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Autore: carelesslove    22/01/2013    1 recensioni
La donna si chinò sulle ginocchia e si fermò a fissare la figlioletta negli occhi chiari e sgranati. – tesoro, la mamma deve andare via
- Harry, per favore. – la implorò John esterrefatto – parliamone almeno. Non puoi piombare qui in questo modo e sconvolgermi la vita!
- Trovati una baby-sitter. – rispose lei candidamente.
John scosse la testa con rassegnazione - Aveva ragione nostra madre. Sei inaffidabile e impulsiva.
- Me l’ha consigliato la mia analista. E io sono d’accordo. Andare in clinica è la cosa giusta.
- La tua analista un caz…- insorse lui, poi si morsicò la lingua – Al diavolo tu e quella psicopatica…altro che psicologa, è più psicopatica lei dei suoi clienti.
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Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                        Tutto in pezzi

 
 
- Posso fumare?
- Mi dispiace ma è vietato. Mi stupisce che proprio lei che è medico… - osservò la sua analista, inarcando le sopracciglia ben curate.
- Non mi interessa se fa male.
- Sta dicendo che non le interessa di danneggiare la sua salute?
- Sto dicendo che non voglio privarmi di nulla, non voglio più rinunciare alle cose, non ha senso preservare la salute se poi da un momento all’altro … tutto può finire senza che si possa fare nulla per impedirlo. Un palazzo, un marciapiede e un sacco di plastica… non rimane niente… di una vita.
Si prese la testa tra le mani e si chinò a osservare la moquette del pavimento, lo stesso grigio del cemento della strada eppure così diverso, durezza e ruvidità contro morbidezza.
- Cemento e cenere. Questo rimane.
Si alzò per andare alla finestra, la aprì e si accese la sigaretta, poi guardò in basso, in strada, il vociare dei bambini portato dal vento, coperto quasi del tutto dal rumore del traffico.
 

