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Autore: _Lalli    24/01/2013    8 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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La narrazione è in mano ad Arya, che racconta in prima persona le sue vicende a partire dal rapimento da parte di Durza. Siamo già dopo la fine di Inheritance e tutta la storia è un gigantesco flashback.
Gli eventi dei quattro libri verranno manipolati fantasiosamente a favore della trama che ho immaginato, cercando tuttavia di non alterarli. Mi limiterò a costruire delle trame sotterrane e a riempire i "buchi" che Paolini ci ha lasciato alla fine di Inheritance.
Coppia: Crack Pairing. Durza x Arya.
Rating: Arancione.
ATTENZIONE! Ampio spoiler dei quattro libri!

Buona lettura! ^_^


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1. La cattura


Cara Nasuada,
Se tutto andrà bene come spero, quando leggerai questa mia lettera io sarò molto lontana.
Il mio popolo ti avrà già sicuramente informata delle mie malefatte e della mia fuga. Voglio che tu sappia che non sono pentita di nulla di ciò che ho fatto. Sono solo dispiaciuta di essere stata, indirettamente o meno, causa di così tante morti e sofferenze.
A questa mia lettera allego un flusso delle mie memorie degli ultimi mesi, tutto ciò che mi ha portato alle scelte che ho compiuto. Le confidenze che ho sempre rifiutato di farti.
Scriverti tutto questo potrebbe essere pericoloso, ma voglio che almeno tu sia cosciente delle ombre che questa terra ha nascosto a tutti, e quelle che probabilmente ancora cela. Tu sei regina in un tempo in cui tutto è in precario equilibrio, ancora più che durante il regno di Galbatorix. Ti prego sii prudente, amica mia.
Non rivelare a nessuno l’esistenza di queste parole e distruggile non appena puoi. Le informazioni che contengono trattano anche di persone che sono ancora in vita, alcune anche intorno a te. Se qualcuno venisse a sapere che sono in mano tua, potrebbe decidere di ucciderti.
Che le stelle ti proteggano,
Arya.


Mi strinsi forte alla coperta imbottita, avvicinandomi ancora un po’ al fuoco. Dannazione al freddo!
Lo odiavo da sempre, e non mi risparmiai di odiarlo neanche quella notte. L’inverno si stava avvicinando, e io dovevo arrivare alla mia città, Ellesméra, prima della caduta della prima neve, e portarvi al sicuro la bisaccia che avvinghiavo a me anche mentre dormivo. Ero la custode dell’ultimo e unico uovo di drago in possesso alla resistenza, l’uovo di zaffiro.
Da quindici anni ormai la mia vita era un continuo ritmo cadenzato. Ellesméra-Tronjheim. Tronjheim-Ellesméra. Restavo un anno in ciascuna delle due città, nella speranza che l’uovo si schiudesse per qualcuno, o umano o elfo che fosse. Ma ormai si stavano perdendo le speranze, il drago non dava il minimo cenno di collaborazione, e io continuavo ad attraversare Alagaësia a vuoto.
Non che mi dispiacesse, ovvio. Per avere quell’incarico avevo rinunciato a tutto e tutti. Persino a mia madre, colei che più di tutti si era accanita contro di me e la mia decisione, la donna che mi aveva dato la vita e che si era poi affrettata a ripudiarmi non appena avevo deluso le sue aspettative.
Scacciai in fretta quel pensiero velenoso, mi gelava le ossa, e non ne avevo certo bisogno in quel momento.
Mi accoccolai ancora più stretta al tesoro che giaceva tra le mie braccia, alla ricerca di una maniera decente per addormentarmi, invano. Ero troppo agitata quella notte e non seppi spiegarmi il perché.
Mi alzai a sedere di scatto, sospirando scocciata capendo che sarebbe stata una notte insonne. I miei occhi si andarono a scontrare contro una figura scura, accucciata di fronte a me.
«Scusami» sussurrò Fäolin, «ti ho svegliata».
Sorrisi appena. «Figurati».
