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Autore: _Kiiko Kyah    24/01/2013    2 recensioni
Esami di università, problemi con gli amici, nuovi incontri, una sedicenne muta senza memoria in giro per casa da gestire: come far impazzire un ventiquattrenne in crisi.
{ Het; Crack!pairing;] [AU!;] [Fluff; Malinconico; Romantico }
"Ascoltami attentamente, Shirou: l'età è solo un fottuttisimo numero."
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Axel/Shuuya, Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Shawn/Shirou, Shuu, Tsurugi Kyousuke, Yuuka Gouenji/Julia Blaze
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'OTP— the phantom and the cutie.'
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Aprire la porta con quello scricciolo di ragazza fra le braccia era stata una vera e propria impresa. Ma almeno adesso era dentro, e poteva adagiare, con la debita delicatezza, la trovatella sul divano.
Rimase in piedi davanti a lei, lievemente chinato, immobile come una statua. Le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi socchiusi, scrutava con attenzione ogni impercettibile reazione della ragazza.
La vide mettersi ritta con la palesemente poca forza che presentava nelle braccia, stringere le gambe piegate al petto e avvolgerle con le sue braccia, probabilmente per scaldarle dato che gli arti inferiori erano scoperti e quelli superiori infilati in due larghe maniche di lana grigia.
Il cappuccio continuava a coprirle gran parte della testa; i suoi grandi occhi esprimevano una grandissima stanchezza, mischiata alla confusione più totale, per non parlare della paura che la stava ancora facendo tremare.
In quella specifica situazione, Atsuya non si stava interessando minimamente che la presenza di quel fagotto bagnato stesse inzuppando d’acqua il suo bel sofà beige e che di conseguenza quest’ultimo sarebbe stato rovinato. Tutto ciò che stava pensando era una semplice, chiara, nitida domanda ...
Perché diavolo aveva portata lì quella ragazzina?!
Forse per pena? Probabile, ma in quel caso non si sarebbe sentito così in colpa per quello sguardo terrorizzato che la sua ospite gli stava riservando. Più la guardava, più capiva di non poter reggere quell’occhiata ancora per molto senza dare di matto. Non gli piaceva essere fissato, in particolare se chi lo osservava lo faceva in modo tale da farlo sentire male per qualcosa. Odiava quella sensazione, specialmente se era infondata.
Passarono due minuti buoni così, le iridi turchesi di lui puntante in quelle mandorlate, profonde e color cioccolato di lei. A rompere il silenzio tombale fu un brontolio. Un brontolio proveniente dallo stomaco della possibile sedicenne, che inoltre provocò l’inarcamento immediato di un sopracciglio del ventiquattrenne. Le guance fino a quel momento eteree della bambina – perché in confronto a lui quella era una bambina – si imporporarono debolmente. Atsuya sospirò. Quantomeno, la situazione imbarazzante di poco prima si era sbloccata ...
Le rivolse un sorriso divertito e tremendamente assonnato e con un gesto rapido si sfilò il giaccone di dosso, buttandolo con scarsa eleganza sulla poltrona che faceva angolo con il divano sul quale Lei era posata. Si stiracchiò e, sbadigliando, si diresse lentamente in cucina senza nemmeno capirne il vero motivo, afferrando a casaccio quella che sembrava una scatola aperta di biscotti nella credenza.
Tornato nel suo soggiorno, si sedette  per terra davanti al divano con una tranquillità – o pazienza forzata? – che non sapeva di possedere e allungò la scatola alla ragazza. In tutta risposta, quella sbatté le palpebre un paio di volte prima di intendere cosa significasse quel gesto e anche quando recepì l’informazione si mostrò molto titubante – se non riluttante – a prendere in mano il cibo appena offertole.
Il rosa sbuffò.
< Senti. > cominciò in tono secco < So che non hai la minima idea di chi io sia, so che vedi che sono più grande di te e so perfettamente che hai paura di me, adesso, okay? Lo so. > continuò roteando gli occhi e calcando quel “perfettamente” < Ma. Eri sotto un portico, sotto la pioggia, come minimo domani avrai una polmonite da paura se non ti asciughi subito. Per portarti qui al caldo e all’asciutto ho mollato la mia moto in mezzo alla strada e ti ho presa di peso anche se non dormo da tre giorni. Sono sicuro di essere molto più stanco di te. > assottigliò gli occhi < Se hai fame, mangia questi cazzo di biscotti, perché se non lo fai ti riporto dove ti ho trovata, ci siamo capiti? >
La ragazza dischiuse le labbra, più dalla sorpresa che per ribattere. Se sperava di sentirsi rispondere a tono, allora stava fresco. Tutto quello che ricevette, infatti, fu uno sguardo indecifrabile e un arricciamento di labbra; quella stupida stava combattendo una lotta, si vedeva. Stomaco contro paura. E se non ci avesse pensato l’uomo, sarebbe stata quest’ultima a vincere, ne era sicuro.
