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Autore: Mils    20/01/2013    6 recensioni
quanto può brillare una persona? talmente tanto da oscurare il proprio passato? una persona può essere talmente ricca da comprare persino l'amore?
lei ha bisogno di soldi.
lui ha i soldi e ha bisogno di una copertura.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pov Kristen




Quando ero piccola mia madre mi diceva sempre “un giorno troverai qualcuno che ti ama e avrai una casa, una famiglia, dei bambini e una vita felice come me e papà” e poi abbracciava papà e lui le baciava la guancia e io me ne stavo lì, seduta sul divano pensando “si, un giorno succederà anche a me”, e mi immaginavo già la mia vita perfetta, la mia famiglia perfetta, i miei bambini – specialmente una bambina con i miei occhi e i miei capelli – tutto era perfetto esattamente come diceva mia madre e io ci credevo, perché quando hai dieci anni e tua madre ti dice una cosa tu ci credi, ovvio.
Be', era una cazzata.
Era tutto una terribile cazzata, e io ci ho pure creduto.
Che fessa che ero.
Perché adesso ho quasi diciannove anni e non ho più una famiglia, non ho nessuno che mi ami e l'idea di una vita felice e di bambini non mi sembra neanche un po' vera ormai.
Ma infondo, chi vuole una famiglia?
Le famiglie rompono soltanto.
Fai questo, fai quello, non fare così, non dire così”.
Non lo sopporto.
Non sopporto le persone che mi comandano.
Io vivo per me, non di certo per gli altri. E vivo in una casa bellissima. Be', forse non è proprio bellissima, e forse non è neanche una vera è propria casa, ma è mia, è completamente mia ed è l'unico posto al mondo che considero un rifugio, un posto dove posso essere completamente me stessa, senza che nessuno abbia da dire qualcosa a riguardo. L'ho trovata quasi un anno fa', ci viveva una vecchietta simpatica che purtroppo ha dovuto trasferirsi in una casa per anziani e visto che non era in buoni rapporti con i nipoti ha voluta lasciarla a me a patto che la tenessi in buone condizioni. Quindi passo la maggior parte del mio tempo a casa pulendo e cercando di renderla il più carina possibile. In realtà non è una vera e propria casa, è una soffitta. Una soffitta con bagno, ma pur sempre una soffitta con un tetto basso e formata a malapena da due stanze. Cucina, soggiorno e camera da letto sono divise dal bagno da una porta mentre niente le separa fra di loro.
In casa ci sta un vecchio divano verde, soffice e comodo, un tappeto rosso, un tavolino mezzo rotto in legno, una cucina formata da un vecchio forno e mobili comprati a poco a una svendita; tutto quello che c'è in casa è vecchio ma tenuto bene, o almeno ci provo. Il letto è in un angolo. Non è un letto, okay... sono due materassi, ricoperti di cuscini soffici – be', almeno – e una coperta fatta a mano che mi ha regalato la vecchia signora che abitava qui prima.
Si chiamava Mary ed era una brava signora, di quelle che ti preparano il thé e si siedono con te a tavola per offrirti qualche biscottino e chiederti la storia della tua vita. Io, la storia della mia vita, non gliel'ho mai detta ma qualche biscottino l'ho accettato molto volentieri, erano buonissimi. Oltre alla coperta mi ha lasciato anche un'altra cosa, che in questo momento sta dormendo sdraiato sul divano di casa, ronfando come solo lui sa fare.
Mr Bowie è un vecchio persiano grigio che non sopporta le persone.
Sopporta a malapena me, a dire il vero.
Ma il nostro è un rapporto meraviglioso: io do da mangiare a lui e in cambio lui mi tiene compagnia per casa gironzolando e non facendomi sentire proprio completamente sola. Non so perché Mary l'abbia chiamato così ma ho pensato che non sarebbe stato giusto cambiarli nome, era già troppo che dovesse abituarsi a me, cosa non semplice. Mi sopporto a malapena da sola io stessa, quindi.
Lo osservo mentre dorme beato e apro le porte del piccolo armadio che c'è vicino al letto e tiro fuori un paio di
jeans e una maglietta puliti, nel frattempo Mr Bowie si è svegliato e mi fissa seduto sul divano, con quella sua aria da “capo di casa” che, in un certo senso, mi piace. È come avere un ragazzo in casa, solo che basta urlare un po' per zittirlo per il resto della giornata. Cosa che con un ragazzo non puoi fare, quelli rompono e basta, pretendono e chiedono, senza mai dare niente in cambio.
Scaccio i brutti pensieri dalla testa e mi vesto in fretta.
Mi faccio una coda in fretta e mi metto il giacchino in pelle nera, afferro le chiavi di casa e controllo che Mr Bowie abbia la ciotola dell'acqua piena prima di uscire di casa.
Parcheggiato davanti a casa c'è la mia moto, un piccolo regalo che mi sono fatta in questi anni. Diciamo che è l'unico regalo che io mi sia mai fatta, visto che devo stare molto attenta a tutto ciò che compro, dato che non navigo proprio nell'oro.
Salgo in sella e sfreccio per la città finché non arrivo al ristorante dove lavoro, una vecchia tavola calda in cui lavoro da qualche mese. Il proprietario, un vecchio bisbetico di cui non mi ricordo mai il nome visto che si fa' vedere si e no cinque minuti in tutto e il resto del tempo lo passa nel ripostiglio delle scope con le altre cameriere o con le sue “amichette”, mi dice di affrettarmi ad andare a cambiarmi perché sono già in ritardo.
Corro al mio armadietto e prendo la mia divisa: gonna fino al ginocchio blu e camicetta bianca che chiudo fino all'ultimo bottone – non che abbia molto da mostrare ma mi dà fastidio non farlo con la gente che viene al locale e il suo proprietario.
