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Autore: _ L a l a    23/01/2013    3 recensioni
Si fissano e: - potresti almeno togliere il dito dal campanello – commenta lo stregone, ed Alec lo stacca di colpo, arrossendo, realizzando solo in quel momento di aver passato gli ultimi minuti con il dito pigiato sul bottone
ambientata dopo City Of Lost Souls. ARRRGH *cuoricino che si spezza*
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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{I forgot to say out loud how beautiful you really are to me

I can’t be without you, you’re my perfect little punching bag

And I need you, I’m sorry.

.. please, please, don’t leave me. }

 

Alec è sveglio, appollaiato sul divano zebrato che Magnus ha comprato in un mercato durante la loro vacanza. Alec odia quel divano, perché pizzica ed è scomodo, ma odia ancora di più l’idea di dover rimanere sveglio a fissare il buio con Magnus sdraiato di fianco e tutte quelle domande senza risposta che galleggiano nell’aria.

Alec non è bravo con le emozioni, quindi non sa bene come definire quel nodo alla gola che gli si forma quando pensa a Magnus. Alec è confuso, perché quel nodo sa di rimpianto, e di paura, e di voglia, e di gioia. Ma sa anche di colpevolezza e gelosia, di sorrisi rubati e poesie improvvisate. 

Alec vorrebbe che non fosse tutto così maledettamente difficile. Si dice che è stato stupido, che avrebbe dovuto pensarci prima e che non dovrebbe pretendere di sapere tutto di Magnus, perché ottocento anni sono tanti e lo Stregone avrà anche i suoi buoni motivi per non dirgli niente. Ma Alec, infondo, è solo un ragazzo che ha detto troppe parole sbagliate al posto di tutte quelle che avrebbe voluto dire, ed ha solo bisogno di sentirsi dire “va tutto bene”.

Alec ha paura. Ha paura che Magnus non lo voglia più, ha paura di crescere, ha paura di aver sbagliato a liberare Camille per un suo stupido capriccio, ha paura di non essere più di alcun aiuto a nessuno. Forse è per questo che, quando i primi raggi del sole bucano le tende fucsia e Magnus appare sulla soglia, non alza la testa.

- Alec? – domanda Magnus, stropicciandosi gli occhi assonnato, con solo dei boxer ridicoli addosso.  Alec si stringe in se stesso, la testa appoggiata alle ginocchia, gli occhi serrati e la voglia di scomparire per sempre.

Ah. Per sempre.

Alec stringe le labbra, e si ostina a guardare fuori dalla finestra. Sente Magnus sospirare e sedersi accanto a lui, appoggiando un braccio allo schienale, l’altro mollemente abbandonato su un fianco.

Per un po’ si limita a guardarlo, assottigliando gli occhi per la luce del sole che disegna il profilo del ragazzo, poi gli passa un braccio attorno alla vita e lo attira contro di sé.

- lo sai che ti amo, vero? – gli sussurra in un orecchio, allacciando definitivamente le braccia intorno a lui. Alec sobbalza, arrossisce e annuisce vigorosamente.

- anche io – pigola, senza guardarlo negli occhi. Magnus sospira, un sorriso ad increspargli le labbra, mentre appoggia la testa sulla spalla dell’altro.

 

{What you would do if
You were the one 
Who was spending the night
Oh I wish that I
Was looking into your eyes.}

è seduto sullo stesso divano, Magnus, e adesso lo trova brutto anche lui. Odia il modo in cui gli ricorda Alec, i suoi borbottii scontenti ogni volta che ci si sedeva sopra. Ma non può andare in nessun altra stanza, perché sarebbe solo peggio. La camera da letto, poi, è fuori discussione.

Deglutisce il groppo alla gola, mentre afferra il Presidente Miao per la coda e comincia ad accarezzarlo. Il gatto protesta, lo graffia, ma Magnus non ci fa caso.

Pensa solo a quanto sia vuota, la sua casa, ora. A quanto sia vuota la sua vita.

Ride amareggiato, quando realizza che ha fatto di tutto pur di entrare nella vita di Alec, finendo con il lasciarlo in una stupida fogna buia.

