Crossover
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Autore: Siirist    20/01/2013    2 recensioni
Siirist Ryfon è un giovane ragazzo della città di Skingrad, figlio di benestanti agricoltori che sogna di entrare nella Gilda dei Guerrieri per ricevere onore e gloria. Ma non è una persona comune, discende da un'antica casata elfica, della quale fece parte millenni prima un Cavaliere dei draghi leggendario. Un giorno la sua vita cambierà drasticamente e verrà catapultato in un mondo di magia, tecnologia, intrighi politici, forze demoniache e angeliche, per poi affrontare la più grande crisi della storia di Tamriel. Questa fanfic è una crossover tra tre mondi fantasy che amo: Final Fantasy (di cui troviamo le ambientazioni, come Spira, Lindblum), "Il ciclo dell'eredità" di Paolini (di cui sono presenti molti dati, quale i draghi con i Cavalieri e il sistema della magia, ma l'ispirazione è molto libera) e The Elder Scrolls IV: Oblivion (di cui sono presenti le città). Oltre a questo ci saranno anche alcune citazioni di One Piece e di Star Wars. I personaggi principali sono tutti originali. Ci saranno alcune comparse da vari manga (Bleach, ad esempio) e in alcuni casi i nomi saranno riadattati (Byakuya), in altri saranno quelli originali (Kenpachi).
NB: il rating è arancione in quanto è adatto alla maggior parte della storia, ma in alcuni capitoli dove compaiono i demoni (non il primo che si incontra all'inizio, quello è ridicolo) gli scontri possono essere anche molto cruenti.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ZANMATO

 

Erano passati quasi sei anni da quando Siirist e Rorix si erano separati, ne mancavano solo cinque al completo risveglio della Spada di Luce. L’Inferno aveva ormai imparato tutti i Ruggiti dei draghi e imparato a controllarne gli effetti a piacimento. Il suo Ruggito di fuoco era particolarmente impressionante quando usava la sua fiammata mista che aveva il potere distruttivo del fuoco nero assieme all’immenso calore del fuoco d’Inferno. Il guardiano del nido gli aveva detto che doveva solo rimanere qualche altro giorno per recuperare le forze, dopodiché sarebbe stato libero di riunirsi al suo Cavaliere e, insieme, i due sarebbero ritornati a Vroengard. Rorix aveva sempre tenuto Siirist aggiornato sui suoi progressi, ma il mezz’elfo ne conosceva solo i racconti perché il drago non gli aveva mai voluto mostrare i suoi ricordi: la dimostrazione dei suoi nuovi poteri sarebbe stata una sorpresa.

Quasi due anni Ryfon aveva passato a Zanarkand assieme a Barrett e Tifa a progettare armi a Materia e a metterle sotto sigillo e il resto del tempo l’aveva passato all’Akai goten, spesso ritornando alla casa nei bassifondi di Rabanastre per andare a Oblivion. Hans gli aveva lavorato della pelle nera di drago e della seta di tsuchigumo per preparagli dei grossi stivali, dei lunghi pantaloni, una maglietta a maniche corte, dei guantini senza dita e un lungo cappotto che arrivava ai polpacci, che costituivano il riequipaggiamento del Pistolero. Con essi Siirist automaticamente invocava quattro fondine, due sui lombari, due sulle cosce: le prime reggenti Ebano e Avorio, le seconde con Regina Rossa e Rosa Blu. Ma a Kami no seki Ryfon non si era occupato di armi a Materia, invece aveva lavorato su un metodo di invocazione diverso, che attingeva al Flusso vitale anziché alla sua riserva energetica, così che non avrebbe dovuto consumare grandi quantità di douriki ad ogni battaglia per via dei riequipaggiamenti. Per gli Esper questo metodo non funzionava, e il mezz’elfo era sempre obbligato a sacrificare 144mila douriki energetici per richiamarne uno, e considerando che ne aveva in tutto 173410, con solo un Esper avrebbe prosciugato quasi interamente la sua riserva magica. Studiò approfonditamente anche il marmo rosso e le sue caratteristiche, per poter usare la sua personale variante della sabbia marmorea: non neutralizzava attacchi mistici e demoniaci come il marmo nero dei Beor, ma almeno aveva la sua stessa durezza.

I fabbri avevano finito tutte le sue armature e le sue armi e questo lo aveva reso molto felice. Per forgiargli le armi del Distruttore avevano, come previsto, utilizzato quasi un drago intero, ma il resto delle ossa era stato sufficiente per gli altri riequipaggiamenti. Ma ciò che più colpiva Ryfon era chiaramente il riequipaggiamento del Cavaliere. A differenza degli altri riequipaggiamenti, questo era il vero abito d’ufficio del Cavaliere d’Inferno, perciò il riequipaggiamento di base non era un’armatura, quanto un abito elfico. Lunghi e stretti calzoni rosso scuro e una camicia di seta imbottita rosso rubino con ricami argentati. Le maniche nella parte inferiore arrivavano esattamente al polso del mezz’elfo, la parte superiore finiva con una punta che sfiorava la nocca del medio. Sulle spalle aveva un lungo mantello rubino e rosso sangue con i bordi in fibra d’argento, gli stivali di cuoio rivestito internamente di velluto erano di un rosso così scuro da quasi sembrare marrone o nero e al medio sinistro Siirist aveva uno splendido anello da Cavaliere. Certo, sarebbe dovuto essere incantato alla Rocca per dargli l’effettiva autorità degli anelli da Cavaliere, ma intanto aveva l’anello in sé. Era argentato, composto da diversi strati di Adamantite incantati perché amplificassero l’emissione dei poteri demoniaci e la loro compatibilità con la magia nelle arti demoniache e nella parte esterna erano incisi due draghi marini che si intrecciavano attorno ad un drago alato che circondava il rubino al centro. Al collo compariva la Catena dei Sette Guardiani. L’armatura era snella e slanciata, di pelle di drago rossa ricoperta interamente di Adamantite spessa quattro millimetri e prevalentemente rossa, con in aggiunta alcune linee argentate per decorazione. Era incantata per dare ulteriore protezione contro attacchi fisici e magici e pure contro quelli mentali. Dagli avambracci potevano spuntare due lame di venti centimetri che passavano sopra al dorso della mano corazzata, con placche dalla forma di scaglie che si muovevano e spostavano per permettere una libertà perfetta delle mani e dei polsi. La schiena era ricoperta da placche anziché essere un’unica ed elegante “veste” di Adamantite, che permettevano la fuoriuscita delle ali. Le sei lance che il mezz’elfo aveva già visto erano quella che diventava un tridente, una a doppia lama, entrambe di venti centimetri, ad un filo e sottili, lunga complessivamente due metri e venti; come la prima lancia, anche questa era rossa, con le scritte degli incantamenti bianche. La terza lancia aveva un’asta di un metro e una punta di dieci centimetri dritta e a doppio filo; l’asta poteva allungarsi fino a diventare di due metri e gli incantamenti erano rubini mentre il corpo dell’arma dorato. La quarta lancia aveva una lama seghettata, con al suo interno varie linee decorative di diverse tonalità di rosso, e le punte seghettate erano tutte rivolte verso il basso. L’asta era argentata e gli incantamenti rubini; la quinta lancia aveva la lama principale a forma di falce di luna bianca, con la parte interna rivolta in avanti, l’asta di un metro e ottanta, celeste con incantamenti bianchi e una seconda lama rettangolare in fondo, argentata come l’altra. L’ultima lancia era anche essa doppia, con due tridenti per estremità, le cui lame più piccole erano divergenti rispetto alla centrale. Esse erano celesti come gli incantamenti, l’asta nera.

