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Autore: lovewholovesyou    24/01/2013    4 recensioni
Lea, Dianna, Naya e Heather ne hanno avuto abbastanza della loro vita. Così decidono di partire e il destino incrocierà le loro strade.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Dianna Agron, Heather Morris, Lea Michele, Naya Rivera, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un buon pomeriggio a tutti! *modalità gentilezza on*
Dunque, è da circa quest'autunno che mi tormentavo sul postare o meno questa heyachele. Diciamo che se vi piacesse, potrei anche continuarla!
Lo so, ho scelto una ambientazione un po' strana, ma di quello ve ne parlerò al momento opportuno!
Well, Heya e Achele per tutti voi! *distribuisce feelings*
Questa è la prima parte del prologo, cercherò di aggiornare quando potrò! 
Non judge me, ci sto provando! ps: ringrazio la mia beta che è sempre disponibile a leggere tutto ciò che scrivo! love you so much! <3


Faccia da Libro
 / Twittah




Where the story begins
 

New York è la città preferita di quasi metà degli abitanti del pianeta terrestre. Non si capisce mai cosa la renda così famosa e desiderata ma tutti la mettono in mezzo alle metropoli da visitare prima di morire. Sarà il fatto di essere una città grande e frenetica, adatta agli elementi che amano l'avventura. Sarà il fatto che si possono incrociare le celebrità di tutto il mondo attraversando le strisce pedonali. Sarà che è così romantico passeggiare a Central Park e arrivare in cima all'Empire State Building. Sono tutte quelle strade piene di luci e insegne luminose a renderla magnifica e bella così come la si vede sempre dai film in televisione? Finché uno non ci mette piede non scoprirà mai cosa rende così attraente New York. Ma è sicuro che offre milioni di possibilità. A chi? A chi cerca qualsiasi cosa, qualsiasi cosa egli stia cercando. Le luci, i neon, il traffico sono una delle poche cose che nessuno vorrebbe mai avere nella città dei suoi sogni. Il chiasso, la folla e tutti gli odori nauseanti non fanno per tutti gli abitanti delle piccole cittadine.

Nonostante ciò, la Grande Mela resta il sogno di ogni uomo o donna, nel fondo del loro cuore. Anche per gli stessi Statunitensi che, abitando a qualche ora dalla città, si possono permettere una breve visita quando possono.

Ma sopratutto, New York, è fatta per i grandi sognatori. Per quelli che vedono la loro vita sprecata in un paesino ristretto o in una campagna sperduta. Per quelli che vogliono la fama, il divertimento e non i soliti volti ogni giorno, per quelli che odiano la monotonia. New York era, ed è, il sogno di tutti. Anche chi ci abitava non smetteva mai di innamorarsi. Eppure Lea non ce l'aveva mai fatta.

Si era trasferita da una piccola cittadina nella grande metropoli con la madre quando aveva circa sei anni. Non sapeva nemmeno chi fosse il padre, le aveva abbandonate quando Lea aveva poco più di qualche mese. I primi anni erano stati la felicità per quella bimba dai capelli castani, lisci come quelli della madre: passeggiava con lei per Manhattan ogni giorno della sua vita e si guardava attorno sognando anche lei, un giorno, di trovarsi su uno dei palchi di Broadway. Forse era stato proprio questo a tenerla legata fino ai suoi ventidue anni a New York. Man mano che cresceva, e che sua madre era più occupata a bere che a preoccuparsi della figlia, scopriva quanto in realtà quella città fosse diversa da come la raccontavano. Si, sapeva essere bella e affascinante, ma la gente non era proprio quella che la nonna le raccontava quando ancora abitava nel vecchio paesino.

