale non la curi. Non sappiamo che cos’è”.
“Avete detto che la nebbia viene da est” disse Caspian.
Lord Bern annuì.
Il Re di Narnia guardò i suoi compagni.
“Stai pensando che, prima o poi, ci imbatteremo in lei quando ripartiremo, vero?” chiese Edmund.
“Non solo. Forse potremo anche riuscire ad incontrare chi l’ha evocata”
“E se fosse stato davvero Tash?”
“E’ ciò che intendo scoprire”
I Pevensie furono d’accordo con lui, dandogli il loro pieno sostegno.
A quel punto, Lord Bern non poté più tacere.
“Miei cari Sovrani, c’è una cosa importantissima che vi debbo dire. Volevo aspettare il momento giusto, e penso sia questo. Venite, sediamoci”
Presero tutti posto nel comodo salotto, dove il fuoco scoppiettava allegramente nel camino. Ora che era quasi autunno, anche se il clima delle isole era sempre piuttosto mite, la sera talvolta faceva molto freddo.
 “Vorrei essere breve, Sire, ma temo di dover ripercorrere un poco la mia storia”.
“Fate pure ciò che ritenete opportuno”
Bern incrociò le mani e fece un sospiro prima di iniziare.
 “Ci sono sempre stati sette lord al fianco di un Caspian, come Miraz poi ebbe i suoi. Il numero sette era sempre stato fondamentale nella Vecchia Narnia”
L’uomo si voltò verso i Pevensie, i quali assentirono.
“Significava completezza, armonia e perfezione” enunciò Peter.
“Esatto, e questa fu una delle pochissime tradizioni rimaste vive dopo che Telmar invase il regno” riprese Bern.
 “Quando Caspian IX morì, Miraz sostituì noi sette con i suoi fidati Sopespian, Glozelle, Montoya, e via dicendo. Ci disse che il nostro compito, ora, era partire alla conquista di nuove terre, conquistare nuove colonie da aggiungere al suo nuovo regno di Narnia. Tutti sapevano, ovviamente, che era una scusa, ma nessuno ebbe coraggio di far nulla”.
Bern si rivolse direttamente al Re.
“Miraz ci minacciò, dicendo che avrebbe fatto del male anche a voi se avessimo tentato qualcosa. Vostro zio sapeva quant’eravamo fedeli a vostro padre, così come a voi, e noi sette giurammo al nostro amatissimo re di proteggervi da qualsiasi pericolo se mai gli fosse accaduto qualcosa. Ma non ci fu possibile”.
Bern fece un’espressione sconsolata.
“Miraz aveva paura che, con la nostra autorità, noi Lord avremo potuto far qualcosa contro di lui. Come ben tutti saprete, da sempre il Gran Consiglio di Narnia conta tra le sue fila dieci membri: sette lord, il capitano della guardia, il reggente e lo stesso re. Queste persone erano le uniche, dai tempi di Caspian I, che sapevano la verità su Narnia. La verità che venne così rigidamente nascosta a tutti gli altri, nobili e comuni cittadini, persino alla regina.
“Quando sareste divenuto adulto, mio signore, probabilmente vi avrebbero messo al corrente di questi segreti, facendovi porre un giuramento di non rivelarli mai. Fortunatamente, li avete scoperti prima del tempo fissato”.
Sul volto di Bern comparve un sorriso.
“Fu merito del mio tutore, il Dottor Cornelius” disse Caspian.
“Di certo, dev’essere un uomo straordinario”
“Ma signore” chiese Lucy a Bern, “perché mai la stirpe dei Caspian tramandava le vere storie di Narnia, se poi facevano di tutto per tenerle segrete?”
“Giuravano di tenerle nascoste, mia Regina, perché avevano paura che qualcuno usasse quelle informazioni per far cadere la corona di Telmar. I Caspian sapevano di non essere i legittimi sovrani, avevano paura che la loro casata potesse cadere. Che potesse arrivare qualcuno a rimettere e cose a posto. Ma di, certo” sorrise il vecchio Lord “non potevano immaginare che quel qualcuno sarebbe stato uno di loro”
“E’ vero” ammise Caspian con aria solenne “Basta con le leggi e tradizioni di Telmar. In questi tre anni ho cercato di riportare il regno all’antico splendore dell’Età d’Oro. Voglio che Narnia torni a essere quella che era. Soprattutto, niente più segreti tra il re e il suo popolo”
I quattro Pevensie e Caspian si scambiarono un sorriso.
“Mio amatissimo sovrano” riprese Bern con una luce di rispetto negli occhi grigi. “C’era una cosa che differenziava Caspian IX dai suoi antenati. E la vedo ora in suo figlio: la bontà d’animo. Il cuore puro. E adesso so per certo che voi siete destinato a qualcosa di grande”
Bern si rivolse alla figlia maggiore. “Tara, prendi la mia vecchia spada, per favore”.
La ragazza si alzò e si avvicinò a una vecchia cassapanca in fondo alla stanza. La aprì e i ragazzi videro che c’era un doppio fondo, un vano per nasconderci qualcosa. La ragazza ne estrasse qualcosa di lungo e stretto avvolto in un panno bianco di lino. Lo depose davanti al padre e poi tornò al suo posto.
