Anime & Manga > Vampire Knight
Segui la storia  |       
Autore: Carlos Olivera    25/01/2013    3 recensioni
Una storia nata dalla Round Robin Threads Of Fate, ed ambientata parallelamente ad essa.
E' trascorso un anno da quando Eric Flyer ha sconfitto Valopingius e fermato i piani di suo nonno, discolpandosi dalle accuse a suo carico ed ottenendo la qualifica di Hunter a tutti gli effetti.
Molte cose sono cambiate in questi 12 mesi, e anche lui un po', così sua madre decide di raccomandarlo al suo amico Kaien perché sia inserito nel progetto di scambio culturale che l'Accademia Cross si accinge ad iniziare. Eric vi si trasferisce con una cert'ansia, sia perchè nella scuola si trova la sua eterna nemesi, sia perchè alla Cross è determinata a studiare anche la persona alla quale tiene maggiormente al mondo, e che disgraziatamente attira i vampiri come le mosche con il miele.
Ma la tranquillità durerà poco. Suo nonno Augusto, infatti, non solo non ha rinunciato al suo disegno di creare con le sue mani la prossima tappa dell'evoluzione dei vampiri, ma non ha neanche dimenticato come Kaname, e soprattutto Eric, abbiano fatto naufragare miseramente il suo primo piano. Ma questa volta, Eric potrà contare su un gran numero di compagni ed alleati.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

18

 

 

Al termine del bagno, gli studenti si prepararono per la cena.

Essendo una stazione a  quattro stelle, l’albergo poteva vantare un servizio di ristorazione non indifferente, in un trionfo di piatti tipici e molto ricercati; buona parte dei ragazzi della Cross venivano da famiglie agiate e aristocratiche, ma per alcuni di loro quella era la prima volta che avevano l’occasione di provare qualcosa di così prelibato.

Tutti indossavano i kimono, che alle ragazze in particolare donava non poco. Peccato che quasi tutti i maschi non fossero lì a godersi quel momento, troppo occupati a rimettere insieme i propri pezzi dopo quello che era successo in piscina.

Eric si stupì nel rendersi tuttavia conto che non c’era neanche Izumi, e chiese lumi ad Emma.

«È scesa al villaggio con Carmy.» tagliò corto la bionda «Diceva di voler comprare del tè, o qualcosa del genere.

Chi le capisce quelle come lei?».

Anche Nagisa era radunata assieme a tutti gli altri studenti attorno al tavolo della sala da pranzo, proprio accanto al suo signore, ma per quanto ci provasse non riusciva neanche ad alzare lo sguardo per cercare di incontrare, quanto meno, il suo volto.

Una volta non aveva alcun problema a guardarlo negli occhi, anzi cercava in essi quella forza e quella determinazione che talvolta le venivano a mancare, ora invece aveva quasi paura di quello che poteva vedervi riflesso, e di quelle emozioni che continuavano ad agitarsi dentro di lei, pronte ad emergere alla prima occasione o al primo momento di debolezza.

Non riusciva neanche a capire perché avesse tanto insistito per sedersi accanto a lui, scacciando su due piedi Rima che senza malizia né secondi fini era capitata proprio in quel posto, pur sapendo intimamente quanto ciò l’avrebbe resa nervosa.

Non capiva nulla.

Alla fine, sforzandosi oltre ogni limite, porse al suo signore una ciotola di riso che lui aveva richiesto ad Emma, cogliendola in controtempo.

«Grazie.» le disse lui, gentile ma fermo come sempre.

Per un attimo i loro occhi si incrociarono, ma il rossore sulle guance di Nagisa, unito ad un senso come di paura e ad un imbarazzo quasi incontenibile, spinsero la ragazzina a riabbassare subito lo sguardo, desiderando di non aver mai dato retta per l’ennesima volta all’istinto atavico di fare tutto ciò che il suo padrone comandava.

Si era accorto subito che Izumi era assente.

Ormai quella ragazza sembrava condizionare in ogni cosa la sua esistenza.

Era sempre in cima ai suoi pensieri, e per lei aveva fatto cose che Nagisa, fino a poco tempo prima, avrebbe reputato impossibili.

Il suo maestro era sempre stato inflessibile, calcolatore, razionale. Ora, invece, era diventato imprevedibile, quasi avventato nella sua determinazione di proteggerla.

E poi il modo in cui stavano insieme.