Le due mazze erano lunghe sessanta centimetri, argentate con l’impugnatura rivestita di fasci di seta come Agar hyanda. La testa, identica nella due mazze, era composta da sette strati, ognuno dei quali dalla forma di una stella dalle punte smussate che si facevano più larghe verso il centro; la prima aveva sei punte, la seconda otto, la terza dieci, la quarta dodici, la quinta di nuovo dieci, poi otto e ancora sei. Erano anche incantate per far spuntare degli spunzoni. Le asce avevano più la forma di accette, lunghe e dall’asta che formava una S molto poco accentuata e con la lama squadrata ma dal filo ricurvo. Al contrario delle mazze, essere erano di Adamantite rossa, i vari toni misti tra loro, con l’impugnatura rivestita con fasci argentati. Vi erano tre scudi, due identici, rotondi, dal diametro di ottanta centimetri con due ulteriori placche in puro stile elfico, lunghe e strette che si sovrapponevano a croce; il terzo scudo era rettangolare e spesso e incantato perché l’Adamantite potesse rinforzarsi ulteriormente con la sabbia marmorea rossa del mezz’elfo: in combinazione con l’Adamantite, otteneva quasi le caratteristiche del marmo nero.

E poi veniva l’arco. Ancora di più di Agar hyanda, quello era il gioiello di Bhyrindaar. Era alto quasi quanto Siirist, di metallo anziché legno. Era munito di piegature e molle per potersi flettere e dare forza alla freccia, e di tre corde: la prima piegava solo la prima parte, mentre per far avere al dardo il massimo della gittata e della potenza, bisognava tenderle tutte e tre insieme. Le frecce in ferrocorteccia avevano piccole punte in Adamantite dalla forma a cuneo e per il piumaggio erano state utilizzate penne di grifone attaccate non al legno ma ad un cilindro di Adamantite che doveva bilanciare il peso della punta. Esse erano legate tramite invocazione all’arco, così che il mezz’elfo non aveva bisogno di alcuna faretra.

La Catena dei Sette Guardiani era una catenella d’argento con sette teste di Inferno che avevano per occhi gemme di diverso colore, i sette colori delle aste di creazione elementale. Tornato a Hellgrind, Siirist aveva solidificato gli elementi in delle piccole sfere, quattro per ogni elemento, e le aveva date ai fabbri. Con tre gruppi, essi avevano modificato le tre spade del Cavaliere, rendendole anche più forti nell’amplificazione delle magie elementali, mentre le ultime sette erano state usate come cuori dei Sette Guardiani, sette spade di forma e dimensione diversa che avevano coscienza propria e, quando richiamate, proteggevano Siirist. Quando a “riposo”, prendevano la forma di teste di drago attaccate alla catena, ma quando stimolate magicamente, le teste si separavano dalla collana e da esse si protendeva il corpo della spada. La spada di fuoco era una spada ad un filo, dritta nella parte priva di esso, ricurva nella parte affilata; questa piegava in due punti, come a creare una B stretta e lunga, con la parte inferiore più corta e sottile di quella superiore. Era rossa nella parte posteriore e diventava arancione con striature gialle sul filo dritto. La guardia giallo oro copriva l’intera mano in una forma ad ala e una seconda ala era opposta a quella che proteggeva la mano, e si allungava verso la lama. L’impugnatura era ricoperta da fasci arancioni e la testa di drago argentata aveva occhi costituiti da rubini. Questa era la testa centrale quando a “riposo”. La spada di vento era una sciabola inversa, con la parte esterna contundente e la parte interna dotata di filo. La protezione per la mano era bianca e, insieme all’impugnatura, creava un triangolo scaleno. La lama era grigio chiaro e gli occhi del pomolo erano due diamanti; a riposo, la testa di drago si posizionava alla destra di quella centrale. La spada di fulmine era anche essa una sciabola con la lama nella forma di una saetta gialla; l’impugnatura era azzurra, con la guardia che formava una curva, con una punta rivolta verso l’alto nel lato posteriore della spada, la seconda punta rivolta verso il basso sotto al filo dritto; gli occhi della testa di drago erano due ametiste e, nella Catena, si posizionava alla sinistra di quella di fuoco. Il Guardiano di luce, nella Catena situato accanto a quello di vento, prendeva la forma di una spada dritta dalla lama giallo oro come i fasci di seta che circondavano l’impugnatura e i topazi che costituivano gli occhi del drago, tra l’elsa e la lama vi era una piccola sfera bianca larga quanto le due parti che divideva. La spada oscura, sulla Catena alla sinistra di quella di fulmine, era un fioretto dalla lama nera e la guardia argentata, con due diamanti neri per occhi. La spada d’acqua era una sciabola con la lama che ricordava un incrocio tra una pinna e una branchia, di varie tonalità di blu e con delle linee gialle che spuntavano dal corpo principale della lama e formavano una sorta di sega; gli occhi erano degli zaffiri e, quando inattiva, prendeva posto accanto alla testa di drago di oscurità. L’ultimo Guardiano, sulla Catena alla destra di quello di luce, prendeva la forma di un enorme spadone dalla lama dritta che però non terminava con una punta, bensì con un cerchio incompleto perché lasciava uno spazio aperto in cima; l’interno del cerchio era un filo affilato come lo era uno dei due esterni, mentre l’altro lato era contundente e spesso, e gli occhi della testa erano degli smeraldi; la guardia era costituita da due coppie di bracci che si chiudevano sulla lama a formare un angolo di 30°. Ogni spada portava attacchi del rispettivo elemento, ma il loro uso migliore era quando giravano sempre attorno al Cavaliere, spesso invisibili, e funzionavano come scudi. Potevano essere controllate telepaticamente o addirittura potevano andare ad attaccare qualcuno di loro iniziativa, come fossero degli incantesimi viventi.

E poi, chiaramente, c’era la cintura con Agar hyanda e i due pugnali.

In quegli anni il mezzo demone si era messo al lavoro su altre due arti demoniache, l’arte del Lampo e l’arte Infernale. L’arte del Lampo era un’unione del fulmine demoniaco con quello magico e la magia temporale, così che potesse raggiungere la velocità della luce anche alla sua giovane età, quando il suo fulmine demoniaco non era ancora sviluppato al massimo. Purtroppo non era un’abilità utilizzabile spesso perché richiedeva un immenso sforzo fisico e mentale, e dopo cinque soli minuti, si ritrovava ogni muscolo a pezzi e addirittura incapace di alzare un braccio. L’arte Infernale era una fusione dell’arte della Vampa con il fuoco nero ed era il modo che il mezzo demone aveva trovato per usare il potere di Obras senza annientare la sua riserva energetica e addirittura amplificandone il potere con i Cerchi d’argento. L’aspetto dell’arte Infernale era quello di fiamme nere con riflessi azzurri con altri riflessi neri al loro interno; chiaramente anche questa aveva l’inconveniente di sfiancarlo rapidamente, anche se non quanto l’arte del Lampo. Aveva lavorato sulle arti sacre, imparando ad usare egregiamente le prime tre, finalmente raggiungendo il livello dello Scudo di Yata e della Spada Kusanagi con il Susanoo, soprattutto grazie all’aiuto datogli dall’uso della magia unita al fuoco nero. Ora sì che era finalmente al livello di Raiden quando questi aveva attaccato la Rocca. Il problema era che il traditore era certamente progredito oltre ogni immaginazione in quei quarantaquattro anni.