Che stupido, che è stato. Ha sempre saputo di esserlo, infondo. Solo uno stupido può innamorarsi ancora dopo ottocento anni di delusioni e ferite.  Ancora più stupido, perché questa volta ci aveva creduto un po’ di più, perché questa volta si era lasciato andare un po’ di più. Perché questa volta era diversa, e aveva fatto finta di non accorgersene.

Il Presidente miagola infastidito.

- stupido gatto – borbotta lo stregone, lasciandoselo scappare dalle braccia. Lo guarda mentre zampetta nel corridoio, sparendo in cucina, probabilmente alla ricerca di cibo.

Alec è stato qui. L’ha sentito non appena entrato in casa. Ha percepito la sua presenza, come un alone che rimane nell’aria, tanto da fargli pensare che si fosse fermato sul divano ad aspettarlo. Ma sul divano c’era solo il Presidente addormentato, e sul comò c’era la piccola chiave  d’argento.

È lì ancora adesso, Magnus non l’ha toccata e quasi vorrebbe farla apparire con uno schiocco di dita nelle tasche dello Shadowhunter, perché tanto lo sa che non può più vivere senza di lui.

Forse me ne posso andare, si dice, con una parvenza di speranza che in realtà è disperazione, potrei fuggire prima che la guerra incominci. Sparire e tornare solo quando sarà tutto finito. Quando non ricorderò nient’altro che i suoi occhi, senza però riuscire ad associarli a nulla. Solo un lampo di azzurro e nient’altro.

Ma Magnus sa che non dimenticherà mai niente, di Alec. Tra duecento anni, probabilmente, si ritroverà ad ordinare lo stesso tipo di caffè che piace a lui solo per sentirlo più vicino.

Che idiota.

Voglio davvero un rimpianto così grande? Si chiede per un millesimo di secondo.

Poi Magnus si ricorda che è arrabbiato, che Alec si è lasciato raggirare da Camille come un babbeo, che voleva renderlo mortale. Non che lui non c’abbia pensato, per l’amor di Dio. Ma è la sua vita. E Alec sarà anche il suo ragazzo, ma non ha alcun diritto di scegliere per lui. Sarebbe come se Magnus lo costringesse ad abbandonare la sua famiglia per lui.

E, con un lampo di rabbia, pensa a quanto sia stato idiota pensare che Alec fosse diverso: diverso dai Lightwood che ha sempre conosciuto; diverso da Camille, che ha sempre giocato con lui come con un burattino; diverso da William, che non ha mai capito; diverso da chiunque altro Magnus abbia amato in passato.

E forse Alec è davvero diverso, o forse è semplicemente l’ennesimo errore. Magnus non lo sa, sa solo che si sente tradito come poche volte prima d’ora.

Chissà poi cosa deve avergli detto Camille, per convincerlo. Non dev’essere stato poi così difficile, Alec è facile da prendere in giro, Magnus lo sa bene. Probabilmente le è bastato raccontargli qualche bugia e stuzzicarlo un po’. Dev’essersi sicuramente divertita parecchio, a confonderlo.

Magnus si sente in colpa per averglielo permesso, per non essersene accorto prima. L’ha sempre saputo, no, che Camille s'interessa solamente dei propri scopi. Ha usato Alec contro di lui, e poi ha usato anche lui. Che stupido, mioddio, che stupido.

Il telefono suona, ma Magnus neanche si alza. Non vuole parlare con nessuno, vuole solo stare solo, vuole lasciare che la sua rabbia lo consumi dentro senza più lasciargli spazio per respirare.

Parte la segreteria.

Magnus” Magnus sobbalza, sentendo la voce di Alec provenire dal telefono, e si alza di scatto, dirigendosi verso il mobile dove si trova il maledetto aggeggio. “io, umh, eh. Io .. io non volevo chiamare. Cioè, si, volevo, sennò non l’avrei fatto, ma avevo … . È che Isabelle ha detto che se non avessi chiamato io l’avrebbe fatto lei, e sarebbe stato ancora peggio.”

Magnus fissa il telefono come ipnotizzato, mentre si immagina di avere Alec di fronte a sé le guance in fiamme e i capelli tutti arruffati. Può vedere distintamente i suoi occhi azzurri che saettano ovunque, tranne che su di lui, per l’imbarazzo.