Solo ricordare quello che aveva visto quella sera, quando alla notizia del ritorno del suo padrone era corsa a cercarlo per dargli il bentornato per poi trovarlo lì, insieme a lei, a fare ciò che non avrebbe mai immaginato, era sufficiente per far montare dentro di lei quel misto di rabbia e desolazione.

Era brutto anche solo pensarlo, ma in quel momento quasi rimpiangeva che quella ragazza fosse entrata nella loro vita. Di più, rimpiangeva la sua stessa esistenza.

Se il maestro avesse sospettato che la sua adepta pensava una cosa del genere come minimo l’avrebbe disconosciuta come servitrice, ma era proprio questo a farla maggiormente infuriare. Quando Eric era cambiato fino a questo punto? Quando aveva smesso di essere il cacciatore freddo e determinato che aveva sempre ammirato per guidare tutta la sua esistenza in funzione di lei?

Per un po’ aveva visto in Izumi un’amica, una confidente, come quelle che aveva sempre avuto accanto prima di smettere di essere umana, ma ora la cosa stava andando troppo oltre, e l’amicizia stava cedendo il posto a qualcos’altro.

Un pensiero la fece rabbrividire.

Che fosse… amore?

 

Nell’infermeria dell’albergo, il direttore era occupato a medicare le ferite di Peter, Kageyama, e di quel poveretto di Yagari, rimasto suo malgrado coinvolto in una bravata di cui non c’entrava assolutamente nulla, ma picchiato nondimeno come quei tre sciagurati che aveva tentato inutilmente di trattenere.

Per Aidou non c’erano problemi, visto che era un vampiro, ma nel suo caso le vere ferite erano quelle nell’orgoglio.

Essere picchiato selvaggiamente e senza sosta dalle stesse ragazze che solitamente svenivano ai suoi piedi era un’umiliazione troppo grande per uno come lui, egocentrico per definizione, e ora se ne restava raggomitolato in un angolo a piangersi addosso.

Kageyama e Yagari bene o male se l’erano cavata con poco, mentre Peter al contrario sembrava una mummia uscita dal sarcofago; lo avevano affettato, crivellato, pugnalato, bruciato, bastonato, scalciato e scaraventato giù dal terrazzo, e tutti si meravigliavano del fatto che in qualche modo fosse sopravvissuto.

«Ahia!» brontolò Toga quando il direttore gli strinse con forza l’ultimo dei suoi molti bendaggi

«Smettila di lamentarti. Ringrazia piuttosto che ti abbiano trattato con riguardo.»

«Ma fa un male cane comunque, per Dio.»

«E io allora che cosa dovrei dire?» mormorò mestamente Peter sorreggendo la propria flebo

«Visto e considerato che tutto questo è accaduto solo ed esclusivamente per causa tua, al tuo posto io starei zitto, razza di tedesco maniaco.»

«È finita.» continuava a ripetere Kageyama, raggomitolato in un angolo come Aidou «Ora Ruka-sama non mi vorrà più vedere.»

«Se ti può consolare, non gliene fregava niente di te neanche prima.» rispose lapidario Aidou «Sono io piuttosto che dovrei essere triste. Chissà quanto mi ci vorrà per riacquistare la fiducia delle ragazze.»

«Dovevi pensarci prima di fare il guardone.» commentò Yagari.

Mentre il direttore finiva di mettere via gli attrezzi da pronto soccorso, poi, l’anziana direttrice della pensione si presentò in infermeria.

«Chiedo scusa direttore, c’è una telefonata per lei. Pare sia importante».

Tutti si misero subito sul chi vive.

Il direttore aveva lasciato detto che per quella settimana né lui né i suoi ragazzi avrebbero dovuto venire disturbati, se non in casi di vera necessità, tanto più che per alcuni di loro i prossimi giorni sarebbero stati davvero molto duri.

«La ringrazio».

Liquidato Kageyama con una scusa e allontanato Aidou, troppo impegnato a rimettere insieme i cocci del suo ego per potersi preoccupare di qualsiasi altra cosa, Kaien sollevò la cornetta del telefono dell’infermeria e si fece passare la chiamata.

«Sono il direttore Cross. … Sì … Sì … Davvero!? … Sì, capisco … D’accordo, faremo attenzione. … Grazie di avermi avvisato.»

«Che è successo?» domandò Yagari

«Era Kogoro Negi, da Tokyo. Un Livello E affetto dalla Rabbia è stato avvistato su queste montagne.»