Oltre alle arti demoniache, aveva sviluppato un incantesimo vivente di vento chiamato Spirito guardiano che prendeva la forma di un falco, in onore di Evendil. Esso poteva anche combinarsi con il suo famiglio e fargli ottenere la forma di un grifone, rendendolo più forte fisicamente oltre che amplificargli il potere di fuoco grazie al vento.

Dopo circa un anno e mezzo che era stato all’Akai goten era arrivata una delegazione di Cavalieri da Vroengard che avevano umilmente e gentilmente chiesto al Cavaliere d’Inferno quando avesse intenzione di ritornare alla Rocca. Egli era quasi scoppiato a ridere nel paragonare il modo arrogante dei Consiglieri con quei tre che sembravano cani bastonati con la coda fra le gambe. Ryfon aveva detto loro che sarebbe tornato quando avesse voluto, dopodiché li aveva invitati a rimanere per il pranzo ma loro, impauriti alla vista di un Kenpachi in forma reale che brandiva le sue tre katana e di Raizen e la sua Intimidazione, declinarono e volarono subito via in groppa ai loro draghi.

Siirist stava meditando nella sua stanza mentre la pioggia cadeva fuori. La frescura che essa portò al caldo estivo era gradevole e lo aiutava a concentrarsi.

«Ehi, biondino!»

Oghren. Senza nemmeno degnarsi di aprire gli occhi e girarsi verso di lui, il mezz’elfo gli rispose con tono piatto, come se fosse in stato di calma assoluta.

«Che vuoi? E allenati a parlare la lingua degli umani.»

«Mi dici perché per quasi quattro anni mi hai tenuto nascosto che hai un harem? Lurido bronto ingordo, hai più di mille bellezze che non dividi con nessuno! Dovresti vergognarti!»

«Se anche solo ti avvicini al mio harem, Akira ti taglia a fettine. Possiede l’Ambizione dal colore dell’osservazione e con il suo Juyo è più forte della tua aura arancione.»

«Sì... Il vampiro non è male...» rispose controvoglia.

Odiava ammettere la superiorità di qualcun altro, e se lo faceva, voleva dire che tale persona era veramente meritevole. Poteva dirlo con il suo solito tono maleducato e cafone, ma ammirava Akira.

«Sei solo venuto a chiedermi del mio harem?»

«Beh sì… no… Non lo so, mi stavo annoiando! Quel bronto stitico di Durin sta con Tomoko a fare ancora una volta un giro esplorativo della città… Sarà la centesima volta! Possibile che abbia sempre cose nuove da imparare?!»

«Si chiama cultura, Oghren, non mi aspetto tu possa capire. Kami no seki è uno splendore, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, qualcosa che si è mancato precedentemente: sia esso un intaglio in una parete, un piccolo e nascosto altare a Obras, una nuova spada forgiata da un fabbro… Certo, queste non mi interessano visto che qui a palazzo abbiamo Totosai.»

«Gli orchi sono partiti di nuovo per uno dei loro viaggi fuori dalla città…» continuò come se non avesse nemmeno sentito la risposta del mezz’elfo.

«Rimangono orchi di tribù, preferiscono la vita fuori dalle mura di una città. Con le loro nuove armi non dovrebbero incontrare problemi.»

Hans più degli altri due fabbri era stato estasiato a conoscere un fabbro degli orchi. Ghorza-gul-Marak gli aveva mostrato alcune delle tecniche di lavorazione della tribù e insieme avevano lavorato per applicarle all’Hellsteel. Non cambiava più di tanto, specie per Siirist che usava solo Hellsteel come parte dell’Adamantite o per Totosai che forgiava katana, che richiedevano i metodi demoniaci. Ma le grosse e pesanti armi degli orchi, riforgiate, erano addirittura in grado di competere con le precedenti katana di Akira che avevano al loro interno una zanna a testa; certo, ora che il vampiro possedeva due spade in Adamantio, erano comunque migliori. Lo spadone di Ghorza-gul-Marak aveva l’impugnatura rivestita di fasci neri e la lama rivestita d’argento era verde scuro come l’acciaio orchesco; la spada di Azuk-lob-Khalak era colorata ugualmente e aveva una forma più lineare della sua arma precedente, una sorta di unione tra spada orchesca e katana, il martello pure era rivestito di argento verde.

«Non mi interessa se non sono in pericolo: mi rompo perché mi annoio.»

Ryfon sospirò, era ormai chiaro che il suo momento di meditazione era andato a puttane.

«Che avresti in mente di fare? E non dire di andare al mio harem perché ti cancello dalla faccia di Gaya con il Vuoto.»

«Voglio che invochi il tuo dannato balrog: con il mio nuovo equipaggiamento, lo annienterò.»

Effettivamente Hans lo aveva rifornito con una nuova armatura di Adamantio, della stessa fattura e con gli stessi colori di quella donata da Orik. Essa era oltretutto incantata per aumentare la forza del nano e l’emissione della sua aura arancione. E non solo, il fabbro gli aveva riforgiato Narik e l’aveva resa un’arma a Materia; sei gemme alchemiche grandi quanto biglie erano state inserite all’interno della nuova lama in Adamantio rivestito d’argento. Sull’impugnatura era presente un interruttore che le poteva attivare e scambiare e per ricaricarle bastava usare il caricatore dell’aeronave. Ma per quanto ora il nano fosse forte, il balrog rimaneva uno dei Primi daedra, quelli che più si avvicinavano al potere degli Esper. Il balrog di Fenrir, il behemoth di Bahamut, il kraken di Mateus, il mietitore di Zalera, questi erano daedra di livello drago che si differenziavano addirittura dagli altri livello drago come un livello tigre era diverso da un livello scimmia.

«Quando riuscirai a vincere contro Akira ti farò combattere con il balrog.»

«Quel codardo non mi vuole combattere.»

«Perché non vuole perdere tempo con te. Ho un’idea, vai a trovare Kenpachi, lui sarà felice di intrattenerti.»

Il nano corse subito via in cerca del licantropo e il mezzo demone chiamò a sé il suo capo della servitù. Akira apparve come dal nulla da dietro una porta: era sempre presente, a portata d’orecchio del suo padrone.

«Assicurati che Kenpachi-sensei non lo uccida.»

«Sì, Siirist-sama.»

 

Passò il resto della giornata a rilassarsi, osservando la pioggia che cadeva sul suo terrazzo da dentro la stanza, mangiando la frutta elfica che Akane, un’altra delle sue accompagnatrici, gli aveva preparato. Aveva forse mandato giù un centinaio di acini d’uva quando gli venne voglia di un po’ di esercizio fisico prima di cena.