***

 
- Sofia! Vieni a darmi una mano. – esclamò mentre cercava di destreggiarsi per prendere il latte e le uova per fare le crepés dal frigorifero e contemporaneamente litigando con l’accendigas che, come di consueto, sembrava farsi beffe di lui e rifiutarsi di funzionare.
Una normale domenica mattina in casa Watson.
Da quando aveva con se’ sua nipote si chiedeva se fosse più stancante un turno doppio in ambulatorio o fare la casalinga con una marmocchia di sette anni in giro per casa, cercando di rimettere ogni cosa al suo posto, pulire, cucinare…tenerla d’occhio che non si facesse male.
Francamente a volte avrebbe preferito la prima ipotesi ma riflettendoci a posteriori, più serenamente, si diceva che in fondo occuparsi di qualcosa gli impediva di pensare, e poi -rammentava a se stesso di tanto in tanto- il suo ideale in gioventù era sposarsi con la sua fidanzata d’allora, Rose, e avere da lei tre figli (di cui almeno un maschio, giusto per non essere troppo in minoranza).
Poi c’era stato l’Afghanistan e le sue priorità avevano subito uno slittamento, per così dire.
Al suo ritorno Rose stava con un altro, probabilmente. Le prime corrispondenze che si erano spediti, traboccanti promesse –qualche telefonata, quando riusciva a farla- si erano man mano diradate, proprio come i sentimenti che entrambi provavano l’uno per l’altra avevano finito per affievolirsi, complice la lontananza, fino a che a un certo punto non erano cessate del tutto. Al suo ritorno in Inghilterra lui si era trovato ad essere un reduce senza particolari prospettive, ancora giovane ma abbruttito e disilluso.
Poi era arrivato Sherlock, era andato ad abitare con lui e la sua vita aveva ripreso una parvenza di normalità: solo una parvenza, perché definire la vita con Holmes normale era un po’ottimistico. Aveva ricominciato a uscire con qualche ragazza, conosciuto Sarah e interrotto quelle inutili e snervanti sedute di psicoterapia.
Tutto bene fino a quando non …
No, solo il ricordo gli era intollerabile.
E poi era ritornato dall’analista e, dopo mesi trascorsi nell’autocommiserazione, si era presentata Harriett con la bambina.
Per tutto il tempo in cui aveva convissuto con Sherlock non aveva più visto né parlato con sua sorella, tanto che lui non sapeva nemmeno che avesse avuto una figlia. Questo perché John disapprovava il suo vizio per il bere.
Lei, d'altro canto, non gli aveva mai perdonato di essere il figlio preferito dai loro genitori e lo detestava per non aver preso le sue parti quando aveva deciso di rivelare le sue tendenze sessuali alla famiglia ed era andata a vivere con la sua compagna. Ma lui all’epoca aveva altre cose per la testa, stava per  arruolarsi volontario e lasciare l’amata patria senza sapere nemmeno se e quando avrebbe fatto ritorno.
Aveva scoperto di Sofia solo dopo la morte di Sherlock, due anni prima.
- John!
Il corso dei suoi pensieri si interruppe e lui voltò la testa per guardare oltre la propria spalla mentre aveva già cominciato a rimestare gli ingredienti per le crepes in una terrina di vetro.
- Ciao – le sorrise – che brava, già lavata.
- Hanno suonato alla porta, non hai sentito?
La radio accesa, sintonizzata su una stazione di musica pop, trasmetteva i pezzi che stavano scalando le classifiche in quel momento, ovviamente coprendo il suono del campanello.
Si domandò chi potesse essere a quell'ora, dirigendosi verso la porta d’ingresso senza neanche posare la ciotola.
Domandò e non ricevendo risposta fece scattare la serratura e aprì, non aspettandosi nel modo più assoluto quello che di lì a poco la sua coscienza avrebbe dovuto elaborare.
I suoi istinti e la ragione in quel momento si fusero in una massa informe quando riconobbe quella figura a lui ben nota.
La ciotola gli sfuggì di mano e andò a infrangersi a terra, il liquido giallo che conteneva tracimò andando a macchiare le piastrelle, proprio come il caleidoscopio di emozioni contrastanti che  avevano invaso il dottore tentavano di straripare fuori da lui per farlo annegare.
- Non chiudere la porta – mormorò l’altro, appena udibile.