La giornata scorre tranquilla, per fortuna Bob – ecco come cazzo si chiama – non c'è praticamente tutta la sera e servo ai tavoli senza nessun intoppo. Anche quando ormai sono le dieci non c'è neanche un ubriaco in sala ma solo qualche famiglia con i bambini. Adoro servire alle famiglie, mi piace vedere come la mamma si occupa dei bambini che giocano a tavola, urlano, ridono e sembrano così spensierati, mi piace servirli anche se ogni tanto mi si forma un buco alla stomaco e un forte senso di nostalgia mi colpisce come un pugno.
Proprio quando il mio turno sta per finire ecco che sento la porta del locale aprirsi e un gruppo di ragazzi un po' più grandi di me entra facendo un casino pazzesco, come è tipico dei ragazzi. Ma non sembrano un gruppo di ragazzi normali, non sembrano il tipico gruppo di adolescenti che si preparano a una serata in discoteca, sono tutti vestiti con abiti costosi, perfettamente pettinati e sono molto eleganti, alcuni hanno persino una ventiquattrore alla mano. Uno di loro si volta verso di me e per poco non mi cedono le ginocchia, ha gli occhi azzurri più belli che io abbia mai visto e stanno guardando me.
Cerco di tornare in me e in meno di un secondo ho già lasciato scivolare una maschera sopra il mio viso.




Pov Robert




Perché gli amici devono sempre trascinarti in giro per locali quando invece tu vorresti solo tornare nel tuo appartamento, farti un lungo bagno nella vasca idromassaggio e chiedere al tuo cuoco di cucinarti il tuo piatto preferito? Non ho voglia di ubriacarmi, non stasera almeno. Di solito sono il primo a volermi prendere una bella sbornia ma oggi ho avuto una giornata particolarmente difficile e sono stanco morto, sono sveglio dalle sei e sto morendo di fame visto che non ho mangiato praticamente niente tutto il giorno. Ho fame, non sete, chiaro? Ma quando Harry inizia a insistere non c'è niente che riesca a fermarlo, insiste finché tu non dici di si e allora ti trascina per locali come se non ci fosse un domani. Questo è il secondo locale e sono solo le dieci e mezza di sera, non voglio immaginarmi il resta della serata.
Quando entro nel locale però, trovo una piacevole sorpresa ad aspettarmi.
Una ragazza qualche anno più giovane di me, con indosso una gonna al ginocchio e due gambe che attirano subito la mia attenzione, perché sono bellissime, bianche come la neve e sembrano non finire più anche se lei è parecchio più bassa di me. Appena alzo lo sguardo però, vedo qualcosa che mi colpisce ancora di più. Ha gli occhi verdi più belli del mondo. E non ha neanche un filo di trucco quindi è tutto naturale, nessun mascara allunga ciglia o chissà che altro. Ma lei mi guarda solo per un istante, poi torna al suo lavoro.
Peccato.
«Ehi, Pattinson», Harry richiama la mia attenzione facendomi sventolare una mano davanti al viso.
«Mh».
«Sei già fuso? Pensavo reggessi di più».
«Fottiti, Harry. Stavo pensando ad altro», lui guarda dove stavo guardando io prima e vede la ragazza, che adesso sta servendo una famiglia con due bambini che strillano e urlano e agitano le loro manina paffute alla ricerca di attenzione.
«Ora capisco cosa – o meglio chi – ha attirato la tua attenzione, amico» - mi dà una botta sulla spalla, con un fare complice che non ricambio affatto - «è uno schianto, dici che riesco a portarmela a letto stasera?», Harry è un collega di lavoro, ha l'ufficio vicino al mio e la sua segretaria è stata anche la mia, ma oltre a questo non abbiamo niente in comune. Harry è un ragazzo di ventisei anni che non ha ancora capito un cazzo dalla vita e che passa le sue serate devastandosi nei locali, alla ricerca di una birra e di una ragazza per la serata. Ammetto di non essere un santo, ma non vorrei mai scendere in basso come lui.
«Levale gli occhi di dosso, Harry, non è alla tua altezza» dico.
«Ah si? Oh, senti un po' chi parla. Da quanto non scopi, Pattinson?».
«Cazzi miei?», dio, ha ragione, sto impazzendo. Da quando mi sono lasciato con René non vado a letto con una ragazza da almeno tre mesi e sto per impazzire. Ma di certo non starò a dirlo a questo coglione, qua.
«Oh diamine, Pattinson sta perdendo il suo fascino, mi sa» mi prende in giro.
«Harry, piantala, o ti spacco la faccia. Non è serata» mi allontano da lui e raggiungo gli altri, che si sono già seduti a un tavolo dall'altra parte del locale.
Odio stare qui.
Voglio tornarmene a casa.
E voglio anche trovarmi qualcuno da portarmi a letto.
So di aver appena detto che io non sono come Harry, ma sono un uomo e ho bisogno di alcune piccole cosette.
E ho anche bisogno di qualcuno da presentare a mia madre, cazzo.
È da due anni ormai che vuole che le porti qualcuno a cena.
Con Cassie pensavo di aver finalmente trovato quella giusta, è durata più di tre mesi, una specie di record per me, ma alla fine ho capito che non l'amavo, che in realtà non mi piaceva neanche. Mi piaceva l'idea di avere qualcuno, di avere qualcuno che magari, forse, cosa leggermente probabile avrei potuto portare a cena da mia madre per dirle “okay, eccoti una ragazza, contenta? Che si mangia?”. Cassie non era male, era una modella e non rompeva neanche un po', bastava che le davo la mia carta di credito e spariva per tutta la giornata, niente di complicato quindi. Ma era noiosa e stare con lei mi mandava in bestia la maggior parte del tempo. Per dirla tutta, era una stupida.
