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Autore: Domino_Tabby_    20/01/2013    4 recensioni
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Mi vedeva crescere e potevo notare nei suoi occhi il timore che un giorno non avrei più creduto, che gli sarei passata attraverso come se fosse un fantasma.
Ogni giorno, ogni maledetto istante, ogni minuto, ogni secondo.
Sempre.
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Spero vi abbia incuriosito, contando che nelle introduzioni faccio "andare in bagno".
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Ero solo una bambina all'epoca, si e no avevo cinque anni appena compiuti.

Mancavano pochi giorni a Natale e già fremevo all'idea di aprire i regali.

Quel pomeriggio andai con mia madre a fare una passeggiata nel bosco.

Per terra i miei piccoli passi provocavano un rumore sordo sopra il manto spesso di neve.

Avevo il nasino e le guance arrossate dal freddo ,la bocca sprofondata nella sciarpa di lana azzurrina.

Guardavo a occhi spalancati gli immensi alberi di pino coperti di bianco.

I fiocchi scendevano dal cielo come piccole e leggiadre farfalline , che andavano a posarsi un po' per terra e sui miei vestiti.

Davanti a me la figura alta e magra di mia madre camminava sicura, mentre io avevo un certo timore di quelle alte e minacciose fronde.

Qua e là c'era quale spiraglio di luce bianca, che filtrava dagli aghi dei pini e si rifletteva sui piccoli cristalli che stavano cadendo dall'alto.

Ero così incantata da quello spettacolo che le parole di mia mamma mi arrivarono distanti anni luce.

Ci fermammo in una radura circondata dagli alberi, punteggiata a volte da qualche cespuglio candido.

Non amavo molto l'inverno, ma credevo che la neve fosse una tra le piccole cose che ti rendono felice con pochi gesti.

Arrivata ad un certo punto dello spiazzo mi bloccai di colpo e sgranai gli occhi verdi.

-Mamma, Mamma! Guarda quell'albero! Sembra già addobbato per Natale!- esclamai puntando un ditino coperto dal guanto.

Era un abete, coperto solo sulla punta di neve.

Sul tronco erano disegnati con il ghiaccio degli arabeschi magnifici mentre dagli aghi pendevano delle stalattiti di ghiaccio che scintillavano come se fossero luci elettroniche, quelle che usavamo per l'albero di Natale.

Mi girai con un largo sorriso, aspettandomi di trovare il viso di mia madre...che non arrivò mai.

Persi un battito.

L'angolo dove prima era seduta era deserto.

-Mamma?- la richiamai senza ricevere risposta.

All'inizio pensai che magari si era allontanata giusto un po' e che sarebbe ritornata subito.

Un 'subito' lungo, molto lungo, troppo lungo.

Strinsi le mani mentre il mio cuore cominciava a pulsare freneticamente.

Cercai con gli occhi la sua figura familiare ma non la vidi.

Avvertii un forte pizzicare negli occhi e in fondo alla gola.

Non volevo piangere, dovevo essere forte e non farmi prendere dal panico... ma avevo solo cinque anni.

Le lacrime cominciarono a sgorgarmi sulle guance rosee e paffute.

Mi accasciai a terra e strinsi al petto le ginocchia affondando la testa tra le gambe.
Sentii sulle natiche la neve bagnata che trapassava i pantaloni.

Singhiozzai piano, mentre la paura cominciava ad assalirmi lentamente.

I grandi pini erano ancora più minacciosi e l'intera radura sembrava riflettere di una luce oscura e sinistra.

Nell'aria riecchieggiò il verso stridulo e acuto di un corvo, che mi fece trasalire.

Ero convinta che da un momento all'altro qualche mostro spaventoso mi avrebbe sbranato , tingendo la neve di un rosso vivace con il mio sangue.

Rabbrividii al solo pensiero, cominciando a singhiozzare ancora di più.

Dopo un po' sentii dei passi leggeri dietro di me.

Mi si accese dentro un barlume di speranza.
Forse è Mamma!” pensai.

Mi voltai in quell'esatto momento con un sorriso speranzoso.

Però,invece degli occhi marroni di mia madre ne incontrai un paio di azzurri.

-Tu non sei Mamma...- balbettai allontanandomi e ricominciando a singhiozzare.

Davanti avevo un ragazzo circa sui diciotto anni dai capelli lattei.

Indossava semplicemente una felpa blu ,coperta in certi punti da un leggero stato di ghiaccio, e dei pantaloni marroni che non sembravano per niente pesanti.

Nella mano sinistra teneva un lungo bastone, ricurvo fino a formare una mezza chioccola alla fine.

Non portava né calze né scarpe di ogni genere e sopratutto non sembrava soffrire dal freddo.

Continuai a fissarlo con occhi sbarrati.

Lo sconosciuto si accovacciò a terra, tendendomi una mano e sorridendo.

Strisciai goffamente per terra, cercando di allontanarmi da quello strano tizio.

-Ehi, perché piangi?- mi chiese avvicinandosi a carponi.

Vista la mia reazione protese le mani in avanti.

-Non avere paura, mica ti mangio.- rise piano.

Strinse la mia manina e mi fece sedere sulle sue ginocchia.

-Hai perso la mamma?- disse con aria preoccupata.

