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Autore: Jane41258    20/01/2013    5 recensioni
Distopia, ucronia.
La bomba atomica che esplode su Hiroshima nel 1945 uccide Rin Nohara e catapulta il tredicenne Obito Uchiha nel 2454: il Giappone non esiste più, inglobato nella Repubblica Nazionalcomunista Asiatica, nazione in cui la parola "libertà" è messa al bando e i cittadini sono ridotti a burattini compiacenti, senza cervello e senz'anima.
Obito viene salvato dal dottor Uchiha Madara, un medico sovversivo che convince il ragazzo ad aiutarlo nella sua causa.
Obito vuole salvare il mondo, ma più di tutto vuole salvare Rin per cui prova un amore immenso e ossessivo. Pianifica di tornare indietro nel 1941 e consegnare al governo giapponese informazioni complete sulla bomba atomica, affinché il Giappone sviluppi la bomba prima degli Stati Uniti, vinca la guerra e prevenga il disastro di Hiroshima.
Se il piano di Obito riuscisse la Germania Nazista e i suoi alleati vincerebbero la seconda guerra mondiale e conquisterebbero il mondo.
Fic partecipante al Matrioska Multicontest di Deidaradanna, 4° classificata su 6.
Vincitrice del Premio Trama e del Premio Filo di Pensieri [penso premi i temi e i modo in cui li si affronti]
ATTEZIONE, SPOILER!
Genere: Generale, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Akatsuki, Madara Uchiha, Obito Uchiha, Rin | Coppie: Obito/Rin
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun contesto
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So, vi avverto che ciò che state per leggere è un capitolo di transizione, molto corto e semplice.
Sì, visto com'era lungo il precedente e come sarà il prossimo, è legittimo chiedersi perchè diavolo non mi sia impegnata in una divisione più equa, ma nella fretta della stesura ho pensato a dividere per fascia temporale e fase psicologica, non per lunghezza. Siccome difficilmente mi escono capitoli tanto autonomi e completi, ho deciso di lasciare così, nonostante lo squilibrio di lunghezza.
Praticamente qui mostro in itinere il cambiamento di personalità di Obito e cosa diamine combina in questo 2454.
Si narra di un giorno come tutti gli altri, ambientato due anni dopo il suo arrivo nel futuro in cui, ricordatevelo, è costretto a stare sei anni.
L'ho riletto minimo quattro volte trovando ogni volta errori e storture stilistiche da correggere e ho smesso per sfinimento-"Sticazzi" ho pensato "Ora pubblico e basta" quindi credo ce ne siano ancora un bel po'.
Devo aver fatto proprio un disastro nella stesura affrettatissimacrying
Ringrazio Hikari e Fellina per aver recensito il capitolo precedente e vi invito a recensire numerosi questo anche se non è tutto questo granché, affinché possa comprendere punti di forza, errori e difetti.
In ogni casobuona lettura a tutti!!!

 

 

 