Sto mandando un messaggio alla mia segretaria per avvisarla che domani farò tardi in ufficio quando sento una voce stupenda che attira la mia attenzione. È dolce e con un forte accento di Los Angeles.
«Ehm, prego?» chiedo.
«Cosa devi ordinare?» ripete lei. Se prima ho pensato che fosse bella, adesso mi devo ricredere, perché questa ragazza è sicuramente la ragazza più bella del mondo. Ha due occhi verdi che definirei magnetici, un viso da bambola ma con un'espressione da stronza – anche se direi che sotto c'è qualcos'altro, qualcosa che non riesco a decifrare ma so con certezza che c'è ed è qualcosa di profondo – è piccola, direi minuta e mi fissa in un modo.. che mi mette quasi in soggezione, perché nessuno mi ha mai guardato così, in modo così diretto. Di solito guardano i miei soldi, non me.
Mi accorgo un secondo dopo che, forse, dovrei risponderle.
«Vino. Vino rosso, grazie».
«Vino... okay. Altro?».
Si, te, nel mio letto, molto presto preferibilmente. «No, grazie».
«Okay.. torno subito», si gira per andare verso la cucina, donandomi una meravigliosa vista. Ma purtroppo non sono l'unico a goderne e vedo Harry che si sta già armando di quella sua cazzo di faccia da maniaco sessuale che odio più di quanto odi la sua faccia normale.
«Non pensarci neanche» gli dico.
«Che c'è? Pensi di farcela prima di me, non credo», Harry è un bel ragazzo, con i suoi capelli neri e gli occhi blu ma è quel sorriso viscido che lo rovina.
«E' troppo giovane per te».
«Da quando ti fai problemi sull'età?».
«Da sempre, visto che ho due sorelle ed entrambe hanno più o meno l'età di quella ragazza» dico, livido in viso. Harry una volta ha tentato di provarci con Victoria, ma per fortuna mia sorella l'ha mandato allegramente a fanculo.
«Già.. be', lei non è tua sorella», no, decisamente non lo è.
«Fa un po' come cazzo ti pare, okay? Ma non mettere nei casini ragazze innocenti».
«Sei un cazzo di noioso, lo sai?».
Evito di rispondere perché sta tornando la ragazza, con un vassoio in mano.
«Ecco a voi..», ci mette le nostre ordinazioni sul tavolo, inchinandosi ma senza mostrarci un bel niente, la camicetta è abbottonata fino all'ultimo bottone, fanculo. «Avete bisogno di altro?» chiede di nuovo; ha un'espressione tra l'annoiato e l'ansioso, come se non volesse trovarsi qui. Che la faccia da viscido di Harry abbia già fatto affetto?
Meglio per lei.
«Si, c'è altro», Harry si sporge sul tavolo, sfoggiando il suo miglior sorriso voglio-portarti-a-letto, «vorrei sapere il tuo nome».
La ragazza alza gli occhi al cielo e fa' per andarsene.
«Ehi, andiamo! Solo il tuo nome!».
«Harry, lasciala in pace..» lo riprendo.
«Piantala, Pattinson, voglio solo sapere il suo nome. Allora, bellezza?».
Lei si gira di nuovo verso di noi, adesso è decisamente scocciata. «Fatti i cazzi tuoi, okay? Hai la tua birra, prenditi una sbornia ed esci dal locale, coglione», il tono che ha usato mi fa' sorridere e trattenere a stento una risata. Harry mi lancia un'occhiataccia e muore dall'imbarazzo e dalla rabbia mentre tutti noi lo prendiamo per il culo.
La ragazza scuote la testa, come se fosse disgustata dalla scena, e torna al suo lavoro.
Mentre se ne va', un'idea inizia a frullarmi in testa.
Forse qualcuno ha ascoltato le mie preghiere.
Forse questa uscita non è stata poi un'idea così cattiva.




Pov Kristen





Finalmente ho finito il turno.
Esco dal locale indossando i miei jeans, la mia maglietta e la mia giacca in pelle e mi sto guardando in giro cercando di ricordarmi dove ho parcheggiato la mia moto quando una voce attira la mia attenzione. Qualcuno mi sta chiamando.
Sono stanca, non ho voglia di parlare con nessuno.
Ma quella voce mi è famigliare.
Mi giro, stringendomi nella giacca perché una folata di vento mi ha appena colpito.
Il tipo del locale, quello carino con due occhi da favola che mi ha difeso non quello viscido che voleva sapere il mio nome, sta correndo verso di me, dicendomi di fermarmi.
Visto che è stato carino e non ha la faccia da viscido, decido di farlo.
«Cosa vuoi?» chiedo, quando è vicino a me.
«Uhm, volevo solo chiederti scusa per come si è comportato il mio amico. Sai, prima..».
«Non importa, è tutto okay tranquillo. Ci si vede» faccio per andarmene ma lui mi afferra un polso e mi fa' voltare di nuovo verso di lui.
Strattono il polso e lui molla la presa.
«Oh, ma che cazzo vuoi?».
«Scusa. Volevo solo chiederti una cosa».
«Hai uno strano modo di farlo. Nessuno ti ha insegnato a non strattonare gli sconosciuti alla scuola privata, figlio di papà?», okay, forse sto esagerando, ma sono quasi le due di notte, ho avuto il turno lungo stanotte e voglio solo andare a casa e gettarmi sul letto.
Lui sembra un attimo confuso dal mio tono ma poi ritrova il suo solito aspetto da figlio-di-papà che è l'unica nota stonata nel complesso visto che, devo ammetterlo, è davvero bellissimo. Forse il più bel ragazzo che io abbia mai visto, ma non è proprio il mio tipo. «No, mi spiace. Comunque, volevo chiederti se potevamo.. vederci, domani».