«Eikichi.»

«Sì, Siirist-sama.»

Il demone era un altro vampiro secolare, ma cento anni più giovane di Akira, e pure lui aveva profondi capelli corvini. I suoi occhi erano azzurri ed indossava un kimono grigio chiaro, un obi nero che reggeva le sue due katana, il tantou a contatto con i lombi.

«Le mie katana.»

Totosai gli aveva forgiato altre tre katana per il suo ultimo compleanno che, come le prime tre, avevano colorazione e hamon insoliti, ma almeno quest’ultimo era venuto un po’ più uniforme visto che nel frattempo il fabbro aveva imparato a lavorare con la magia. Il mezzo demone si alzò e indossò, aiutato da Akane, un hakama nero, hiyoku bianco e kimono rosso. Messo l’obi nero, uscì dalla sua stanza, con Eikichi che lo seguiva portando le spade del padrone, custodite nei loro contenitori di legno laccato. Raggiunsero l’ala del palazzo in cui viveva Kenpachi e lo trovarono a combattere incessantemente contro Oghren, con Akira che restava pronto ad intervenire nel caso il nano ne avesse bisogno.

«Ancora combattono?» chiese nemmeno tanto sorpreso Ryfon.

«Per cinque ore di fila, sì. Sono delle macchine instancabili, che vivono solo per l’eccitazione della battaglia.» rispose il capo servitore.

«Oghren vive anche per la fica e la birra, ti ricordo. Attrazione assoluta.»

Con la magia spaziale in entrambe le mani, creò due punti di attrazione gravitazionale che attrassero i due sfidanti, allontanandoli l’uno dall’altro.

«Non ti immischiare!» ringhiò il licantropo.

Aveva parzialmente ritrasformato la sua testa per essere in grado di parlare. Quella trasformazione intermedia era qualcosa che molti alati usavano, persino Siirist che trasformava solo le iridi, ma le classi inferiori dei demoni non erano capaci di farne uso. Solo Kenpachi e Sesshoumaru avevano recentemente sviluppato tale abilità, ma non era niente di rilevante per il licantropo, che otteneva solo la capacità di parlare quando in forma reale. Non si poteva dire lo stesso per l’inugami, invece,  che diventava un grosso cane su due zampe alto quasi tre metri. In questa forma possedeva la forza della sua forma reale e manteneva la capacità di brandire le sue spade. E considerando che Sesshoumaru, in forma reale, aveva un milione e 200mila douriki fisici, abbinandoci l’uso del Juyo diventava una forza difficilmente arrestabile.

«E se invece vi proponessi di affrontarmi insieme?» sorrise.

«No! Ti voglio combattere da solo!» protestò il vecchio maestro.

Il biondo allungò il braccio destro e Eikichi prontamente gli passò due katana che quegli fece scivolare tra l’obi ed il kimono e ne sguainò una con la sinistra.

«Sto cercando di allenarmi in vista del mio duello con Raiden, quindi fate in modo di farmi sforzare, anche se di poco.»

Kenpachi sorrise felice, il suo ringhio eccitato che gli salì dalla bocca. Anche Oghren si sciolse le spalle e si mise in posizione, pronto ad allearsi con il suo avversario di pochi minuti prima contro un nemico ben più formidabile. Ma non c’era che dire, senza prendere in considerazione Raizen, gli unici demoni con cui poteva veramente divertirsi erano Sesshoumaru, Alucard e i successori di Obras. Certo, al momento, visto che lo scontro era prettamente uno fisico, Siirist era quasi in difficoltà, specie perché quel pazzo di Kenpachi più combatteva e più si eccitava, e di conseguenza rendeva il suo Juyo sempre più devastante, ma se il mezzo demone avesse usato qualunque dei suoi poteri, né nano né licantropo avrebbero avuto alcuna possibilità.

 

Tomoko, tornata mezz’ora prima, lo stava lavando e massaggiando assieme ad Akane e Eiko, la terza delle sue accompagnatrici, per prepararlo per la cena. Quella sera sarebbe stata importante perché l’Imperatore aveva un annuncio molto importante da dare. Il mese dopo sarebbe stato il suo 7500esimo compleanno e per quell’occasione aveva preparato un evento importante. Tutti lo stavano attendendo con ansia e quando Siirist arrivò al salone vestito con un elegante abito nero che riportava una saetta azzurra sulla parte destra del kimono, si sedette alla sinistra del nonno adottivo.

«Bene arrivato, Siirist.»

«Grazie. Sono molto curioso di sapere di questo annuncio che avete da fare, nonno.»

«Come lo sono tutti.» rispose con un sorrisetto.

Finita la cena, tutta la sala si zittì in attesa che il sovrano parlasse. Siirist vide lo sguardo serio di Kikyou alla sua sinistra, quello impassibile di Alucard accanto a lei, quelli di Sesshoumaru e Kenpachi a destra, rispettivamente impaziente e fiero; vide Kaede quasi preoccupata, e Akira in rispettoso ascolto. Agli altri tavoli vide l’assonnata espressione di Totosai, quelle incerte di Bhyrindaar e Hans e quello concordante di Glarald. Raizen alzò una mano ed arrivò il suo capo della servitù, un uomo dagli ordinati capelli grigio chiarissimo, quasi bianco, e due baffetti neri. In mano portava una spada che era più di una katana ma non quanto una nodachi, completamente nera.  La tsuka otteneva la forma di una testa mostruosa, come nessuna altra creatura che Siirist avesse mai visto, e la tsuba era come una grossa coda arrotolata e intrecciata su se stessa. L’impugnatura era rivestita di fasci azzurri e il fodero riportava l’immagine di fiamme azzurre che si intrecciavano a fiamme nere. Il mezzo demone fu colpito da ciò, perché era come se avesse davanti la sua arte Infernale. Ciò che lo colpì anche di più fu come più si concentrasse su quelle fiamme dipinte, più gli sembrava si animassero ed incominciassero a danzare lungo tutto il fodero; ben presto le lingue di fuoco incominciarono ad intrecciarsi fra di loro, dando vita a teste mostruose come quella rappresentata sulla tsuka e cambiando colore, andando sul viola, il rosso, di nuovo l’azzurro, il nero, il rosso, il viola… Siirist sbatté le palpebre e le fiamme ritornarono ad essere delle mere decorazioni. Nella sala si levarono versi strozzati e il mezz’elfo notò come Totosai si interessò subito alla faccenda.

«Come tutti sapete, questa è Zanmato, la spada di Ragnarok, l’unica che ci sia rimasta delle nove spade di Asura. Essa è il simbolo del sovrano di Hellgrind e per innumerevoli generazioni, a partire dal Figlio di Obras, essa è appartenuta alla famiglia reale. Domenica prossima sarà il mio 7500esimo compleanno e inizio ad essere stanco. In mio onore ho deciso di organizzare un torneo di combattimento, ed il vincitore otterrà Zanmato, dunque il diritto a diventare Imperatore. Chiunque può partecipare, se non ha cara la vita, ma sappiate questo: se il vincitore non fosse uno della famiglia reale, dovrà sposare una delle mie figlie o uno dei miei figli, perché la discendenza di Obras va garantita. Ora vi lascerò pensare se volete oppure no iscrivervi.»