Tutti osservarono attentamente Lord Bern mentre sfasciava una vecchia spada dalla lama lucente, increspata da vaghe sfumature azzurrognole. Pareva nuova, non si sarebbe detto che fosse rimasta nascosta a lungo, inusata.
“Sembra una vecchia spada di Narnia” osservò Edmund, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Peter.
“Lo è” rispose Bern alzandola e mostrandola a tutti i presenti. “Apparteneva alla vostra Età dell’Oro. Un dono fatto da Aslan per proteggere Narnia. La custodisco da tanti, tanti anni…
“Quando lasciammo il regno salpando sulla nave che Miraz mise a nostra disposizione, tutti noi Lord di Telmar potammo due oggetti particolari: il primo era un bracciale con lo stemma della gran casata di Narnia, da mostrare come riconoscimento per tutte le popolazioni straniere che avrebbero incontrato al di là dell’oceano conosciuto. E poi una spada, di uguale fattura per tutti e sette, le quali facevano un tempo parte del tesoro reale di Re Peter, saccheggiato in gran parte da Caspian I quando attaccò Cair Paravel. Le spade erano rimaste nell’antica casa del tesoro, sepolte tra le rovine, fino all’intronizzazione di Caspian IX".
“Come ne siete venuti in possesso?” chiese Peter.
“E’ una storia straordinaria, mio signore.” Lord Bern posò la lama sul tavolo davanti a lui.
Nessuno sembrava capace di staccare gli occhi da essa.
“Poco tempo dopo che Caspian IX fu incoronato- voi non eravate ancora nato” disse l’uomo voltandosi un momento verso Caspian, “ci fu una battuta di caccia nelle Grandi Foreste. I telmarini temevano le foreste di Narnia, nelle quali si diceva abitassero spettri dall’aspetto di strane creature. Non si andava mai nel folto del bosco proprio per evitare di incontrarli, ma quel giorno, poco prima del rientro qualcosa attirò il nostro sovrano più in là del sentiero battuto. Dopo pochi minuti, una violenta tempesta prese tutti alla sprovvista. Noi Sette Lord, sempre al fianco del re, cercammo un riparo e ci rifugiammo in una grotta. Attendemmo lì il cessare del temporale, davvero violento…quando accade qualcosa di assolutamente fantastico, di miracoloso! All’inizio tememmo il peggio vedendo davanti a noi, proprio sdraiato all’entrata della grotta, un enorme leone da pelo più splendete del sole. Apparve così, da un momento all’altro. Era davvero gigantesco e non c’era via di uscita per noi. Il re ordinò di sguainare le armi, e fu allora che il leone parlò”
Tutti trattennero il fiato.
“Aslan” disse Lucy, solo muovendo le labbra.
“Aveva una voce profonda, melodiosa, rassicurante. Capimmo che non era lì per farci del male, ma perché aveva qualcosa per noi. Abbassammo le armi e attendemmo che parlasse di nuovo.
“Aveva un compito da assegnarci: ‘Vai a Cair Paravel’ disse al re, ‘Cerca l’Antica Casa del Tesoro dove sono custodite le Sette Mitiche Spade dei Sette Amici di Narnia’
“Si volse poi verso noi sette, con i suoi grandi occhi ambrati, splendenti come specchi, e disse: ‘I tuoi compagni le dovranno custodire e portare per qualche tempo, ma non sono per voi. Il tempo degli amici di Narnia non è ancora giunto. Quando arriverà, gliele consegnerete’
Lord Bern parlò con solennità, e ai ragazzi non fu difficile immaginare la voce di Aslan pronunciare quelle parole.
‘Tu che sei il re’ continuò il Grande Leone rivolto a Caspian IX, ‘custodiscile tramite i tuoi compagni più fidati fino al giorno fissato per usarle. Ognuna di esse è uguale in aspetto all’altra, ma diversa in sostanza’. Queste furono le sue esatte parole.
“Ogni spada ha un padrone, e solo chi è destinato ad essa può usarla davvero. Io per anni portai questa lama al mio fianco, combattei difficili battaglie e la spada mi protesse. Sì, la spada. Era portentosa, aveva un potere nascosto e lo sentivamo tutti. Non perdemmo mai una lotta impugnandole, ma non potemmo nulla contro Miraz.
“Fortunatamente, egli non seppe mai nulla del loro potere, o avrebbe certo voluto tenerle per sé, o forse no, giacché odiava la magia e ne aveva il terrore”.
“E chi sono i Sette Amici di Narnia?” chiese Susan.
“Non lo sappiamo, il Leone non ce l’ha mai detto. Disse però che le spade erano per loro, forgiate per essi, non per altri. Noi lord fummo solo i custodi temporanei. Io credo, mia signora, che voi, i vostri fratelli e re Caspian siete cinque di sette”
Tutti si guardarono.
“Ha senso” disse Ripicì. “Voi quattro, Re Peter, Regina Susan, Re Edmund e Regina Lucy, che avete salvato Narnia dalla Strega Bianca e avete regnato come giusti sovrani; e voi Re Caspian, che avete liberato il regno dalla tirannia di Miraz l’Usurpatore. Chi meglio di voi potrebbe far parte di questo gruppo?”