Per poco non gli scoppio a ridere in faccia. «Prendi per il culo?».
«N.. no... io.. volevo solo vederti di nuovo domani».
«Perché?» incrocio le braccia al petto, aspettandomi una risposta geniale che non arriva.
«Perché devo chiederti... una cosa. Senti, se sei incazzata per come si è comportato il mio amico là dentro non posso farci niente ma mi scuso da parte sua, adesso puoi uscire con me domani?».
Oddio, mi è proprio capitato il tipico figlio di papà che non è abituato a dover lottare per avere una cosa.
«No».
«No?».
«No. La conosci questa parola? No. Enne. O. Chiaro ora? E adesso devo andare, quindi..».
«Aspetta».
«Che c'è ancora?», sbuffo.
«Dimmi almeno come ti chiami».
«Poi mi lasci in pace?».
«Dimmi il tuo nome, io mi chiamo Robert».
Mh, bel nome. «Kristen..».
Lui accenna un sorriso che ha un che di infantile e di tenero, aw. «Piacere Kristen, io sono Robert Pattinson e ti sto chiedendo, per favore, di venire a pranzo con me domani, devo parlarti di una cosa.. potrebbe interessare anche a te».
Robert Pattinson.
Mh, mi piace come nome.
Ma ho un campanello d'allarme che mi risuona in testa.
«No, io non credo».
«Io dico di si. Non voglio parlarne adesso... in un parcheggio», si guarda intorno, sicuramente pensa che questo posto sia troppo squallido per uno come lui, il che mi fa' solo confermare l'idea che ho di lui.
«Che ha questo posto che non va'?» lo sfido.
«Niente... ma preferirei parlarne in un ristorante come si deve. O magari a colazione, come preferisci».
Non capivo tutta questa sua insistenza, come vuole un tipo come lui da una come... me?
«Non credo mi interessi ma, ehi, grazie lo stesso. Adesso posso andarmene?».
«Ma..», dio, sembra davvero che nessuno in vita sua gli abbia detto no.
«Ci si vede».
«Dammi almeno il tuo numero di telefono».
«Cosa? No!».
«Perché no? Hai paura che ti faccia cambiare?», sorride, pieno di sé, sembra un pallone da quando è pieno di sé.
«Ma per favore..», ma tutti io li becco? Certo che, però, di solito quelli che capitano a me sono idioti, questo almeno è un idiota ricco. Sto salendo di livello, che culo.
«Allora dammi il tuo numero. Ti manderò un paio di messaggi e poi, se proprio non vuoi, lascerò perdere, promesso».
«Potresti essere un maniaco».
«Potrei, si. Ma sempre meno del mio amico là dentro», indica il locale, dove il suo gruppo di amici si sente fino a qua.
«Questo te lo concedo».
«Grazie. Quindi, il numero?».
Rifletto un attimo. Posso non dargli il numero e continuare a parlare con lui finché non esco matta oppure posso dargli questa piccola vittoria – l'ennesima mia sconfitta – e andarmene a casa a dormire, finalmente. «Okay».
Sembra stupito quasi quanto me. «Davvero?».
«Già. Sono troppo stanca per stare a parlare con te ancora.. quindi», tiro fuori il mio cellulare e glielo porgo, «ecco, tieni».
Robert lo prende subito, come se avesse paura che cambiassi idea da un momento all'altro.
«Grazie».
«Di niente..», mi riprendo il mio cellulare.
«Ti ho segnato il mio numero e mi sono scritto il tuo. Per ogni cosa, chiama».
«Certo, contaci» lo prendo in giro.
«Dico davvero. Ti chiamo dopo per dirti dove incontrarci?».
«Fa' un po' come vuoi... posso andare ora?».
«Si, ora si», vorrei toglierli quel sorriso vittorioso dal viso ma sono troppo stanca per uno schiaffo come si deve, «a dopo, Kristen».
Mi infilo il cellulare in tasca e lo supero, «Si.. come no, a dopo Robert», salgo in sella, mi metto il casco e parto.




Quando rientro a casa trovo Mr Bowie che mi aspetta sul letto, si stiracchia tutto appena mi vede come a darmi il suo saluto. Mi siedo accanto a lui e gli do una grattatina dietro l'orecchio finché non si alza scocciato e torna a dormire sul divano.
Il solito scorbutico.
Mi sedetti sul letto e mi sfilai le scarpe.
Mentre stavo per togliere i jeans sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.
Oh, no pensai, tirandolo fuori e leggendo il messaggio.
Da: Robert Pattinson.
Messaggio: "Siamo d'accordo per domani, quindi? Non vedo l'ora, Kristen. Robert".
No.
Oddio no.
Non poteva fare sul serio.
Non era il momento.
Non era il momento giusto nella mia vita, anche se probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Non voglio un ragazzo.
Non voglio qualcuno che mi comandi.
Brutti ricordi iniziano a tornarmi in mente.
Chuck.
Chuck che mi dice a che ora tornare a casa.
Chuck che mi urla contro.
Chuck che mi spinge contro il letto.
Chuck che mi dà della puttana perché sono tornata tardi.
Chuck che finalmente esce dalla mia vita.. forse.
No, non ero in grado di cominciare di nuovo una cosa del genere, dovevo stroncare la cosa sul nascere.
Clicco su "nuovo messaggio" e inserisco il contatto di Robert.
"Credo sia meglio non vederci domani, ci si vede in giro, Robert".
Ecco fatto.
Lascio il cellulare sul letto e mi cambio. Vado in "cucina" e prendo un bicchiere di latte, mentre lo bevo noto che la luce verde nel cellulare mi avvisa che mi è arrivato un messaggio.
"Come? No, aspetta. Te l'ho detto, devo dirti una cosa che ti interesserà sicuramente. Non voglio importunarti, davvero. Dammi una possibilità per spiegarmi, no?".
