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Autore: Demsmuffin    20/01/2013    6 recensioni
Lui sorride. Sorride e io non faccio che pensare che con il suo sorriso che potrebbe illuminare l’intero l’universo. Il suo sorriso che farebbe sembrare luminoso il nero cupo della notte. Il suo sorriso che mi scioglie in mille pezzi. Il suo sorriso che non mi stanco mai di guardare. Il suo sorriso che rivolge a me. Io che ho la fortuna di poter ricevere quella rara meraviglia e a volte vorrei che non fosse così.
E allora i suoi occhi chiari si illuminano di felicità, roteano attorno senza vedere nulla e poi guardano me. I suoi occhi guardano me e io non so cosa fare.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quindici.


 

 
Non ho bisogno di una strizzacervelli. Non voglio raccontare la mia vita a una persona che finge di essere interessata a quello che ho da dire quando non è così.
“Come ti senti?” La sua voce è pacata, rilassata, fintamente comprensiva. Si atteggia nel suo tailleur nero, mi guarda attraverso le lenti rotonde e sottili poggiate sul naso adunco con aria di superiorità. Il suo aspetto me la rende ancora meno simpatica.
“Come creda che mi senta?” Grugnisco. “Non mi mandano via da questo schifo, potrei essere felice?” Schiocco le labbra, scocciato. Scuoto la testa. Perché non posso semplicemente andare via da lì? Non ne posso più di essere controllato anche quando dormo, di dipendere da fili attaccati ad una macchina insignificante e rumorosa. Voglio svegliarmi nel letto di casa mia. Sì, Louis rende tutto meno angosciante e piacevole, ma vorrei godermi il suo amore in pace, lontano da quelle mura bianche. Senza la paura che qualche persona del mio passato potrebbe rientrare da un momento all’altro facendomi perdere ancora una volta il senso di tutto. Voglio le mura colorate di casa nostra, voglio la nostra tv, il nostro divano, il cibo scadente che io e Louis cuciniamo. Voglio restare per sempre solo con lui, senza dover pensare al mio passato, a Mattew, a quanto io sia un fallimento, a qualunque altra cosa.
“Capisco.” Lei scrive qualcosa su un blocco di fogli, velocemente. Come se non volesse essere notata da me. Capisce cosa? Che mi sento un perfetto idiota? No, non lo capisce. Lei non sa come si ci sente a chiedersi ogni giorno perché si è ancora in questo mondo.  
Non sa nulla. Non sa cosa ho provato quando stavo per morire, ero spaventato a morte, ma felice, dispiaciuto, ma non troppo. Potrà mai capire come si fa ad essere felici e tristi allo stesso momento?
Non sa proprio di cosa sta parlando. Perché si sforza anche solo di comprendere?
“Senti, Harry, puoi spiegarmi come ti sei sentito, quando hai visto Mattew?” Agita la penna davanti il suo naso, assume un’espressione concentrata.
Aspetta la mia risposta. E’ già pronta per scrivere.
Mi sbatteranno un qualche manicomio. Diventerò ancora più psicopatico di quanto non lo sia già circondato da altri psicopatici che magari nascondono coltelli sotto il cuscino. Sicuramente, se io rispondo, se le confido ogni cosa, lei andrà a fare leggere tutto questo a qualche specialista. Mi separeranno da Louis, dalla mia vita, mi imbottiranno di medicine che mi faranno ingrassare, mi sorveglieranno ancora più dettagliatamente, vorranno sapere tutto del mio passato e io non posso permettere che questo accada.
Scuoto la testa, non voglio rispondere.
“Posso capire che tu non ti senti dell’umore adatto per analizzare la questione, ma io ci sono. E ti ascolto. Non devi preoccuparti di nulla. Dimmi tutto quello che senti, sono qui per capirti.”
Vorrei prenderla con le mani e farle molto male. Capire, lei? Una donna dalla voce così piatta, così apatica, così studiata? Cosa può capirne lei di sentimenti, paura, amore, delusione, tristezza? Lei fa solo finta di interessarsi, con quegli occhi neri mi smuove solo paura, non voglia di confidarmi.