Fäolin ed io eravamo amici fin da quando io ero bambina. Di trent’anni più vecchio di me, lui era stato l’unica luce della mia triste e desolata infanzia, stipata di impegni, lezioni, etichetta. L’unico, oltre alla mia nutrice, ad avere provato sincero affetto per me, mentre tutti i cortigiani non facevano altro che elargire consigli e sollecitazioni al solo scopo di prepararmi al mio futuro di regnante. L’unico ad avermi offerto un sorriso o una parola gentile, quando mia madre passava per i corridoi salutandomi appena, troppo impegnata a soffrire per la morte del mio valoroso padre Evandar. Padre che non avevo nemmeno mai conosciuto.
Quando avevo ottenuto l’incarico di ambasciatrice degli Elfi, lui mi aveva seguito nei miei viaggi, non prima di avermi confessato di amarmi profondamente.
Allora lo avevo ferito. Imbarazzata e completamente ignorante della situazione, avevo iniziato a trattarlo con più freddezza, allontanandolo da me. Con il passare degli anni e dei viaggi attraverso il paese, sempre insieme, il nostro legame era diventato più forte che mai, e io avevo capito la portata del profondo affetto che sentivo per lui. Tanto che quella notte potevo benissimo definirmi innamorata di lui.
E lui lo sapeva, glielo avevo confessato un mesetto prima, mentre aspettavamo novità sulla schiusa dell’uovo, che poi non era avvenuta. Non che da allora fosse cambiato molto tra di noi, eravamo sempre in missione, sempre all’erta, sempre con Glenwing a guardarci le spalle. E a toglierci ogni possibilità di restarcene un po’ per i fatti nostri per più di cinque minuti. Ma ogni tanto, come quella notte ad esempio, riuscivamo a ritagliarci un angolino di solitudine.
«Non dormi?» mi chiese, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«No» borbottai distratta, «è freddo».
Mi sorrise premuroso. «Vuoi che aumenti il fuoco, Arya?»
Scossi il capo. «Vado a fare una passeggiata».
Mi alzai in piedi di scatto, uscendo dal cerchio luminoso creato dalle fiamme.
«Aspetta». La sua mano si serrò sicura sul mio braccio. «Non possiamo abbandonare il nostro compare». Annuì in direzione di Glenwing, che russava rumorosamente.
Ecco perché non dormo. Mi ritrovai a pensare, piccata.
«Resta con lui» dissi tranquilla.
Scosse la testa. «Non puoi certo andare in giro da sola con il tesoro più prezioso che abbiamo attaccato al collo».
«Giusto» mi arresi, tornando a sedermi accanto alle fiamme.
Mi raggiunse silenziosamente, sedendosi accanto a me.
«Senti Arya» cominciò incerto, «stavo pensando.. una volta finita questa missione che ne sarà di noi?»
Quella era una domanda che mi ponevo anche io da tanto, tanto tempo, ma che confinavo rapidamente ai margini del mio cervello, per non poterla prendere in considerazione in alcun modo. Cosa avrei mai fatto dopo che la mia vocazione si fosse estinta? Forse per allora mia madre avrebbe perdonato le mie scelte, che riteneva tanto sbagliate? L’idea della schiusa dell’uovo e della sconfitta del re era troppo lontana perché io potessi prendere in considerazione il mio futuro.
«Non saprei» risposi vaga. «Troveremo qualcos’altro da fare.. potremmo continuare a combattere per l’esercito o..»
«Non intendevo quello» mi interruppe con dolcezza.
«Cosa allora?» Gli domandai, increspando la fronte.
«Intendo cosa accadrà tra noi due» specificò.
Sorrisi. «Hai qualche idea?» mi informai curiosa.
«Beh io vorrei chiederti ufficialmente come mia fidanzata» disse convinto, prendendomi una mano.
«E io credo che allora accetterò» lo rassicurai.
Sgranò gli occhi. «Davvero?»
Risi. «Sì!» Sembrava un bambino.
«Quando finisce tutto, allora sarai la mia fidanzata?»
«Quello dipende».
«Da cosa?»
«Da te».
Lo vidi farsi pensieroso. «Io chiederei la tua mano in questo stesso istante, Arya, sappilo, ma non so se tua madre sarebbe d’accordo».
