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Autore: Padmini    24/01/2013    8 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Orbene. Facciamo passare un po' di anni … Sherlock e John sono cresciuti, ma qualcosa li dividerà.

Questo capitolo si intitola 'Memoria' per due motivi: perché qualcuno la perde e perché è un insieme di ricordi.






 

 

Memoria

 

 





 

 

 

Afghanistan, 21 anni dopo

 

“Capitano! Capitano! Si svegli!”

Albert Murray, attendente del capitano, lo scuoteva energicamente, sperando che si risvegliasse.

“Come sta?”

“Ha perso molto sangue?”

“Capitano!”

“Coraggio, capitano!”

“Maledetti!”

“Dobbiamo portarlo subito in infermeria! Muovetevi!”

Altre voci, lontane e sovrapposte, lo intontirono.

Era stato appena colpito da un proiettile che gli aveva fratturato l'osso, sfiorando l'arteria succlavia. Era pienamente cosciente della sua situazione clinica e ciò lo preoccupò ancora di più. Sapeva che doveva restare sveglio il più possibile, ma proprio non ce la faceva. Le voci dei suoi compagni si fecero pian piano più lontane e indistinte. Anche il viso di Murray cominciò a farsi sfocato e alla fine tutto si fece buio.

 

Due giorni dopo si risvegliò in un letto d'ospedale. Tutto era bianco, candido e puro. Tutto era chiaro, tranne la sua memoria. Provò a sollevarsi, ma un dolore fortissimo alla spalla lo fece rinunciare.

“Non deve sforzarsi, Dottor Watson” gli disse una voce femminile.

Si girò. Era un'infermiera. Lo osservò per qualche istante con dolcezza, poi si girò verso un'altra donna e le sussurrò qualcosa che John, nella sua confusione mentale, non capì. Pochi minuti dopo apparve un giovane soldato.

“Capitano! Capitano Watson! Si è svegliato, finalmente!”

Lo guardò stranito. Con chi stava parlando? Di chi stava parlando?

“Cosa … non capisco … lei chi è? Io … io non capisco ...”

L'uomo lo guardò e nel suo sguardo si leggeva tutta la preoccupazione che doveva provare in quel momento.

“Capitano … non si ricorda di me?”

Rise. Come poteva ricordarsi di lui? Non ricordava nemmeno di se stesso! Scosse la testa, ma rimaneva nel buio più totale.

“Non ricordo nulla … nulla ...”

“Nulla?!”

“Non saprei … è tutto così confuso ...”

Murray annuì e cominciò a pensare a cosa dire per aiutarlo.

“Dunque, lei si chiama John Hamish Watson ed è un soldato, ma soprattutto un chirurgo. Lo ricorda?”

John lo guardò con gli occhi sgranati per il terrore. Ricordava le nozioni apprese all'università e ora che glielo aveva detto, si ricordava di essere un medico, ma tutto il resto era in ombra. Non capiva più dov'era e chi era.

“Non si preoccupi, John” lo rassicurò Murray “Pian piano ricorderà tutto”

 

 

 

 

 

Londra, ospedale Saint Bartolomwes, pochi mesi dopo

 

Sherlock Holmes percorreva a lunghi passi il corridoio dell'ospedale. Finalmente il suo cellulare aveva ricominciato a collaborare e riuscì a mettersi in contatto con suo fratello.

“Mycroft!”

“Che c'è ora?” rispose lui con voce stanca.

“Ho bisogno di un'informazione, subito”

Dall'altro capo del telefono si sentì uno sbuffo.

“Cosa vuoi?”

“John Hamish Watson” rispose Sherlock “Ho bisogno di informazioni su di lui”

“Cosa?” domandò Mycroft. Sherlock intuì che il fratello doveva essersi rizzato sulla poltrona.

“Proprio lui” rispose seccato “Che informazioni puoi darmi?”

“Perché ti interessa?” domandò.

“Sai se per caso ha avuto problemi di memoria?” chiese, ignorando la domanda postagli.

“Dovrei controllare … perché?”

“Prima ci siamo incontrati. Non mi ha riconosciuto, ma ho imputato la cosa al fatto che non ci vedevamo da anni ma poi … gli ho detto il mio nome”

“Dunque? Nemmeno allora ha dato segni di ricordarsi di te?”

Sherlock annuì al telefono.