“Come padron Tobi ha richiesto, Li-chan la sveglierà. Sono le sette, Tobi-sama, si svegli”
Partì una canzone orrenda che Obito giudicò come una serie di strilli acuti e di gemiti senza significato e il ragazzo si mise seduto di malavoglia.
“Che cosa desidera per colazione?”
Il ragazzo si mise seduto di malavoglia, “il solito” rispose con la bocca impastata e gli occhi annebbiati.
Pochi attimi dopo si ritrovò con uno Zetsu al suo fianco che gli porgeva biscotti energetici e succo artificiale di arancia.
“Buongiorno moccioso, come va?” chiese l’androide bianco facendogli un occhiolino.
“Sei un servitore molto strano tu… e poi io sono molto più vecchio di te” rimbrottò il ragazzo.
“Non sei più vecchio di me sul piano biologico, né intellettuale, mio ospite. Sappi che sono qui solo perché Maddy-sama mi ha ordinato di farti da balia. Ahah!”
Il ragazzo lo ignorò e si alzò
“Devo andare in bagno, B2”
“Vai a fare la cacca?” commentò lo Zetsu affascinato come sempre “Mi fai guardare stavolta? O almeno poi mi racconti?”
“Ma che razza di idiota maniaco!” strillò il ragazzo seccato.
“Ma cosa si prova... sono curioso!”
“Hai rotto le palle!”
“Scusa... ”
L’androide bianco abbassò la testa, un po’ sconsolato.
“No, scusami tu, è solo che... mi sento soffocare, capisci?”
“Sì” rispose lo Zetsu inaspettatamente serio, poi parve riprendersi ed emise uno strano sibilo contento.
Obito si diresse in uno dei cerchi verdi e “Stanza B2” farfugliò. Ripassò mentalmente le coordinate dell’Accademia, 34° 24' 37.465''-N, 132° 27' 18.174''- E, -150.52 m, e di casa sua, o meglio di quella di Madara, 34° 24' 38.100''-N, 132° 27' 2.027''- E, -180.13 m, erano quelle che avrebbe dovuto pronunciare ad alta voce quando entrava nei cerchi per farsi teletrasportare.
Espletò i suoi brevi bisogni corporali, si sciacquò la faccia e si guardò nello specchio. I capelli gli erano cresciuti fino alla spalla e Obito doveva ammettere che sembrava veramente il figlio di Madara: stava anche assumendo alcuni suoi atteggiamenti e portamenti. Si pettinò e si passò la mano sul viso, ora intatto. Erano solo due anni che frequentava l’Accademia, ma già si era guadagnato diverse punizioni corporali per la propria incompetenza, fortunatamente la medicina di quell’epoca era avanzata e cancellava gli squarci che Yagura-sensei lasciava sul suo viso.
Il ricordo del dolore restava.
Uscì dal bagno e rimirò per un attimo la parete. Zetsu gli aveva insegnato che col computer si potevano disegnare e stampare disegni in carta o creare ologrammi 3D così lui aveva riempito la stanza di ritratti di Rin e ora sullo schermo finestra giganteggiava il volto sorridente della ragazza. Aveva creato anche un’immagine che comprendeva Kakashi, poi cambiando idea gli aveva cancellato la faccia.
Indossò la divisa scolastica, un’assurda tunica nera a nuvolette rosse, e si teletrasportò davanti all’Accademia.
“Ciao Tobi” lo salutò di malavoglia Deidara, un ragazzo bellissimo e dal carattere intemperante quindi assai divertente da tormentare.
“ ‘giorno senpai! Oggi sei tutto spettinato! Deidara-senpai lo sai che sei più sessualmente appetibile così?”
Non era reale la spensieratezza che Obito mostrava al mondo ma se doveva recitare, come Madara gli aveva imposto, almeno ci avrebbe messo il suo marchio personale.
Provava inoltre un sadico divertimento nel mostrarsi così candido e allegro, così simile a quello che era solo poco tempo prima, quando in realtà riteneva i suoi interlocutori plebaglia da deridere e disprezzare soltanto. L’unico uomo che rispettava veramente era Madara, il resto del mondo gli era completamente indifferente, se proprio voleva sforzarsi di provare qualcosa, allora era disgusto per la mancanza di senso critico che notava in tutti.
