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Autore: bulletproofAliz    21/01/2013    3 recensioni
Post Reichenbach Fall, di Sherlock non c'è traccia, John è disperato per la perdita subita e ancora dopo un anno non è riuscito a tornare a Baker Street. Quando finalmente trova il coraggio per farlo, prende una decisione inaspettata e torna al Bart's Hospital.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente! Siccome sono irrimediabilmente fissata con questi due uomini supergay, eccomi qui a pubblicare la mia seconda ff su Sherlock.
E' una sorta di continuo di quella precedente, se non l'avete letta magari leggetevela çç (e lasciate una recensione, y'know)
Ad ogni modo se non vi va di leggerla, basta aver visto l'ultimo episodio per deprimersi leggere questa mia Johnlock piuttosto malinconica.
Direi che non è il caso di dedicarla a qualcuno, lol
buona lettura e recensite, grazie çwç ho bisogno di consigli/suggerimenti/critiche/sapere se devo ritirarmi e non scrivere mai più per questo fandom nella mia vita lol lol
Tutto ciò è stato ispirato da una fanart che vi lascio qui sotto, alla fine della storia la vedrete :)
a presto (credo) 
=w=



It's too fucking exhausting loving you.
 
I'm here Sherlock, I'm right here, with you.
 
 
''Buon pomeriggio John, accomodati.''
John si sedette sulla poltroncina e prese a guardarsi intorno. Quel posto non era più estraneo per lui, ormai lo conosceva come le sue tasche, come se fosse casa sua.
A casa sua non riusciva ancora a metterci piede, perciò dormiva in tutti i motel di Londra, quelli non troppo costosi. Di notte stava in una di quelle stanze vuote, a guardare la tv e a fissare lo schermo del suo portatile, a volte addirittura spento, senza mai riuscire a trovare la forza di scrivere una parola sul suo blog, da quando era successo.
Di giorno andava nel suo studio medico, si sforzava di andare avanti con la sua vita, ma la notte... Era una vera e propria tortura, sempre.
''John, non ti va molto di parlare, oggi? Hai dormito poco?''
La sua analista era molto premurosa. Aveva notato da subito le occhiaie profonde sotto gli occhi del biondo.
''No, io... Sto bene.'' Si limitò a rispondere John, abbassando leggermente lo sguardo.
''John, sei riuscito a scrivere qualcosa sul blog, almeno ieri sera?'' chiese la donna, preoccupata. Conosceva bene la risposta. 
''No.''
''Devo essere sincera, dubito che continuando in questo modo si riesca ad arrivare a qualche miglioramento. Non stai prendendo sul serio la terapia, temo...''
''Crede che lo faccia apposta? Ci ho provato, dannazione! Ci provo ogni sera.'' Fece una pausa, per calmare i nervi e bloccare il nodo alla gola che gli si era appena formato.
''Ci provo, faccio uno sforzo, apro il portatile, lo accendo, salgo sulla pagina del mio blog a volte.''
''Molto bene. Allora cosa ti blocca?''
''Secondo lei se lo sapessi, sarei qui?!'' John divenne rosso in viso, poi si prese qualche momento per calmarsi di nuovo.
''Riesco a salire sulla pagina, a volte, dicevo... Ma poi mi fermo. Quando scrivevo i miei rapporti ero sempre seduto sulla mia poltrona a Baker Street, ed invece ogni sera mi ritrovo in una squallida camera di motel... Prima aveva senso scrivere, la gente leggeva i casi, ovviamente, ma sapevo che... Ero certo del fatto che anche lui li avrebbe letti...''
Fece una pausa. Le lacrime iniziarono a rigargli il viso.
''Pensavo che sarebbe stata una buona idea farti scrivere sul blog, oppure diminuire le nostre sedute, ma vedo che la situazione non migliora, dottor Watson.''
John si asciugò con la manica le guance bagnate e si sfregò gli occhi.
''Forse conviene che ti somministri qualche antidepressivo, o simili. Presto ti darò la prescrizione medica per i farmaci. La seduta è finita, John...''
La psicologa lo stava studiando, osservava ogni sua mossa e reazione, con un'espressione di dubbio stampata in viso. John non ci fece caso. Si alzò e prese la sua giacca, senza nemmeno salutare si diresse verso la porta e se ne andò.
 