“Quindi queste spade sono per noi?” chiese Edmund, all’improvviso ansioso di prendere in mano la spada di Bern.
“Ma noi abbiamo già le nostre spade” ribatté Peter, scambiandosi uno sguardo con Caspian. “Io ho Rhindon dai tempi del mio primo viaggio a Narnia, e Caspian ha da poco ottenuto Rhasador, datagli personalmente da Aslan”.
“Lo so, Sire, non so dirvi di più sull’uso che dovrete fare di queste spade. Credo che troverete le risposte viaggiando verso oriente, continuando a cercare”
Bern allungò l’arma verso il suo Re. “Prendete, mio signore. E’ rimasta nascosta per troppo tempo, ora la consegno a voi”
Il giovane ebbe un attimo di esitazione, poi l’afferrò.
Caspian ebbe una strana sensazione. Quando aveva impugnato Rhasador la prima volta, aveva da subito percepito un’affinità perfetta con essa, come se si fosse trattato di un prolungamento del suo braccio, l’impugnatura che si adattava perfettamente alla presa della sua mano.
Ma con quella non c’era. Quella spada non era per lui.
Si voltò verso Peter, ma il ragazzo dai capelli biondi fece un cenno di diniego con la testa.
“Ed” fece Caspian alzandosi in piedi.
Edmund, gli occhi fissi sulla spada, si voltò.
“Prendila. E’ tua”
Gli occhi scuri di Edmund si spalancarono in uno sguardo stupito, incredulo.
Si volse in direzione degli amici: tutti erano in attesa di un suo gesto. Ma lui non sapeva che fare.
Da quando il Lord aveva liberato l’arma dal panno protettivo, aveva desiderato toccarla. Era stato come se la spada lo chiamasse. Sì, era strano, a dir poco assurdo, era un oggetto inanimato ma…si trattava pur sempre di una spada di Narnia, forgiata dalla Grande Magia.
Non ne aveva mai avuta una sua, non per davvero. Edmund era il più grande spadaccino del regno, Maestro di Spada ai tempi dell’Età d’Oro. Aveva preso l’abitudine di utilizzare più lame diverse, una per ogni occasione.
Sapeva di non meritare un dono come quello dei suoi fratelli, perché lui era pur sempre il traditore.
Era passato moltissimo tempo, dicevano Peter, Susan e Lucy, ma a Edmund pareva solo ieri. I fantasmi erano sempre lì, pronti a ghermirlo. Erano diversi giorni che rifletteva su questa cosa. Non era degno di portare una spada come l’avevano Peter o Caspian. O forse si?
Se era vero quello che Bern aveva appena detto, se loro cinque davvero erano compresi nei sette Amici di Narnia, anche lui ne faceva parte, per cui…
Però, perché Caspian aveva rifiutato la spada? Forse si era mosso a compassione nei suoi confronti? No, non era per questo.
E’ tua, gli aveva detto. Tua.
“Mia?” mormorò Edmund, ancora confuso.
Ora, tutti lo guardavano e gli sorridevano.
Edmund si alzò e lentamente allungò la mano verso la spada.
“E’ ora che tu abbia un’arma tutta per te, non trovi?” disse Peter.
“La spada di Bern” disse Ripicì annuendo fiero. “La prima delle sette”
Un silenzio solenne scese sulla casa. Poi Caspian estrasse Rhasador e la mise dritta davanti al suo viso.
Tutti capirono subito cosa significava quel gesto: stava per fare un giuramento nel nome di Aslan. Era così che si usava tra i nobili di Narnia. Si specchiavano nella lama delle loro spade, come a voler imprimere le loro parole nel metallo lucente.
Caspian giurò che oltre a rintracciare i sette Lord, avrebbe ritrovato anche gli innocenti scomparsi nella coltre di nebbia verde. Li avrebbe riportati a casa sani e salvi con l’aiuto delle sette spade degli Amici di Narnia.
“E se non ci fosse più speranza per quei poveretti? Se ormai…” disse Susan più tardi, sulla soglia della sua camera, dopo che tutti gli altri furono andati a dormire.
Caspian le diede un bacio sulla fronte. “Non pensarci. Vedrai che non sarà così”
“Ho un po’ paura, Caspian”
“Perdonami. Temo che questa mia improvvisa decisione renderà il viaggio meno facile”
“Non devi chiedere scusa. Sono io che sono sempre tanto insicura. Non sono coraggiosa come Lucy, questo è certo”
“Sei molto coraggiosa, invece. Ricordo bene come combattesti nella Guerra della Liberazione”
Susan lo guardò negli occhi con amore.
“E’ bello da parte tua fare questo per gli abitanti delle Isole”
“Lo faccio perché è un mio dovere. Ne sento il bisogno. Narnia è la mia casa e i miei sudditi sono la mia famiglia”
Lei gli prese le mani e le strinse nelle sue. “Sei una persona meravigliosa. Mi ricordo quando mi dicesti, sulla torre più alta del castello di Miraz, che non credevi possibile diventare un buon re. Bè io invece credo che tu lo sia diventato”.
Caspian le sorrise. “Dici davvero?”
“Assolutamente sì”.