«Io non ho mai avuto una madre» lo informai con amarezza.
«Non dire così».
«Sii realista» ribattei risoluta. «Meno mi vede, meglio sta. Ed è reciproco».
«Ma non è vero..»
«Basta!» lo zittii piuttosto freddamente.
Glenwing grugnì disturbato nel sonno.
«Scusami». Tornai a parlare in un bisbiglio, per non svegliarlo. «Ma devi capire che lei non ha alcuna influenza nella mia vita. Se devi chiedere qualcosa, chiedilo direttamente a me».
«Tu vorresti essere la mia fidanzata?»
Accennai un sorriso «Magari prova a domandarmelo quando saremo ad Ellesméra, potrei anche dirti di sì».
«Non sai quanto mi rendi felice» mormorò al mio orecchio.
Si ritrasse lentamente da me, sfiorando le mie labbra con le sue, a tradimento, per un brevissimo istante. Sobbalzai. Non mi aveva mai baciata, mai.
«Dovresti scioglierti un po’» mi informò ridacchiando.
«Che dici?»
«Sul serio Arya». Avvicinò di nuovo il viso al mio. «Non puoi essere nervosa come una ragazzetta al primo bacio». Mi strinse la nuca e premette ancora le sue labbra sulle mie.
Mi irrigidii ma poi finii per arrendermi alle sue labbra morbide. Socchiusi gli occhi, restituendo quel bacio leggero.
Fäolin si staccò da me e rise. «Arya la donna di ghiaccio, non mi sarei mai aspettato una simile reazione da una come».
«Fäolin!» esclamai ammonitrice.
«Come non detto» alzò le mani in segno di resa. «Arrivati ad Ellesméra annunceremo il nostro fidanzamento. Tua madre e gli altri membri del Consiglio lo accetteranno prima o poi. Del resto il tempo non sarà un problema per me, né per te». Mi sorrise. «Abbiamo un’eternità.»
«Sempre che non finiamo ammazzati prima» ironizzai macabramente.
«Sciocchezze..!» ribatté con sicurezza, scatenando un ennesimo grugnito del povero Glenwing.
Mi affrettai a sigillargli la bocca con una mano, bloccando il flusso delle sue parole e impedendogli di svegliare il nostro amico e segnalare la nostra posizione all’intero esercito imperiale.
«Controllati» sibilai.
Sorrise con aria innocente. «Perdonami, mia signora».
«Ci devo pensare» sbottai.
Sospirò. «Attendo con impazienza il giorno in cui uscirai dal tuo guscio, mia cara, perché quello sarà la volta buona che il cielo ci cadrà in testa».
«Buonanotte Fäolin» mi congedai.
Rise di nuovo «Buonanotte Arya Dröttningu».
Non potei trattenere un sorriso.
Non riuscii a dormire.
Nonostante quella chiacchierata che mi aveva scaldato la coscienza, nonostante la certezza che Fäolin era di guardia, nonostante la sicurezza datami dal cerchio magico che ci proteggeva, mi sentivo inquieta.
E quell’inquietudine mi tormentò, impedendomi di scivolare nell’incoscienza. Quando il mio uomo mi scosse, all’alba, non avevo chiuso occhio.
Riprendemmo il nostro viaggio a cavallo. Il mio battito cardiaco era accelerato, senza alcun motivo valido, e non riuscii in alcun modo a placarlo.

Il viaggio continuò con una tranquillità quasi inquietante, nonostante la mia irrazionale paura, che i miei compagni si divertivano a beffeggiare con affettuosa ironia.
Il paesaggio scorreva fluido sotto gli zoccoli dei nostri veloci cavalli elfici e io non potevo fare a meno di provare un certo sollievo ad ogni lega bruciata, ad ogni passo più vicino alla mia foresta.
Fäolin continuava a baciarmi, di nascosto, di sfuggita, la mattina quando mi alzavo, mentre accendevo il fuoco, non appena avevo finito di mangiare, prima che mi addormentassi.
