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Autore: DarkPenn    09/08/2007    1 recensioni
"C'era una volta un piccolo, intrepido cacciatore..." Si tratta di un AU parallelo agli avvenimenti del gioco, un'interpretazione diversa di ciò che è successo a Jennifer... o di ciò che avrebbe potuto succederle...
Genere: Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

 

Sei stata molto, molto cattiva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Però, poiché era quasi sempre a caccia nei luoghi più polverosi e bui, dove tutti gli altri non osavano avventurarsi, l’intrepido cacciatore era sempre solo…

 

Per quanto assurdo le potesse sembrare, la sfortunata ragazza si trovava su un dirigibile. L’ultima cosa che le sembrava di ricordare prima di risvegliarsi in quella strana stanza era una sensazione di grande calore, insieme ad un dolore al torace. Forse aveva anche pianto, ma non sapeva dirlo con certezza.

Come se non bastasse, quel dirigibile le sembrava stranamente familiare, ma non riusciva a ricordare i particolari di ciò che le faceva capolino nella mente. Era come se si sforzasse di ricordare un sogno che aveva fatto e che era sparito alle prime luci dell’alba…

All’inizio, convinta chissà perché di trovarsi sottoterra, Jennifer aveva cercato una strada che la portasse verso l’alto, ma ben presto si era accorta con stupore che il borbottio che continuava a sentire era il rumore di un motore, che rombava in basso, giù, molto sotto di lei. Aveva creduto che fosse una caldaia, o un generatore, ed era rimasta a bocca aperta quando, attraversando uno strano ponticello di ferro, aveva visto da una finestra un cielo nuvoloso di notte, che continuava non solo verso l’alto, ma anche verso il basso.

La sfortunata ragazza allora pensò di dirigersi verso il cane che aveva sentito prima, sperando di trovare qualcosa o qualcuno che potesse aiutarla come quando quei mostri l’avevano attaccata. Aveva provato a tornare sui suoi passi per orientarsi, ma aveva scoperto ben presto di essersi persa.

Dopo l’ultima svolta che portava ad un altro grigio corridoio, Jennifer si fermò, ansimando per la fatica e la tristezza. Tutto attorno a lei le sembrava così strano e assurdo che le venne voglia di piangere, ma sapeva che piangere non l’avrebbe aiutata. Non c’era nessuno che la consolasse, nessuno che l’aiutasse; era completamente sola.

Come era sempre stata in passato.

Come sarebbe sempre stata in futuro.

Calde lacrime le rigarono le guance mentre la sfortunata ragazza si accasciava sul pavimento, singhiozzando. E se fosse stato tutto solo uno scherzo? Quando le avrebbero fatto la sorpresa di tirarla fuori da lì si sarebbe arrabbiata, certo, ma tutto sarebbe finito con delle calorose risate. Ma in cuor suo sapeva che quello non era uno scherzo, perché nessuno le era tanto amico da scherzare con lei.

Avrebbe invocato il nome della sua mamma, se solo se lo fosse ricordato, ma sapeva che era morta tanto tempo prima, come anche il suo papà, perciò non poté fare altro che rannicchiarsi su se stessa.

“Aiutatemi,” mormorò fra le lacrime, stringendosi al petto le ginocchia, disperando di poter essere udita. “Aiutatemi.”

Ma qualcuno la udì…

 

Per mesi e mesi nulla cambiò nella vita del piccolo cacciatore, finché un bel giorno, dalla piccola finestra del seminterrato, non vide qualcosa che lo lasciò stupito…

 

“Povera, piccola, sfortunata Jennifer.”

La sfortunata ragazza sobbalzò a quella voce tagliente e a quelle parole, pronunciate così vicino a lei, ed alzò lo sguardo. Davanti a lei, con i pugni appoggiati ai fianchi, c’era una ragazza, che la fissava con un’espressione compassionevole. Indossava un abito scuro a righe ed una cravatta bianca lassa al collo, ed aveva dei bellissimi capelli castano rossicci. Jennifer era così stupefatta di averla vista che non riuscì a spiccicare parola mentre lei si sollevava la gonna e si esibiva in una semplice riverenza nei suoi confronti. Non sapeva chi fosse, eppure il suo aspetto le sembrava stranamente familiare, e le ispirava una specie di sorda inquietudine.