Io annuii, pulendomi con una manica il nasino colante.

-La ritroveremo, te lo prometto.- continuò fissandomi negli occhi.

Con mio stupore mi posò un tenero bacio sul capo.

Poi con un sorriso ebete tese la mano libera.

-Per la cronaca, Jack Frost, piacere.-

La mascella mi cadde a quelle sue ultime parole.

Jack Frost era davanti a me, in quel preciso istante.

Non potevo crederci.

-Tu...sei reale?!- esclamai scrutandolo con curiosità.

Egli annuì energicamente , mentre agli angoli delle sue labbra si formava un sorriso.
Mia madre mi raccontava spesso della leggenda di Jack Frost, mi piaceva un sacco.

-I-io...sono Sam- ripresi subito dopo.

Il ragazzo mi tenne salda e si alzò in piedi, facendosi leva sul bastone.

-Bene, Sam. Tieniti stretta adesso. Si vola!-

In meno di un secondo fu già a un metro e mezzo da terra.

Mi strinsi ancora di più alla sua felpa, sentendo un brivido percorrermi tutta la spina dorsale.

Continuai a ripetermi di non guardare giù ma fallii miseramente, ritrovandomi malamente con lo stomaco sottosopra.

Trattenni a stento un conato di vomito vedendo a che altezza eravamo.

Gli alberi sembravano piccoli sassolini sparsi in un campo bianco.

Conficcai le unghie nel tessuto del suo indumento affondando la testa nel suo petto.

-Jack, ho paura!- la mia voce arrivò più stridula del solito.

-Trovata! Jackpot...- sussurrò lo Spirito scendendo in picchiata verso il basso, tenendomi salda.

Il vento mi sferzò sulla schiena mentre avanzavamo velocemente in direzione del suolo.

Quando fummo abbastanza vicini l'albino planò dolcemente, atterrando piano sul manto innevato.

Subito davanti a noi vidi mia madre, girata di schiena e china per terra, intenta a prendere qualche cosa dal terreno.

Senza esitare le corsi in contro, abbracciandola.

-Mamma!- esclamai tra le lacrime.

-Samantha. Dov'eri?-

Io non la lasciai andare, mentre bagnavo il suo giubbotto di lacrime.

-J-Jack Frost mi ha aiutato!- dissi puntando nella sua direzione.

Mi girai ma il ragazzo era scomparso, lasciando al suo posto solo un fiocco di neve che galleggiava a mezz'aria.

Mamma rise, portandosi una mano affusolata alle labbra.

-Certo. Adesso andiamo.- mi prese di peso in braccio e si avviò fuori dal bosco.

Io continuai a fissare per tutto il tragitto il punto in cui prima era in piedi lo Spirito, che si era dissolto nell'aria.

Era stato tutto frutto della mia immaginazione? No.

Chissà se lo rivedrò. Mi piacerebbe giocare con lui.” pensai una volta a casa.

Andai nella mia cameretta e sbuffando mi buttai sul letto.

Fissai il vetro della finestra con aria annoiata, non sapendo cosa fare.

Ripensavo a Jack Frost, a come mi avesse salvato.

Una cosa attrasse la mia attenzione : una piccola crepa nel vetro.

No, non era una crepa, era un piccolo strato di ghiaccio che...si stava facendo sempre più grande?!

Sul vetro cominciò a formarsi un quadro fatto di arabeschi ghiacciati e trasparenti.

Restai a fissare quello spettacolo con la bocca aperta.

Trattenni il respiro quando la finestra si aprì e ne entro il ragazzo che mi aveva salvato nel bosco.

-Jack!- esclamai correndogli in contro.

-Ehi Sam.-

Da quel giorno cominciò a venire spesso a trovarmi: giocavamo insieme oppure lui mi mostrava trucchetti che riusciva a fare con la neve.

Era diventato uno dei miei migliori amici.

Arrivò infine il periodo in cui lo vedevo entrare dalla finestra ogni inverno, per mettersi a giocare o semplicemente parlare.

Mi sentivo una bambina speciale ad avere un amico 'magico'.

Era una bella sensazione.

Fece così per dodici anni di fila.

Io credevo in lui, credevo nella sua esistenza come sapevo che ogni mattina sorgeva il sole.

Ormai ero una delle poche 'ragazze grandi' che ancora credevano.

Diventò parte della routine che Jack venisse a trovarmi dopo scuola.

Mi insegnò molte cose sui guardiani, e io lo ascoltavo con immensa curiosità.

Cominciai ad apprezzare quel suo carattere ribelle e furbo.

Mi vedeva crescere e potevo notare nei suoi occhi il timore che un giorno non avrei più creduto, che gli sarei passato attraverso come se fosse un fantasma.

Ogni giorno, ogni maledetto istante, ogni minuto, ogni secondo.

Sempre.

Ma lo sapevo anche io che prima o poi non avrei più badato a lui, che lo avrei trattato come una fantasia, come una leggenda inesistente agli occhi adulti.

Eppure questo pensiero mi faceva rabbrividire.

Decisi che avrei continuato a credere, ma non fu così semplice come mi aspettavo.






Spazio Autore:

Spero vi sia piaciuto. Scusate per gli orrorierrori grammaticali.
Ciao!
-Tappy

 

  
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