New York era la città dove tutto è concesso. New York era la città dove tutto era accettato, dove potevi essere te stessa senza che nessuno ti dicesse mai nulla. Erano solo leggende, probabilmente. Lea se ne rese conto quando si scontrò con i bambini e gli adolescenti della sua scuola. Identici a quelli che poteva trovare nella sua vecchia cittadina: arroganti, tentavano in tutti i modi di trovare qualche difetto alla povera bambina. Il naso troppo grosso, il fatto di essere la più bassa della classe o semplicemente di sognare in grande. Non poteva nemmeno permettersi di canticchiare che subito una delle sue compagne di classe si azzardavano a dirle che non era abbastanza brava, che una cornacchia sapeva fare di meglio. Ma Lea sapeva di essere molto più brava. Quel che la demoliva di più era sapere di tornare a casa e non trovare la propria madre pronta a dirle che non aveva il naso grosso ma solo un po' imponente, che non era importante che fosse bassa e che era sicuramente un talento. Ma questo sua madre non lo aveva mai fatto: la vedeva tornare a casa, ubriaca e puzzolente, e non osava nemmeno avvicinarsi. Una volta che ci aveva provato, giusto per chiederli i soldi per una gita con la classe, le aveva tirato uno schiaffo in faccia. Uno schiaffo che avrebbe ricordato per sempre.

L'unico anestetico per i suoi problemi era cantare. Il suo primo vero amore. Si chiudeva volentieri nella sua cameretta rosa, piena di arcobaleni e cavalli, e registrava tutte le canzoni che cantava. Aveva cantato ogni singolo di Katy Perry e anche vecchi dischi che aveva trovato nascosti sotto il suo letto. E infine, cresciuta un po' di più, aveva iniziato a pubblicare le sue performance su internet, andando incontro a mille insulti e prese in giro dai compagni di scuola.

Alla fine, tutto quello che voleva era avere una vita normale: avere delle amiche, avere un ragazzo, avere una madre che si comportasse come tale. Non provava rabbia verso suo padre, avrebbe abbandonato anche lei una persona come sua madre. Lea non credeva di averla mai vista felice o non totalmente ubriaca. Lea ci passava sopra, a tutte queste pressioni e delusioni, e continuava imperterrita, convinta che un giorno sarebbe arrivato il suo momento.



Lea aveva appena finito la sua giornata come commessa al supermercato sotto casa. Dopo la scuola si era trovata un lavoro per mantenere lei e sua madre anziché continuare gli studi. Aveva anche appena finito di pubblicare il video dove cantava l'ultimo singolo di Katy Perry quando tornò da quella faticosa giornata di lavoro. Sua madre non era in casa, come al solito, e quindi la giovane ragazza si sdraiò volentieri nell'acqua calda della sua vasca da bagno. Finalmente rilassata, si preoccupò di preparare un piatto di pasta, come quello che le aveva insegnato a cucinare la nonna di origini italiane, anche a sua madre.

Gustò il suo piatto con la solita malinconia dei pranzi e delle cene passate intorno al tavolo insieme alla famiglia. Anche se chiamarla famiglia non era proprio esatto. Lei, la madre e i nonni si sedevano tutti attorno al tavolo di legno coperto da una tovaglia bianca, ben apparecchiato. I suoi nonni erano i migliori del mondo. La sua era una famiglia particolare, tutto qui. Ma pur sempre la sua famiglia.

Finito di mangiare, ormai alle nove passate, si stava per sdraiare sotto le coperte del suo letto quando la notifica di una email dal pc attirò la sua attenzione. Aprì la mail e quasi non credette di aver letto davvero l'indirizzo di una casa discografica estera. Il messaggio diceva chiaramente che Lea era invitata nella sede centrale italiana per un colloquio con il presidente. A quanto pareva, avevano notato il talento di Lea mostrato nelle dozzine di video sul web. Non le stavano assicurando né la fama né un contratto vero e proprio. Ma Lea era convinta del tutto che le avrebbe cambiato la vita.

In allegato alla mail, il biglietto aereo per Milano. Lea ci stava riflettendo sopra da molto quando la madre rientrò barcollando. Le chiese se aveva cucinato la cena anche per lei ma Lea era troppo impegnata a svuotare il suo armadio e infilare quei pochi vestiti in valigia. Non disse una parola di più e stampò il biglietto aereo, infilandoselo nel portafoglio. La madre la fissava, stava in piedi di fronte alla porta di casa. Lea non capì mai da dove trovò la forza di fronte a due grandi occhi castani così simili ai suoi, addolorati.