Alec sospira, e in un sospiro si disperdono i pensieri dello stregone, che sta pensando un milione di cose in contemporanea ma è come se non ne stesse pensando nessuna: c’è la rabbia, l’amaro sulla lingua, ma anche il cuore che batte a mille e la voglia di vederlo. Si scontrano, si picchiano senza pietà, e Magnus immagina le sopracciglia corrucciate del cacciatore, il tremolio delle dita che stringono il telefono.

 “io.. io lo so che hai altro da fare, e che ascoltare un ragazzino in crisi non sta in cima alle tue priorità. Lo so che sono stato un idiota, Magnus, credimi. Sapevo di esserlo anche mentre andavo a parlare con Camille. Mi .. mi sono sentito un mostro. E mi dispiace. Non ho scusanti, lo so. Non ti sto chiedendo niente.” Prende un respiro profondo, e Magnus lo sente che sta tentando in tutti i modi di non suonare come un patetico ragazzino piagnucolante. Per un attimo si dice che è vero, non ha scusanti, non si merita nemmeno che lui ascolti questo stupido messaggio sulla segreteria. “volevo solo..” altro attimo di silenzio, e lo stregone già pensa a come sarebbe bello essere la risposta ad ogni sua domanda, ad ogni sua frase lasciata in sospeso, perché Magnus se lo vede, confuso come non mai, mentre tenta di dare una spiegazione a qualcosa di inesprimibile.

oh, lascia perdere. Non fa niente. Non lo so nemmeno io, cosa volevo. Fa finta che non abbia chiamato, ok?”

Sta per attaccare, e Magnus non può permetterglielo. Non può permettersi un altro rimpianto, non può permettersi il dolore di Alec e non può permettersi nemmeno di scappare. È sempre stato un vigliacco, Magnus, e lo sa. È sempre fuggito quando l’istinto gli diceva che stava per succedere qualcosa di terribile. È fuggito quando Camille l’ha trattato come uno zerbino, e fuggirebbe anche adesso, se solo Alec non fosse così importante. Più importante del suo fottutissimo istinto di conservazione.

Afferra la cornetta con un scatto.

- Alexander – dice, con voce profonda, prima che l’altro riesca a fare qualsiasi cosa. Nemmeno lui sa bene cosa fare, vorrebbe avere qualcosa da dire, qualcosa che dia la pace ad entrambi.

Lo sente che trattiene il fiato, pietrificato nell’imbarazzo e nella paura irrazionale che ogni tanto lo coglie, quando si tratta di sentimenti.

Se ne stanno zitti per un po’, e forse Magnus neanche ha voglia di parlare. Si chiede perché non possa tornare tutto come prima, prima che Jace sparisse; si chiede perché non possa semplicemente schioccare le dita per rimettere le cose a posto.

- perché hai risposto? – domanda ad un certo punto Alec, la voce incrinata.

- non lo so – risponde  sincero Magnus, inclinando il volto di lato.

- che razza di risposta è, non lo so?! – ribatte Alec, piccato, e Magnus ride dell’imbarazzo palese nella voce dell’altro.

- anche tu hai detto di non sapere perché hai chiamato. – risponde lo stregone, arrotolandosi il filo del telefono attorno ad un dito.

Alec si zittisce, incassando il colpo. Rimangono in silenzio un altro po’, e Magnus vorrebbe poterlo guardare negli occhi per leggere tutte le sue emozioni.

- hai detto di non volermi vedere mai più – pigola Alec.

- mentivo – dice con naturalezza Magnus, stupendo anche se stesso, mentre si porta una mano nei capelli. Uno sbuffo di rabbia e stupore, e Alec attacca. Magnus rimane a bocca aperta, il suono del telefono che gli ronza nel cervello. Gli ha appeso.  Non ci può credere.

Il Presidente, dalla cucina, miagola di un suono acuto e fastidioso, chiaro segno che ha fame e che le due crocchette rimaste nella sua ciotola non sono neanche lontanamente abbastanza.

Ma Alec gli ha appena attaccato in faccia, e Magnus fa fatica ad elaborarlo.

Appoggia il telefono, fa comparire il cibo al gatto senza nemmeno pensarci e medita se sia il caso o meno di prendersi una seria pausa da tutto quanto. La risposta è chiaramente si, ma dubita che il suo cervello riuscirebbe a smettere di arrovellarsi.