E io sorridevo come un’ebete quando lo vedevo avvicinarsi con quello sguardo complice e adorante che tanto mi piaceva. La situazione mi imbarazzava un po’, specie se Glenwing era troppo vicino e c’era il rischio che ci vedesse. Ma ogni bacio valeva abbastanza da rischiare di farsi scoprire e stuzzicare da lui.
Quando ci avvicinammo a Daret decisi di viaggiare solo di notte, non era il caso che qualche popolano ci vedesse e riferisse al suo re, rivelandogli il nostro tracciato per trasportare l’uovo. I miei compagni protestarono sonoramente. Gli elfi amano la luce e loro erano fermamente convinti che non avremmo incontrato difficoltà di alcun tipo in quel viaggio, come sempre, ma io fui irremovibile.
Non era certamente la prima volta che passavo per quelle strade, ma il mio istinto mi diceva che c’era qualcosa che non andava.
Ci accampammo a mezza giornata dalla Du Weldenvarden, al sorgere del sole. L’ultimo giorno fuori casa. Sospirai sollevata, sedendomi pesantemente a terra.
«Sei nervosa come un gatto prima del temporale» mi informò una voce canzonatoria alle mie spalle.
L’alba nascente incorniciava la figura longilinea di Fäolin, esaltando il suo incarnato color del miele, illuminando i suoi lunghi capelli biondissimi della luce delle stelle e schiarendo il blu profondo dei suoi occhi.
Era bello, Fäolin. Probabilmente rappresentava l’uomo che ogni fanciulla elfica avrebbe mai voluto al suo fianco come compagno. Era di poco più alto di me, con un fisico esile e magro; la pelle era piuttosto chiara per la media elfica, aristocratica, così come i lineamenti, che comprendevano un naso dritto e regolare, le labbra morbide e piene, gli occhi grandi e a mandorla del blu scuro di un lago a mezzanotte. Aveva in sé le caratteristiche della perfezione elfica: era cortese, gentile e attento, amava perdersi a guardare le stelle, suonava il flauto benissimo, alle canzoni che intonava rispondevano i cinguettii degli uccelli, inoltre era un abilissimo mago delle piante. Sapevo di essere l’unica ad aver mai avuto l’onore di ricevere in dono un fiore creato da lui e la cosa mi faceva piacere più di quanto fosse lecito ammettere.
Ma non era solo il suo essere impeccabile che lo rendeva particolarmente piacevole. Rispetto agli altri elfi maschi che avevo conosciuto, Fäolin aveva un atteggiamento più rilassato, talvolta quasi giocoso.
Si legava i capelli sotto la nuca in tre-quattro sottili treccine, tenute ferme da perline di legno azzurre e aveva tre orecchini, due nel lobo destro e uno sulla punta di quello sinistro, da cui di solito pendevano piume o pietre colorate. E quelle sue piccole libertà lo scostavano un po’ dal suo essere terribilmente perfetto, dandogli un’aria quasi malandrina, caratteristica che in fondo ogni elfa sognava nel proprio uomo.
«Pronta a tornare a casa Arya Dröttningu?»
Le sue parole mi riportarono bruscamente alla realtà.
«Uhm» borbottai incerta.
Rise piano, cercando di non svegliare il nostro compare che, come al solito, ronfava della grossa. Ma che razza di Elfo era?
«Hai paura?» domandò serio, stringendomi il mento tra le dita.
Tentai un sorriso, ma ottenni solo una smorfia stirata malamente sulle labbra. «C’è qualcosa che non mi convince in questo viaggio».
«È per il fidanzamento vero? Hai cambiato idea?»
«No» risposi sicura.
Mi fissò dubbioso, come stesse riflettendo se potessi essere capace di mentirgli o meno.
«Io sono felice per noi». Lo fissai negli occhi, sfidandolo a contraddirmi.
Annuì. «Ti credo» mormorò.
«E se ci stessero seguendo?»
Mi scoccò uno sguardo obliquo. «Ci avrebbero già attaccati e ce ne saremmo già accorti. Questo compito ti sta stressando Arya. Dovresti prenderti una pausa, lasciare a qualcun altro il peso di tutto questo e ritirarti, per un annetto o due magari».