“Piantala, Tobi.”
“Ma tu non capisci appieno il mio amore per te!” strillò con un sorrisone, gli prese la mano e “Deidara, senpai vuoi sposarmi?” gli chiese.
“No, smettila di sfracellarmi i coglioni.”
Ben presto arrivò anche un gruppetto di tre ragazzi formato da un tipo allegro che sapeva il fatto suo di nome Yahiko, una ragazza mediamente gnocca di nome Konan e infine un tipo smilzo e sfigatissimo di nome Nagato.
“Di nuovo a litigare come cane e gatto, voi due?” commentò Yahiko.
“Non è che stiamo litigando, è che Tobi rompe il cazzo”
“No!” si lamentò Obito fingendo di piagnucolare “Tobi is a good boy!”
“Non parlare la lingua degli anarchici occidentali, lo sai che mi da fastidio”
Infatti, pensò Obito con una punta di divertimento molto più sadica di quanto desse a vedere.
“Scusami Deidara-senpai! Mi perdoni?”
Un ragazzone di nome Kisame, con evidenti mutazioni genetiche, camminò placidamente verso di loro.
“Buongiorno Tobi! Ciao gente.”
A quanto pareva Obito gli stava più simpatico degli altri.
“Cosa fate ancora qui? Entriamo in classe.”
Le lezioni si svolgevano in ambienti completamente virtuali. Studiavano la lingua della Repubblica in maniera approfondita, matematica e fisica per avere le basi per diventare piloti di navette spazio-temporali, legge per imparare a farla rispettare, informatica e hacking, telecomunicazioni, lotta e uso delle armi, storia: una storia stravolta che Obito doveva accettare in silenzio, fingendo di credere che il Giappone prima del 2100 fosse l’isola più povera della Cina.
Una volta a settimana si teneva un’ora recitazione; ancora non facevano simulazioni di volo spaziale e/o salti temporali, avrebbero iniziato dal sesto anno. Soprattutto c’era una gran propaganda: il giovane Uchiha aveva notato che più che insegnar loro qualcosa, i sensei miravano ad accendere i loro cuori d’amore per la Repubblica Nazionalcomunista e spegnere le loro teste, sopprimendo ogni barlume di libero pensiero.
Obito non andava benissimo e fingeva di essere incompetente anche nelle materie dove era molto più avanti degli altri come matematica e fisica- perché le studiava per conto suo- per non destare sospetti o attirare l’attenzione.
“Bene, oggi abbiamo lezione pratica di tiro alla bestia occidentale...” esordì Anko-sensei leccandosi le labbra.
Degli Zetsu bianchi portarono un gruppo di una ventina di persone nude e sporche che si divincolavano debolmente.
“Deidara, vai tu.”
Lezioni del genere si ripetevano due volte a settimana.
“Yatta!” Deidara eccelleva nell’uso degli esplosivi ritenendo l’esplosione un Arte a cui essere devoti per la vita, ma amava molto anche il tiro al bersaglio ritenendolo un mezzo per fare esplodere cose o persone.
Indossò l’anello di precisione e lo puntò contro la testa di un vecchio basso e visibilmente debilitato. Senza che si sentisse alcun rumore o si vedesse qualcosa la testa del vecchio scoppiò spargendo carne e sangue dappertutto.
“Tocca a te, Tobi-kun”
Davanti Tobi fu piazzata una donna dai lunghi capelli rossi e gli occhi neri, gravida di almeno sette mesi.
Obito indossò l’anello e si disse che lo stava facendo per salvare il mondo intero, poi sparò alla testa della donna e sorrise quando schizzi di carne e sangue gli macchiarono il viso.
Era sempre uno spettacolo forte ma per niente sgradevole, quasi eccitante.
Probabilmente quella società, Madara, l’Accademia stavano trasformando anche lui in un perfetto ingranaggio senza cuore. Il cervello stava sopravvivendo perché serviva a Madara, la sua anima se la stavano mangiando tanto velocemente che Obito non se ne rendeva conto. Solo per un attimo si chiese quanto fosse cambiato e se in fondo non avesse sempre avuto dentro di sé qualcosa di marcio.
“Anche la pancia” ordinò Anko.
“Sì, sensei”