Guarda la stanza, piena di mobili che, senza un pizzico di magia, non entrerebbero nemmeno dalla porta. Ed improvvisamente gli sembra vuota. Gli sembra di essere la sola persona viva in un raggio infinito di chilometri. Si chiede come sarà, tra qualche millennio o forse meno, quando sulla Terra non ci sarà più niente se non lui.

Polvere alla polvere. Dice una voce nella sua testa, ma Magnus sa che difficilmente diventerà polvere, lui.

E poi pensa che Alec sia davvero l’ultimo che ha diritto ad essere arrabbiato, e che non avrebbe dovuto attaccargli. Che è lui quello che dovrebbe essere arrabbiato, che lui è arrabbiato.

Si lancia sul divano, affondando tra i cuscini e facendo comparire una bottiglia di birra. Si sente solo e molto, molto stupido. La TV si accende ad uno suo gesto, e Magnus prova a dimenticare per un po’, perdendosi nelle repliche dell’ennesima fiction sdolcinata. E la vita gli fa decisamente schifo.

 

{Cause here we are again in the middle of the night
We're dancing round the kitchen in the refrigerator light
Down the stairs I was there I remember it all too well}

 

Neanche venti minuti dopo, il campanello suona. O meglio, suona ininterrotto. Chiunque sia, sta pigiando il dito sul bottone senza alcuno scrupolo.

Si alza svogliato, deciso a rifiutare qualsiasi cliente, con qualsiasi problema o richiesta. È già abbastanza nervoso così.

Si sistema i capelli, poi apre la porta e: - non sono in servizio – dice la sua bocca, senza riuscire a fermarsi, anche se il suo cervello ha perfettamente registrato la figura ansante di Alec, fermo davanti alla porta con cipiglio deciso, il dito ancora premuto sul pulsante. Ha i capelli scompigliati dal vento, le guance rosse come due mele ed il cappotto nero allacciato storto. Magnus lo trova terribilmente attraente, anche se non vorrebbe.

- non m’interessa – replica lo Shadowhunter, recuperando il fiato e fissandolo dritto negli occhi;  lo stregone si chiede come sia possibile che, a volte, l’altro sembri così insicuro. E se abbia corso fino al suo appartamento solo per sputargli addosso tutti gli insulti che, in parte, Magnus si merita.

Si fissano e: - potresti almeno togliere il dito dal campanello – commenta lo stregone, ed Alec lo stacca di colpo, arrossendo, realizzando solo in quel momento di aver passato gli ultimi minuti con il dito pigiato sul bottone. Gli viene in mente di quando lo faceva ogni volta che passava di lì e di come, le prime volte, ancora lo suonasse, nonostante avesse la chiave in tasca.

Magnus è appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate e le sopracciglia incurvate, nella stessa identica posizione in cui il Cacciatore l’ha visto la prima volta; non lo invita ad entrare, non dice niente, si limita a guardarlo come se potesse capire tutto quello che gli ronza in testa solamente guardarlo.

Alec deglutisce la propria ansia, e prende un respiro profondo: i sentimenti non sono il suo forte, e non sa nemmeno cosa vuole dire a Magnus, o perché la rabbia che lo ha spinto fino a lì si sia improvvisamente sgonfiata alla vista dello Stregone, ma sa che non può lasciare che le cose rimangano così. Avrà anche diciott’anni, ma non è stupido, e non vuole che Magnus se ne vada solo perché ha pensato di fare qualcosa.

Apre la bocca, sta per dire qualcosa di probabilmente insensato, quando Magnus lo interrompe:

- se sei qui per insultarmi, Alexander, credo dovrai prendere il biglietto e fare la fila –

- non sono qui per insultarti – replica Alec e, senza nemmeno pensare, aggiunge: - e non chiamarmi Alexander -

Magnus non replica, tira solo le labbra in una strana smorfia.

- l’hai ammesso tu, che mentivi, quando hai detto di non volermi vedere. – gli fa notare, leggermente stizzito. Non si aspettava certo baci e abbracci, ma almeno Magnus potrebbe evitare di sembra così infastidito dalla sua visita.

- questa non mi sembra una buona scusa per venire qui dopo avermi appeso in faccia – ribatte Magnus, divertito. Si impedisce fisicamente di continuare, chiedendogli magari di entrare a bere qualcosa, perché è vero che ama Alec, ma è anche vero che Alec ha preferito credere a Camille, piuttosto che avere fiducia in lui.