< Scegli. Biscotti ... > scosse la scatola per farsi intendere meglio < o tuoni. > terminò indicando la finestra, le cui tende erano aperte e permettevano di vedere la pioggia fuori. < È inutile che fai quella faccia. Quindi, scricciolo, prendi ‘sti cosi e ingoiali prima che perda la pazienza. Se poi vuoi avere paura, sono cavoli tuoi. > detto ciò le lanciò la scatola in mezzo alle gambe e si alzò in piedi.
Si trascinò lentamente e si buttò di peso sulla poltrona, cercando di fregarsene altamente di quello che quella ragazzina faceva. No, non gli interessava per niente ... Istintivamente lanciò uno sguardo al sofà e la vide mangiare molto lentamente, come se si stesse gustando appieno ogni morso di quelli che sembravano essere agghiaccianti biscotti secchi, duri e insapore. Infatti, non erano nemmeno biscotti, erano cereali vecchi di qualche settimana. E lei nemmeno si era accorta della differenza, evidentemente.
Dio, ma da quanto tempo non mangiava, quella?!
Fuori un potente tuono rimbombò e, anche se il vetro della finestra era molto spesso, all’interno della casa si sentì perfettamente. Troppo perfettamente. E difatti la scatola dei cereali fece un volo che non gli consentì solo di attraversare quasi tutta la stanza, bensì quel salto rese possibile il rovesciamento di tutti i corn flakes sul parquet. Cavolo.
La cosa più importante però ora era che la trovatella, la quale si era tranquillizzata, aveva ripreso a tremare e a stringersi le orecchie per impedire al tuono di raggiungerla e spaventarla oltre. Tutto inutile, ovviamente. Ed eccone un secondo, e che la fece letteralmente saltare sul posto.
Anche un mostro di menefreghismo come molti consideravano Atsuya non poteva non provare pena per quell’esserino indifeso e disperato. Ignorò – per l’ennesima volta – il fatto che i suoi occhi si stessero finalmente chiudendo da soli per farlo forzatamente dormire e si sollevò nuovamente in piedi, camminando faticosamente fuori dal salone. Si cacciò all’interno della sua camera e, anche se il letto lo stava supplicando di venire utilizzato, dovette resistere all’idea della fantastica sensazione che una dormita gli avrebbe donato e iniziò a frugare fra le sue disordinate cose.
Dopo qualche minuto – e un paio di violenti tuoni –, finalmente scovò le sue grandi cuffie da dj nere. Lanciò un’occhiata al suo iPod, e capì immediatamente che la musica rock che lui prediligeva non sarebbe affatto servita per il suo scopo. Prendendo un profondo respiro uscì dalla stanza e altrettanto stentatamente raggiunse quella di Shirou.
Si irrigidì un secondo davanti alla porta; poi scosse la testa nel tentativo di scacciare il suo caro fratellino dalla sua mente e abbassò la maniglia, rimanendo sbigottito: come faceva l’albino a tenere tutto così dannatamente in ordine? Trascurò questo particolare e corse ad afferrare uno dei CD di musica soft che il più gentile dei Fubuki amava ascoltare. In più, trafugò anche il lettore CD, al quale attaccò le cuffie.
Tornato nel soggiorno, non si sorprese di vedere la sedicenne più in trance di prima: un altro tuono era appena scoppiato nel cielo nero di nuvole e bagnato di pioggia. Quando le fu davanti, le afferrò con delicatezza le mani, abbassandogliele sul busto, e non le diede il tempo di rimetterle al loro posto, che la musica leggera e rilassante trasmessa dalle cuffie fu sulle sue orecchie, per proteggerle.
Le palpebre di quelle grandi mandorle nere sbatterono una, due volte, davanti al sorriso che si dipinse debole sul volto del ventiquattrenne.
Un tuono, e nessuna reazione. Sì, quella era stata un’idea geniale! Atsuya si complimentò con sé stesso per la grande intuizione. E, mentre la bambolina si tranquillizzava con la musica, si sedette con rinnovata serenità sulla poltrona, sprofondando, grazie al cielo, in un lungo e riposante sonno ristoratore.
 

 
Non era stato più felice di svegliarsi. Già, perché dischiudere le palpebre per scoprire di non essere disperatamente “zombificato” come prima era una sensazione davvero unica e liberatoria.
Si stiracchiò sorridendo, e d’improvviso si ricordò che non era solo. Voltò il viso verso il divano, e la vide. Si era sdraiata, appoggiando la testa sul bracciolo, con le grandi cuffie nere  che incorniciavano ancora il suo capo, coperto oltretutto dalla lana grigia del maglione e con le gambe ancora scoperte. Ma non aveva freddo? Le labbra avevano ripreso colore, evidentemente stare al caldo del suo appartamento le aveva fatto bene, e ora le sue gote precedentemente canute avevano lo stesso rosa dei fiori di ciliegio. Sotto di lei, la chiazza formata dall’acqua che aveva impregnato il mobile.