Una possibilità?
Ma per piacere.
Semplicemente non accettava un "no" come risposta perché nessuno nella sua vita gliel'ha mai detto, è solo un stupido figlio di papà e io con le persone come lui non ho niente a che fare, e si vede.
"Non credo che cambierò idea, mi spiace".
No, semplice?
No, no, no, era davvero tanto difficile da capire?
A quanto pare per lui si visto che il telefono vibrò di nuovo.
"Ti prego. Offro io. Non sono un pazzo, dico sul serio, ho bisogno di parlarti di una cosa seria. Se non vuoi prenderla sul personale diciamo che è una specie di lavoro, okay? Ma ti prego vieni domani", lavoro?
Che lavoro?
Che genere di lavoro?
Avevo bisogno di soldi.
"Che lavoro?".
"Domani, a colazione. Ti vengo a prendere, dammi l'indirizzo".
"Ehi, bello, vacci piano, mica ho detto di si. E comunque non ti dò l'indirizzo proprio di un bel niente, non sono scema", chi si credeva di essere?
"Ma sembri interessata, è già qualcosa. Vuoi metterla sul piano lavorativo, quindi? Okay, allora diciamo che voglio offrirti un lavoro. Quindi, per domani?".
Dio, non ci potevo credere.
Che grandissimo figlio di puttana.
Però adesso ero curiosa.
Be', se non era una cosa interessante potevo sempre dirgli di no, giusto?
Aspettai un po' per rispondere.
Presi il libro che stavo leggendo e mi misi a letto. Mr Bowie venne a sdraiarsi ai miei piedi, crogiolandosi contento fra le lenzuola sopra il materasso e soffiando senza motivo. Il cellulare vibrò di nuovo, facendo gonfiare il mio orgoglio.
"Kristen, per favore, dammi almeno una risposta...".
"Okay. Ma ci incontriamo direttamente là, dimmi il posto".




Pov Robert




Rientrai a casa verso le quattro del mattino. Il portiere all'entrata dell'edificio mi sorrise comprensivo, come sempre.
«Divertito, signor Pattinson?».
«Per niente, Thomas».
«Mi dispiace tanto, signor Pattinson».
«Si.. anche a me».
«Come sta suo padre, signor Pattinson?».
Thomas lavora in questo edificio da almeno venticinque anni e visto che l'edificio è di mio padre – come la maggior parte degli appartamenti di lusso, hotel e ristoranti di New York – Thomas lavora per lui da un sacco di 
tempo e ormai si conoscono da una vita, diciamo pure che Thomas mi ha visto crescere visto che prima lavorava nell'hotel in cui ho vissuto da bambino.
«Sta bene, Thomas, grazie. E di saluta».
Lui sembrò agitarsi tutto, emozionato com'era nel sapere che mio padre, il grande Richard Pattinson, lo salutava. Si tolse il capello della divisa e se lo portò sul cuore. «Oh, che onore. Suo padre è una delle persone più buone del mondo, signor Pattinson. Grazie a lui ho un lavoro e la mia famiglia ha cibo in tavola e anche i regali di Natale. Ancora mi ricordo quando tre anni fa' mi ha pagato il viaggio a Parigi con mia moglie per il nostro anniversario, non lo ringrazierò mai abbastanza, sa? E poi c'è stata quella volta in cui suo padre...».
Sollevai una mano per farlo tacere, «Basta così per stasera, Thomas, sono stanco morto», e non avevo nessuna voglia di sentire cantare le lodi di mio padre per almeno la milionesima volta. Tutti amavano mio padre, tutti amavano "il grande Richard Pattinson", che aveva costruito un impero dal nulla e aveva dato posti di lavoro a mezza New York, che si occupava di ogni sua singola impresa come se fosse la sua famiglia e che tutti consideravano una specie di santo sceso in Terra. Non che non lo fosse, ma era anche troppo. Vivevo nella sua ombra.
«Oh, si.. certo, mi scusi, mi scusi tanto signor Pattinson, mi sono lasciato trasportare ma suo padre è davvero un uomo eccezionale».
«Si.. grazie, lo so... buonanotte, Thomas».
«Buonanotte, signor Pattinson. Dorma bene!» mi urlò dietro mentre entravo dentro l'edificio e superavo l'atrio e andavo verso gli ascensori.
La musichetta che c'era dentro quello in cui entrai mi diede terribilmente nei nervi.
Subirmi tutti quei discorsi su mio padre, su quanto fosse bravo, generoso, intelligente, ambizioso e di talento mi aveva messo di pessimo umore ma poi mi ricordai dei due meravigliosi occhi verdi che avevo incontrato quella sera e mi tornò un leggero sorriso sul viso. Forse avevo davvero trovato la soluzione a tutti i miei problemi.
Le porte dell'ascensore si aprirono direttamente sul mio attico. Era un regalo dei miei genitori per il mio ventunesimo compleanno, diciamo che avevano accettato di buon grado la mia idea di andare a vivere da solo a patto che scegliessi uno degli appartamenti di proprietà di mio padre, il che non mi dispiaceva visto che era uno degli attici più lussuosi di New York. Era enorme, con un salotto spazioso, una cucina con tutte le novità in campo culinario, una camera da letto con un letto abbastanza grande da contenere tre persone comodamente – non chiedetemi come faccio a saperlo – il tutto arredato da una delle migliori arredatrici d'interni della città. Ah, e costava un occhio della testa.
Mi andai a prendere un bicchiere d'acqua e inizia ad allentarmi la cravatta.
Il telefonino squillò. Per un attimo pensai che fosse Kristen, poi vidi il nome di mia madre sul display.
«Mamma, ciao».
«Robert, tesoro. Perché sei sveglio a quest'ora?».