«Che cosa, dalla Rabbia!?» ripeté Peter.

Anche i vampiri potevano contrarre la Rabbia, e i Livello E in particolar modo.

Non era la stessa malattia riscontrabile negli animali, anche se il nome era lo stesso, ma i sintomi si assomigliavano: iperattività, aumento dell’aggressività, e una sete incontrollabile. Un vampiro affetto dalla rabbia, peggio ancora se di Livello E, era capace di attaccare e mordere chiunque, e quello che era peggio era in grado di trasmettere il contagio anche solo con un semplice graffio.

Per fortuna, i vampiri affetti dalla rabbia erano molto sensibili alla luce, anche quella artificiale, e temevano i grandi assembramenti, il che permetteva di restare relativamente al sicuro da un loro attacco a patto di rimanere in gruppo e al chiuso.

«Fino a domani sarà meglio che tutti restino all’interno dell’albergo.» ordinò il direttore «Peter, controlla che ci siano tutti.»

«Come fatto.» disse lui avviandosi subito verso la porta

«Vado a parlare coi proprietari.» disse Yagari «Dirò loro di tenere le luci accese lungo tutto il perimetro.» e anche lui se ne andò

«Maledizione.» mugugnò Kaien rimasto solo «Ci mancava solo questa».

Poco dopo, Eric incrociò Peter mentre stava recandosi in veranda per fare una partita a ping-pong prima di andarsene a letto.

«Allora, quante ossa ti sono rimaste dopo quella bravata?» domandò divertito, salvo poi rendersi conto che Peter non sembrava per nulla dell’umore adatto per scherzare «Che c’è?»

«C’è un Livello E rabbioso che vaga per questi boschi. Ce lo ha appena comunicato il tuo amico Negi

«Rabbioso!?»

«Il direttore ha dato ordine di restare nell’albergo e di non uscire fino a domani mattina, quando arriveranno le squadre speciali.

Sto andando ora ad accertarmi che tutti i ragazzi siano al sicuro. Puoi confermarlo?».

Eric si sentì sudare freddo.

No che non poteva confermarlo! Perché non era così!

«Izumi!» esclamò, e senza dire altro spalancò una porta-finestra lì accanto e corse via.

Mentre attraversava il cortile incrociò Nagisa, seduta ai bordi di uno stagno con i piedi immersi nell’acqua, in preda alle sue ansie e ai suoi dubbi. La comparsa del suo signore fu per lei quasi un sollievo; voleva parlargli, se non altro per cercare di far luce sui suoi sentimenti, ma era così confusa da non accorgersi dell’espressione sgomenta e preoccupata di Eric, che in quel momento aveva ben altro per la testa.

«Mio signore…» cercò di dire, ma lui le passò accanto senza fermarsi

«Non c’è tempo!» disse in modo anche un po’ brusco prima di saltare il muro di cinta con un solo balzo e scomparire alla vista.

Nagisa restò senza parole, sgomenta e spiazzata, con gli occhi lucidi sul punto di piangere, e solo dopo alcuni minuti, per bocca del direttore, venne a conoscenza del motivo per cui Eric si era comportato in quel modo; la cosa avrebbe dovuto sollevarla, e invece, sapendo chi doveva esserci di mezzo, servì solo ad avvilirla ulteriormente.

Di nuovo: di nuovo lei aveva la priorità.

 

Izumi e Carmy erano scese in paese per comprare dei dolci da spartire con le loro compagne di stanza, nella speranza di “addolcire” il loro umore dopo quello che era successo in piscina.

In realtà, almeno nel caso di Izumi, c’era anche dell’altro.

Aveva bisogno di stare per un po’ lontana da Eric. Di capire meglio i suoi sentimenti e le sue sensazioni, senza di pericolo di trovarsi faccia a faccia con lui in ogni momento.

Così, quando la sua amica le aveva proposto quella gita, non ci aveva pensato due volte ad accettare. Finite le compere si erano anche concesse di cenare in un piccolo ristorantino tipico a base di okonomiyaki, un piatto che Carmy non aveva mai assaggiato e che Izumi fu ben felice di farle provare.

«Non avrei mai pensato di dirlo.» commentò l’inglese mentre percorrevano la strada, stretta e non troppo illuminata, che attraversando i boschi saliva fin sulla collina dove erano arroccate le terme «Ma la cucina giapponese inizia a piacermi.»