Susan gli accarezzò una guancia, lentamente. “Tutti ti vogliono bene e ti rispettano, e ti seguiranno, io per prima. E’ la tua nobiltà d’animo che ti ha spinto a prendere questo impegno. E questa è una delle ragioni per cui ti amo, Caspian”.
Il Re si chinò e le diede un tenero bacio.
“Tu rimarrai con me?”
“Sempre”.
 
Ci vollero ancora alcuni giorni prima che la compagnia di Narnia potesse riprendere il viaggio verso est.
Drinian disse che ora che si apprestavano a lasciarsi alle spalle le terre e i mari conosciuti, il Veliero dell’Alba aveva bisogno di essere preparato come si deve.
Tutti diedero una mano, anche le ragazze, le quali si occupavano anche di preparare i pasti per gli uomini insieme alle figlie e la moglie di Bern, sempre molto ben organizzate per quel tipo di evenienze.
Il veliero fu svuotato, portato in secca e esaminato da cima a fondo dai migliori carpentieri di Portostretto.
Tra questi, c’era un uomo di nome Rhynce, che cercò più volte di parlare a Caspian, ma il Re sembrava inavvicinabile.
Poi fu la volta delle provviste, delle riserve d’acqua, delle medicine (anche se il cordiale di Lucy poteva benissimo bastare, ma come disse giustamente Susan, doveva essere usato solo nei casi di estrema necessità). E ancora si controllarono lo stato delle scialuppe, della vela, del timone, e tutto da capo almeno per altre due o tre volte. Dovevano essere assolutamente sicuri che la nave fosse in uno stato eccellente.
Durante quel periodo in cui usufruirono ancora dell’ospitalità di Bern, moltissime persone vennero a rendere omaggio al Re di Narnia e ai quattro Sovrani della Leggenda. Chi li aveva visti all’opera nella piazza di Portostretto aveva fatto passare la voce.
“Siamo alle solite” sbuffò Eustace, guardando la processione di gente che a ogni ora del giorno si riuniva attorno al Veliero dell’Alba (rallentando non poco i lavori) e fuori dalla casa.
“Si danno sempre un sacco di arie, come non li sopporto!”
Era rimasto in disparte, seduto sopra un barile a un angolo del porto, dopo che gli altri gli avevano gentilmente detto che combinava troppi guai.
“Tu fa la guardia alle provviste” aveva suggerito Peter.
“Sempre pungente, vedo” commentò Ripicì saltando su un’altra botte. “Dovresti essere fiero di far parte di una famiglia di così nobile lignaggio”
“Ma quale lignaggio! Sono solo dei ragazzetti stupidi e vanitosi. Vengono da Finchley, la città più noiosa di tutto il pianeta Terra!”
“E nella terra di Narnia sono Re e Regine, invece” ribatté tranquillamente Ripicì.
Eustace mise su il broncio. “Cos’ha di così speciale questo posto? Tutti ne parlate come se fosse chissà quale meraviglia. Anche mia cugina Lucy ha raccontato un mucchi di ciance quand’eravamo rinchiusi in quel magazzino. Io però non ho ancora visto tutte le meraviglie di cui ha parlato”
“L’avventura vera e propria deve ancora cominciare, ragazzo mio. Fidati. Quando saremo in mare aperto, allora ti ricrederai”
“Ne dubito fortemente”
“Tu aspetta di approdare sulla prima isola sconosciuta, dove nessuno prima ha mai messo piede”
Ripicì sfoderò la spada, cominciando un combattimento immaginario. “Poserai lo sguardo dove l’occhio umano o animale non si è mai posato. Troverai meravigliosi tesori”
“Tesori?”
“Sì! E potrai incontrare creature mitiche di cui puoi solo immaginare l’aspetto; batterti come un leone per sfuggire a malvagi pirati e salvare donzelle in pericolo. E se saremo fortunati, arriveremo al limite estremo del mondo, dove vedremo il grande precipizio che c’è alla fine”
“Che dici? Non c’è nessun precipizio alla fine del mondo. Il mondo è rotondo!”
“Rotondo?” Ripicì rimise lo spadino nel fodero e osservò Eustace con curiosità. “Che cosa bizzarra. Davvero? Mi piacerebbe saperne di più”
Eustace sospirò scuotendo il capo. “Povero me. Ora mi tocca pure dare lezioni di astronomia e fisica… E va bene, siediti che ti spiego”
Ragazzo e topo rimasero a lungo a chiacchierare sull’universo e tutte le cose che il primo aveva imparato a scuola e dai libri che aveva letto. Per facilitare le cose a Ripicì, prese una mela da un cesto lì vicino, facendo finta che fosse la Terra.
Nonostante i vari battibecchi, Rip rimase affascinato da tutte le cose che il ragazzo gli spiegò e quando vide i Sovrani avvicinarsi, balzò giù dalla botte e corse loro incontro.
“Grandi notizie, vostra Maestà!” esclamò tutto emozionato, rivolto a Caspian. “Sappiamo cosa ci aspetta alla fine di questo viaggio! Ricordate quando, prima di partire, abbiamo parlato della fine che potevano aver fatto gli amici di vostro padre?”
“Sì, lo ricordo. Dicesti che potevano essere precipitati dal bordo del mondo”
“Questo non è possibile” commentò Susan. “Tutti sanno che il mondo è rotondo”
Eustace annuì saggiamente. “Proprio così, cugina, brava!”