 
Il cielo di Londra era sempre grigio. Non lo vedeva limpido da tantissimi mesi.
John passeggiò per qualche minuto, cercando di ricordare quand'era stata l'ultima volta che il cielo aveva assunto il suo colore preferito, l'azzurro.
Gli dava pace, serenità, lo aveva associato a dei momenti felici nella sua vita. Gli riportava alla mente dei bei ricordi.
L'azzurro era il colore degli occhi di Sherlock. Quando apparve quel nome nella sua testa, si ricordò del giorno in cui il cielo era così sereno come in quel momento.
L'ultima volta che l'aveva visto.
Prese un taxi e giunse a Baker Street. Aveva abbandonato la signora Hudson; certo, lei sapeva benissimo badare a sè stessa, ma non era stato gentile andarsene in modo così brusco, John lo sapeva. Suonò il campanello, ovviamente lei era in casa. Fu molto felice di vederlo, ma quella visita inaspettata le fece tornare alla mente fin troppi ricordi, e mentre lo abbracciava, si lasciò sfuggire qualche lacrima.
''Le preparò un tè, mio caro John. Lei può fare un salto di sopra, se vuole, a prendere le sue cose...''
Il dottore fece un cenno di assenso, ma l'idea di salire le scale e tornare in quell'appartamento non era una delle più allettanti.
Fece un bel respiro e prese coraggio. ''Torno tra qualche minuto!'' disse alla signora Hudson, quasi per convincere sè stesso a fare in fretta e non perdersi nei ricordi in quell'appartamento.
Gli scalini scricchiolavano, come sempre. In quella stretta scala sembrava che non fosse cambiato niente.
Nell'edificio c'era ancora odore di qualche pasticcio chimico di quelli che era solito preparare Sherlock, di polvere da sparo, di tabacco.
Quando vide il salotto rimase senza fiato. Era sempre rimasto lì, tutto uguale, come se il tempo non fosse passato, come se lui fosse ancora lì, ad aspettare John, magari per salutarlo con un bacio, o con un nuovo caso da risolvere insieme.
Trattenne a stento le lacrime. Si tolse le scarpe e le calze, non sapeva neanche lui il perchè. Forse non voleva fare rumore. Immaginò che Sherlock fosse lì, da qualche parte, e non bisognava svegliarlo. Si sedette sulla sua poltrona. Chiuse gli occhi.
In un certo senso, riusciva ancora a sentirlo, come se si aggirasse per la casa mentre lui era lì seduto.
Aveva sempre avuto paura di tornare a Baker Street, ma non ne aveva motivo. Sherlock lo stava aspettando, a casa loro, lo avrebbe sempre aspettato.
''Scusami...'' sussurrò con un filo di voce, prima di scoppiare in lacrime.
Rimase fermo, seduto sulla sua poltrona, a piangere per qualche tempo. La signora Hudson, preoccupata, lo raggiunse per assicurarsi che stesse bene.
Gli porse la tazza di tè che aveva preparato mezz'ora prima e lo rassicurò in qualche modo, ricordando com'era scontroso a volte, con tutti.
''E' tutto a posto, davvero, grazie.'' Le disse John, cercando di essere convincente. Lei se ne andò e lo lasciò di nuovo solo.
Come hai potuto farmi questo, Sherlock, pensò il dottore. Era arrabbiato, amareggiato, infinitamente solo.
Mi hai salvato una volta, tirandomi fuori dal mio schifo di vita. Mi hai dato un motivo per andare avanti. E adesso mi hai abbandonato.
Come hai potuto farmi questo?!
La sua vita aveva perso di significato una seconda volta, John non riusciva a sopportarlo. Dalla solitudine più assoluta aveva finalmente ritrovato uno scopo, qualcosa che lo tenesse in vita dopo l'esperienza della guerra, e quella cosa era lui, Sherlock Holmes. Era stato l'unico a farlo sentire utile, meno solo, amato.
Per la prima volta nella sua vita John sentiva di appartenere a qualcosa, e per colpa di un pazzo ossessionato dal suo Sherlock, ora era di nuovo solo.
Si alzò, con una rabbia sconosciuta negli occhi, lasciò l'appartamento sbattendo la porta, senza nemmeno salutare la signora Hudson.
Aveva la soluzione al suo problema. Niente più analisi, niente antidepressivi, non ce n'era bisogno, ormai. Sapeva bene cosa fare.
Prese un taxi, proprio come aveva fatto quel giorno. Da Baker Street al S. Bartholomew's Hospital, il più velocemente possibile.
Anche quel posto non era cambiato di una virgola. Non ci aveva più messo piede dal suicidio.
Una volta arrivato, scese dall'auto e fissò con orrore quel tetto così alto. ''Sto arrivando, Sherlock'' disse a denti stretti.
 
 
 
 
John Watson, medico e soldato, aveva affrontato quella questione diverse volte; spesso si era ritrovato a fantasticare su come sarebbe stata la sua morte. Dopo tutto correva molti rischi nell'esercito, era inevitabile dover riflettere sull'argomento. Ed inoltre, di recente, pensava alla morte quasi tutti i giorni, dalla scomparsa di Sherlock Holmes.
Non aveva mai pensato, però, di finire proprio come era iniziato il suo dolore.
C'era forse un'alternativa per fermare quell'inferno che stava vivendo? Per fermare la depressione, i pianti notturni, quel vuoto nel suo petto da quando lui non c'era più?
Il tetto di quell'ospedale era squallido, solitario, spoglio. Un anno prima, giaceva lì il cadavere di Jim Moriarty, la rovina del detective più famoso del mondo.
Dell'uomo migliore che John avesse mai conosciuto.
Chi incolpare per la morte di Sherlock Holmes? Moriarty. Ma John non aveva neanche avuto una possibilità di vendicarsi per quella perdita subita.
E in ogni caso, nessuna vendetta avrebbe riportato indietro il suo Sherlock.
Immaginò gli ultimi istanti di vita del suo migliore amico.
Jim a terra, con il sangue che gli colava dalla nuca, lo sguardo vacuo e il battito mozzato. 
Sherlock senza via d'uscita. La vergogna di vivere in un mondo che lo vedeva come un impostore.
Forse era davvero un impostore. Lo era? No, John lo conosceva troppo bene. Non avrebbe mai creduto che il suo Sherlock Holmes l'avesse ingannato in quel modo.
John fece qualche passo avanti e si diresse verso il cornicione, da cui il detective si era lasciato cadere. 
''Devo farlo'' disse a sè stesso. ''Sono qui.''
Mise prima un piede, poi l'altro sul cornicione e guardò in basso.
''Sono qui, Sherlock.'' Trattenne le lacrime, di nuovo senza riuscirci, anche in quel momento non fu capace di rimandarle indietro.
''Devo farlo per te'' aggiunse lasciandone scorrere alcune sul viso.
Spalancò le braccia, come aveva fatto Sherlock un anno prima.
Lasciarsi cadere è come volare...
''Ti amo, Sherlock.''

 
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