“Esatto. Sherlock Holmes è un nome piuttosto insolito, difficilmente si dimentica. A seguito del trauma subito, perché è evidente che ha subito un trauma, deve aver perso la memoria. Immagino che lo abbiano curato e aiutato a ricordare, ma non credo che tra le priorità dei suoi familiari ci fosse un ragazzino a cui ha fatto da babysitter da giovane. Controlla e fammi sapere”

Chiuse la telefonata e tornò a casa. Sapeva che John non avrebbe rifiutato di convivere con lui, nonostante non l'avesse riconosciuto. Non si vedevano da quando era partito per Netley, appena presa la laurea, perciò non sapeva nulla di lui dopo tale data, ma era sorpreso dal fatto che non si ricordasse più di lui. La risposta gli arrivò due ore più tardi, quando era ormai tornato a casa.

 

Sms: Mycroft

Memoria persa dopo un incidente. MH

 

Sherlock sospirò tristemente. Il suo Jawn si era dimenticato di lui, ma era sicuro che, con il tempo, pazienza e magari un colpo di fortuna, si sarebbe ricordato di lui. Non sapeva come, non sapeva quando, ma ci sarebbe riuscito.

 

 

 

 

 

Londra, Piscine

 

Stava ancora tremando. La temperatura all'interno della piscina era costante e non sentiva freddo anche se Sherlock gli aveva bruscamente tolto il giaccone esplosivo, ma non riusciva a tenere sotto controllo i fremiti che lo scuotevano.

Aveva già provato quella sensazione prima, ma mai così intensa. I puntini rossi sulla pelle di Sherlock lo avevano raggelato. La paura di perderlo gli aveva stretto il cuore in una morsa gelata, che lo aveva paralizzato.

Non era la prima volta che quello scapestrato rischiava la vita, ma quella volta c'era qualcos'altro. Lui era andato da Moriarty … James Moriarty … quel nome gli ricordava qualcosa. Moriarty lo aveva invitato a giocare e Sherlock aveva risposto all'invito.

Tutto ciò era tremendamente familiare, ma non riusciva a connettere le idee. La paura di morire e di perdere Sherlock lo aveva confuso e ciò che riuscì ad ottenere fu soltanto un gran mal di testa.

Sherlock lo vide in difficoltà e si affrettò a raggiungerlo per aiutarlo a camminare. Lo prese per un braccio e lo sostenne, mentre uscivano lentamente dall'edificio per tornare a Baker Street.

“Andrà tutto bene, John. Andrà tutto bene e … scusa” disse poi, abbassando la testa in segno di contrizione.

“Di cosa ti scusi?” gli domandò John, la cui voce tradiva ancora la paura “Mi hai salvato … tu ...”

“No” rispose Sherlock, scuotendo vigorosamente la testa “Non è così. Tu mi hai salvato … per l'ennesima volta. Sarai stanco di farmi da babysitter, no?”

Si voltò verso John, sperando che la frecciata lo aiutasse a recuperare la memoria, ma John prese le sue parole come una battuta pura e semplice, infatti cominciò a ridere e anche la sua tensione sembrò calare. Anche Sherlock lo imitò, rassicurato dalla sua ritrovata serenità.

James Moriarty … i pensieri di Sherlock tornarono a lui. Ancora non aveva imparato la lezione, dunque? La storia di Edmund Talbot non era stata sufficiente? No, non avrebbe permesso a Moriarty né a nessun altro di dividerlo da John o di fargli del male.

 

 

 

 

 

Londra, Queen Annes' Street.

 

Erano passati tre anni. Tre lunghissimi anni da quel giorno maledetto, in cui il fantomatico James Moriarty si era portato via il suo migliore amico, ma non riusciva a dimenticare, anche se voleva farlo. Voleva dimenticare tutto quel dolore, quel pugno che gli stringeva il cuore ogni volta che pensava a Sherlock. Si era trasferito, aveva cambiato abitudini, ma nulla sembrava salvarlo dal ricordo. Inoltre altri dubbi sorgevano alla sua mente.

James Moriarty.

James Moriarty o Richard Brook?

Quale dei due era vero? Chi mentiva?

Era certo, assolutamente certo della sincerità di Sherlock. James Moriarty esisteva veramente. Lo avevano incontrato per la prima volta alle piscine … no. Non era quello il momento dell'incontro.