Caspian rimase molto sorpreso.
“Dite davvero? Il vostro mondo è rotondo? Dev’essere strano abitare in un mondo così”
“In realtà no” fece Edmund. “Non è che abbia qualcosa di speciale”
“E poi tutti i mondi sono rotondi, non solo il nostro” disse Peter.
“Veramente?” esclamarono Caspian e Ripicì in coro.
“E va bene, ho capito, ho capito” fece Eustace alzandosi.
Si rimise a spiegare tutto per la seconda volta, parlando ad alta voce, tanto che anche i marinai si misero ad ascoltarlo.
In quel momento si sentì estremamente importante.
Poco dopo, tutti parlavano a riguardo dello straordinario Mondorotondo dal quale provenivano i Re e le Regine della Vecchia Narnia.
“Siete mai stati dove si cammina a testa in giù?” chiese Caspian a Susan, con uno sguardo curioso come quello di un bambino.
La ragazza provò una grande tenerezza in quel momento. Scoppiò a ridere, ma senza intenzione di prenderlo in giro, e lo abbracciò.
“Non è proprio così. Oh, Caspian, possibile che tu ancora non abbia capito?”
Lui sospirò. “Sinceramente? Non molto. Ho sentito tante storie che parlano di Mondirotondi come il vostro, e mi sono sempre scervellato fino allo sfinimento per capire come funzionassero. E’ strano”
“Ma anche Narnia sarà così, no? Sferica, come una palla”
“Non lo so. Abbiamo cartine di Narnia, ma non…come li ha chiamati Eustace? Mappamondi?”
“Sì” Susan ci pensò un attimo, sempre aggrappata alle sue spalle. “In effetti, ora che ci penso hai ragione. Non ho mai visto mappamondi nelle biblioteche del castello”
Senza accorgersene, Caspian l’aveva sollevata da terra, tenendola stretta tra le braccia. Molte persone, passando accanto a loro, scoccavano sguardi perplessi, divertiti, o disapprovanti. Uno di questi ultimi era Peter, che aveva continuato a fissarli con un vago cipiglio.
“Mi piacerebbe vedere il tuo mondo” ammise Caspian.
“Sarebbe molto bello se tu potessi venirci. Davvero bello” disse Susan, con un vago disagio che cresceva nel suo petto.
Ogni volta che pensava all’Inghilterra provava la sensazione di nascondersi, cercare rifugio tra le braccia di lui, come se la loro sola forza avesse potuto trattenerla lì per sempre.
Il giovane si accorse immediatamente che il tono della sua voce era cambiato.
“Cosa c’è?”
“Oh, nulla. Stavo pensando a quello che hai detto” mentì Susan. Non voleva parlare di cose tristi.
“Dovevi anche dirmi qualcos’altro, se non sbaglio” aggiunse.
Caspian sorrise. “Non sbagli. Ma credo ci sia troppa confusione ora. E’ un argomento molto serio e preferirei parlartene quando siamo noi due soli, in tranquillità”
“D’accordo”
“Abbiamo tempo, Susan. Stavolta abbiamo tutto il tempo che vogliamo”
Peter si schiarì la gola e Caspian, accorgendosi finalmente della sua presenza, rimise la ragazza a terra.
“Susan, potrei parlarti un momento?” chiese severo il Re Supremo.
“Sì, certo”
I due fratelli si allontanarono di qualche passo, mentre Caspian si dirigeva verso la nave per controllare come andassero i preparativi.
“Ascolta, Sue, io non voglio ostacolare la tua storia con Caspian, però, per favore, cerca di pensare a quello che fai”
Susan inclinò la testa da un lato, accigliandosi. “Non capisco. Che vuoi dire?”
“Vuol dire che ho parlato con Edmund”
Susan spalancò un poco gli occhi celesti, facendo vagare lo sguardo dappertutto tranne che verso di lui. In quel momento, la sua espressione divenne identica a quella di Lucy quando aveva visto lei e Caspian dormire nella stessa stanza.
“Io…bè, non facevamo nulla di male”
“Lascia perdere che facevate, per favore” disse Peter in fretta.
“Guarda che Edmund ha completamente travisato la cosa. Non era come poteva sembrare”
“Ma avete dormito insieme, no?”
“S-sì” arrossì lei. “Ma è stata colpa mia, gli ho chiesto io di restare. Caspian dormiva fuori dalla porta, in realtà”
“Sì, lo so, e lì sarebbe dovuto restare. Comunque, non è solo questo.”
“Peter, ti prego non ti arrabbiare per nulla” lo implorò la ragazza.
Il giovane si passò una mano nei capelli dorati. Poi riprese a parlare con calma, come se stesse cercando di chiarire un concetto che a Susan non era chiaro.
“Susan, tu sei consapevole del perché siamo qui, vero?”
“Ma certo!” esclamò lei allibita. “Dobbiamo aiutare queste persone” aggiunse, guardandosi intorno e osservando il proto brulicante di vita.