«Tesoro, stai uscendo?» le chiese innocente ed a bassa voce. Ma Lea non le rispose.

Le passò affianco, scansandola, portandosi dietro la valigia. La madre tentò di strattonarla per il polso ma, a causa della poca forza, Lea riuscì a staccarsi dalla sua presa.

«Non puoi lasciarmi qui sola.» Le ripeteva con voce rotta da un pianto. Fu difficile per Lea, ma riuscì a chiudersi dietro le spalle la porta di casa e, con essa, la sua vecchia vita.


~


Naya aveva compiuto da poco i diciotto anni quando prese la sua decisione: rivelare ai propri genitori della sua omosessualità. Non si era mai fatta problemi sul sentirsi attratta dalle ragazze. Aveva sempre pensato che i suoi genitori fossero tolleranti su questo genere di cose. D'altronde i primi ad essere stati discriminati per le loro origini erano stati loro, come avrebbero potuto odiare la loro figlia per amare una ragazza? Nonostante suo padre fosse parecchio severo, confidava nell'essere ugualmente accettata.

Successe tutto quando aveva sedici anni: una sua compagna di classe, una ragazza di bell'aspetto, le chiese di passare la notte a casa sua. Una normale serata tra amiche. Se non fosse stato per il fatto che Naya sentiva che qualcosa in lei non andava. Perché le si riempiva il cuore quando l'amica le sorrideva e la guardava con quei suoi occhi chiari? Perché quando si abbracciavano quasi tremava? Ci impiegò un po' a capire che ne era fortemente attratta. Mai, in vita sua, aveva provato tutte quelle sensazioni per un ragazzo. Quella sera, l'amica le rivelò di avere anche lei dei dubbi sui sentimenti che provasse per Naya. Per tutte e due fu la certezza di essere innamorate l'una dell'altra, in qualche modo. Baciare una ragazza era anche meglio di baciarsi con un ragazzo. Naya non sapeva spiegarsi il perché, sapeva solo che sentirsi dire da un ragazzo un complimento non era mai come sentirselo dire da una ragazza. Viveva bene con la sua omosessualità, come aveva sempre vissuto. Forse non si divertiva a dirlo a tutti o non lo dava a vedere così tanto per evitare i giudizi delle persone più cattive. Lei e Alex stavano insieme da quasi due anni ed era giunto il momento di rivelarlo ai genitori dell'ispanica. Sembrava tutto semplice, ma Naya venne presto a sapere l'ultima cosa che avrebbe voluto accadesse.

Una domenica l'intera famiglia Rivera era riunita per il solito pranzo, quando fece ingresso una delle zie di Naya, senza il cugino più grande. Quando arrivo il momento delle spiegazioni la zia di Naya scoppiò a piangere dicendo che il figlio era scappato di casa con un ragazzo. Il padre di Naya scosse la testa in segno di delusione, sostenendo che non avrebbe mai accettato un disonore così grande.

«Ma di che disonore stai parlando?» sbottò subito Naya, infastidita. «E' solo innamorato di un ragazzo.»

La nonna, l'unica della famiglia che era rimasta in silenzio per tutto il tempo della discussione, guardò Naya e si alzò dalla sedia uscendo dalla cucina senza fiatare.

Il signor Rivera intanto aveva continuato a blaterare qualcosa sul fatto che Dio aveva scelto l'uomo e la donna come pilastri della famiglia e due donne o due uomini avrebbe solo stravolto la volontà di Dio. Se c'era una cosa che Naya non riusciva a sopportare della sua famiglia era tutto quell'essere devoti alla religione e alla chiesa.

«E quindi riusciresti ad odiare i tuoi figli perché amano qualcuno del loro sesso?» lo provocò Naya.