- si, bhe, e tu sei uno stronzo. – la parola gli scivola fuori involontariamente, e sembra cadere tra di loro come un pezzo di vetro, andando in frantumi subito dopo, colpendoli con mille e più schegge e lasciandoli entrambi a bocca aperta. Magnus pensa che, in una situazione normale, gli occhi esageratamente spalancati di Alec e la mano che è corsa a coprirgli la bocca, sarebbero esilaranti.

- bene – replica gelido Magnus, assottigliando gli occhi, inviperito. – allora credo che non abbiamo nient’altro da dirci –

Alec boccheggia, preso in contropiede, e Magnus quasi si sente soddisfatto della sua espressione contrita e addolorata. Lo sa che l’altro sta per scoppiare, che finalmente riuscirà a tirargli fuori dalla bocca qualcosa di più delle sue solite, tranquille risposte. Quasi spera che l’altro pianga, in modo che lui si renda conto di quanto sia patetico stare con un ragazzino di diciotto anni. O forse vuole solo che l’altro sappia cosa vuol dire sentirsi traditi dalla persona più importante. È come venir trafitti da un ferro rovente all’altezza del petto e, se Magnus abbassasse lo sguardo, è sicuro che si potrebbe vedere la ferita che Alec gli ha lasciato.

Ma Alec non fa niente di quello che Magnus avrebbe potuto prevedere: semplicemente, con un sospiro tremante e gli occhi grandi e spalancati, fa un passo indietro. E poi un altro, a testa bassa.

Non lo guarda quando: - forse.. – mormora, – forse hai ragione – e la sua voce sa di rimpianto ed occasioni perse per sempre.

Per sempre.

Magnus deglutisce l’amaro che gli brucia in bocca, pensando a quanto sia lungo, l’eterno. Alec non ha tutto quel tempo, Alec morirà, ed anche presto, e Magnus non riesce neanche a prendere in considerazione l’idea.

Com’è possibile? Si sente più lunatico di una donna con il mestruo: è incredibile come, fino ad un attimo fa, fosse talmente arrabbiato con Alec dal volergli fare male, mentre adesso non può neanche accettare che morirà. È Alec, è l’effetto che gli fa quasi sempre: non riesce a rimanere arrabbiato, neanche quando vuole, e lo fa sentire così stupido.

Alec, che ora chiude gli occhi e si volta.

Non si guarda indietro, mentre scende le scale. Le stesse scale che ha salito e sceso ogni giorno, dove si sono baciati, abbracciati, salutati miliardi di volte.

- Alexander – lo chiama, senza poter resistere, maledicendosi in tutte le lingue che conosce.

Alec sobbalza, fermo a metà scala, e Magnus inizia seriamente a chiedersi che cosa non vada nella propria testa.  Ci dev’essere per forza qualcosa  di storto. Forse i troppi libri gli hanno incasinato la mente più di quanto credesse.

Ma anche Alec dev’essere piuttosto confuso perché, quando si gira verso di lui, la sua espressione va dall’arrabbiato allo sconcertato.

- smettila – dice, con lo stesso cipiglio deciso che ha in battaglia. – non ho intenzione di giocare al tira e molla con te. –

Magnus vorrebbe ribattere che lui non sta giocando a tira e molla, sta solo tentando di capire cosa vuole sul serio e che la sua mente non fa altro che mandargli messaggi discordanti, ma Alec continua a parlare come un fiume in piena: - hai detto che non volevi vedermi mai più ma rispondi alle mie chiamate, affermi che non abbiamo più niente da dirci ma mi fermi prima che me ne vada. Cosa vuoi, Magnus? – scuote la testa, ed i capelli gli si arruffano ancora di più. – io non ti capisco. Ma è inutile che io ci provi, perché tanto non mi dici mai niente, non mi racconti nulla! A quante delle mie domande hai risposto, eh, Magnus? – gli lancia uno sguardo di sfida cui Magnus risponde con un’occhiata sorpresa. Alec sale di qualche gradino. – ti stupisce tanto pensare che io abbia preferito fidarmi di Camille piuttosto che di te? –

- hai complottato con lei per rendermi mortale!  – ringhia Magnus, mentre il suo cervello si divide in due parti che ingaggiano una guerra tra di loro, impedendogli di pensare lucidamente. Alec continua a salire.