«E perché tu mi chiami a quest'ora?».
«Io sono appena tornata da una cena di beneficenza, e tu?».
«Io da una cena di lavoro» mentii.
«Oh», sentii in sottofondo mio padre che chiedeva se ero io al telefono e mia madre rispondergli che si, ero io e che si, ero ancora sveglio a quell'ora – "cosa da pazzi, Richard, ma sai com'è tuo figlio!" - «quindi, tesoro.. ti ho chiamato per chiederti se venivi a pranzo a casa questa domenica».
«Uhm, questa domenica... ecco..».
«Robert, per favore. Non vieni da settimane, mi manchi, ci manchi, tesoro...», ed eccola che tirava fuori la carta del "fai felice la tua mamma" che io odiavo con tutto il cuore. Non ero come le mie sorelle, che andavano a pranzo da mia madre tutte le domeniche e passavano anche le vacanze e buona parte della settimana a casa dei nostri genitori, io ero quello che non chiamava mai, quello che non si faceva sentire, quello che non dava soddisfazioni.
«Mamma, per favore, non iniziare..».
«Niente "mamma non iniziare" Robert! Siamo preoccupati per te! Lavori tutto il giorno e poi passi la serata con i tuoi amici e quando ti chiamo sei sempre stanco o hai mal di testa e io passo la notte preoccupandomi, chiedendomi come sta mio figlio, cosa fa', come si sente... hai bisogno di qualcosa, tesoro? Lo sai che io e tuo padre siamo sempre qui per te, tesoro. Sempre.»
Già, lo sapevo.
Lo sapevo anche fin troppo bene.
Mio padre era sempre con me, era come averlo sempre dietro di me, che mi alitava sul collo come un falco.
Lo stesso per mia madre, con la sua iperprotettività.
«Si, lo so, mamma, lo so, lo so».
«Magari possiamo parlarne domenica, che ne dici?».
«Avrei un impegno veramente..».
«Davvero, e con chi?».
«Mamma, non credo che siano affari tuoi con chi esco io».
«Robert Thomas Pattinson! Non parlarmi così!».
«Esco con una persona e basta».
«Una ragazza? Sei fidanzato, Robert? Non mi hai detto niente, sai che io ci tengo a queste cose, sei mio figlio, voglio solo sapere se..».
«Si. Si, mamma, lo sono! Ho una ragazza!», ma che cazzo dico? So solo che voglio concludere questa telefonata il più presto possibile e l'unico modo è farla contenta e dirle quello che vuole sentirsi dire.
«Oh.. oh, Robert! Tesoro mio, sono così contenta per te! Richard, Richard, amore!», la sento chiamare mio padre, che risponde con un stanco "che c'è adesso..?", «Robert! Robert ha una ragazza!», sento mio padre chiedere a mia madre "e perché non la invita a pranzo domenica per farcela conoscere?", ma vaffanculo papà, grazie eh. «Hai ragione, amore! Robert, tesoro, Rob», mi chiama "Rob" e non "Robert" quando vuole ottenere qualcosa, la conosco troppo bene e so già che perderò anche stavolta, «vogliamo conoscerla, assolutamente. Venite a pranzo domenica, poi magari restate anche a cena e andiamo fuori a mangiare, e poi..».
«Mamma!».
«Va bene, va bene.. quindi, vieni?».
Sospiro, troppo stanco per controbattere. «Si.. verrò».
«Ottimo! Ti voglio bene, tesoro. Buonanotte, ci vediamo domenica».
«Si... ti voglio bene anche io, mamma, a domenica».
Chiudo la telefonata e mi getto a letto con ancora i vestiti addosso e gli occhi della ragazza di stasera che mi appaiono davanti in sogno.





Pov Kristen






Ci stavo davvero andando? Stavo davvero andando a quello strano appuntamento invece di dormire tutto il giorno come sono solita fare? Dio, dovevo tornare a lavoro alle cinque e invece che recuperare il sonno perso me ne stavo gironzolando per la città alla ricerca del famoso Caffè che Robert mi aveva descritto in un messaggio. Dovevo essere impazzita una volta per tutte, sicuro. Alla fine entrai in una caffetteria che si chiamava "Raggio di Luna", un posto elegante, dove mi sentii subito a disagio; indossavo i miei vecchi jeans scuri e una maglietta a maniche corte visto che c'era un bel sole stamattina, le mie scarpe da ginnastica facevano un casino sul pavimento in legno del locale. Tutti si voltarono a guardarmi quando varcai la soglia.

L'impulso di scappare via e lasciar perdere tutto si fece più forte che mai ma proprio in quel momento Robert mi vide e mi venne incontro. Era bellissima, come me lo ricordavo. Oggi indossava una camicia bianca lasciata fuori dai pantaloni neri, eleganti anche questi. Le scarpe firmate mi fecero imbarazzare ancora di più, in cosa mi stavo cacciando?
«Kristen, ciao» mi salutò e fece per chinarsi per darmi due baci sulle guance ma io mi tirai indietro, facendogli capire subito che non ero lì per quello. Volevo solo sapere cosa aveva da offrirmi, poi sarei tornata a casa mia. Dove non mi sentivo così fuori posto.
«Ciao..».
«Oh.. vogliamo accomodarci? Ho fatto prenotare un tavolo solo per noi due, così possiamo parlare tranquillamente» mi disse. Un tavolo? Per fare colazione? In un ristorante? Non mi era mai successo ma Robert sembrava perfettamente a suo agio in quell'ambiente, si muoveva tranquillo e mi guidava fra le file di tavoli. I camerieri mi lanciavano occhiate curiose, altre di disprezzo, era chiaro che nessuno di loro pensava che fossi "come a casa mia", tutto il contrario. Ma feci finta di niente, che ne sapevano loro? Magari ero ricca quasi quanto Robert per quanto ne sapevano loro.