“No, lei non capisce.” Le dico allora, puntando i miei occhi lucidi sui suoi. Non ho gli occhi umidi perché mi sento triste o qualcosa del genere, sono giorni e giorni che sono così e non riesco ad asciugarli, per quanto ci abbia provato. E’ come se piangessi continuamente.
“Non puoi sapere cosa capisco e cosa no.” Raddrizza la schiena, chiude la penna e posa i fogli sulle gambe. “Non scrivo più nulla, d’ora in poi.”
Se pensa che questo mi aiuti a farmi aprire, be, si sbaglia di grosso. Nessuno mi può dimostrare che lei alla fine non racconti tutto.
“Perché hai permesso che restasse?” Mi chiede, avvicinandosi a me.
Prendo un respiro profondo. Ha tolto gli occhiali, lasciando che io vedessi meglio i suoi occhi. Non sono così terribili come mi apparivano prima, ma in quello sguardo non vedo comprensione, sono due occhi neri che non mi dicono niente. Sono freddi. Non mi piacciono. Preferisco guardare un paio di occhi e vedere dentro l’oceano, il cielo, l’azzurro brillante e luminoso. Non voglio due occhi neri come la pece, due occhi che mi danno la sensazione dell’infinito oblio, dell’oscurità, della paura.
Non riesco nemmeno a pensare alla risposta.
“Non lo so.” Le dico, sinceramente. “In quel momento pensavo fosse la cosa giusta, ma..”
“Te ne sei pentito?” Si avvicina ancora di più, mantenendo il contatto visivo.
“No.” Comincio a giocare con i miei piedi, per tenermi impegnato in qualcos’altro, evitando di pensare sul serio.
“No?” Mi fa eco lei. Scuoto la testa, non sono convinto della mia risposta.
“Sì.” Affermo, non più sicuro della mia risposta precedente.
“Sì?” Ripete ancora e io mi spazientisco.
“Non lo so.”
“Come, non lo sai?”  
Oh, ma insomma. Cosa devo dirle? Cosa vuole sentirsi dire? Sì, no, non lo so, forse? Incrocio le braccia al petto, sbuffando rumorosamente. La fulmino con lo sguardo, facendo capire che mi sto infastidendo. Allora lei ritorna alla sua posizione composta, schiena dritta e spalle abbassate, si rimette gli occhiali e sembra come delusa.
“Confusione.” Sussurra prendendo la penna e tornando ai suoi fogli. “Indecisione.” Mima ancora con le labbra.
“Aveva detto che non avrebbe scritto più.” Tremo, impaurito. “A chi le farà leggere? Mi sbatterà dentro qualche manicomio?” Non posso non fare uscire la mia paura, non riesco a fermarla stavolta. Il suo sguardo si alza, le sopracciglia sono aggrottate.
“Certo che no, perché dovrei farlo?” Inclina la testa da un lato, mentre io guardo la porta, sperando che qualcuno venga a salvarmi. Magari se è qualcuno con una maglietta a righe, i pantaloni rossi e intollerante ai calzini sarebbe ancora meglio.
“Lei pensa che io sia pazzo, non è così?” Continuo, lasciando che i miei pensieri prendano vita. “Sta scrivendo che sono completamente fuori di testa, che sono un ragazzo danneggiato, un giocattolo rotto che deve essere aggiustato.” Quasi sputo quelle parole, mentre la psicologa continua a fare segni negativi.
“E’ così che ti senti?” Mi domanda, la curiosità le si legge in faccia.
“E’ così che mi sento quando lei mi guarda.” Tremo ancora. Ho paura di cominciare a urlare di nuovo, di non avere più la concezione di ciò che è passato e presente, di ciò che sta succedendo e di cosa no.
“Oh.” Mormora lei, mantenendo l’espressione accigliata. “Perché non mi parli di come ti hanno fatto sentire loro, invece?”
No, troppo sul personale, troppo in fondo. Quella porta nel mio cervello in cui sono custoditi i miei ricordi più agghiaccianti deve rimanere chiusa, questa volta. La mia voglia di aprirla è pari a zero e tutto dentro di me mi ordina di non aprirla.
Così decido che lei non debba più sentire una parola da parte mia.
Aspetta due minuti, prima di capire che io non ho intenzione di risponderle.