E invece di scongiurarla quella fu l’unica reazione che riuscì a ottenere con quelle parole. Il dottore gliela sbattè violentemente in faccia nell’intento di chiuderla ma non potè mettere del tutto in atto il proposito perché parte dei cocci si erano infilati tra la porta e lo stipite, dando vita a una fessura in cui l’altro infilò prontamente una mano.
John si lasciò scivolare piano lungo la parete dell’ingresso, incapace persino di pensare, sentiva la testa girare e il sangue pulsargli nelle orecchie e nelle tempie.
L’altro intanto aveva aperto la porta e si era avvicinato con l’intento di aiutarlo ad alzarsi ma il dottore fu più lesto e prese il moro per il bavero del cappotto sbattendolo violentemente contro il muro di fronte e portando un coccio di vetro che aveva afferrato da terra a lambire il suo collo niveo.
Il suo prigioniero non si mosse, né cercò di divincolarsi in alcun modo, lo si udiva appena respirare, e deglutì quando sentì il pezzo di vetro vacillare nella mano dell’altro.
- Cosa hai intenzione di fare? - domandò in un soffio.
Nessuna risposta, solo il fremito della mano di John. - John - insistette il moro, non ricevendo risposta.
- Dopo tre anni passati a crederti morto mi vieni a dire 'Cosa hai intenzione di fare'! - replicò il biondo adirato, spingendolo maggiormente contro il muro - ma che problemi hai?! - gemette, cercando di rallentare il battito frenetico del cuore. Non sapeva neanche lui cosa voleva fare, tutta quella situazione era surreale. Odiava sentirsi impotente. Detestava essere così vulnerabile e scioccamente sentimentale. Poi sollevò lo sguardo torvo - PERCHE'? - chiese brusco.
Il moro non aveva bisogno di indovinare ciò cui il medico si riferiva, ovviamente voleva delle spiegazioni.
- Sei pericolosamente vicino alla giugulare.
- Lo so, sono un medico. E riguardo la fermezza della mia mano non nutro il minimo dubbio.
- John.- mormorò - ti posso spiegare ogni cosa. Sono qui per questo. Dammi solo la possibilità…
- Ogni cosa?  – sibilò il medico, lanciandogli uno sguardo carico di astio - non ci posso credere.. E' pazzesco.
I loro occhi si incrociarono e le pupille dell’uno scrutavano e scavavano come ferri arroventati nelle iridi dell’altro.
Il moro provò a ribattere ma il dottore affondò maggiormente nella pelle diafana e delicata del suo collo – Taci! – gli ingiunse.
Poi sbattè più volte le palpebre per impedire che, la vista già appannata, gli si offuscasse ulteriormente dietro il velo delle lacrime.
- Devo essere pazzo. Forse è solo un sogno.
- Ascolta..
- Taci. Ho detto! – scandì per l’ennesima volta – Sei stato nell’ombra tutto questo tempo… - alzò lo sguardo accusatorio su di lui con espressione dilaniata tra angoscia ed incredulità. Giù in fondo, ma proprio in fondo, si poteva scorgere forse un barlume di sollievo, ma quello che più traspariva sopra ogni cosa era la delusione e lo sconcerto. Il miracolo che aveva chiesto, che aveva atteso, finchè non era sopraggiunta la rassegnazione, ora si era materializzato come d’incanto in casa sua. Però ormai era passato così tanto tempo che lui se ne era dimenticato di quel desiderio e aveva smesso di crederci in quel miracolo, fin anche di volerlo.
Studiò l’uomo di fronte a lui e non riconobbe del tutto il suo amico di un tempo. Alcuni, pochi, fili grigi trapelavano ora tra i suoi capelli, sempre folti, una leggera ricrescita di barba gli disegnava un alone scuro sul mento e sulle guance e il dottore si domandò fuggevolmente come dovesse essere al tatto. Era trasandato come non lo aveva mai visto, per quanto un Holmes potesse esserlo, intendiamoci. Trascurare del tutto l’aspetto non era un’ ipotesi accettabile per un uomo dall’ego smisurato come il suo.
- Tu ti sei definito un impostore – incominciò senza neanche accorgersi di stare parlando – e lo seidavvero, dopotutto. Non c’è nessuna scusa a cui appellarsi.
La fronte di Sherlock era imperlata di sudore e di tanto in tanto si inumidiva le labbra, lo implorava con lo sguardo, con le sopracciglia, con le labbra tirate per la prima volta in vita sua in un espressione che poteva apparire contrita. Era una situazione di stallo.
Negli scacchi si arriva spesso a un punto in cui non si è ancora sconfitti ma il destino è segnato, così come nella vita. Era stato così per lui su quel tetto. Era stato così per tutti gli altri a causa sua, quando da lassù aveva segnato le loro vite.