Peter annuì e la guardò di sottecchi. “Sì, e probabilmente ci sarà molto altro, cose che scopriremo durante il viaggio. Il punto è che quando la traversata si sarà conclusa, tu e Caspian…”
“No!” esclamò lei allontanandosi di un passo, osservando il fratello con espressione dura. “Non dirlo. Non accennare neppure a quell’argomento. Non ne voglio parlare”
“Susan…”
“Peter, no! Ormai ho deciso. L’ho deciso quando mi sono vista riflessa in quella vetrina del negozio di abiti, a Cambridge. Ho visto una persona che non conoscevo e mi ha spaventato. Io sono così, come mi vedi adesso. Quell’altra Susan non centra nulla con me. Non voglio diventare quella persona”
I due fratelli continuarono a fissarsi, lei con le labbra serrate, lui indeciso se parlarle ancora oppure no.
Anche se Peter augurava a Susan tutta la felicità del mondo, voleva farle capire che non poteva far finta che il suo legame con Caspian fosse duraturo. Il fatto di essere tornati quando non avrebbero più potuto, non dava loro la certezza matematica che sarebbero rimasti a Narnia per sempre, anche se era quello che volevano. Non voleva che sua sorella soffrisse di nuovo. Era meglio abituarsi all’idea di una fine che prima o dopo sarebbe giunta.
“Ti pregherei di non tornare più su questo argomento” disse la Regina risoluta, per poi voltarsi senza attendere riposta, correndo via lungo il porto.
Peter cercò di raggiungerla. Non voleva litigare con lei. La vide passare accanto a un uomo, e questi la fermò prendendola per un braccio.
Il Re Supremo, spaventato all’idea che potesse accaderle ancora qualcosa, si mosse svelto verso di loro.
Caspian sembrò aver avuto la stessa idea.
“Che cosa succede?”
“Vostra Maestà!” esclamò subito lo sconosciuto, volgendosi verso il Re.
Drinian accorse immediatamente, allontanandolo dal sovrano. Ma Susan lo fermò.
“Aspettate, Drinian. Quest’uomo non ha cattive intenzioni, davvero”
“Vi prego, voglio solo parlare con voi, Maestà” disse l’uomo rivolto a Caspian.
 “Tu sei uno dei carpentieri” lo riconobbe il giovane, ordinando a Drinian di lasciarlo avvicinare senza timore.
“Signore, il mio nome è Rhynce. Sono un bravo marinaio, sono stato su molte navi e ho anche nozioni di carpentiere, è vero. Vi prego di prendermi nel vostro equipaggio e di farmi venire con voi. Mia moglie è stata sacrificata alla nebbia verde, e io voglio ritrovarla. Ammesso che sia ancora viva”
Rhynce abbassò il capo, ma lo rialzò quasi subito quando sentì la mano del Re posarsi sulla sua spalla.
“C’è sempre posto per uomini coraggiosi e umili come te, sulla nostra nave. Saremo felici di averti con noi. Vieni pure.”
Rhynce si inchinò felice. “Grazie, Vostra Maestà. Vi ringrazio davvero”
“Padre, voglio venire con te!” gridò all’improvviso una ragazzina dai lunghi capelli neri e vestita di una semplice veste rosa.
“Gael! Ti avevo detto di rimanere con tua zia. Torna subito a casa!”
La bambina si aggrappò alla vita del padre, abbracciandolo forte, cominciando a singhiozzare.
“Non voglio perdere anche te! Ti supplico, non partire!”
“Non posso portarti con me, è troppo pericoloso”
“No, no, non voglio che tu vada!”
La piccola voltò il visetto triste verso Caspian.
“Vi prego, signore, non fatelo salire sulla vostra nave!”
“Gael!” la rimproverò Rhynce, poiché si era rivolta al sovrano in modo troppo scortese.
Caspian sorrise alla bambina e le posò dolcemente una mano sul capo.
“Tuo padre dev’essere un uomo molto coraggioso se ha deciso di intraprendere un viaggio fino ai confini del mondo per ritrovare tua madre”
Gael annuì, reprimendo un singhiozzo.  “Papà è la persona più coraggiosa del mondo”
“Allora devi essere fiera di lui, piccolina”
“Ma io…io…”
“Gael” la chiamò Rhynce con voce tranquilla. Si inginocchiò accanto a lei per guardarla in viso e le asciugò le lacrime. “E’ mai successo che non sia tornato da uno dei miei viaggi?”
La bambina scosse il capo. Egli le baciò una guancia e poi l’abbracciò.
“Fa la brava. Tornerò con la mamma. Te lo prometto”
Così, il Veliero dell’Alba acquistò un nuovo marinaio.
Ormai era questione di un paio di giorni ancora, e poi avrebbero ripreso il mare.
I ragazzi spesero questo tempo occupandosi ancora una volta del bene dei cittadini di Portostretto. Visitarono le famiglie i cui membri erano stati colpiti dal sonno misterioso; Caspian fece un bel discorso nella piazza di Portostretto, gremita come non mai, nel quale annunciò ufficialmente che le Isole Solitarie erano tornate a far parte del regno di Narnia. La notizia fu accolta con grida di gioia.
Il Tempio di Tash aveva lasciato un grande spazio vuoto, dove presto sarebbero sorte nuove abitazioni per i poveri schiavi finalmente liberi, che non avevano mai avuto una casa tutta loro.
