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Autore: Maunt    20/01/2013    0 recensioni
Sara e Grissom si ritrovano a parlare con Catherine dei loro sentimenti e ciò li fa ragionare. Si ritroveranno poi in una situazione imbarazzante mentre parlano di come dovrebbero comportarsi.
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Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Catherine Willows, Gilbert 'Gil' Grissom, Sara Sidle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il turno sarebbe iniziato tra meno di un'ora, ma io non avevo alcuna volgia di vedere Grissom perchè sapevo che aveva notato le lacrime del giorno prima e ciò mi imbarazzava molto.

 Ero arrivato al laboratorio con largo anticipo siccome dovevo sbrigare delle scartoffie che si stavano impilando sulla mia  scrivania, era un lavoro che odiavo, ma putroppo andava fatto esattamete come il discorso da affrontare con Sara. Brass bussò alla porta e entrò dicendo:
"Ciao Gil abbiamo del lavoro da svolgere" e mi porse dei foglietti con scritti  i casi, io mi alzai e mi diressi verso la porta:
"Bene andiamo ad avvisare la squadra" il mio tono era molto più tetro del solito perchè il lavoro non era la mia principale preoccupazione quella notte.
Arrivammo alla sala break dove tutti gli agenti della scientifica stavano aspettando ordini sorseggiando caffè e chiaccherando tranquillamente, li invidiavo per come riuscivano a evadere dai loro problemi personali quando stavano al laboratorio, io invece aggirandomi per quel luogo  riuscivo solo a stare peggio perchè ogni stanza mi faceva venire in mente Sara :
"Salve ragazzi, ho del lavoro per voi; Nick ti affido il caso di una rapina finita male in Blue Diamond road porta con te Sanders, Warrick e Catherine avete una donna trovata morta nel Desert Hills, Sara..." mi bloccai improvvisamente nel sentirmi pronunciare il suo nome e alzai lo sguardo quando non la sentii rispondere:
"Dov'è Sara?" nessuno disse niente:
" Sono qui capo, scusa il ritarso" mi girai e la vidi arrivare a grandi passi dal corridoio, era stupenda come al solito:
"Bene, noi abbiamo un cadavere al Rempart".


Non avrei voluto lavorare con Grissom perchè la sua vicinanza mi tormentava eppure qualcosa era scattato nella mia testa quando aveva pronunciato la parola noi, adoravo sentirgliela dire in riferimento a me e lui:
"Ok" risposi distrattamente senza guardarlo negli occhi, sapevo di non riuscire più a sostenere il suo sguardo e lo avrei evitato il più possibile.
I vari membri della squadra uscirono dal laboratorio per svolgere le indagini e così fecemmo anche io e Gil, stare nella sua macchina mi rendeva molto nervosa perchè era carica del suo profumo che mi faceva venire i brividi, era dolce ma allo stesso tempo molto mascolino e decisamente attraente. Se non fosse stato al volante probabilmente mi sarei fiondata su di lui; dovevamo assolutamente risolvere questa situazione.

Avevo voluto lei al mio fianco nell'indagine nella speranza di riuscire a trovare la forza per parlarle, ma sapevo che non sarebbe stato facile; di tanto in tanto la guardavo con la coda dell'occhio senza farmi notare, era imbarazzata tanto quanto me, non osavo interrompere il silenzio perchè non avevo idea di cosa dirle.

Avrei voluto parlare, ma la paura delle conseguenze mi impediva di emettere alcun suono. Sentivo lo scricchiolio della pelle mentre lui stringeva le mani sul volante in segno di disagio, io mi ostinavo a guardare fuori del finestrino fingendo di ignorarlo.
Finalmente arrivammo al casinò e io accolsi con piacere la presenza del detective  Vega che attenuò leggermente la tensione tra me e Gil:
"Ciao ragazzi, il cadavere è su al secondo piano il corener è già arrivato. Io vado ad interrogare qualche testimone." Gil sorrise facendo fare una capriola al mio stomaco, mi infastidiva avere queste reazioni a causa di un suo gesto o sguardo, non ero padrona del mio corpo.
Andammo verso l'ascensore e una volta giunti davanti alle porte di metallo allungai il braccio per premere il pulsante della chiamata, ma lui fece lo stesso e  le nostre mani si incontrarono sfiorandosi appena, quel piccolo contatto bastò a far partire una scarica elettrica che arrivò fino alla mia gola dove un nodo si formò improvviso; la sua mano era calda e sembrò che mi scottasse, rimasi ferma con il braccio alzato a fissare il punto in cui ci eravamo sfiorati, ma la sua mano non c'era più.