«Che dici!» sbottai.
«Uniamo i nostri cuori, Arya».
Sobbalzai. Mi affrettai a cercare il viso del mio interlocutore e lo fissai, alla ricerca dell’ironia che sicuramente ci sarebbe stata nella piega delle sue labbra. Ma Fäolin era serio, come non l’avevo mai visto.
Ispirai forte. «Ti rendi conto di quello che hai appena detto?»
«Sì» rispose fermo.
Unire i nostri cuori? «Non è un po’ presto?» Azzardai.
Ero abbastanza convinta di amare il mio eterno compagno di avventure, ma il mio era un sentimento giovane, appena scoperto. Non ero pronta ad un passo importante come l'unione dei cuori. Mi sentivo totalmente inadeguata a quella situazione, ero come una bambina che si affacciava su un mondo sconosciuto. E quella proposta mi aveva fatta precipitare. C’erano troppe cose che all’improvviso mi assalirono il cervello, troppe novità, troppi cambiamenti.
Tra gli elfi il rito dell'unione dei cuori corrispondeva vagamente al matrimonio tra gli uomini, ma aveva un significato diverso. Prevedeva lo scambio di promesse di amore e devozione e aveva come conseguenza l'istallazione della coppia in una casa tutta loro, in previsione di un futuro e ambitissimo figlio. L'unica differenza con il matrimonio umano stava nel fatto che non aveva valenza a vita, anche se si supponeva che restasse valido almeno un secolo dal giorno in cui le promesse venivano scambiate. In effetti a quel punto i veri nomi dei due interessati erano probabilmente cambiati e le promesse non erano più valide, anche se non era escluso che la relazione proseguisse anche per millenni.
Però tutto quello supponeva una certezza totale dei sentimenti che provavo per Fäolin.
«Non sei obbligata» mi informò lui piattamente, ma nei suoi occhi vidi l’ombra viscida della tristezza.
«Io..» mi interruppi, alla ricerca delle parole che mi avrebbero permesso di esprimere le mie idee senza ferirlo troppo, «..non credo di essere pronta.»
Fäolin sospirò rumorosamente. «È il tuo carattere così freddo e rigido che te lo impedisce?»
«No» risposi secca.
Non amavo che mi si rinfacciasse il mio modo di fare, e lui lo sapeva. La mia freddezza era venuta da sé, dopo l’indifferenza di mia madre, dopo le assillanti attenzioni della sua corte riguardo la mia educazione come principessa, dopo le mille critiche di ogni persona che mi circondava riguardo alle mie convinzioni sul mio ruolo di ambasciatrice, prima, e custode, poi. Non poteva e non doveva osare rimproverare il mio carattere, dato che lui stesso conosceva i fatti che mi avevano temprata.
«Scusami» sussurrò sedendosi di fronte a me.
«Non fa niente» mentii.
«Possiamo unire i nostri cuori anche tra mille anni». Sorrise. «Io non vado da nessuna parte».
Alzai le sopracciglia. «Pensi di poter sopportare questa missione ancora a lungo? Mi sembri un po’ stressato..» lo citai con palese ironia.
Scoppiò a ridere fragorosamente, facendo rivoltare Glenwing nel sonno.
«Contieniti dannazione» sibilai.
Si portò una mano alla bocca, soffocando l’ennesimo attacco di risa.
Inaspettatamente, mi prese entrambe le mani tra le sue e il blu dei suoi occhi incontrò i miei.
«Voglio che tu sappia che per te sopporterei tutto questo per la vita intera. Potrai sempre contare su di me, Arya, perché io ti amo e sarà così sempre. Non mi importa nulla se tu oggi mi rifiuti la mia proposta, riproverò tra dieci, cento, mille anni. Io voglio che tu sia nella mia eternità, perché altrimenti non varrebbe la pena di essere vissuta».
Rimasi attonita di fronte a quelle parole, che mai mi sarei aspettata di sentirmi rivolgere. Non seppi cosa rispondere, perché quello che sentivo dentro, semplicemente, non aveva parole che potessero esprimerlo. Mi chinai lievemente in avanti e lo baciai sulle labbra, sorridendo.
