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Autore: exitwounds    21/01/2013    2 recensioni
[selfharm]
Tiro fuori il mio vecchio e malconcio ipod, che per qualche misterioso motivo ancora funziona, e mi sparo i Simple Plan al massimo del volume. Posso anche distruggermi le orecchie, ma almeno lo faccio con della buona musica.
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La conoscete quella sensazione di totale inutilitá? Quel momento in cui ti rendi conto che sei un nulla, che il mondo gira lo stesso anche senza di te, e anzi, che se non ci fossi girerebbe meglio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chuck Comeau, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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(2)
 

Ho raccontato tutto a Chuck. Ogni singolo dettaglio. Ho sputtanato la mia vita ad uno dei miei idoli, ho pianto tra le sue braccia, mi sono lamentata come una bambina di tre anni e non ho ancora ricevuto alcun “vaffanculo”. Forse perché è rimasto in silenzio tutto il tempo.
«Chloe, voglio aiutarti, davvero.» è l’unica cosa che riesce a dirmi, dopo avermi ascoltata parlare ininterrottamente per più di un’ora.
Non so se ridere o riprendere a piangere. Quante volte ho sentito questa frase... e tutte le persone che l’hanno pronunciata non hanno mosso un dito per aiutarmi.
«Grazie per l’interessamento, Chuck, ma nessuno si interessa a me.» sussurro alzandomi dalla panchina e tentando di andarmene, ma lui mi blocca di nuovo. Mi posa una mano sulla spalla ed io mi fermo, ma senza voltarmi.
«Nessuno merita di soffrire, tantomeno se si fa del male da solo.» mi dice serio. «Non permetterò che tu ti rovini la vita in questa maniera. E’ finita, amen, la vita va avanti, e fidati che senza un tipo del genere la vita va avanti dieci volte meglio.»
Mi volto verso di lui. Mi sta guardando negli occhi, il suo sguardo sincero mi trasmette sicurezza. Decido di fidarmi. «Ok.» mormoro, e Chuck mi regala un sorriso confortante – e meraviglioso.
«Vieni con me.» mi dice portandomi un braccio intorno alle spalle. Mi accoccolo accanto a lui, come facevo con papà quando ero piccola. E la sensazione è la stessa. Sono al sicuro, potrebbe esplodere un vulcano e neanche me ne accorgerei, potrebbe nevicare anche se è aprile e non ci farei caso, la terra potrebbe cominciare a tremare in perpetuo e me ne fregherei. Era da anni che non mi sentivo così.
«Dove andiamo?» gli chiedo dopo qualche minuti in cui avevamo camminato in silenzio.
«A casa mia.» mi risponde mentre giriamo in Boulevard Saint-Laurent, ancora stretti l’un l’altra. «Ormai è buio, non ti lascio tornare a casa da sola. Stasera rimani da noi, ti va?»
Il respiro quasi mi si mozza. Sicuramente è un sogno, ora mi do un pizzicotto e mi sveglio.
«Ehi, tutto okay?» mi richiama Chuck.
Sì, una favola, ho appena rischiato un collasso per quello che mi hai detto ma per il resto sto benissimo.
«S-sì,» balbetto «è che non riesco a crederci, mi sembra un sogno, io...»
Chuck mi sorride e svoltiamo in Rue Saint-Denis. «Non mordiamo, tranquilla!» scherza strappandomi un sorriso.
Dopo pochissimo siamo arrivati a casa sua e dei ragazzi, una villetta enorme vicino al campo da calcio di Rue de Mentana.
Una mezz’oretta buona a piedi dal parco, ma camminare con Chuck accanto è rilassante. Sa infonderti calma e pace anche se non spiccica una parola.
Apre il portone con le sue chiavi ed entriamo direttamente nel salotto, una stanza grande all’incirca come il mio appartamento, ed alla nostra sinistra ci sono esposte in bella mostra le chitarre ed i bassi. Fa strano vederle ferme lì, dopo tanti anni in cui le ho viste tra le loro mani sul palco.
«Wow, qua è tutto fantastico.» mormoro guardandomi intorno.
Chuck nota che mi sono soffermata a lungo sulle chitarre. «Sai suonare?» mi chiede.
«Una volta suonavo il basso... ma ora non riesco più...» rispondo tirando più giù le maniche del maglioncino e stringendole forte tra i pugni.
«Se ti va puoi suonare un po’ con David, così riprendi la mano.» mi propone allegro.
E’ assurda la maniera in cui stare con lui solo per qualche ora mi ha fatto tornare il sorriso, mi ha fatto dimenticare tutta la merda che mi circonda.
«Ragazzi, sono tornato!» urla Chuck per farsi sentire da tutti.
«Ciao Chuck!» giurerei che è la voce di Jeff quella che viene dalla cucina. Sono tutti e cinque qui. Stanno respirando tutti la mia stessa aria, oddio, siamo nella stessa casa, e oddio sto fangirlando troppo. Devo riprendermi.