Si rivolse verso un Siirist sbigottito e gli sorrise, gli sussurrò che gli voleva parlare in privato e si alzò, lasciando tutti i presenti a mormorare. Il mezzo demone subito seguì il possente alato e, come sempre, camminarono in silenzio finché non raggiunsero le spoglie stanze dell’Imperatore.

«Che cosa volete, nonno?»

«Avevo pianificato questo evento da prima che Raiden tradisse. Lo avevo designato come mio erede, era risaputo, e lui avrebbe certamente vinto. Ora ti trovi tu al suo posto: contro di te non può niente nessuno, non in un combattimento uno contro uno, almeno, non ora che hai creato le arti del Lampo e Infernale.»

«Ma io non voglio partecipare. Senza offesa, nonno, non è mia intenzione succedervi come Imperatore di Hellgrind.»

«No, immaginavo. E neanche possiamo dire che ti può interessare la spada di Ragnarok, hai già Agar hyanda, che è stata forgiata nella Forgia Infernale e infusa del potere dei sette elementi, dunque è una delle spade più potenti esistenti. Zanmato sarebbe indubbiamente superiore, ma il suo vero potere, quello narrato nelle nostre leggende, è andato perduto millenni fa assieme alle altre otto spade.»

«Spero di non avervi offeso.»

«Per niente. Speravo solo di vederti combattere seriamente. Contro Kikyou, Alucard e Sesshoumaru, anche tu avresti delle difficoltà.»

«Non avevate detto che sarebbe stato uno contro uno?»

«No, ho detto che in tal caso non avresti nulla da temere. Ma proprio per rendere il tutto più emozionante, ho deciso di creare un torneo a squadre, poi i componenti della squadra vincitrice si affronteranno uno alla volta per aggiudicarsi il premio finale. Mi aspetto di vedere tutte bestie del fulmine della famiglia reale arrivare alle fasi finali grazie al loro fuoco nero, ma anche loro, se non in possesso delle arti sacre, avrebbero difficoltà contro Sesshoumaru o Alucard. In ogni caso Alucard è già sposato con Kikyou.»

«Effettivamente scontrarmi con loro potrebbe essere interessante. Vorrei proprio vedere come me la cavo contro una squadra simile. Però devo essere sicuro che si alleino davvero.»

«Kikyou e Alucard saranno certamente in squadra insieme, e vedrò di parlare con lei per partecipare anche insieme a Sesshoumaru. Vedrai domani i regolamenti per partecipare, comunque. Spero di averti fatto interessare di più.» sorrise.

«Indubbiamente. Buonanotte, nonno.»

 

Il mattino dopo il settimo senso portò Siirist a svegliarsi perché avvertì una presenza insolita nella stanza. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti il viso sorridente di Kaede.

«Ohayou, onii-chan!»

«Ohayou.» sbadigliò.

Si mise a sedere e scosse la testa per svegliarsi del tutto.

«Che vuoi?»

«Stiamo in squadra insieme!» disse lei euforica.

«Eh? Ah, il torneo. Partecipi anche tu?»

«Perché, non dovrei?» si offese e mise il broncio.

«Sai che non puoi vincere, vero? Non possiedi le arti sacre e anche con il tuo fuoco nero e i tuoi poteri di fulmine, perderesti contro Kenpachi.» rispose alzandosi.

Subito accorsero Akane e Eiko per aiutarlo a vestirsi con degli abiti blu così scuri da sembrare neri.

«Sei cattivo!» si arrabbiò e gli lanciò contro un fulmine.

Esso nemmeno raggiunse il bersaglio, estinguendosi subito dopo aver lasciato le dita della demone.

«Però è necessario formare delle squadre, perciò sarei felice di stare con te, Kaede. E anche tu, Akira.»

«Siirist-sama, io non sono che un servitore.»

«Non discutere. Arrivati alla finale potrai anche arrenderti, ma voglio vedere come te la cavi durante il resto degli scontri. Se vuoi continuare a servirmi anche in futuro, dovrai essere in grado di sconfiggere tutti i partecipanti, e insieme a Kaede, anche quelli dotati del fuoco nero. Gli unici che ti permetto di non affrontare sono Sesshoumaru-sensei, Kenpachi-sensei, Alucard-san, Kikyou-san, Fujiko-san,  Kiyo-san, Katsumi-san e Heiji-san.»

Ryfon sapeva bene che chiedere al fedele vampiro di sconfiggere il suo conte, i successori di Obras e quegli altri due mostri era impossibile, anche con l’aiuto di Kaede. Ma non importava il suo rango all’interno della corte demoniaca, Akira sarebbe dovuto essere stato di capace di battere tutti gli altri nobili. La Setta era potente, chi sa in quanti possedevano Materia di alto livello e la tecnologia valendiana che annullava i poteri energetici. Per quello Akira sarebbe dovuto essere abile abbastanza con il nitouryuu, la sua Ambizione ed il Juyo.

«Va bene, Siirist-sama, farò del mio meglio.»

«È quello che volevo sentire.»

«E io?» quasi si offese Kaede.

«Tu dovrai aiutare Akira a difendersi dal fuoco nero.» le sorrise e le scompigliò i capelli.

 

Di tutta la corte demoniaca partecipavano seicento settantasei appartenenti, divisi in cento ventotto squadre. I successori di Obras erano tutti separati e, come promesso da Raizen, Kikyou era in squadra con il marito (questo era comunque scontato) e Sesshoumaru. L’Imperatore aveva cercato di convincere anche Kenpachi ad unirsi a loro, ma questi si era rifiutato e si era invece alleato con un membro minore della famiglia reale. Conoscendolo, Siirist era certo che avrebbe voluto partecipare da solo, ma era stato contento di vedere che quell’ammasso di muscoli e ferocia aveva per una volta pensato e si era reso conto che gli sarebbe stato necessario avere dalla sua parte almeno un custode del fuoco nero, per quanto non possedesse le arti sacre. Dopo la squadra di Kikyou, che Ryfon non aspettava altro che affrontare, la più pericolosa era quella di Fujiko, che si era alleata con altre cinque bestie del fulmine della famiglia reale. Affrontare sei utilizzatori del fuoco nero sarebbe stato interessante, di certo un buon allenamento per quando avesse combattuto con Raiden, specie considerando l’abilità di Fujiko nella arti sacre, seconda solo a Kikyou se non si considerava l’Imperatore, chiaramente. Il mezzo demone si chiese se i suoi alleati si sarebbero alla fine ritirati, dando così il trono a lei, oppure si sarebbero alleati per cercare di sconfiggerla. Anche con le sue capacità con le arti sacre, affrontare cinque custodi del fuoco nero non sarebbe stato facile, specie perché uno di loro era Hisaki, i cui poteri di fulmine erano molto sviluppati ed era uno dei rarissimi casi che possedeva un’Ambizione dal colore sia dell’osservazione che dell’armatura. Per questo era una persona molto instabile, sempre sulle sue e silenziosa. Delle altre squadre, tutte erano composte da almeno un appartenente alla famiglia reale oppure da un grande numero di demoni nobili assieme ai loro servitori.