Mi rasserenai, perché lui era una sicurezza nel mio futuro. Io, che mai avevo avuto certezze.
Il suo amore per me era confortevole come niente al mondo.
«Ti proteggerò da tutto. Siamo insieme da quando siamo piccoli, e lo saremo per sempre» mormorò stringendomi tra le sue braccia.
E io mi abbandonai a quelle parole, che nonostante sembrassero rivolte ad una bambina, mi facevano sentire bene e terribilmente al sicuro. La strana tensione accumulata nei giorni precedenti si sciolse all’improvviso, liberando quel senso di oppressione che mi aveva invaso il corpo e la mente.
Vicino a lui, il mondo aveva nuovi colori.

Stavamo attraversando una piccola valle, verde di alberi. Eravamo ormai vicini alla foresta e il fatto che i tronchi fossero fitti e il sentiero così stretto da costringerci a proseguire in fila indiana, ne erano una chiara dimostrazione.
Fäolin cavalcava davanti a me, i capelli biondi persi nel vento.
Fissavo la sua schiena da quando eravamo partiti, non appena il sole era sceso, e non riuscivo proprio a togliermi dalla testa le parole che mi aveva rivolto quella mattina.
Sorrisi lievemente quando si voltò a guardarmi, come per assicurarsi che io fossi ancora lì.
Neanche la terra potesse inghiottirmi. E poi c’era sempre Glenwing dietro di me, riservato e silenzioso, ma attento ad ogni singolo rumore.
Entro l’alba saremmo arrivati alla foresta, e di lì il viaggio sarebbe proseguito con la massima calma.
Le mie dita si spostarono istintivamente all’anonima bisaccia di cuoio che portavo a tracolla. Sospirai soddisfatta sentendo la superficie liscia e fredda dell’uovo di zaffiro sotto i polpastrelli.
Andava tutto al meglio. Ero viva, stavo per diventare la compagna di Fäolin e la missione proseguiva senza il minimo intoppo.
Mi ritrovai a sorridere di nuovo, dopo tanti problemi e sofferenze, la mia vita sembrava finalmente aver preso la piega giusta. Dovevo essere l’elfa più fortunata al mondo, non c’era nulla che avrei potuto desiderare, che io non avessi già.
Fäolin si girò di nuovo. «Possiamo invertirci i posti di guardia, mia signora?» mi domandò, con rispetto farcito di ironia.
Adoravo quello sguardo complice e velato di tenerezza che mi rivolgeva di sottecchi.
«Scambiatevi» ordinai con voce atona e un tono imperioso, stando al suo gioco.
Fäolin scivolò alle mie spalle.
Sentii i suoi occhi bruciare in maniera strana sulla mia nuca, alzai il mento e mi guardai intorno altezzosa, fingendo indifferenza al suo sguardo che in realtà mi provocò un lieve brivido lungo la colonna vertebrale. Repressi un ennesimo sorriso.
Superammo in silenzio un gruppo di cespugli nascosti dalle tenebre. Continuai a cavalcare tranquilla, il vento che mi sferzava il viso. Un brusco cambiamento della sua direzione mi fece scivolare i capelli sugli occhi, oscurandomi la vista. Li spostai stizzita passandomi una mano sul volto. Il mio braccio si bloccò a mezz’aria. C’era uno strano odore animale nell’aria. I cavalli nitrirono agitati.
«Fäolin» sussurrai implorante, voltandomi all’indietro.
Ti prego ridimi in faccia e dimmi che era una sciocca e infondata sensazione, ti prego guardami negli occhi e dimmi che il pericolo non c’è, ti prego parlami e dimmi che arriveremo presto sani e salvi ad Ellesméra.
Lo guardai in viso e le mie speranze si infransero come cristallo di fronte all’espressione stravolta di lui. Le sue iridi, illuminate di ferma determinazione, mi scrutarono con disperata urgenza, quasi a voler memorizzare ogni mio singolo particolare.
«Vai Arya, vai!» gridò schiaffeggiando poderosamente il fianco del mio cavallo.