Faceva tenerezza, e in qualche modo le ricordava l’innocenza di suo fratello, senza una motivazione particolare.
< Ehi, scricciolo > la chiamò in un mormorio scuotendole delicatamente la spalla; il temporale era finito – chissà quanto tempo avevano passato dormendo? – così le tolse le cuffie dalla testa. Quel fragile gesto bastò per farle stringere e socchiudere le sue palpebre. Le ciglia nere e sottili coprivano a metà le iridi color caffè scuro, che si puntarono subito in quelle color oceano di Fubuki, che si morse un labbro nel tentativo di concentrarsi e di non perdersi in quegli stupidi particolari. < Come ti chiami? > domandò esitante.
Lo scricciolo non rispose nulla, sebbene avesse aperto lievemente la bocca, come se stesse per dire qualcosa.
< Ti ho fatto una domanda. > la informò inarcando un sopracciglio. Santo cielo, aveva bisogno di quell’informazione, senza non avrebbe potuto denunciare il suo ritrovamento alla polizia o magari ai servizi sociali. Dopotutto, qualcuno avrebbe pur dovuto accorgersi che quella determinata persona non era dove sarebbe dovuta essere ... giusto?
Di nuovo, la risposta non arrivò. Il dubbio che quella ragazzina lo stesse facendo di proposito attraversò per un attimo la mente di lui, che dovette scacciare via quel pensiero con la forza, dato che sembrava dannatamente veritiero.
La trovatella fece muovere rapidamente l’affusolata mano sulle proprie labbra, e poi sul proprio collo, incominciando a fissare Atsuya cercando di farli capire qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con la bocca e con il collo ...
No, non lo capiva. Inclinò la testa.
< Perché non parli? > chiese con l’aria di chi non ha idea di cosa stia succedendo, il che in effetti era vero, ciò nonostante sentiva come una fitta nello stomaco, che stava a significare che si sentiva un emerito idiota.
Sai che novità, ultimamente gli capitava spesso, e il votaccio in psicologia era un buon esempio. Per non parlare del modo in cui quasi sempre finiva con il prendere in giro la povera Raperonzolo per i suoi modi di fare ... sì, anche quando faceva il deficiente con Afuro si sentiva uno scemo. Chi l’avrebbe mai detto?
Adesso il Fubuki era – per la terza volta in al massimo quattro ore – seduto a gambe incrociate sul pavimento, guardando dal basso in alto la sedicenne trovata da poco sul ciglio della strada.
Osservò le labbra rosate di quest’ultima arricciarsi in quella che poteva sembrare una smorfia sorpresa e – se fosse stato possibile – quasi un sospiro stanco. Dopodiché, la ragazza scese dal divano di peso, finendo quasi – anzi, senza il quasi – con le gambe nude sopra quelle coperte dell’uomo, per afferrargli la mano e voltare il palmo nella direzione dei suoi occhi a mandorla.
Passò un indice sul palmo chiaro di quella mano congelata, facendogli salire inoltre un brivido lungo la schiena, che per un secondo gli impedì di accorgersi che quello che lei stava delineando era un simbolo, o per meglio dire una lettera. Non appena se ne rese conto, il rosa cercò di prestare il più attenzione possibile a quello che stava letteralmente scrivendo sul suo palmo aperta, senza però riuscirsi ad impedire di notare che, volendo, nel suo pugno avrebbe potuto contenere la mano dello scricciolo senza la minima difficoltà.
N O N P O S S O P A R L A R E
“Non posso parlare”. Era questo, che la ragazza aveva cercato di dirgli? Giusto! Era ovvio che non stava indicando la bocca, ma la lingua, che era uno degli organi principali con i quali la voce usciva, e non la gola, ma le corde vocali. Era stato un messaggio abbastanza palese, perché non l’aveva capito?
E M I C H I A M O
Provò a continuare, tuttavia lui la fermò, meritandosi uno sguardo sorpreso e interrogativo.
< Aspetta. > le ordinò slittando via da sotto di lei e dirigendosi rapido verso lo studio, che per fortuna era la stanza più vicina. Prese un quaderno ad anelli, una penna e tornò in fretta. Gli porse gli oggetti e le sorrise. < Beh? Come ti chiami? > la interpellò ancora.
Lei sorrise capendo al volo, e stappò la penna per scrivere. Quando ebbe terminato, voltò il quaderno in modo che lui potesse leggere i caratteri di ciò che aveva scribacchiato:

Yuuka~

  
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