«Cos’è questo ordine ridicolo?! I primi che voglio affrontare sono Siirist e la sua squadra!» sentì urlare Kenpachi dopo che questi aveva visto di non trovarsi nel girone preliminare del mezzo demone.

Il biondo si voltò verso il licantropo che aveva quasi fatto a pezzi il responsabile del sorteggio.

«Calmati, maestro. Se non ti fai battere prima, avremo comunque modo di affrontarci.» lo provocò.

Kenpachi lo guardò con il suo occhio dorato e scoppiò a ridere.

«Interessante! Ti farò piangere!»

 

Il lunedì che precedeva il compleanno dell’Imperatore incominciò il torneo, con tutte le squadre divise in sedici gironi di qualificazione. Siirist si trovava nel primo assieme a Katsumi, che scese in campo prima di lui e si sbarazzò facilmente di una squadra capitanata da una varna, un alato dai poteri legati al vento, il fuoco e l’oscurità. I compagni della bestia del fulmine non dovettero nemmeno muovere un dito, semplicemente ella richiamò il Susanoo nella sua forma di arciere che sparò le sue mortali frecce, facendo una strage di tutti gli ottanta avversari. Quella donna era spietata, c’era da ammetterlo. Quando fu il turno di Siirist, decise di combattere senza alcun riequipaggiamento, con solo un semplice hakama e le nuove katana di Hellsteel che gli aveva forgiato Totosai. Non sarebbe stato in grado di usare al meglio le sue arti demoniache e i suoi incantesimi, era vero, ma lo trovava anche giusto. Inoltre doveva dare una possibilità, per quanto misera, anche agli altri, no? Subito andò in forma demoniaca e sguainò due delle sue tre spade, ma poi ci ripensò e le rinfoderò.

«Akira, sono tutti tuoi.»

I due membri della famiglia reale avversari si offesero e arrabbiarono.

«Pensi che il tuo servo possa vincere da solo contro di noi?» disse uno.

«Se non ce la fa, aiutalo, Kaede.» rispose ignorando l’altro.

«Sì, fratellone!»

«Non vi deluderò, Siirist-sama.»

Si fece lentamente avanti e sguainò le sue spade. Desideroso di sapere bene che cosa pensasse il suo servo, il Cavaliere decise di entrargli in testa.

«Per questo oltraggio ti ucciderò!» sbraitò l’altro che non aveva parlato prima.

Liberò senza tanti preamboli un’onda di fuoco nero che il vampiro evitò con un balzo laterale dopo averla prevista con il suo colore dell’osservazione; essa si diresse verso Siirist, ma Kaede ne prese il controllo e la estinse: non era una delle bestie del fulmine più potenti per niente.

«Brava.» si complimentò il mezzo demone, e lei ne fu felice.

Akira fece per avventarsi contro quello che aveva scagliato l’onda, ma intervenne l’altro, le sue tre katana avvolte nel fuoco nero. Sapendo bene che non si poteva scontrare con esse, il vampiro incominciò a schivare colpo su colpo. Ryfon sorrise: farlo allenare con i bracciali che gli riducevano i douriki fisici contro i nani e gli orchi era stato utile. Farlo abituare a diversi stili di combattimento aveva sviluppato la sua capacità di improvvisazione e anche il fargli studiare la Danza del serpente e la gru aveva dato i suoi frutti. Il vampiro superò la bestia del fulmine e la tramortì con un colpo d’elsa sul collo, dritto su un punto verde. E bravo, anche le tecniche della Gilda aveva padroneggiato in fretta, anche più rapidamente di Siirist stesso. Come lui, anche Akira era più portato alla via del ladro che a quella del guerriero. Menò un doppio tondo dritto dopo un avvitamento su se stesso che liberò una possente onda d’urto in cui aveva inserito tutto il potere del suo Juyo. Ma l’avversario rimaneva pur sempre un alato della famiglia reale che si difese con le sue ali posizionate davanti al corpo a mo’ di scudo. Le bestie del fulmine pure non avevano il potere tenebroso di Raiden (e quindi di Siirist), perciò le loro ali non avevano la capacità di condensarlo e diventare taglienti, ma rimanevano comunque degli scudi naturali capaci di resistere anche alle katana di Totosai, ammesso che non fossero infuse di potere demoniaco, Ambizione o Juyo. Akira non perse tempo e si lanciò in avanti, le spade che sfioravano il terreno. Portò in avanti un fendente destro in cui mise tutto il peso del corpo, bloccato dall’ala sinistra nemica, e subito si abbassò per evitare il tondo dritto che lo avrebbe altrimenti tagliato in due, previsto anche questo grazie all’Ambizione. Nell’abbassarsi, roteò il corpo in senso antiorario e nel rialzarsi attaccò con un sottano dritto manco dato con la spada impugnata alla rovescia, a cui fece seguire uno sgualembro dritto, anche esso impugnato alla rovescia. Ma ancora trovò solo il muro impenetrabile di penne nere. Con la velocità concessagli dal potere del fulmine, l’alato nemico si mosse con una rapidità tale da eludere persino il colore dell’osservazione del vampiro e lo tagliò orizzontalmente all’altezza della vita, infliggendogli un colpo che sarebbe dovuto essere mortale. Ma da dentro il kimono tagliato a metà venne il suono degli stridii e del battito di ali di pipistrelli, e Akira nemmeno sentì il colpo. Invece menò un tondo dritto roverso che portò indietro in un semi giro in senso antiorario; colse l’avversario di sorpresa e lo decapitò. Dal pubblico Siirist sentì Kenpachi ululare di gusto. Il vampiro guardò verso gli alleati delle due bestie del fulmine che subito si arresero. Akira fu giudicato il vincitore e prima di ritornare dal suo padrone, guardò verso Alucard che annuì. Rinfoderò le katana e si diresse verso i suoi due compagni di squadra.

«Hai dovuto usare i tuoi poteri già dal primo turno, mi deludi. Ora l’effetto a sorpresa è perso, contro la velocità delle prossime bestie del fulmine sarai nei guai.» lo rimproverò Ryfon.

«Perdonatemi, Siirist-sama, ma non ho potuto fare altrimenti, sono stato sorpreso dalla sua velocità. Voi bestie del fulmine siete veramente potenti, Kaede-sama.»

«Ovvio, siamo la famiglia reale! Ma come hai fatto a usare i tuoi poteri sotto la luce del sole?» domandò Kaede.

«Gli ho inciso un tatuaggio magico sul petto che lo difende dagli effetti negativi del sole. Ora andate ad allenarvi per domani, uno contro l’altra. Usate le katana da allenamento, ma fate sul serio. Non usate i poteri, solo il Juyo, ma Kaede, usa anche la velocità di fulmine.»

«Va bene, fratellone!»

«Sì, Siirist-sama.»

Mentre loro si allontanavano, Ryfon guardò verso Kiyo e Heiji, chiedendosi chi avrebbe vinto.

 

Kenpachi vinse magistralmente contro sei appartenenti alla famiglia reale, mentre il suo alleato si occupava di disperdere il fuoco nero che lo colpiva. Siirist non aveva mai visto il licantropo combattere con tanta ferocia e gioia, e di conseguenza il suo Juyo risultava essere più devastante che mai. Probabilmente in quella condizione sarebbe addirittura stato in grado di mettere in difficoltà Sesshoumaru nella sua forma intermedia. Nel vederlo combattere, al mezzo demone ribollì il sangue e senza che riuscisse a controllarsi, gli occhi gli divennero sanguigni e le pupille draconiche.