Pierre, Jeff, Séb e David entrano in salotto e fanno una faccia strana, un po’ sorpresa, nel vedermi. Sto per sentirmi male. Cristoddio Chloe Roy, difendi quel minimo di dignità che ti è rimasto, prendi un respiro profondo ed evita figure di merda.
«Lei è Chloe, una nostra fan.» mi salva Chuck dall’imbarazzo. «Spero non sia un problema se oggi resta con noi.»
I ragazzi mi accolgono sorridendo e si presentano – pft, come se non sapessi già chi sono. Sono molto accoglienti e mi fanno sentire a mio agio.
Quei cinque sono una forza della natura, molto piú di quanto si vede dai video e dai concerti. Non stanno fermi né zitti un attimo, e sono simpaticissimi. Mi riempiono di domande, e rispondo tranquillamente a tutte, ma quando Séb mi chiede «Non hai caldo con quel maglioncino a maniche lunghe?» un brivido mi percorre la schiena. E ricacciando indietro le lacrime racconto tutto anche a loro.
Può sembrare strano, pazzo o addirittura stupido raccontare tutti i miei problemi a persone che in fin dei conti sono sconosciuti, ma non lo é. Non sono sconosciuti. Sono le persone che mi hanno salvato la vita, sono le persone che mi accompagnano da quando ero una ragazzina, sono le persone che mi tengono agrappata a questa vita di merda.
«Se io sono qui é grazie a voi. Dio, vi seguo da quando andavo ancora alle elementari, quando le mie amiche si sentivano i Blue io nelle cuffie avevo i Reset. Non scherzo quando dico che mi avete salvato la vita. La conoscete quella sensazione di totale inutilitá? Quel momento in cui ti rendi conto che sei un nulla, che il mondo gira lo stesso anche senza di te, e anzi, che se non ci fossi girerebbe meglio? Ecco, cosí é come mi sento ogni giorno. É assurdo il modo in cui sentendo la vostra musica io ritorni a sentirmi viva. Non sapete quante volte, prendendo in mano quella dannata lametta, ho pensato di farla finita una volta per tutte. Un colpo secco ed era fatta, ponevo fine alle mie sofferenze. Ma poi affioravate voi nei miei pensieri. Do you ever feel like breaking down? Do you ever feel out of place? Like somehow you just don't belong and no one understands you? canticchiavo questo, mi facevo forza e gettavo la lametta per terra, lontano. Voi, attraverso quelle cuffie, mi capivate, mi eravate vicini in ogni istante. Smettevo per voi. Pensavo che se avessi messo fine alla mia vita non vi avrei mai incontrati, non vi avrei mai detto grazie, non vi avrei mai detto tutto ciò che vi ho detto ora, non avrei mai avuto l'opportunitá di abbracciarvi, non avrei mai potuto spiegare ai miei figli quanto abbiate significato per me. Ecco il motivo per cui ogni volta che uscendo sul balcone ed avevo voglia di saltare di sotto mi fermavo e tornavo dentro casa. Ora capite perché dire che mi avete salvato la vita non é un'esagerazione? Alcune persone mi prendono per pazza quando spiego quanto significate voi per me. La verità é che neanche io so esprimere con le parole le emozioni che mi fate provare e la maniera in cui mi tenete aggrappata alla vita. Non ci sono parole per spiegarlo. L'unica sarebbe "grazie", ed anche se é troppo banale, semplice e riduttiva non posso fare altro che ringraziarvi per tutto quello che avete fatto anche senza accorgervene.» dico tutto d'un fiato. Mi viene da piangere, un po' perché finalmente ho realizzato il mio sogno di dir loro che mi hanno salvata, un po' per aver portato a galla vecchi ricordi.
«Sono storie come questa che ci rendono fieri ancora di piú di ciò che facciamo.» mi dice Pierre. «Siamo stati dall'altra parte anche noi, sappiamo cosa vuol dire essere fan e mettere la propria felicitá nelle mani di una band. Ed era proprio questo ciò che volevamo, essere un punto di riferimento per chi ci ascolta, come altre band lo sono state per noi.»
«Posso abbracciarvi?» chiedo con le lacrime agli occhi, e tutti ci stringiamo in un abbraccio di gruppo. Un sogno che diventa realtá.



myspace.
ciaao.
come sono in ritardo lalalala.
boh, sul capitolo non so che dire, a parte che scrivendo il discorso di Chloe ho pianto. piango troppo.
(sí, sono una precisina del cavolo perché mi sono incrociata gli occhi con google maps a trovare delle vie che esistono davvero a Montréal nelle vicinanze di Parc du Mont-Royal. sí, sono stupida. e devo smetterla di scrivere tra parentesi.)
al prossimo capitolo c:
fabi.
  
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