- no! – esclama Alec, alzando la voce per la prima volta. – ho pensato di farlo, è vero. È inutile negarlo, giusto? Ma questo non cambia il fatto che io abbia rifiutato l’accordo. Non l’avrei fatto, Magnus. Te lo giuro sull’Angelo –

E Magnus vorrebbe tanto credergli, perché si vede che Alec è sincero, in questo momento. Ma la rabbia gli brucia ancora in petto e fa male, malissimo.

Ormai Alec è arrivato al pianerottolo, ma non si avvicina a lui. Con la mano aggrappata alla ringhiera, lo guarda con un misto di tristezza e dispiacere che lo rendono affascinante come un attore di un film in bianco e nero.

- mi dispiace, lo so di essere stato un idiota e di aver sbagliato. Ma non posso credere che tu mi stia lasciando perché ho pensato di fare qualcosa – fa uno strano sbuffo, tra il divertito e l’amareggiato. Magnus lo guarda, e sente la rabbia sciogliersi e scivolargli sulla pelle, giù, giù, fino al pavimento. – è ridicolo, non trovi? Se tutte le persone dovessero pagare un prezzo per quello che pensano, credo che saremmo tutti al verde. –

Gli sorride mestamente, le guance che diventano improvvisamente rosse quando realizza di aver appena fatto un discorso riguardo ai propri sentimenti senza che nessuno lo spronasse o senza sentirsi terrorizzato. Magnus stesso se ne sorprende, si stupisce di come Alec si sia aperto con lui; e si sente in colpa, perché Alec infondo ha ragione e lui ha passato il suo tempo ha fare l’idiota.

Ma come fa a sapere che Alec non l’avrebbe fatto davvero? È ovvio che abbia potuto solo pensarlo, forse l’ha scoperto prima che potesse fare niente.

- i..io credo che siano le azioni, a contare, Magnus. – scrolla le spalle, mordendosi il labbro inferiore. – in battaglia si pensano sempre mille strategie prima di scegliere quale mettere in atto. -  si fissa le mani, macchiate da righe nere e cicatrici, poi le lascia cadere mollemente lungo i fianchi.

- e adesso è il momento di fare una mossa. – sospira, fissa gli occhi cerulei in quelli verdi di Magnus, che vorrebbe solo non essere così stupido da essere ancora innamorato di lui.

Li separano solo due passi, ma a Magnus sembrano milioni di chilometri.

- immagino di si – mormora lo stregone, prima di allungarsi ad afferrare l’altro per un braccio, tirandoselo addosso, il più vicino possibile, perché anche se non vuole ammetterlo Alec gli è mancato come l’aria. Si baciano, come quelle coppie nei film che Alec prende sempre in giro, perché sembrano mangiarsi la faccia a vicenda.

Non vuole che si allontani. Non vuole che se ne vada mai più.

{I’d spend a life time with you

I Know your fears and you know mine

We’ve had our doubts but now we’re fine

And I love you, I swear that’s true

I cannot live without you.}

 

Le labbra di Alec sanno di notte e di freddo, quando si scontrano con le sue, cozzando  come se non sapessero più bene come muoversi.

Le mani dello stregone corrono sotto il cappotto dell’altro, lo strattonano senza un motivo particolare, mentre quelle di Alec si aggrappano alle sue spalle con forza, le dita affondate nella maglia leggera che ha indosso.

Magnus vorrebbe ridere, quando la lingua del cacciatore diventa più irruenta, scontrandosi con la sua dopo quelli che gli sono sembrati anni, ma che in realtà sono solo giorni. Lo trascina dentro casa, chiude la porta con un calcio e ce lo sbatte contro, senza mai smettere di baciarlo. Si rende conto solo ora che stargli lontano è stato come smettere di respirare per dispetto, ed ora tutte le sue cellule si tendono allo spasmo verso l’ossigeno. Che stupido a poter credere di vivere senza di lui.

Si stacca solo per prendere fiato, e per guardare le schiuse labbra dell’altro, e i suoi occhi azzurri, offuscati ma luminosi.

- scusa – mormora Alec, sulle sue labbra, mandando infiniti brividi su tutto il corpo dello stregone.