“Sai, a volte le persone che ci fanno del male sono quelle più deboli. Ci hai mai pensato?” Cerca di incalzarmi, di spronarmi, di incuriosirmi. Ma nulla mi smuove. Nemmeno quella frase che sembra uscita da un libro, smuove in me il più piccolo interesse. Credo sia perché non mi va più di parlare. Parlo da una mattinata e ho il fiato corto e non ho argomenti che mi va di affrontare. Perciò sto zitto, che è la cosa che mi riesce meglio. Continuo a concentrarmi sui miei piedi. Le dita del destro sfiorano quelle del sinistro, poi quelle del destro cominciano a muoversi, si intrecciano tra di loro e colpiscono l’altro piede. E’ un gioco che non ha senso, ne utilità, ma mi sembra geniale concentrarmi su di loro che sui miei pensieri.
“Vorresti dire qualcosa a chi ti ha fatto del male?” Si passa una mano sulla guancia, sospirando.
I miei piedi mi hanno annoiato, perciò adesso alzo le mani davanti al mio viso e comincio ad esaminarle. Le mie unghia sono cresciute parecchio e noto che sono così grandi da sembrare disumane. Sono di un colore smorto, bianco, quasi cadaverico. Mi chiedo se anche il mio viso abbia quel colore, sembra quasi una pagina vuota. Come faccio a piacere a Louis anche conciato così? Sorrido al pensiero che nonostante il mio aspetto terribile, perché sono sicurissimo di non essere al massimo della mia bellezza, lui possa essere ancora innamorato di me.
E allora sono felice, così di colpo. Il solo pensiero che lui nonostante tutto stia con me e non mi abbia lasciato mi rende felice.
Ma a questo pensiero ne segue un altro e mi maledico per averlo pensato.
Ha lasciato Eleanor? Cosa le ha detto?
Ed è in questo momento che mi rendo conto che ancora non abbiamo affrontato questo argomento, che anzi, non abbiamo affrontato nessuno degli argomenti che riguardano i miei sentimenti e le mie paure.
Ma ne ho bisogno? Io sto bene così, mi riesce più facile non doverne parlare, preferisco ignorare tutto fino a quanto non dimentico, almeno per un po’. Eppure è sbagliato, non è così? E’ sbagliato non aprirmi nemmeno con lui, con la persona che amo, con l’unica che so che non mi tradirà mai.
“A cosa pensi?” Mi ridesto dai miei pensieri, tornando al presente. Sono sempre del parere che lei non saprà mai a cosa io stia pensando. Nemmeno se dovesse torturarmi per giorni interi. Lei non è Louis. Non ha il diritto di entrare dentro la mia testa e io mi sono rotto di dover anche solo provare a farmi capire da una persona così indifferente al mondo e alle sue crudeltà.
Fa un lungo respiro, il più lungo che io abbia mai visto e annuisce. Non capisco cosa ci sia da confermare, ma non mi importa.
“Va bene, Harry.” Dice infine, come se fosse sfinita dal mio troppo parlare. “Ho capito.”
Non me la sento di non contraddirla.
“No, non è vero. Non hai capito proprio nulla.” Alzo gli occhi al cielo.
La sua faccia si illumina. Sono io a non capire il suo atteggiamento, stavolta. Le sto dando torto, manca poco che arrivi ad insultarla e lei si illumina?
“Oh sì, ho capito tutto, invece.”
“No!” Alzo la voce, spazientito. E’ così sicura da urtarmi i nervi.
“Non mi importa di quello che dici, io ho capito.”
Detto questo esce con andatura composta e monotona. Apre la porta lasciandola aperta. Vedo mia madre con la schiena appoggiata al muro, gli occhi fissi sulla porta, l’espressione concentrata.
Quando vede uscire la psicologa si agita, guardandomi subito. Il suo viso in qualche modo si rilassa. Aveva paura che io potessi urlare ancora? Che lei mi ridestasse qualche altro ricordo tremendo?
“Zero disponibilità del dialogo, zero voglia di collaborazione. Non ha quasi parlato e tutto quello che mi ha detto o non era funzionale al discorso o erano monosillabi.” La psicologa inizia e penso che abbia dimenticato di chiudere la porta, sono certo che io non debba ascoltare quella conversazione.
Mia madre sposta il suo interesse su di lei.
“Io gliel’avevo detto, sin dall’inizio.” E’ quasi fiera di aver avuto ragione.