Quando finalmente ebbe trovato il coraggio di parlare, la ragazza, che non doveva avere più di quattordici anni, la anticipò.

“Sei stata molto, molto cattiva, Jennifer,” disse, mentre l’espressione compassionevole che aveva sul volto si trasformava in un’aria di dura severità, appena mitigata da un sorriso sottile. “Per questo ti trovi qui.”

Il sorriso della ragazza fece ancora sperare a Jennifer che fosse solo uno scherzo, per cui si costrinse a sorridere a sua volta ed a smettere di piangere. “Do… dove siamo?” bisbigliò con tutta la voce che riuscì ad emettere. A quelle parole l’altra allargò le braccia, esasperata.

Ma ti senti? Non riesci nemmeno a parlare in maniera decente, stupida!”

La ragazza sfortunata si zittì improvvisamente, come se tutto il suo coraggio fosse evaporato. Sentiva che le lacrime stavano tornando a salirle agli occhi. Ma più di tutto sentiva che quella strana ragazza aveva ragione.

Lei era una stupida.

Ed era molto, molto cattiva.

Come se si fosse pentita di quello che aveva appena detto, la ragazza rossa si inginocchiò di fronte a Jennifer, nuovamente comprensiva. Quest’ultima si ritrasse spaventata quando le mani dell’altra le si avvicinarono al volto, ma non poté scansarle quando queste la accarezzarono dolcemente.

“Oh, povera piccola Jennifer,” fece la rossa, avvicinando maggiormente il proprio volto. “Ti senti in colpa per tutte le cose brutte che hai fatto, vero?”

La ragazza sfortunata avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma dentro di sé, senza capirne il motivo, non poté che darle ragione. Impercettibilmente annuì. Il sorriso sul volto dell’altra si allargò. “E vuoi che la tua Duchessa Diana ti perdoni, non è vero?”

“S… sì,” riuscì a dire Jennifer con un filo di voce. Le loro fronti si incontrarono con dolcezza, e Diana cominciò a cullarla delicatamente.

“Però quelle cose brutte le hai fatte, no? Altrimenti non ti troveresti in questo posto, giusto?”

Ancora lacrime. Lacrime di coccodrillo, lo sapeva. Sapeva di meritare tutto questo, ma ciononostante sperava ancora che Diana la perdonasse. Quando le due fronti si separarono e poté di nuovo guardarla negli occhi, in quegli occhi duri e taglienti come rasoi, però, seppe che non avrebbe ottenuto nessun perdono.

“Sporca, lurida, disgustosa Jennifer,” disse la Duchessa con tono di rimprovero. “Ti meriti tutto questo, e lo sai. Solo la Principessa della Rosa Rossa può perdonarti, ma non è facile ottenere il suo perdono.

Sì, lo sapeva. In qualche modo, sapeva tutto, tranne ciò che avrebbe dovuto fare per uscire da quel posto buio e spaventoso.

“Ti prego, Diana,” la supplicò in lacrime, mentre l’altra si rialzava in piedi. “Dimmi cosa devo fare…”

“La Legge della Rosa è chiara in proposito,” le rispose. “Ogni mese devi portare un dono al Club degli Aristocratici, altrimenti…”

Questa volta fu un sorriso crudele ad allargarsi sul volto grazioso di Diana, ma non ci fu bisogno di altre parole: Jennifer aveva capito.

“Ci siamo intese?” chiese ancora la Duchessa, al che la ragazza sfortunata poté solamente annuire soffocando l’angoscia. “Bene,” riprese Diana mentre le voltava le spalle e si allontanava lungo il corridoio. “Allora forse non sei così stupida come sembri.

No, forse no, forse lo era di più.

“A… Aspetta!” chiamò debolmente Jennifer mentre Diana varcava una soglia lungo il corridoio, ma nel tempo che le servì per alzarsi e raggiungerla, la Duchessa si era già chiusa la porta alle spalle. Quando provò la maniglia, la sfortunata ragazza si rese conto che era stata chiusa a chiave, ed anche appoggiando l’orecchio sul legno laccato non riusciva a sentire nient’altro che il proprio respiro e il rombo lontano dei motori.

Con un groppo alla gola, si rese conto che era di nuovo sola.

 

  
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