- scusa tu – replica in un soffio Magnus, intenerito dal pigolio dell’altro, passando a mordicchiargli il lobo di un orecchio con malcelata malizia. Alec sussulta, geme flebile e: - sono stato un idiota –

Magnus sorride contro la sua spalla, Alec lo sente schiudere piano le labbra: - lo siamo stati entrambi –

Alec mugugna il suo apprezzamento, sospira pesantemente e si rilassa contro la porta. Ma Magnus intuisce che sta per parlare un’altra volta, lo sa dal modo nervoso in cui si muovono le dita del cacciatore sulla sua schiena, così lo blocca in tempo: - Alexander Gideon Lightwood – esordisce, il respiro affannoso – di’ solo un’altra parola e giuro che ti faccio apparire il Presidente nei pantaloni –

Alec borbotta qualcosa tra lo scandalizzato e l’imbarazzato a morte, ma alla fine, lasciando che Magnus lo spogli del cappotto e della felpa sgualcita che ha indosso.

È uno stupido, Magnus se ne rendo conto anche adesso, adesso che Alec si sta lasciando baciare come se non fosse successo niente, mentre le sue mani giocano timide con il bordo della maglia dello stregone.

È uno stupido, ma la cosa gli piace terribilmente, lo fa sentire molto più entusiasta e vivo,  e forse in un futuro neanche troppo lontano i problemi gli ricadranno addosso come macigni e rimpiangerà un sacco di cose, ma ora c’è solo Alec, con i suoi occhi blu e le smorfie imbarazzate. Alec, fatto di vetro, trasparente e fragile, forse un po’ scheggiato, ma comunque ancora intatto.

Alec, che sorride contro la sua spalla quando Magnus gli sussurra: - Aku cinta kamu

- ma questa volta cambia, vero? – domanda il Cacciatore, speranzoso, posandogli un bacio casto sul collo che manda il sangue di Magnus tutto in basso.

Magnus si scosta, lo guarda negli occhi, dicendosi che adesso è ancora in tempo, può ancora scappare, che se deve farlo è adesso o mai più. Ma si sente un mostro al solo pensiero: ha tentato tutta la vita di non apparire come tale, non può diventarlo proprio davanti alla persona più importante.

Così gli sorride.

- cambia tutto – afferma in un sussurro, quasi stupendosi delle proprie parole, e Alec si morde il labbro inferiore, abbassando lo sguardo, le guance rosse come fuoco.

Magnus si preme contro di lui, con tutto il corpo, come se volesse impedirgli di andarsene; ma Alec non ne ha alcuna intenzione, glielo fa capire perfettamente quando gli mordicchia piano il labbro, gli occhi  chiusi, come se tutto questo fosse troppo imbarazzante per essere visto.

Le dita dello stregone gli si arrampicano lungo la schiena, sotto la maglietta scura, salendo con tocchi leggeri che fanno sobbalzare ogni volta il Nephilim. Magnus trova adorabile e incredibile come l’altro riesca a rimanere sempre così innocente.

Gli segna il contorno delle labbra con la lingua, ad occhi chiusi, mentre gli sfila anche la maglietta. Poi, per par condicio, si spoglia della propria, lanciandola da qualche parte, soddisfatto dello sguardo di Alec, fisso su di lui.

Stringe le braccia intorno alla vita del ragazzo, sollevandolo un po’ dal pavimento, mentre lo bacia, il viso piegato per avere un angolazione migliore. E Alec lo lascia fare, gli stringe le gambe in vita istintivamente, troppo preso dal bacio per accorgersi sul serio che Magnus lo sta trasportando fino al maledetto divano zebrato.

Lo stregone ghigna, alla vista degli occhi spalancati di Alec, quando lo lancia con poca grazia sul divano. Si tira a gattoni sopra di lui, le mani ai lati del suo volto. Si perde qualche attimo a guardarlo, le labbra gonfie di bachi e gli occhi azzurri, così trasparenti che Magnus riesce a distinguere tutte le sue emozioni. Forse è per questo che Alec raramente fissa la gente negli occhi: probabilmente sa di essere un libro aperto.

Magnus si passa la lingua sulle labbra, mentre si china su di lui, e l’altro chiude gli occhi in aspettativa. Sono ad un soffio l’uno dall’altro, quando il telefono di Alec squilla, la musichetta dell’orrore che Magnus ha impostato per il numero di Isabelle che riecheggia per tutto il salotto.