Si scompiglio i corti capelli biondo scuro e strinse gli occhi. Perché si ricordava di lui? C'era, nella sua memoria, un ricordo legato a quel nome. Un nome sussurrato nel silenzio della stanza di un bambino, un nome temuto. Chi era quel bambino? Era uno dei due rapiti? Quando Moriarty si era intrufolato nella scuola per rapire i fratelli e far incolpare Sherlock?

No, impossibile. Lui non era presente, non poteva avere quel ricordo.

Sapeva di aver perso la memoria. Grazie ad Harry era riuscito a recuperare parte del suo passato, ma c'erano ancora tanti vuoti.

Sapeva che per riempirli avrebbe dovuto cercare delle prove, degli stimoli esterni. Il problema era … dove? Dove cercare? A Baker Street? Sì, avrebbe cominciato da lì, ma … ne aveva veramente il coraggio? In fin dei conti erano passati tre anni! Tre maledettissimi anni!

Lui era un soldato! Aveva visto decine di soldati come lui, morire sotto le sue impotenti mani, ma allora? Cos'era quel dolore fisico che provava ogni qualvolta il suo pensiero tornava a lui?

Uno dolore impossibile da respingere, che lo braccava, inseguendolo nei sogni, braccandolo tra le vie di Londra, dove ogni angolo, ogni stradina, gli ricordava … lui.

Guardò l'ora. Era ormai tardi. Il giudice lo stava aspettando per la deposizione sul caso Aldair, per il quale aveva fatto da medico legale.

Il giovane era stato trovato morto nel suo studio, ucciso da un proiettile a punta morbida. Un apparente suicidio, che non trovava conferma in alcuni dettagli riscontrati nello studio. John ripensò subito all'affare della mafia del Loto Mero, ma gli sembrò impossibile che il giovane Ronald Aldair potesse c'entrare, inoltre non aveva nessun tatuaggio sotto il piede che giustificasse un'esecuzione.

Si era sforzato di osservare oltre che guardare, come diceva Sherlock, ma era stato tutto inutile.

Se non era un suicidio, il cecchino doveva essere estremamente abile, fin troppo bravo.

Raccolse le carte e si diresse al tribunale.

 

 

L'udienza fu lunga e tediosa. Se Sherlock fosse stato lì, si sarebbe annoiato a morte. Forse avrebbe cercato di indovinare … no, lui non indovinava mai … di dedurre le professioni dei presenti per poi sussurrargliele in un orecchio facendolo ridere. Infatti rise. Rise a quel ricordo verosimile … verosimile … già. Ormai poteva solo immaginare come poteva essere avere Sherlock al suo fianco.

Si fermò.

Un'improvvisa fitta al petto gli fece chiudere gli occhi e cominciò a lacrimare. Non c'era nulla che non andava in lui. Aveva fatto esami su esami, ma continuava a sentire dolore al cuore e non poteva farci nulla.

Poi, così com'era comparsa, la fitta svanì. Sentì un vento caldo, benefico e rassicurante, sfiorargli il viso. Eppure attorno a lui sembrava che nessuno lo avesse percepito. Ricominciò a camminare e non si accorse di un uomo che gli camminava al fianco e andò a sbattergli contro, facendolo cadere.

“Faccia più attenzione, giovanotto!” gli disse il vecchio, con voce roca e gracchiante, cominciando a raccogliere una pila di vecchi libri sgualciti.

“Mi scusi, signore” provò a dire John, ma quello sembrò non ascoltarlo.

Era un signore molto vecchio, ingobbito e canuto, con uno strano completo scuro e rovinato dal tempo e dall'usura. Lo guardò con rabbia e se ne andò borbottando fra sé e sé, calcando con più energia il cappello sulla testa.

John, ancora turbato da quell'incontro, si lisciò la giacca sporca di polvere e fu in quel momento che lo vide. Era un quaderno. Un vecchio quaderno spiegazzato. Sulla copertina erano incollati con precisione alcuni fogli disegnati da un bambino. C'era una nave con lo scafo d'argento e le vele nere, un pirata con i capelli corvini e una benda sull'occhio e un'isola del tesoro.

Lo raccolse tremando. Lo aveva già visto! Eccome se lo aveva già visto! Lo aprì lentamente e riconobbe all'istante la sua scrittura, quella che Harry gli aveva fatto vedere negli appunti di medicina e che era riuscito a recuperare nel tempo. Quella scrittura larga e precisa che non l'aveva mai abbandonato.

 

 

Capitan Sherlock Edmund Talbot e il tesoro di Barafundle Bay

   
 
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