Dallo scontro fra Kiyo e Heiji, fu la seconda squadra ad uscire vincitrice. Era stato uno scontro come pochi altri che Siirist avesse mai visto, con i due Susanoo dei successori di Obras che si combattevano furiosamente, mentre i due interessati si affrontavano con il santouryuu brandendo tre Tsukuyomi e numerosi Amaterasu volavano per l’arena divorandosi a vicenda o i rispettivi nemici. Quando Kiyo aveva notato che i suoi alleati erano stati battuti tutti ad eccezione dei più forti e fedeli servitori, si era arresa per evitare ulteriori morti e Heiji aveva rispettato il suo desiderio. Il loro scontro aveva segnato solo la fine della prima metà della giornata, e già l’eccitazione omicida dei demoni era palpabile nell’aria. Ma gli incontri successi non erano stati per niente allo stesso livello, con tutti i pretendenti che erano di poco superiori tra loro ad eccezione di Kikyou, che combatté nel dodicesimo turno, e annientò i suoi nemici con la stessa facilità di Katsumi ma non con la stessa ferocia.

 

«Voglio partecipare anche io! Fammi entrare in squadra!» insistette Oghren.

«Non te lo consiglio, non potresti nulla contro i demoni più forti.» rispose Akira.

«So essere alla pari con Kenpachi se voglio, quindi stai zitto o te la vedrai con Narik!»

Siirist vide il lampo rosso negli occhi altrimenti nocciola. Per quanto fosse sempre serio e composto, Akira rimaneva un vampiro di alto livello, un’eccezione del suo clan che faceva parte della classe S, ed era difficile per lui contenere i suoi istinti demoniaci: una sfida come quella del nano doveva aver eccitato ogni fibra del suo corpo. Dei segni del suo sangue demoniaco gli stavano addirittura comparendo in viso, come fossero delle linee di matita che circondavano e si allungavano dagli occhi. Come Sesshoumaru, il potere demoniaco di Akira era cresciuto fin troppo e aveva iniziato a manifestarsi sul corpo.

«Akira, vatti a scaricare.» gli ordinò il padrone.

Il vampiro trasse un profondo respiro per poi espirare tutta l’aria che aveva in corpo.

«Sì, Siirist-sama.»

E andò all’area dell’harem di Ryfon che era stata riservata a lui, dove sarebbe stato intrattenuto dalle quindici concubine che il padrone gli aveva donato. Siirist lo guardò uscire dalla sua stanza prima di voltare lo sguardo verso Kondrat e Azuk-lob-Khalak. Durin era seduto sul davanzale di una delle finestre e beveva un boccale di birra in silenzio. Siirist, seduto ad uno dei tavoli circolari che arredavano la sua stanza, si versò una tazza del liquore demoniaco che aveva inizialmente ripudiato, ma in mancanza di altro aveva imparato ad apprezzare; era sempre meglio della birra di Hellgrind, non riusciva a capire come i nani potessero bere quella schifezza. Beh, capiva Oghren, quello era un bidone, ma aveva sempre ritenuto Dorrak più raffinato.

«E tu, Durin? Non chiedi di unirti alla mia squadra per il torneo? Oghren l’ha chiesto espressamente, e so che anche Azuk-lob-Khalak vorrebbe, ma se lo tiene per sé.»

«Non sono interessato, no.»

«Codardo.» tossì per finta Barba di fuoco.

Dorrak si alzò e mise mano alla sua immancabile ascia.

«Prova a ripeterlo.»

Oghren sogghignò e alzò Narik prima che Siirist perdesse la pazienza: li investì con il colore del re misto all’Intimidazione ed i nani caddero in ginocchio.

«Saremmo grati se la smettessi di farlo.» disse a denti stretti Kondrat.

«E io sarei grato se la smetteste di litigare: l’ultima volta mi avete demolito gli appartamenti, è un miracolo che nessuno della mia servitù si sia fatto male.»

«Ma di che ti lamenti? Un incantesimo ed era tutto a posto nel giro di dieci secondi!» rispose Oghren, alzandosi e sciogliendosi i muscoli indolenziti dall’attacco del mezzo demone.

«Non è quello il punto. Siete come due bambini e mi sto stancando di voi, e già non sono paziente di mio! Almeno non quando si tratta di avere a che fare con gli idioti. Durin, mi stai deludendo, che ti succede?»

«Perdonami. Suppongo mi manchi la Roccia.» abbassò lo sguardo.

«Vorresti ritornare ai Beor?»

«Sì. Non definitivamente, sono felice di viaggiare con te e di esplorare il mondo, ma ho bisogno di ritornare a Tronjheim almeno per un po’.»

«Capisco. Oghren?»

«Bah. La birra qui fa schifo, ritornare a Tronjheim non sarebbe malissimo.» ammise.

«D’accordo. Finito il torneo, vi riporto a Tronjheim con la dislocazione. Sarebbe anche una buona occasione per donare i tesori di Ilirea. Ora lasciatemi, domani sarà una giornata impegnativa, ho bisogno di riposarmi.»

 

Quella fu una delle notti peggiori che Siirist avesse mai passato. Tutto bruciava, erano le fiamme rosse degli Inferno e quelle nere di Obras, che danzavano, si univano e si dividevano, e creavano immagini come demoni alati, spade, draghi, cadaveri, teschi. L’aria puzzava di carne bruciata, sangue e cenere, il calore era così intenso che l’aria stessa ne risentiva, e ad ogni respiro, era come ingoiare tizzoni ardenti; avvertiva nei polmoni la stessa sensazione che aveva provato nello stomaco quando si era risvegliato il fuoco interno di Rorix e per la prima volta in anni, Siirist considerò il fuoco essere troppo caldo. E in mezzo a tutto quello, apparve una donna. Era bellissima, aveva dei lineamenti e delle curve degni della più bella delle succubi, e dei lunghi capelli argentati che scendevano elegantemente lungo le spalle e arrivavano oltre la vita. Erano mossi, erano al contempo selvaggi e acconciati, e lasciavano il suo incantevole viso libero. Gli occhi erano completamente neri, come quelli di Fenrir, le carnose labbra erano rosse come il vestito di seta scollato, che pareva sanguinante, ma quando il mezz’elfo si concentrava su un punto dell’abito che gli sembrava stesse gocciolando, esso appariva essere fatto di pura seta; allora, intorno al punto in cui il biondo concentrava la sua attenzione, il vestito ricominciava a sanguinare. Gli sorrise un sorriso maligno, invitante, seducente, che il mezz’elfo sentiva lo stava corrompendo nell’anima. La donna gli tese la mano, ma egli la rifiutò.

E aprì gli occhi mentre la luna piena entrava attraverso la finestra aperta e lo illuminava.

 

Il sole era a malapena sorto quando Tomoko entrò nella stanza del suo padrone a portargli cornetti, frittelle e spremuta d’arancia, e lo trovò già in piedi a mangiare l’uva presa dalla coppa di frutta elfica che perennemente era tenuta piena.