Appena sentii la sua pelle mi ritrassi, amavo il suo tocco, ma allo stesso tempo lo detestavo perchè mi provocava un'accelerazione dei battiti e una sensazione strana allo stomaco, le sue mani erano gelide e desideravo stringerle per poterle scaldare; mi immaginai come sarebbe stato, ma allontanai subito quel pensiero perchè non sarebbe stato possibile. Lei stava ancora ferma con il braccio sospeso a mezz'aria, sapevo che quel piccolo contato le aveva fatto il mio stesso effetto.
 L'ascensore si aprì improvvisamente facendomi sobbalzare, ne scese un uomo che mi superò velocemente; le porte si stavano per chiudere davanti ai miei occhi e mi ricoradi del motivo per cui mi trovavo lì, feci scattare velocemente la mano in cui stringevo il mio kit bloccando la loro chisura, entrai e Sara mi seguì.


Eravamo nuovamente soli, uno di fianco all'altra fissavamo due punti diversi, ma sentivo il suo corpo  di fianco a me rigido e teso, il suo volto era cupo e desolato, questo mi stupì, lui era bravo a nascondere ciò che sentiva, ma era come se da quella posizione potessi scorgere un piccolo pezzetto del suo vero volto che si nascondeva sotto una maschera. Mentre ci pensavo l'ascensore si fermò e spalancò le sue porte, persi di vista per un solo istante il suo viso, ma quando lo cercai nuovamente aveva sistemato lo spiraglio dal quale prima avevo intravisto tristeza.
Quando arrivammo sulla scena del crimine mi lascia trasportare dal lavoro e raccolsi numerose prove senza che Gil invadesse la mia mente troppo spesso.

Il caso non sembrava difficile avevo già un ipotesi che le prove avrebbero confermato, dissi all'agente che era con noi di portare l'unico sospettato alla centrale per interrogarlo.
Io e Sara restammo sulla scena per circa tre ore, distratto dal lavoro mi scordai quasi completamente del mio obbiettivo serale: risolvere la situazione che ormai da troppi mesi ci faveva soffrire.
Durante il viaggio in macchina le discussioni sul caso non lasciarono spazio a momenti di silenzio imbarazzante e la tensione si era sciolta un po', sembrava che fossimo tornati come un anno fa, una squadra vincente contro i criminali , ma sapevo benissimo che non era vero perchè nonostante parlare di lavoro mi mettesse sicurezza le mie mani attorno al volante sudavano e il mio stomaco ribolliva  a causa della sua presenza.


Avevamo girato tutto il laboratorio per lasciare le prove ai vari tecnici competenti e ora attendevamo nel suo ufficio l'arrivo dei risultati, Gil aveva deciso di non prendere parte all'interrogatorio del sospettato e ciò voleva dire una sola cosa, aveva già risolto il caso:
"Allora vuoi spiegarmi cos' è successo?" volevo sapere anche io come era stata assassinata la vittima.

La sua domanda mi prese in contropiede, non mi aspettavo di affrontare subito l'argomento e soprattutto lei non sembrava affato turbata dalla situazione a differenza mia, cercai una risposta accettabile:
"Bè ecco ...non lo so nemmeno io di preciso, insomma qualcosa c'è tra noi però..." non conclusi la frase perchè la sua espressione mi lasciò senza parole, aggrottò la fronte e mi guardò perplessa:
"Grissom io volevo sapere come hai risolto il caso..."


Aveva frainteso tutto, evidentemente non pensava al lavoro quando gli avevo posto la domanda e la sua brillante mente eveva risposto a un'altra questione.

Che idiota che sono, era ovvio che lei parlava del caso, adesso come potevo uscire da questa situazione. La mia mente era paralizzata e sentii un forte calore sulle guance, mi alzai e borbottai imbarazzatissimo:
"Certo è ovvio ecco..." ma lei mi interruppe e si avvicino a me.


Non potevo farlo tornare sull'argomento lavoro perchè quella sarebbe stata la fine di ogni mia possibilità di farlo parlere riguardo a noi due:
"No Gil aspetta già che siamo capitati su questo argomento, noi dobbiamo parlarne." la mia voce tremava dall'agitazione, ma era decisa. Mi ero avvicanata forse troppo e ora lo guadavo  nei suoi grandi occhioni blu che mi fissavano stupiti e con paura.

Troppo tardi, eravamo su quel terreno minato ormai e l'unico modo per uscirne era attraversarlo sperando di non saltare in aria. Sospirai riluttante all'idea di confessare, volevo allontanarmi da lei, ma il suo respiro era ipnotizzante e il suo corpo come una calamita, fui preso da un'improvvisa voglia di baciarla, ma resistetti alla tentazione.