“Credo che suo figlio abbia paura nell’esprimersi, tanto che non sa come farlo.” Devo ricredermi, mi ha capito. O almeno, ha capito questo aspetto di me, anche se non serviva lei per dirlo a mia madre. Lo sapeva già. Mia madre è perplessa quanto me, sono sicuro che anche lei sapeva che il suo tentativo sarebbe stato inutile.
“Mi rincresce doverlo dire, ma per me non è una novità.” Si sposta i capelli davanti al viso. “Lui non parla mai di quello che sente, con nessuno. Eccetto forse una persona.” Mia madre mi guarda, mentre io cerco di osservare l’espressione della psicologa, ma è di spalle e mi è difficile guardarla in viso. Mia madre mi sorride, facendomi l’occhiolino. Ha notato la mia espressione preoccupata, sa che ho sempre avuto paura di tutto. Fa un segno a qualcuno che sta nel corridoio, qualcuno che io spero tanto non sia un medico o qualcosa del genere.
“Ha qualche soluzione a tale proposito?” Domanda la psicologa, alzando le spalle. Mia madre annuisce, vedo le sue labbra muoversi, ma non la sento perché Louis le si è appena parato davanti.
Entra nella stanza, chiudendo la porta.
Vorrei maledirlo con tutto me stesso per non avermi permesso di ascoltare quello che si stavano dicendo. Mi manderanno in qualche manicomio, lo so. No, mia madre non lo permetterebbe mai. Mai. E allora qual è la soluzione? Cosa pensa? Cosa crede di fare? Lei non è cattiva. Non lo farà.
“Hey” Louis si siede sul mio letto. Mi sorride tranquillo e rilassato. “Stai bene?”
“Cosa mi faranno?” Chiedo subito, agitato. “Non voglio andare da nessuna parte.” Adesso sì che il terrore mi sta mangiando vivo. Ho avuto tantissime volte paura in vita mia, ma mai in quel modo, mai. Non voglio essere rinchiuso da qualche parte. Louis mi prende le mani e me le stringe, solo quel gesto mi rassicura.
“Nulla, piccolo, non ti faranno nulla.” Si avvicina a me e pressa le sue labbra sulla mia fronte.
Piccolo. Sorrido a quel nomignolo. Non mi aveva mai chiamato così. Il terrore va svanendo lentamente e la tranquillità prende il suo posto.  
“Non ti manderanno da nessuna parte, io non lo permetterò.” Sussurra vicinissimo alle mie labbra.
“Pensa che io sia pazzo, lo so, Louis. Lo pensa. Gliel’ho letto negli occhi.” Ho voglia di dirgli tutto, voglio parlare con lui come non ho parlato a lei. “Non ha tutti i torti poi, no? Sono pazzo.”
Louis emette un suono di disapprovazione.
“Non sei pazzo.” Il suo tono è duro, infastidito. “Sei tutto tranne che pazzo.”
Tremo ancora sotto il suo tocco delicato.
“Cosa si stanno dicendo secondo te?” Domando. I nostri sguardi si incrociano e si rifiutano di distogliere l’attenzione da quello che stanno osservando. Louis intreccia le dita con le mie.
“Non lo so.” Sento il suo respiro caldo sulla mia pelle fredda.
“Ho paura.” La mia voce è talmente lieve che lui si deve avvicinare ancora di più per sentirmi.
“Non averla.” Mi sorride per poi baciarmi e abbracciarmi.
Sono sicuro adesso che ovunque mi manderanno, avrò Louis al mio fianco. Vorrei poter scomparire dentro quell’abbraccio, vorrei potermi beare di quei baci per l’eternità. La mia vita sarebbe di gran lunga migliore.
Improvvisamente, non ho più il più minimo accenno di paura e ho anche smesso di tremare.  Il mio posto è lì, con lui, e io non andrò da nessuna parte.






Demsmuffin's corner

Salve! Come promesso eccomi qui ad aggiornare di Domenica! Scusate se ci ho messo un po' stavolta, ho paio di problemi ultimamente. 
Comunque.. Non sapete quanta tenerezza mi fa Harry. Voglio abbracciarlo, è un cucciolo çwç
Pensa di essere completamente fuori di testa e chi è l'unico a tranquillizzarlo? Louis, ovviamente.
Non ho molto da dire stavolta, stranamente. Solo.. recensite e spero che vi piaccia anche questo capitolo.
Grazie come sempre dei complimenti che mi fate ovunque, vi amo tantissimo. ♥
Vi lascio il mio Ask il mio Tumblr e il mio Twitter in caso vogliate dirmi qualcosa. Tranquille, non ho mai mangiato nessuno :)
Peace, love and Larry Stylinson, Sarah. ♥

 

   
 
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