«Li aiuterei a cambiare.» affermò serio con gli occhi scuri rivolti alla moglie. «Li aiuteremmo a cambiare.»

«Stai scherzando, vero?» disse soffocando una risata. «Tu mi stai dicendo che se io ti dicessi di essere lesbica, mi aiuteresti a guarire. Come se avessi una malattia.»

Alcuni dei parenti sobbalzò al pronunciare della parola “lesbica” come se Naya avesse detto una parolaccia.

«Ma tu non lo sei, Naya.» continuò il padre, con un tono di curiosità.

Forse non era il momento adatto per rivelarlo all'intera famiglia. Ma Naya, guidata dal disprezzo e dalla rabbia all'interno del suo petto, preferì gridarlo esplicitamente.

«A me piacciono le ragazze.»

Sua madre si morse il labbro e chiuse gli occhi piegando la testa mentre stringeva la mano al marito, che invece mantenne la sua espressione seria in volto. L'intera famiglia sobbalzò e un brusio di alzò improvvisamente tra di loro.

«Amo la mia ragazza e non ho intenzione di lasciarla perché voi credete io stia insultando Gesù Cristo o chiunque altro lassù. Potrei benissimo uscire da questa porta e non rientrare mai più se per voi è più importante che io sia etero.»

Si sarebbe aspettata che il padre si alzasse e la prendesse per il polso chiedendole di smettere con queste sceneggiate. Non si sarebbero più parlati per un bel po', poi sarebbe tornato tutto come prima. Anche se con la continua disapprovazione sulle sue scelte.

Ma il signor Rivera rimase impassibile. La moglie lo guardava implorandolo di dirle qualcosa.

«Non mi drogo, non mi metto a svaligiare i negozi di alimentari, non torno a casa ubriaca e non mi faccio mettere incinta da nessun ragazzo. E devo essere guardata come se fossi la pecora nera della famiglia perché amo una ragazza?» avrebbe potuto continuare per altri minuti se suo padre non l'avesse interrotta.

«Va bene.» disse serio, senza muovere un solo muscolo.

La madre di Naya stringeva ancora la mano del marito, ancora in silenzio, lo guardò preoccupata quasi in preda ad un pianto.

«Va bene?» chiese Naya con un briciolo di speranza. Non sapeva in realtà che il padre stava bruciando di rabbia.

«Esci da quella porta, allora.»

Naya aggrottò le sopracciglia, ancora più delusa e arrabbiata di prima. Guardò per l'ultima volta il viso dei suoi parenti, quello di sua nonna che era rimasta ferma sull'entrata ad origliare la discussione e quello della madre, segnato dalla lacrime. La ragazza continuava a pensare tra sé perché sua madre non avesse reagito contro suo marito. Se le importava davvero tanto di sua figlia avrebbe potuto ribellarsi e dire al marito, per un volta, che stava sbagliando. Che era la loro figlia, anche se era lesbica. Ma, ovviamente, era troppo codarda per farlo.

Naya non rispose ma si alzò e, a testa alta, uscì da quella stanza voltandosi per l'ultima volta verso suo padre e dicendo le ultime parole che avrebbe sentito da sua figlia.

«Dimentica di avere una figlia. Perché io ho già dimenticato di avere un padre.»

Los Angeles poteva essere una città solare e divertente ma, per Naya, ormai significava essere troppo vicina alla famiglia che l'aveva rifiutata. Non sapeva nemmeno lei come aveva preso questa decisione: sarebbe partita per l'Europa, certa che, anche se il matrimonio tra omosessuali non era ancora legale, avrebbe trovato atmosfera migliore. Dovette partire da sola perché Alex non aveva accettato di allontanarsi dalla sua famiglia. Se la sarebbe ricordata come la prima fidanzata e prima ragazza che avesse mai amato. Ma ormai faceva parte del suo passato. Ora aveva una nuova vita da vivere e sicuramente sarebbe stata migliore di quella lasciata a Los Angeles.

  
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