L’animale si allontanò rapidamente dai compagni.
La terribile realtà mi cadde addosso come una cascata gelata.
Un agguato.
Ero stata una stupida. Come avevo potuto abbassare la guardia! Come avevo potuto lasciarmi accecare dalla sicurezza che tutto sarebbe andato bene!
Cercai di non pensare all’ultimo sguardo di Fäolin. Perché in fondo agli occhi blu di lui avevo letto una parola che mi faceva male anche solo a pensarla. Una parola che mi lacerava.
Addio.
Battei velocemente le palpebre, dissipando le lacrime che mi offuscavano la vista.
La missione veniva prima di tutto e tutti e io mi ero impegnata a portarla a termine, ma un forte magnetismo mi tentava in continuazione di girarmi e raggiungere Fäolin, e morire con lui.
Scossi la testa, cacciando, per quanto possibile, quella possibilità.
Lui se la sarebbe cavata.
Spronai il mio cavallo ad andare ancora più veloce, anche se il mio cuore sanguinante mi ordinava tutt’altro.
Una voce riempì improvvisamente l’aria, fredda e carezzevole come un velo di seta che nasconde un pugnale tra le sue pieghe.
«Garjzla».
Una sfera di luce colpì il mio cavallo, che stramazzò a terra. Riuscii a saltare dal suo dorso evitando ogni danno. Maledizione! Avevano uno stregone con loro! Quello avrebbe complicato le cose, avrei dovuto darmi una mossa per sfuggirgli.
La stessa voce di prima risuonò tra gli alberi. «Prendetela! È lei che voglio!»
Si trattava del capo, sicuramente.
Ma perché i miei compagni tardavano tanto?
Mi sfuggì un gemito e una morsa di ghiaccio mi strinse il cuore quando i miei occhi corsero nella loro direzione.
Fäolin giaceva a terra, il collo delicato trapassato da una freccia nera, gli occhi chiusi e il torace immobile.
Per un attimo mi sembrò che tempo e spazio fossero scomparsi, smisi di essere la principessa Arya e rimasi semplicemente una donna di fronte al corpo senza vita di una persona che amava. Mossi istintivamente un passo nella sua direzione. Non poteva essere vero, era solo uno dei suoi scherzi, sicuramente. In un attimo si sarebbe alzato di scatto, ridendo, e saremmo scappati insieme da quell’incubo. Ma lui rimase ostinatamente immobile.
Ingoiai le lacrime. Non poteva lasciarmi così. Lui mi aveva promesso..
Qualcosa nella mia testa aveva già accettato l’orribile realtà. Due parole mi rimbombarono nel cranio.
Mai più.
Delle figure nere si avvicinarono al mio campo visivo: Urgali.
Urgali?
Che ci facevano gli Urgali insieme ad uno stregone del re?
Beh, non avevo il tempo di rifletterci troppo.
Imprecai sonoramente nella loro direzione e corsi nel fitto della foresta con tutta la velocità che il peso della pietra al mio fianco mi consentiva. Sfilai la bisaccia da tracolla, tenendola con una mano sola per liberarmi del suo intralcio.
Mai più.
Colsi un bagliore lontano, la foresta stava andando a fuoco. Mi bastò fare due più due per capire che non erano sicuramente fiamme naturali.
Solo un mago molto potente avrebbe potuto fare una cosa simile, anzi, a giudicare dalla portata dell’incantesimo poteva trattarsi del re in persona.
Spalancai gli occhi, atterrita da quel pensiero, che mi affrettai a respingere con tutte le mie forze.
Ben presto sentii il fiato puzzolente dei mostri cornuti soffiarmi sul collo. Mi voltai di scatto, snudando la spada con una mossa fulminea, e la conficcai fino all’elsa nel torace dell’Urgali appena dietro di me. Solo nell’atto dello sfilarla mi resi conto che i miei inseguitori erano così vicini che ne avevo uccisi due in un colpo solo. Tagliai la gola al terzo ancor prima che potesse riprendersi dalla sorpresa.
La loro vista scatenò in me rabbia e il desiderio di distruggerli, pezzo per pezzo.