- John! – Sofia li guardava con occhi sgranati per la sorpresa.
Entrambi si voltarono verso di lei, l’elemento esterno venuto a disturbare l’equilibrio creatosi, e il dottore fu costretto a mollare la presa sulla sua ‘arma’ improvvisata e a lasciare il cappotto del detective. Quest’ultimo guardava la piccola come se non avesse mai visto nulla di più fuori luogo in vita sua, neanche un alieno si fosse appena materializzato nell’appartamento sorseggiando una lattina di coca-cola.
- Ho sentito un rumore. – si giustificò la bambina, guardando con sospetto lo sconosciuto .
- Va tutto bene. Si è solo rotta una cosa. Adesso vai in camera per favore. Dobbiamo discutere cose da grandi. – le intimò il biondo.
La piccola storse il naso diffidente – Non è il tizio della foto?
- Vuoi andare di là, per favore? – il tono del dottore si alterò, seccato, ma non diventò irato in modo da non turbarla eccessivamente. Sembrava tutto fuorchè una preghiera, era un ordine esplicito e perentorio e Sofia dopo un ultima occhiata si vide costretta ad obbedire.
- Chi è? – soffiò il detective per la sorpresa, guardandola allontanarsi.
- Non ti riguarda. – tagliò corto il dottore, tagliente come un rasoio.
Per alcuni minuti il detective rimase solamente a guardarlo in silenzio, studiandone ogni lineamento, ogni sfumatura, il più impercettibile movimento, come se si aspettasse di vederlo sparire da un momento all’altro. Poi abbassò il capo e lo sguardo si spostò sulla chiazza di liquido giallino che aveva imbrattato il pavimento.
- Sono venuto per…pensavo di poter in qualche modo rimettere insieme le cose.
- La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. [1]– commentò John – quando qualcosa si rompe non sempre si può riaggiustare. – disse guardando i cocci sparsi in terra.
L’altro si chinò a raccoglierli, cercando di fare ordine almeno fuori, visto che dentro di loro sembrava regnare il caos.
Ma il dottore lo bloccò con un secco 'Lascia stare' e dopo che il detective si fu rialzato e lo ebbe guardato ancora, continuò – Tanto sono abituato a raccogliere i pezzi dopo il tuo passaggio.
Il moro sembrava riluttante ad andarsene, ad abbandonarlo un'altra volta, solo a raccogliere pezzi di vetro, e pezzi di cuore. E poltiglia gialla.
- John, dammi un'altra possibilità. – sospirò affranto. Desiderava rimediare, dimostrargli che la propria umanità non era solo supposta ma esisteva davvero.
A John lacrime amare premevano per uscire e gli mancò la voce – Vattene – singhiozzò.
Sherlock si voltò a guardarlo, incerto.
- Vattene! – lo investì il dottore, chiudendo gli occhi, atterrito dai sentimenti contrastanti che stavano montando dentro di lui, prepotenti, inaspettati e spaventosamente forti. Accecato da essi non sapeva fare altro che allontanare la causa di quel turbamento e vacillando tra rabbia e affetto scelse la solitudine.
La porta si chiuse con uno scatto secco e riaperti gli occhi si ritrovò di nuovo solo.
Si diresse con urgenza verso la propria camera senza ricordarsi di Sofia che era rimasta là in attesa.
Si buttò sul letto e nascose il viso nel cuscino per non mostrare le lacrime. Nel vederlo in quello stato Sofia restò paralizzata. Dal suo punto di vista vedere un adulto, dal carattere così saldo per di più, cedere alla disperazione era destabilizzante. Sebbene avesse visto sua madre in condizioni peggiori.
Si fece coraggio e avvicinandosi lo sfiorò appena – John?
Lui si prese qualche secondo per ricomporsi e si voltò ad abbracciarla, stringendola piano.
- Pensavo di avere chiuso col passato ma è il passato a non aver chiuso con me.[2]– spiegò più a sé stesso che a lei.
 



[1]Credo sia un modo di dire. Ma l’ho letto in Un isola di stranieri di Andrea Levy
[2]Se non ricordo male è da Shekespeare, il Mercante di Venezia
 
 
 
 
n.d.a: c’è tanto di tragedia in tutto questo, ma il prossimo cap. riporterà la serenità, un pochino, e senza questa premessa non sarebbe stato possibile creare quel contesto che potrete vedere se vorrete benevolmente proseguire la lettura. Leggero OOC di John, reagisce in modo troppo violento ma è voluto.
  
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