«Mi fa piacere.»

«Dopo questa mangiata, quando rientreremo al collegio mi toccherà restare a digiuno.»

«I daifuku di qui forse non saranno al livello di quelli di Tokyo.» disse Izumi guardando il contenuto del sacchetto che aveva con sé «Ma se non altro aiuteranno Emma-senpai e le altre a calmarsi.»

«Ne dubito. Dopo quello che è successo temo gli ci vorrà ben più di un dolcetto per smaltire l’arrabbiatura».

Carmy però si accorse, quasi subito, che la sua migliore amica aveva decisamente qualcosa per la testa, e non faticò ad immaginare di che cosa dovesse trattarsi.

Tuttavia, per rispetto a quello che sapeva stesse passando, non volle girare il dito nella piaga, come la sua malizia solitamente le suggeriva di fare; anzi, volle darle una sorta di suggerimento, così, giusto per smorzare la tensione.

«Lo sai.» le disse mentre passeggiavano avvolte dal silenzio della sera «Mi è capitato di leggere una cosa un po’ di tempo fa.»

«Che cosa?»

«Dicono che, in questa zona del Giappone, cresca un particolare tipo di camelia, dai colori molto insoliti. Non è né bianca né rossa, ma di un colore leggermente rosato. Infatti, lo chiamano il Fiore Confetto. Si dice che se cogli una di queste camelie in una notte di luna piena, e pensando intensamente alla persona a cui tieni di più, riuscirai finalmente ad esternargli i tuoi veri sentimenti.»

«Esternargli… i tuoi veri sentimenti!?» disse incredula Izumi.

Carmy ammiccò; era certa che la cosa non l’avrebbe lasciata indifferenze. Alzò il dito ad indicare il cielo.

«E guarda caso, stasera c’è la luna piena. Potremmo andarne a cercare qualcuno, non sei d’accordo?».

Era un’idea assurda, per non dire impraticabile, ma tutto quello che Carmy voleva era gettare l’esca; ormai si era affezionata troppo ad Izumi, e non voleva che il suo rapporto con Eric rischiasse di naufragare per timidezza o indecisione.

Izumi abbassò lo sguardo, rossa di imbarazzo ma con il cuore che batteva più forte del solito, e per alcuni minuti continuò a camminare senza proferire parola.

Poi, da un istante all’altro, si fermò, bloccandosi in mezzo alla strada deserta.

«Che succede?» le chiese Carmy

«Che stupida, ho dimenticato il telefonino al ristorante.»

«Il telefonino!?»

«Torno indietro a prenderlo.»

«Aspetta, vengo con te.»

«No, non sarà necessario. Tu ritorna pure in albergo, e…».

Si bloccò un momento, come imbarazzata.

«E dì ad Eric che le ombre mi spaventano».

Carmy non capì il senso di quella frase, e Izumi non le diede il tempo di chiedere spiegazione, perché girati tacchi tornò in tutta fretta verso il villaggio.

«Aspetta!» tentò di dirle, ma era troppo tardi.

Izumi continuò a procedere a passo spedito lungo la strada per un centinaio di metri, rigida e statica come un soldato al passo di marcia, e quando fu certa di essersi allontanata a sufficienza da Carmy si fermò nuovamente, mentre una riga di sudore che segnava la tempia.

Ci aveva messo un po’ per rendersene conto, ma poi ne aveva avuto la certezza.

Forse era merito di Izanagi, che le aveva dato come un sesto senso, fatto sta che a differenza del passato non le era stato difficile, infine, percepire quella presenza minacciosa che per tutto il tempo aveva tenuto d’occhio lei e la sua amica.

Per questo aveva fatto allontanare Carmy; sapeva che, dovendo scegliere, il nemico avrebbe senza dubbio preferito il suo odore a quello dell’amica.

Si guardò attorno, cercando di intercettare l’arrivo della minaccia cogliendola in controtempo, e ancora una volta quel sesto senso le venne in aiuto; un istante prima che fosse troppo tardi, infatti, dentro di lei si accese come una scintilla, e fulminea si buttò a terra di lato, giusto in tempo per evitare una zampata che per fortuna si limitò a sventrare il sacchetto dei dolci.

Rialzatasi, si trovò a tu per tu con un vampiro non più giovanissimo, sicuramente un Livello E, ma come cercò di fare qualche passo indietro si ritrovò con la schiena già appoggiata contro l’alta muraglia che stava ai lati della strada e sorreggeva la montagna soprastante.