Dopo la scuola, Obito e il suo gruppo di finti amici andarono a mangiare al parco. Era incredibile come fosse considerato il più sfigato del gruppo, ancora più sfigato di Nagato, ma che alla fine si facesse sempre, sempre e solo quello che voleva lui.
Strade e piazze erano molto diverse da quelle di Hiroshima, erano molto più larghe e quasi completamente deserte.
Il ragazzo aveva ipotizzato che scavare ambienti tanto ampi poteva essere una sorta di compensazione alla sgradevole sensazione claustrofobica causata dal vivere sotto terra.
Il pavimento stradale non era d’asfalto, ma sempre della solita sostanza plastica che ormai a Obito faceva venire la nausea e i cerchi del teletrasporto erano piazzati un po’ ovunque. Gli edifici erano incassati nella crosta terrestre e si distinguevano l’uno dall’altro solo per i diversi colori di cui brillava la parete rivolta verso la strada.
Anche l’ambiente esterno era superiormente chiuso con uno schermo che illuminava tutta la città mostrando un cielo limpido e soleggiato di giorno, buio e stellato di notte.
Il parco era l’unico luogo della città dove la plastica non dominava, anzi terra e vegetazioni la facevano da padrone.
Si estendeva per una decina di ettari ed era completamente ricoperto di terra e erba con zone di fitta vegetazione arborea, cespugli e arbusti fioriti; al centro era stato costruito un finto laghetto naturale, alimentato da quattro piccoli fiumi artificiali, originate da altrettante fontane agli angoli del parco.
Quest’ultimo era deturpato da una miriade di panchine di cristallo che Obito riteneva necessarie per quanto sgradevoli.
Si stravaccò su una di queste guardando le altre persone che stavano passeggiando o chiacchierando. Quel parco era l’unico luogo in tutta la città a non essere completamente deserto, come se gli uomini volessero in uno slancio istintivo riunirsi in un luogo che ricordava loro le origini.
Konan tirò fuori un pacco di biscotti e iniziò a distribuirli.
“Io non ho fame” sentenziò Nagato.
“Che ti manca ora?” chiese Obito un po’ stancamente, lo annoiava quel modo di fare perennemente disperato del ragazzo.
Yahiko rispose per lui.
“Quelle lezioni gli danno fastidio e come biasimarlo?”
“Shh” bisbigliò Konan posando due dita sulla bocca dell’amico.
Obito li guardò con la coda dell’occhio, interessato. Non poteva coinvolgerli perché avevano l’Angelo Custode attivo al 100% e l’avrebbero fatto scoprire, ma lo rassicurò un po’ che ci fosse qualcuno con un minimo di ragione, ragione che ormai anche lui stesso aveva soppresso per cercare di salvare il mondo, Rin, se stesso.
Kisame si sedette, incrociò le braccia ed espresse la sua opinione:
“Alcune specie di pesci si muovono in un banco di migliaia di individui. Tutti concorrono alla salvezza del banco e il banco protegge i singoli. Ma se non collaborano tutti, sincronizzando i loro comportamenti il banco fallisce. È così anche per gli umani, dobbiamo lavorare per lo Stato, è per il nostro bene.”
Nagato lo guardò triste e un po’ scettico, senza muovere un muscolo e senza parlare.
La situazione si stava facendo pericolosa per tutti, quindi Uchiha decise di sviare l’attenzione: “Ehi raga’ che ne dite di cercare qualche animale? Secondo voi ci sono uccelli?”
“Idiota” urlò Deidara dandogli un pugno sull’orecchio “Lo sanno tutti che gli animali stanno solo agli zoo, ti aspetti di trovarli qui?”
“Ma perché mi tratti male?” piagnucolò Tobi tuffandosi dietro la panchina poi facendo sporgere solo la testa scosse le spalle in una goffa imitazione di una fangirl e squittì “Sono una scolaretta innamorata del suo senpai!”
Kisame ridacchiò divertito e quelle insulse scenette si ripeterono decine di volte, fino a quando lo schermo che fungeva da cielo si tinse dei colori del tramonto e li avvertì ch’era sera.
“Cazzo, io ho i compiti di ieri da fare” sbottò Deidara sbiancando e le mani iniziarono a tremargli.
Obito capì il motivo del suo viso sconvolto, andare a scuola senza aver fatto i compiti era infrangere una regola e in quel mondo non esisteva nessuno che avesse mai infranto una regola.
Guardò il biondo correre via verso il più vicino cerchio di teletrasporto, poi andò via anche lui e salutò gli altri saltellando e battendo pacche calorose sulle spalle di tutti.
Non appena riapparve nel salotto di casa buttò via la maschera colorata di allegria, non salutò nemmeno Madara tanto l’avrebbe visto il giorno dopo per l’addestramento  -come se all’Accademia non gli avessero insegnato abbastanza come ammazzare la gente- e andò di filato in camera sua.
Senza perdere tempo si nutrì poi “Li-chan, stasera le equazioni di Maxwell” disse e si sdraiò nel suo letto.
Sullo schermo del soggetto apparve una superficie bianca con formule, immagini e parole che pareva si scrivevano da sole mentre una voce femminile freddamente le sviscerava, le spiegava e le commentava.
Obito aveva deciso di imparare lentamente a memoria, seguendo un ritmo adatto alla sua media intelligenza, la fisica e l’ingegneria della bomba atomica del 1945 e della bomba H del 1952.
Ci aveva pensato fino a svenire per la deprivazione da sonno e non aveva trovato altro modo per impedire lo sgancio dell’atomica su Hiroshima che fornire con anni di anticipo ogni informazione possibile sulla bomba al governo giapponese e ai suoi alleati nazisti.
Avrebbero potuto così sabotare i progetti avversari o forse anche costruire una bomba propria con cui vincere la guerra. In ogni caso la sua città e Rin sarebbero state salve e per buona misura il ragazzo avrebbe portato via Rin da Hiroshima un paio di giorni prima quel maledetto sei agosto, soltanto in seguito sarebbe andato a uccidere quel Vladimir nel 2049 per salvare il mondo. Aveva mentito per ottenere informazioni, dicendo a Madara che prima cosa sarebbe andato nel 2049 e chiedendogli se dopo aver cambiato il tempo avrebbe avuto ancora con sé la navetta : Madara gli aveva risposto sì e gli aveva sorriso.
Aveva anche pianificato come raggiungere il proprio governo per consegnare le informazioni sulla bomba atomica mettendo a punto una strategia semplice ma di sicura efficacia: diffondere voce e dettagli delle proprie conoscenze così sicuramente sarebbero andati loro da lui.
All’inizio del proprio percorso autodidattico era stato deluso che dovesse iniziare ad imparare da molto prima della bomba: era partito da Galileo, aveva studiato Newton e tutta la sua fisica, dopo un anno stava ancora su Maxwell… mancava tantissimo e sapeva che non avrebbe dovuto memorizzare solo l’ingegneria della bomba ma anche i dettagli della sua storia.
“Stop, Li-chan”
La voce si arrestò, Obito prese il computer e scrisse riassunto tutto quello che aveva sentito.
“Per favore mi approfondisci questi “limiti infinitesimi” ?” chiese dopo aver finito, confuso da una divisione con denominatore “delta t” tendente a zero.
“Sì, padron Tobi.”
Obito sospirò stanco e chiuse gli occhi. Aveva davanti ancora molti anni d’inferno e non sapeva se sarebbe sopravvissuto.
Pensò che Rin e il destino del mondo fossero nelle sue mani e riaprì gli occhi, neri e spenti.

   
 
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