Era stupendo poter stare così vicino a lui senza una scusa, il desiderio ardeva dentro me, ma lo respinsi il più possibile e parlai esitando:
"Insomma tu sai cosa penso io, sono mesi che cerco di fartelo capire, ma tu insomma dimmi qualcosa" ecco io la mia parte l'avevo fatta, ora toccava a lui parlare:
"Sara, sono il tuo superiore e abbiamo parecchi anni di differenza...non credo sia una cosa sana".

Dire quelle parole non era stato per niente facile, sapevo che non era quello il mio vero pensiero, ma sarebbe stato meglio così; schiacciare e ignorare quei sentimenti che di giorno in giorno crescevano in me perchè avrei solo fatto del male a quella donna che già stava soffrendo a causa mia, non potevo permetterlo.

Avevo sperato fino all'ultimo che la sua risposta avrebbe realizzato le mie fantasie, ma ora mi rendevo conto che ero solo un' illusa e patetica romantica, Catherine mi aveva lasciato intendere che lui mi ricambiava e anche io lo sospettavo, evidentemente ci sbagliavamo entrambe. Ora era lì davanti a me così vicino da sentire il suo petto muoversi ad ogni respiro e io non potevo fare altro che osservarlo mettere la sua peggiore maschera: quella asettica che usa quando c'è qualcosa che lo turba, maledetto uomo che mi hai fatta innamorare di te! Come faccio ad amarti se tu non provi niente per nessuno, sei un robot costruito per acciuffare assassini, senza sentimenti. Eccole improvvise ma previste, le lacrime sgorgarono brucianti e come acqua bollente scottavano le mia guance, che amarezza, avrei voluto sparire in qul preciso istate, ma ero immobilizzata con le braccia lungo i finachi, piangendo davanti a quell'uomo che era la causa della mia disperazione, ero distutta.

Vedevo in lei la disperazione e le lacrime fecero capolino dai suoi splendidi occhi marroni, non potevo sopportare la loro vista, era come ricevere delle pugnalate dritte al cuore avrei voluto piangere anche io ma non ero sicuro di esserne in grado. Mossi lentamente le braccia e presi dolcemente le sue mani fra le mie; il contatto scatenò immediatamente una forte reazione in me, il cuore straziato dal dolore batteva sempre più veloce e il respiro si faceva sempre più affannato, guardai le nostre mani che si stringevano perchè era una cosa stupenda poterla toccare.

Le sue mani erano bollenti e mi riscaldarono fino all'anima, come poteva un uomo così gelido e distaccato infondermi così tanto calore? Il desiderio si faceva sempre più intenso e con le guance umide mi avvicinavo sempre di più, ma lui parlò prima che potessi sfiorare le sue labbra:
"Ti prego non odiarmi Sara, le tue lacrime mi fanno male perchè io non voglio che tu soffra, ho paura per quello che potrei farti, Gil Grissom non è fatto per stare con una donna. Tu sei speciale e meriti più di me. Sono stato solo per troppo tempo e ora non sono più capace di lasciarmi andare."
Ero stupita da tanta sincerità.

Questa volta avevo detto  tutto quello che avevo nel cuore ma non ero ancora in grado di fare ciò che era giusto.

"Gil io ti amo!" non potevo crederci, avevo lasciato scappare quelle parole senza rendermene conto, mi vergognavo di tanta spudoratezza e desideravo fuggire, ma qualcosa sul suo volto mi trattenne; i suoi occhi si accesero per un secondo e finalmente la maschera cadde mostrando il suo lato migliore, quello vero.

Le sue parole mi lasciarono di stucco non solo per il contenuto ma anche perchè sentii il suo fiato addosso e il desiderio si accese impetuoso, colmai la breve distanza che c'era tra i nostri visi e raggiunsi finalmente le sue labbra. Fu come un'esplosione, il calore mi invase e le sue morbide labbra erano le porte del paradiso.

Finalmente si era lasciato andare e questo era il vero lui, dolce e passionale.
Quel bacio era ci che più avevo desiderato da un anno a questa parte, ma non era quello giusto: le nostre labbra si muovevano troppo veloci disgiungendosi appena e la passione regnava al posto della dolcezza; mi lasciò le mani e le mise sui miei fanchi attirandomi a se con desiderio; io gli gettai le braccia al collo stringendo le sue forti spalle e affondando una mano nei morbidi capelli.