«Prego» - Robert allontana la sedia dal tavolo per me, invitandomi a sedermi.
Lo feci, esitante.
Lui si sedette davanti a me.
«Grazie...».
«Ti piace? Il posto, intendo».
«Si, uhm, carino».
«L'ho scoperto da poco, mi piace venirci» mi spiegò, senza che nessuno gli avesse chiesto niente, ovviamente.
«Ci vieni spesso, quindi?».
«No. È la prima volta che ci vengo a colazione, ad esempio».
«Oh..», non sapevo che dire, ero imbarazzata come mai in vita mia. Di solito ero sempre in pieno controllo della situazione, ma questa volta non sapevo neanche il motivo della mia presenza lì. «Robert, senti.. cosa devi dirmi?».
«Aspetta. Non abbiamo neanche ordinato» protesta lui.
«Non ho molta fame..», ho lo stomaco sottosopra.
«Ma devi mangiare» dice, con tono autorevole.
Non sono una tua proprietà, coglione. «No, se non voglio».
La cameriera arriva, interrompendo un possibile primo litigio.
«Cosa desiderate? Posso consigliarvi qualcosa?», è carina, sui venticinque anni, indossa una divisa molto più bella e formale della mia e lancia sguardi languidi verso Robert, che è impegnato a leggere il menù che lei gli ha dato. Per me, niente menù. Stronza.
Robert risponde senza neanche sollevare lo sguardo dal menù: «Due pancake, un caffè, una cioccolata calda con molta panna, cannella e polvere di cioccolato e una spremuta d'arancia, grazie» le porge il menù con un sorriso di sufficienza che fa' impazzire la cameriera, che torna in cucina quasi ballando.
Io invece sono furiosa.
Che presuntuoso maschilista!
«Perché cazzo hai ordinato anche per me!? Non sono mica scema, sai?».
Robert non sembra capire, ancora una volta non sembra comprendere le mie parole, è come se parlassimo due lingue diverse. «Ma.. ma.. volevo solo.. non so, pensavo ti andasse bene».
«No!», scatto, inviperita, «ovvio che non mi va bene! Non puoi decidere cosa devo mangiare, che cazzo! Non farlo mai più, chiaro?».
«Non capisco dove sia il problema».
«Non ho cinque anni.. e tu non sei mio padre!».
«Continuo a non vedere dove sia il problema. Pagherò io questa colazione, tanto».
«Tu sei fuori di testa! Faremo a metà!».
«Non voglio discutere su questo. Non volevi forse sapere perché ti ho chiesto di venire?».
Sono costretta a calmarmi.
«Si.. parla, forza».
«Non preferiresti prima sapere almeno qualcosa di me?» cambia discorso.
«Ma hai appena detto..».
«So cosa ho detto. Ti sto facendo una domanda».
«No, non mi importa. Dimmi perché mi hai invitato qua».
«Come vuoi...», sembra triste per un secondo, poi torna a indossare la sua solita maschera. Oh, piccolo figlio di papà. «Ho bisogno che tu mi aiuti».
Ci metto un secondo di troppo a capire le sue parole. «Tu vuoi aiuto da... me?», non capivo.
«Perché ti sembra così strano?» mi chiede, divertito.
Oh, non so, forse perché tu sei vestito così bene e io così male.
O perché tu sei bellissimo e io sono semplicemente io, con le mie scarpe da ginnastica che hanno fatto un casino mentre entravo qui.
O forse perché tu sei nel tuo ambiente naturale mentre a me sembra di entrare in un altro mondo semplicemente stando in un ristorante a fare colazione. Che dici?
«Spiegati..» dico, evitando la sua domanda.
«Ecco.. il vero problema qui, è la mia famiglia».
«Che ha che non va' la tua famiglia? Ti ha tolto la paghetta?» lo prendo in giro ma lui fa' finta di non notarlo.
«In realtà.. è mia madre il problema».
Oh ma allora non sei solo un figlio di papà, sei anche un cocco di mamma!, ma non lo dico, perché adesso sono davvero curiosa. Che genere di problemi può avere un ragazzo che può permettersi di venire a fare colazione in un posto del genere?
«Tua madre, eh? Parla, ti ascolto».
«Ecco, lei..».
Ma veniamo interrotti dalla cameriera con le nostre ordinazioni.
Un buonissimo odore di cioccolata calda mi riempie l'anima e appena vedo quanta panna montata c'è mi viene quasi da piangere dalla felicità. Ci affondo subito il cucchiaino, è densa. Robert prende un sorso del suo caffè e spinge il piatto con i pancake verso di me, anche quelli hanno davvero un ottimo profumo.
«Mia madre è molto apprensiva» mi spiega, mentre io mangio la mia colazione, «mentre io preferisco stare per i fatti miei. Vuole che vada a pranzo da lei la domenica, mentre io detesto stare in famiglia e preferisco uscire con gli amici quando non lavoro. E qui entri in gioco tu».
Sollevo lo sguardo dalla mia cioccolata.
«Io...?».
«Si, tu. Mia madre mi sta chiedendo se ho una fidanzata da mesi e sono stanco di risponderle di no. Il tuo compito sarebbe, come dire?, fingerti la mia fidanzata».
Ancora una volta ci metto un secondo di troppo per comprendere appena quello che ha appena detto.
«COSA!?».
«Shh! Non urlare, per favore. È un luogo pubblico, sai?».
«Fanculo, tu sei pazzo!».
«Non ti sto mica chiedendo di esserlo per davvero, tutto quello che dovrai fare è venire a pranzo con me dalla mia famiglia qualche volta, magari accompagnarmi a qualche evento, stare al mio fianco, sorridere e divertirti. Semplice».
«Tu. Sei. Pazzo.» scandisco bene.