Infine, la sera prima della partenza, Bern organizzò una grande festa di addio per i suoi Sovrani.
 
 
L’Occhio di Falco faceva rotta verso la Baia di Calormen già da qualche giorno.
Dopo essere tornato dal palazzo del governatore, il principe Rabadash aveva dato l’ordine di salpare immediatamente. Nessun membro dell’equipaggio aveva osato chiedere cosa ne fosse stato del suo proposito di andare alla conquista di Narnia approfittando dell’assenza di Re Caspian.
Il principe non si fece vedere per un po’, la sconfitta bruciava ancora.
Probabilmente, pensava Emeth era meglio così per tutti.
Emeth tarkaan era da poco entrato a far parte del seguito privato del principe del sud, ma abbastanza a lungo da capire che egli era ben diverso dai principi delle altre terre.
I calormeniani erano un popolo prospero e potente, ma anche crudele. Rabadash era un giovane di venticinque anni appena, ma appariva più adulto sia nell’aspetto che nei modi di fare, impartitigli dalla rigida educazione dell’etichetta di corte calormeniana. Aveva la fama di essere vendicativo, e già una volta Emeth aveva visto all’opera la scimitarra del principe punire un soldato disubbidiente o uno schiavo ribelle. Terribile e spietato.
Nonostante questo, gli era sottomesso, perché era ciò che ci si aspettava da lui. Emeth era l’unico figlio del capitano della guardia Imperiale, Aréf tarkaan, e di una schiava originaria delle terre di Archen. I suoi genitori lo avevano avuto in tarda età. La donna era stata venduta al capitano delle guardie anni prima, era stata servitrice e poi devota moglie di Aréf, e quando si erano ormai rassegnati a non avere bambini era nato Emeth.
Era un ragazzo di sedici anni, i lineamenti più simili a quelli della madre più che a quelli del padre, con i capelli castani chiari e gli occhi nocciola. Alla sua giovane età era già uno dei più abili soldati dell’Impero.
Ma Emeth non amava particolarmente la vita del soldato, preferiva la semplicità e la tranquillità, e avrebbe preferito di gran lunga tornarsene nella provincia di Tashbaan, alla casa della sua infanzia.
Spesso parlava a lungo con sua madre del verde nord, di Archen e di Narnia. Tutto ovviamente all’insaputa di Aréf, che detestava sentir parlare dei Re e delle Regine o del Grande Leone.
Affacciato alla ringhiera del ponte principale, Emeth respirò l’aria della sera, assaporandone gli aromi. L’odore di salsedine, del pesce che cuoceva nella cambusa della nave, quello del tabacco della pipa di alcuni marinai seduti poco distante da lui, intenti a godersi la meritata pausa. Aveva osservato le Isole Solitarie allontanarsi a poco a poco, fino a che erano diventate solo un puntino indistinto all’orizzonte e poi erano scomparse definitivamente.
D’un tratto, strizzò gli occhi al riverbero del sole infuocato. Era una nave quella che veniva da ovest, verso di loro?
Il corno risuonò nella sera, i marinai in pausa alzarono automaticamente le teste al cielo, riprendendo immediatamente il loro posto. Emeth saltò giù dal parapetto e si unì alle file dei soldati.
“Che cosa succede?” chiese al padre, un uomo alto dall’aria severa.
“L’Araldo Nero, figliolo. Il Grande Tisroc ci onora della sua presenza”
Emeth sentì un brivido lungo la schiena. L’Imperatore lì? Perché mai?
La grande imbarcazione era sempre più vicina e la maestosità e lo sfarzo non lasciavano adito a dubbi.
L’Araldo Nero era enorme. La più grande e bella delle navi di Calormen, l’ammiraglia.
La statua di Tash capeggiava a poppa, con gli artigli affilati delle quattro braccia, il viso umanoide con il becco da rapace e le grandi ali da pipistrello, il tutto scolpito in argento purissimo. Le fiancate erano in pregiato legno scuro rifinite d’oro. Le vele erano come quelle dell’Occhio di Falco, scarlatte, e portavano lo stemma della famiglia reale, le due scimitarre d’argento incrociate.
A bordo della nave di Rabadash venne fatta calare l’ancora, lo stesso fecero sull’altra. Marinai e soldati si misero sull’attenti quando l’Araldo Nero fu abbastanza vicino da poter unire i due ponti con una passerella, così che Tisroc potesse sbarcare sull’Occhio di Falco.
Rabadash spuntò da sottocoperta, con un’espressione preoccupata e stupita nell’aver appreso che il padre si trovava lì.
Tisroc apparve avvolto in un mantello rosso fuoco, ricamato di complicati disegni e ghirigori in varie sfumature di oro, porpora e nero. Sul capo portava un turbante della stessa fattura, con al centro della fronte un grosso rubino. Alle dita e ai polsi portava svariati anelli e braccialetti.
Aveva un’età indefinibile, né giovane né vecchio, se non fosse che barba e capelli quasi totalmente bianchi lo tradivano. Un tempo erano stati neri come quelli del figlio. La somiglianza tra i due era evidente (la stirpe dei Tisroc era da sempre molto longeva, tutti vivevano fino ai cento anni e oltre. Il più vecchio era stato Tisroc XI, vissuto fino a centotrent’anni).