In quel momento di follia non contava più nulla se non noi due; mentre i nostri corpi fremavano sempre più vicini mi sentivo estremamente vivo, il mio ufficio svaniva piano piano lasciando spazio al nulla dove l'istinto faceva da padrone. Qualcosa mi riportò bruscamente alla realtà: un suono squillante proveniva dalla mia tasca destra.

Non mi accorsi nemmeno che il suo telefono stava squillando perchè ero completamete concentrata sui nostri corpi stretti insieme e sulle nostre bocche che si muovevano in sincronia. Spingendomi delicatamente mi allontanò da lui e fui costretta ad interrompere quel bacio, ci stavamo ancora guardando negli occhi: le sue mani sui miei fianchi le mie sulle sue spalle; estrasse il telefono e rispose:
"Pronto! Sì Senders! Certo, grazie!". Il suo tono era seccato, involontariamente Greg interrompeva di continuo ogni momento teso tra me e Gil e la cosa infastidiva entrambi.

Riposi il cellulare e tornai a guardare Sara,  tutto il desiderio che mi aveva trasportato prima aveva lasciato il posto all'imbarazzo, la allontanai da me lasciando che le sue mani scivolassero delicate sul mio petto provocandomi dei brividi lungo la schiena; ero stupito del gesto che avevo compiuto e invaso dalla tensione non riuscivo a trovare niente da dire, ma lei interruppe il silenzio per prima:
"Gil...io non capisco...perchè sei così ceco nei confronti dei tuoi sentimenti?" non potevo dirle come realmente mi sentivo perchè non sapevo cosa avrei fatto dopo, ma ero consapevole che io non ero abbastanza per lei e che l'avrei solo fatta stare male:
"Non capisci? Io non so come comportarmi in questa situazione. Il cuore mi dice di buttarmi, ma la ragione non è d'accordo e io sono un uomo logico, io soffocherò quello che provo nei tuoi confronti perchè è sbagliato..." il suo sguardo si spense per la crudetà delle mie parole e si fece scura in volto:
"Grissom sono i nostri sentimenti! Non possiamo ignorarli così!" le sue parole sembravano un lamento e la sua voce era straziata dalla tristezza. I suoi occhi si fecero lucidi e provai un profondo odio per me stesso che le stavo facendo tutto quel male, scossi la testa in segno di disaccordo e senza aggiungere un'altra parole mi voltai per fuggire dalla verità come un codardo lasciandola sola; avevo appena calpestato e gettato via la migliore  possibilità che avrei mai avuto di essere felice, ma soprattutto avevo distrutto il cuore dell'unica donna che mi avrebbe mai amato.


Ero rimasta sola perchè lui se ne era andato di nuovo forse per sempre, lasciandomi in un mare di dolore e disperazione; ora sapevo che i suoi sentimenti erano reali quanto i miei, lo avevo capito anche se lui non ci era arrivato e questo mi innervosiva ancora di più perchè quello stupido uomo mi stava distruggendo e lo faceva anche a se stesso.
Le mie lacrime scendevano silenziose senza che me ne accorgessi, rimanevo immobile nel suo ufficio nella speranza che lui tornasse, avevo paura ad uscirne come se il mondo al diffuori della mia bolla avesse potuto uccidermi, il mio rifugio ora era quella stanza così assurdamente colma delle sue inutii cose che forse osservandole avrebbero riempito il vuoto lasciato da lui nel mio petto dove doveva trovarsi il cuore; mi aveva fatto assaggiare le sue labbra e ora come una bambina golosa ne volevo ancora, avevo sentito il suo vero io: la sua dolcezza, la sua passione nel baciarmi, ma soprattutto la generosità nel fare quello che riteneva migliore per me anche se gli costava l'infelicità. Tutto questo aveva solo aumentato il mio amore per lui, averlo visto uomo, che ama e soffre.
Il mio corpo si mosse senza che io lo volessi, il cervello non riusciva a dare nessun ordine, ma i muscoli li conoscevano a memoria: camminai verso lo spogliatoio, mi cambiai, guidai per le strade trafficate, scesi dall'auto, entrai nel mio bar e mi sedetti per ordinare:
"Ciao Jack, servimi da bere per favore" la mia voce era piatta e lugubre come quella di un parroco che recita una messa funebre, l'amico di sempre mi stava attendendo:
"Solita birra Sara?"
"No, dammi del Bourbon - mi versò un bicchiere - e lascia la bottigli Jack" lui mi guadò di sbieco e facendo spallucce la mise sul bancone, io la afferrai stringendola tra le dita e mi abbandonai all'oblio che mi attendeva sul fondo di quel bicchiere.
  
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