«E tu sei terribilmente bella, ecco perché ho scelto proprio te», i suoi occhi non si staccano dai miei e sento le guance prendere colore.
«Risparmiati le cazzate per le tue amichette, io me ne vado» faccio per alzarmi – a malincuore, la cioccolata era davvero troppo buona – ma la mano di Robert mi afferra il polso attraverso il tavolo. Dio, devo davvero togliergli questo odioso vizio di mettermi le mani addosso.
«Riflettici, prima di dirmi subito di no. Ci guadagni anche tu».
«Non mi interessa, nessuna cifra potrà mai..».
«Mille dollari al giorno».
Oh, porca troia.
Ricado sulla sedia, stordita. «Non dici sul serio..».
«Dico sempre sul serio. Mille dollari se vieni a pranzo con me dalla mia famiglia questa domenica, altri mille se resti anche a cena e ancora altri mille se vieni al compleanno di mia sorella la settimana prossima», i suoi occhi sono vuoti, è come se stesse contrattando un affare, che a pensarci bene è proprio quello che sta facendo. E sono io l'affare. Mi fa' sentire terribilmente sporca e usata. Ma sono mille dollari e io non pago la luce da una vita.
«Sarebbe solo per finta...» mormoro.
«Esatto. Solo per finta, niente di vero. Ho davvero bisogno di togliermi mia madre dai piedi e tu sei la mia salvezza. Mia madre ti adorerà», perché questo pensiero non mi elettrizza neanche un po'?
«Non puoi trovarti una ragazza vera? Oddio, non dirmi che sei..».
«No», scoppia a ridere.
«Non ci sarebbe niente di male, eh. Solo che, non so.. tu.. non.. niente, lascia perdere».
«Non sono gay. Semplicemente non sono interessato a una relazione in questo momento, ho troppo lavoro».
«Che lavoro fai?», ma a me.. che cazzo frega?
«Lavoro nell'azienda di mio padre».
«Lo immaginavo..».
«E tu lavori nel bar dell'altra sera?».
«Indovinato».
«Vivi con i tuoi?».
«Quanti anni mi dai, scusa?».
«Non so.. diciassette?».
«Eeeh, sbagliato. Quasi diciannove».
Lo vedo rilassare le spalle. «Grazie a Dio, non mi andava di fare affari con una minorenne. La galera non mi attira».
«Non attira a nessuno. E tu, quanti anni hai?».
Lui sorride e si sporge sul tavolo, ha un sorriso malizioso. «Troppo giovane per possedere l'impero di mio padre ma abbastanza da essere ai vertici dell'azienda», oddio, che.presuntuoso.del.cazzo.
«Venti».
«Ventitré».
«Come cazzo fai a essere così ricco e ad avere un lavoro come il tuo a soli ventitré anni, si può sapere?», è assurdo, è troppo giovane.
«Papà. Tutto merito di papà.. e di un ottima università».
«Pagata da paparino» specifico.
Annuisce, «E che potrai pagarti anche tu dopo un paio di giorni con me, tranquilla», non dico niente, l'idea di andare all'università non mi ha mai attirata ma anche perché non me la sono mai potuta permettere.
«Non mi interessa. Voglio i dettagli del nostro.. "accordo"».
«Non ora. Li stabiliremo volta per volta. Se vuoi puoi stimarmi una lista dei tuoi impegni e delle cose che ti rifiuti categoricamente di fare, che so.. tipo baciarmi», osserva il suo caffè e nel frattempo un angolo della sua bocca si solleva, in un sorriso furbo da grandissimo figlio di puttana.
«Io non ti bacerò» dico, decisa.
«Scrivilo nella tua lista di cose che non farai. Potremo modificarla a nostro piacimento».
«Non credo che cambierò idea su questo dettaglio. Io non ti bacerò mai, è finzione, ricordi? E tu mi pagherai.. o io me ne andrò».
«Ti pagherò».
«Bene. E io non ti bacerò».


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ehi! ciao.
ehm, si... è una nuova ff.
so cosa state pensando! "ma questa qua non ce la fa' a finirne una prima di iniziarne una nuova'" be', la risposta è no.
è più forte di me, ho troppe idee in testa e ho scoperto il mondo delle ff solo di recente quindi, siate buoni,
fatemi sperimentare.
per questa storia ho preso ispirazione da un bel po' di cose, diciamo che è un misto di...,
cinquanta sfumature di grigio, gossip girl, pretty woman (?) e varie canzoni che conoscerete con l'andare avanti della storia.
preso ispirazione non vuol dire "copiato" quindi non sarà come nelle citazioni qua sopra, diciamo che ho preso varie parti,
le ho modificate, cambiare, completamente rivoltate e infine rese mie.
non so quando la continuerò, non so neanche quando finirò "believe in me" o "fire and rain", so soltanto che avevo questa idea in testa
e non ce la facevo più a tenermela dentro così ho iniziato a scrivere e ho dovuto lottare molto per dirlo subito. ho aspettato,
volevo pubblicarla dopo la fine di "believe in me" ma... a quanto pare ho finito l'ispirazione e anche un po' per colpa della scuola
i miei ritmi sono cambiati, in più ho anche blake - il mio amato pastore tedesco - che occupa gran parte della mia giornata, quindi...
siate clementi, okay?
se non vi piace... be',
credo che scriverò lo stesso ahahaha,
ma comunque sia spero che questa storia - o almeno questo inizio - vi sia piaciuto.
voglio un sacco di recensioni perché voglio farmi un'idea di cosa ne pensate, chiaro?
minimo 10, altrimenti niente prossimo capitolo.
si, sono cattiva.
anyway, i love you all so..
ciao! vi voglio bene, alla prossima (che non so quando sarà).
xoxo.







   
 
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