Emeth aveva incontrato l’Imperatore di persona solo in due o tre occasioni da quando era al servizio del principe, ma tutte le volte, Tisroc gli metteva addosso una strana sensazione di disagio.
Trasmetteva un senso di imponenza e austerità, e nei suoi strani occhi neri si leggeva sempre un avvertimento di stare alla larga.
Ma chi mai avrebbe osato avvicinarsi all’Imperatore? Emeth sapeva che ai cittadini non era concesso neppure toccarlo, pena la morte per decapitazione. Tisroc, si diceva, discendeva dalla linea diretta di Tash, per cui era una stirpe di uomini illuminati, privilegiati, al di sopra di tutto e tutti.
L’Imperatore camminò sulla passerella. Lo precedevano e lo seguivano due uomini, le sue guardie del corpo personali che non lo abbandonavano mai. Non degnò nessuno di uno sguardo, e sembrò quasi non accorgersi quando tutto l’equipaggio dell’Occhio di Falco si prostrò ai suoi piedi tre volte, toccando terra con la fronte. Così si usava a Calormen salutare il sovrano.
Tisroc si mosse verso il centro del ponte, dove Rabadash lo attendeva.
Il principe sembrava tutta un’altra persona al cospetto del padre. Sottomesso e non più arrogante, si inginocchiò una sola volta e baciò l‘anello che Tisroc portava alla mano destra, quello con lo stemma del regno.
“Oh grande Tisroc, possa tu vivere in eterno. Siamo i vostri umili servi, padre”
“Alzati, figlio. Approvo la tua devozione”
Rabadash si alzò e l’aspettativa scese sulla nave. Tutti erano ansiosi di conoscere il motivo del perché l’Imperatore si fosse scomodato personalmente per venire incontro al principe.
“Scendiamo nella tua cabina, Rabadash” disse il sovrano. “Ho qualcosa di molto urgente da dirti”
Il giovane fece un altro inchino e poi guidò il genitore e le sue quattro guardie del corpo sottocoperta.
Emeth li osservò con la coda dell’occhio finché non sparirono. Poi si rialzò in piedi come tutti gli altri.
Il mormorio si accese subito tra l’equipaggio.
“Perché l’Imperatore ci è venuto incontro?” chiese a un marinaio che gli passò accanto in quel momento.
“Non ne ho idea. Ma qualcosa mi dice che non torneremo a casa tanto presto”

 
 
Tattaratà!!! Ecco il capitolo 13!
Volevo aspettare domenica, poi mi sono detta: “Non posso essere così cattiva” Così ho postato subito!
Quante cose sono successe, vero? Infatti ho dovuto ridurre al minimo i momenti di tenerezza di Caspian e Susan, T____T ma c’era davvero tanto da fare: spiegare delle sette spade, la maledizione della nebbia verde, l’arrivo di Gael e Rhynce, l’arrivo di Tisroc e Emeth! Finalmente sapete qualcosa in più su di lui, ma il suo ruolo definitivo deve ancora venire fuori. Non vi dico nulla se no vi rovino la sorpresa. Ma vi piacerà, lo so ^^
Non manca neanche stavolta un po’ di comicità. Mi sono divertita a scrivere il pezzo delle lezioni di Eustace. Ahah! XD
Se volete vedere come sono di aspetto Emeth, Rabadash e Tisroc, andate a questo link,
http://usagitsukino010.livejournal.com/1429.html dove trovate tutto il cast della storia fin ora. C’è anche una bella galleria di immagini fatte da me di Caspian e Susan, così vi rifate dei mancate momenti di romanticismo ;)
Prima delle anticipazioni, i ringraziamenti:

 
Per le seguite: Allegory86, ArianneT, Chanel483, FedeMalik97, FrancyNike93, GossipGirl88, IwillN3v3rbEam3moRy, JLullaby, piumetta, Poska, Red_Dragonfly, SerenaVdW, Smurff_LT, SweetSmile e Yukiiiiii
 Per le preferite: ArianneT, Babylady, Charlotte Atherton, FrancyNike93, LittleWitch_, Lules, Mary_BubblyGirls, piumetta, SerenaVdW e tinny
Per le ricordate: Angie_V
Per le recensioni dello scorso capitolo: Angie_V, Babylady, Charlotte Atherton, FrancyNike93, GossipGirl88_,  IwillN3v3rbEam3moRy, LittleWitch_, piumetta, SerenaVdW e tinny
 
State aumentando, come sono contenta! :D
 
Angolino delle anticipazioni:
Il prossimo capitolo comincerà con un’importante conversazione tra Rabadash e Tisroc, riguardante le sorti del regno di Calormen e di Narnia. Vi avverto, non è nulla di buono!
I ragazzi invece, sul Veliero dell’Alba, si concederanno un po’ di tranquillità, anche se Caspian e Susan avranno un problemuccio. Niente di grave, però…
Il prossimo capitolo è già in cantiere, la vostra Susan è sempre al lavoro!

 
Un bacio e un abbraccio a tutte voi che mi sostenete e continuate a seguirmi, dimostrando un entusiasmo per questa storia che non avrei mai creduto possibile!
Thanks soooooooo much!
Kiss, Susan<3
   
 
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