Una delle loro maledette frecce aveva ucciso Fäolin.
Una delle loro maledette frecce mi aveva privata di metà del mio cuore.
Sputai sui cadaveri e mi affrettai a proseguire la mia fuga
Notai uno sperone di granito dominare sul bosco e mi ci indirizzai alla ricerca di un posto in cui nascondermi e portare in salvo ciò per cui i miei compagni avevano dato la vita.
Ero quasi arrivata quando una figura nera atterrò agilmente davanti a me, come piovuta dal cielo. Riuscii a capire che non si trattava di un Urgali -la corporatura e i capelli rossi che gli coprivano il viso lo identificavano come un essere umano- prima di voltarmi e dirigermi nuovamente sul sentiero.
Forse quello era il capo della spedizione. Ma com’era possibile che gli Urgali lavorassero per gli uomini del re? Era lui che aveva dato ordine di tirare sui miei compagni? Per colpa sua Fäolin era..
Il filo dei miei pensieri venne interrotto all’improvviso. La mia fuga verso lo sperone era stata la mia trappola. I mostri mi avevano raggiunta. Mi guardai intorno un’ultima volta, cercando disperatamente una via di fuga che non c’era. Maledissi tutti gli dei umani e del popolo dei nani che mi venivano in mente ma poi realizzai che non avrebbe aiutato a rimediare alla mia stupidità.
Ispirai profondamente e tornai a concentrarmi sull’uomo, le membra distese in una calma che non era mia.
Volevo vedere in viso l’assassino del mio amato.
Seguii il profilo di un corpo snello ma muscoloso, un guerriero probabilmente, fino alle ampie spalle dell’uomo, per poi giungere infine al suo volto.
Non riuscii ad impedire ad un fremito di orrore di squassarmi il corpo.
Di fronte a me, un ghigno compiaciuto a scoprire i denti aguzzi, c’era uno Spettro. Gli Spettri erano i flagelli di Alagaësia, lo sapevo, me lo avevano sempre detto. Insieme al fatto che, se mi fosse mai capitato di incontrarne uno, difficilmente sarei andata a raccontarlo in giro
Mi sentii piccola e indifesa sotto lo sguardo di sufficienza dei suoi occhi cremisi.
«Prendetela» ordinò con un tono quasi annoiato.
Non c’era più tempo. Fäolin era morto per quella missione e se fosse successo anche a me, beh sarei stata ben lieta di seguirlo.
Brom.. era nascosto in un paese su quelle montagne!
Estrassi rapidamente la pietra dalla bisaccia e, alzatala sopra la testa, bisbigliai frenetica le parole che l’avrebbero portata lontano da lì, al sicuro. Probabilmente lo sforzo della magia mi avrebbe uccisa, ma ormai non era più importante. Fissai spavalda le pozze di sangue che lo Spettro nascondeva tra le ciglia.
Se io dovevo fallire, allora lo avrebbe fatto anche lui.
I suoi lineamenti si deformarono in una maschera di stupore e disperazione quando capì le mie intenzioni.
«Garjzla!» gridò precipitosamente.
Sentii il peso dell’uovo sparire dalle mie dita mentre un globo di fuoco mi raggiungeva fulmineo e mi colpiva al petto. Il terreno mi venne incontro e caddi sull’erba bruciacchiata dalle fiamme fatue dello Spettro.
Forse ora ti rivedrò Fäolin. Ma non volevo morire.
I miei occhi rimasero incatenati un ultima volta ai tizzoni ardenti della creatura maligna che mi aveva colpita.
Lessi l’Ira danzargli nelle iridi.
Un ultimo, beffardo, sorriso di sfida mi increspò le labbra.
Chi aveva vinto alla fine!?
Poi le palpebre mi si chiusero e persi coscienza di me.


Arya e Faolin

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NdA: Il rito dell'unione dei cuori è una mia invenzione. Nei libri Paolini specifica che gli elfi non hanno un vero e proprio matrimonio perché effettivamente avrebbe un valore assurdo nella vita di un immortale, così mi sono permessa di aggiungere questa via di mezzo.
  
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