- per l’Angelo! – borbotta Alec contrariato.

Magnus si alza in fretta, recupera il cellulare dalla tasca del cappotto e: - che vuoi? – sbuffa.

- picchiarti – risponde prontamente Isabelle.

- non ne vedo il motivo – replica con un ghigno lo stregone.

- ce ne sono fin troppi, credimi. Ma visto che hai risposto tu presumo che non sei così idiota come credevo –

Alec appoggiato sui gomiti, lo guarda incuriosito, mentre riprende lentamente fiato.

- volevi solo sapere quanto sono idiota? – domanda Magnus, estremamente divertito, facendo ridere Alec, che si passa una mano trai i capelli arruffati.

- no. devo parlare con Alec –

Magnus sospira e, senza nemmeno salutare la ragazza, lancia il telefono ad Alec, che lo afferra al volo.

- Izzy, dimmi –

Magnus lo guarda ascoltare la sorella, e dalla sua espressione capisce che dovranno continuare un’altra volta. Non che si aspettasse un po’ di pace, per una volta, eh.

Recupera la maglietta del ragazzo da terra.

- si. Si. Izzy, ho capito. dammi cinque minuti e arrivo –

Chiude la telefonata con un sospiro, infilandosi il cellulare nella tasca dei jeans. Poi alza lo sguardo su di lui.

- mi dispiace – dice, e Magnus, in tutta risposta, gli lancia la maglia e la felpa: - non fa niente –

Alec si alza, vestendosi in tutta fretta ed infilandosi la felpa al contrario, poi recupera il cappotto dalle mani di Magnus. Se lo allaccia con fare poco convinto, e sta per aprire la porta quando si gira verso lo stregone:

- ci.. ci vediamo più tardi? – chiede timoroso, cercando lo sguardo dell’altro.

Magnus sorride, afferra senza nemmeno pensarci la piccola chiave d’argento, e gliela ficca in mano.

Alec la stringe e guarda stupito. Poi gli sorride, di un sorriso così innocente e sincero che il cuore di Magnus manca un battito. Sorride anche lui, posandogli un bacio casto sulle labbra.

- quando vuoi, dolcezza –

 

{Stay and I'll be loving you for quite some time
No one else is gonna love me when I get mad mad mad
So I think that it's best if we both stay stay stay stay}

 

 

 

NDA.

Questa FF fa letteralmente schifo. Magnus sembra stare sull’altalena, e su e giù e su e giiù.. sembra isterico (forse lo è).  E probabilmente è meno arrabbiato di quello che dovrebbe essere. Molto meno.

Non che io pensi che lui sia dalla parte del giusto, eh. Io sto dalla parte di Alec punto e stop. C’è, io mi offenderei ad essere lasciata per aver pensato di fare qualcosa (ma Alec ha l’autostima sotto i tacchi e quindi si sente uno schifo comunque).

Per non parlare della prima parte. Quella si che è terribile.

Comunque. Fingendomi una persona seria che non ha appena postato una castronata, la FF è ambientata alla fine di COLS. Ho allegramente ignorato gli snippets della Cassie sul telefono di Alec, perché mi serviva e quindi YEAH.

Insomma, se non si capisce, essendo io mentalmente confusa riguardo alla Malec, ho scritto di come dovrebbero tornare insieme. O meglio: vorrei che tornassero insieme in un modo un po’ migliore, ma questo è già un inizio.

l'idea, comunque, era di farli coffcopularecoff, ma non è riuscita. bha. bho.bhe. riuscitò mai ad andare oltre il giallo?! chi lo sa.

Le parti in corsivo sono canzoni. In ordine:

·         Please don’t leave me  - P!ink

·         Thinking of you – Katy Perry

·         All too well – Taylor Swift

·         Goodbye my lover – James Blunt

·         Stay stay stay – Taylor Swift

 

A conti fatti, vi pregherei di lanciare ortaggi non a me ma a Lils_  (me la pagherai, infida creatura!) che mi ha costretta a postare. Fosse stato per me,vi avrei anche salvato da questa disgrazia.

(ma anche a me. me li merito per aver scritto 'sta scempiaggine)

_ L a l a

   
 
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