«Qualcosa non va, Siirist-sama?» chiese notando lo sguardo cupo e le occhiaie del successore di Obras.

Questi si voltò verso di lei e per un momento pensò di inventarsi una scusa, ma poi rifletté che la servitrice lo conosceva fin troppo bene e che avrebbe capito istantaneamente se avesse sentito una bugia.

«Un brutto sogno, niente di cui ti devi preoccupare.»

«Ecco cosa succede quando vi ostinate a dormire da solo!» lo rimproverò per scherzo.

Siirist ridacchiò e si sedette al tavolo e la gatta appoggiò i piatti perché il padrone potesse mangiare la sua colazione. La porta si aprì ed entrò Akira che accompagnava Kaede.

«Siirist-sama, non l’ho potuta fermare, era insistente.» si giustificò il vampiro.

«Non fa niente. Che c’è, Kaede?»

«Akihito ha visto il tabellone degli scontri di oggi: siamo contro Katsumi e Kiyo si è alleata con lei.» disse preoccupata.

Ryfon deglutì con difficoltà il boccone di frittelle. Si pulì la bocca con il tovagliolo bianco, macchiandolo del rosso-violaceo della marmellata di frutti di bosco, prima di rispondere.

«Capisco.» aveva la mandibola serrata e negli occhi era visibile la sua paura.

«Siirist-sama, consiglierei di riconsiderare l’idea di usare le semplici katana di Hellsteel e i soli poteri demoniaci. Sareste in difficoltà contro le arti sacre di un solo successore di Obras, non potreste mai affrontarne due insieme. Non senza le arti demoniache almeno, e non senza Agar hyanda.» esclamò Akira.

Il nome della sua spada colpì il mezz’elfo nel profondo. Ebbe una piccola convulsione e un giramento di testa; appoggiò la fronte alla mano destra e il gomito al tavolo.

«Glarald è tornato?»

«Sì, Siirist-sama.»

«Mantieniti.» disse alzandosi e puntando la mano alla colazione, liberando un incantesimo temporale che le impedisse di raffreddarsi e indurirsi.

Prese un cornetto e si avviò verso la porta senza aggiungere una parola, lavandosi denti e bocca con un incantesimo d’acqua combinato a vento e vestendosi con la creazione d’aria che diede forma ad un nuovo kimono, hakama, obi, tabi e zori di stoffa. Si diresse rapidamente verso la grotta in cui Glarald e Vadraael erano ritornati a vivere. Trovò il drago in tutta la sua grandezza, steso a pancia sotto con il lungo collo allungato a dormire; il Cavaliere corrotto era invece seduto e impegnato a leggere il suo grimorio. All’arrivo del mezz’elfo, quegli richiuse il suo libro e si alzò.

«Siirist, è sempre un piacere vederti. Con la resurrezione di Eleril, ho sentito il mio ruolo come Guida un po’ inutile, cosa posso fare per te?» scherzò.

«Ho fatto un sogno.» tagliò corto.

«Me lo vuoi raccontare?»

«Te lo voglio mostrare.»

Gli passò i ricordi della donna avvolta dalle fiamme e dopo una decina di secondi, il tempo necessario perché l’elfo oscuro li potesse comprendere, gli chiese che cosa pensava significassero.

«Non si tratta di una premonizione né una visione del passato portata dall’Ambizione, questo è certo. Non è nemmeno un tentativo di contatto mentale da parte di terzi. Non è nessuno che conosci, vero?»

«No.»

«Temo di non poterti dare una risposta immediata, dovrò pensarci su. Intanto dovresti riposarti finché puoi, sei visibilmente stravolto e il tuo scontro di oggi nel torneo sarà impegnativo.»

«Hai ragione. Grazie.»

 

Quando Siirist lasciò la caverna, Vadraael aprì uno dei suoi occhi dorati e guardò verso il suo Cavaliere.

Eppure quella donna mi sembra di averla già vista.disse.

Glarald sospirò.

Hai ragione. È bene andare a parlare con Bhyrindaar.

 

Siirist ritornò alla sua stanza e i suoi abiti si scomposero in un soffio d’aria.

«Non riesco a capire perché vi ostinate a vestirvi con abiti veri ogni giorno quando potete semplicemente crearli dal nulla con la magia.» osservò Tomoko.

«Lo dici solo perché così non li dovresti più stare a lavare.»

«Anche, non lo nego. Ma lo trovo comunque insensato. Capisco i riequipaggiamenti, che sono incantati e fatti con materiali difficilmente creabili con la magia, ma per i vestiti di tutti i giorni, non capisco proprio.»

«Non posso darti torto. Forse mi piace farmi vestire da te?» sorrise malizioso.

«Motivazione valida. Ritornate a dormire?»

«Sì.»

«Volete compagnia?»

«No.»

«Allora mi ritiro. Vi verrò a chiamare mezz’ora prima dell’inizio degli scontri, fino ad allora non sarete disturbato. Buon riposo, Siirist-sama.»

La gatta lasciò la stanza e Siirist chiuse le tende con una magia di vento, oscurando l’ambiente. Attirò a sé un cornetto con un secondo incantesimo e lo mangiò mentre si rimetteva sotto le lenzuola.

 

Ancora fiamme, ancora un calore paragonabile al respiro di tutti gli Inferno esistenti. Sentì come una voce, un sussurro a malapena riconoscibile che lo attirava. Si voltò e vide una donna uguale a quella vista nel sogno precedente, ma questa aveva un abito argentato che brillava di una luce eterea, occhi sanguigni sia nella sclera che nell’iride, privi di pupilla, e capelli corvini come solo quelli delle bestie del fulmine. Anche la pelle di questa era chiarissima, quasi da risultare pallida, ma non così tanto. Si sentiva attratto a lei, ma al contempo sentiva di doverle resistere, sentiva che se fosse stato afferrato, non sarebbe potuto fuggire.

Un altro sussurro gli giunse alle spalle.

Balzò per la sorpresa e vide una terza donna, con capelli color sangue, l’intero bulbo oculare che brillava di una forte luce argentata, paragonabile a quella dell’armatura di Aulauthar nata dalla creazione di luce. Il lungo vestito nero all’apparenza di seta risucchiava la luce che lo circondava, come fosse la Forgia infernale.

«Siirist!»

«Siirist!»

«Siirist!»

Sentì dire il suo nome, più e più volte, nelle diverse pronunce delle lingue dei popoli di cui era composto il suo essere.

«Siirist!»

Guardò alla sua sinistra e vide comparire la donna dai capelli argentati, la prima che aveva visto. Era accerchiato. Tutte e tre si stavano stringendo intorno a lui e, impaurito, il mezzo demone lanciò un urlo. Le fiamme si dispersero e si ritrovò all’interno della sala del trono della sua torre mentale.

E aprì gli occhi.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola GUARDIANO DEL SALVATORE. Scusate, non riesco a dare un sunto decente del capitolo senza fare troppi spoiler! Il titolo, comunque, non ha a che vedere con il capitolo, quanto è significativo per la sola parte finale e trovo sia bello e nostalgico, perciò ho deciso di usarlo dopo attenta considerazione.

  
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