Il Livello E esitò, tenendo gli occhi fissi sulla sua preda, ma prima che potesse pensare di partire all’attacco un’ombra a sua volta piombò su di lui; riuscì ad evitare a sua volta una zampata potenzialmente mortale, ma dovette indietreggiare per forza di cose.

«Eric!» disse Izumi vedendolo comparire davanti a lei

«Stai attenta. Questo vampiro è pericoloso».

Ora la situazione era invertita, ma Eric sapeva che un Livello E con la rabbia era capace di qualsiasi cosa, anche di imbarcarsi in uno scontro perso in partenza con un avversario troppo superiore.

Era una battaglia vinta in partenza.

Non ci sarebbero stati problemi di sorta, se all’improvviso l’attenzione del Livello E non fosse stata attratta da qualcos’altro.

Da un istante all’altro, come manna dal cielo, era comparsa una nuova preda.

Carmy aveva capito che qualcosa non andava, e prima ancora di arrivare in albergo era voluta tornare indietro alla ricerca dell’amica per capire il perché di quello strano comportamento.

Il Livello E la vide comparire lì, dietro una curva, immobile per il terrore alla vista della pelle raggrinzita e degli artigli ricurvi del mostro, che ora aveva puntato proprio lei.

«Carmy, vattene!» tentò di urlarle Izumi «È pericoloso!».

Ma era troppo tardi; il miraggio di un pasto facile aveva ormai deviato del tutto l’attenzione del nemico, che ora si preparava a scattare.

Izumi non ci pensò due volte: doveva proteggerla.

«Izumi, no!» tentò di dire Eric, ma prima che potesse fare qualcosa lei era già scattata, e così anche il Livello E.

Eric non sapeva cosa fare, e fece ciò che nella sua vita, ed in simili circostanze, aveva fatto solo in pochissime occasioni; tacitata la fredda mentalità calcolatrice, si affidò unicamente all’istinto, e l’istinto in quel momento gli ordinava di fare una cosa sola: proteggere lei. A qualunque costo.

Lei aveva la priorità su tutto.

Se avesse voluto gli sarebbe servito un niente per rallentare il tempo, eliminare il nemico e chiudere la questione, ma in quel momento la sua mente era occupata da un unico pensiero, e quel pensiero non gli lasciava né il tempo né il modo di pensare ad altro.

Izumi si avventò su Carmy, stringendola forte come a voler arrecare un aiuto di cui lei stessa aveva bisogno, ma il Livello E si era avventato su entrambe.

Di nuovo, Eric si mise in mezzo, comparendo quasi dal nulla, proprio nell’istante in cui la zampata del nemico calava impietosa sulle due ragazze, e protette entrambe da quell’unico assalto menò un colpo d’artigli che non lasciò scampo al nemico, lasciandolo a terra esanime in un lago di sangue.

Non divenne subito cenere, in quanto il virus di cui era portatore rallentava la normale disgregazione cellulare, ma lo sarebbe comunque diventato nel giro di un’ora.

Izumi, che aveva chiuso gli occhi per la paura, restò di sasso nel vedere nuovamente Eric davanti a lei, e così anche Carmy, gettata a forza per la prima volta nel sanguigno e spietato mondo delle creature della notte.

Eric era immobile, come una statua, il braccio ancora proteso verso il basso.

«E… Eric…» mormorò Izumi.

Lui a quel punto si sollevò, distendendo i muscoli, e girò un momento gli occhi verso le due ragazze.

«State bene, vero?» disse abbozzando un sorriso.

Ma i suoi occhi dicevano tutt’altro. In essi, infatti, Izumi lesse il dolore, che nel giro di pochi istanti divenne per il giovane impossibile da nascondere.

Digrignando i denti Eric cadde prima in ginocchio e poi a terra, raggomitolandosi in posizione fetale con le mani strette a forza sul torace.

«Eric!» disse Izumi cercando di aiutarlo.

Pochi secondi dopo, giunse sul posto anche Nagisa, tutta trafelata e con un’espressione di sgomento e preoccupazione quasi inconsueta per lei dipinta sul viso.

«Mio signore!» esclamò attonita

«Nagisa, Eric sta male!».

Quasi gettando via Izumi Nagisa si accostò al suo padrone, facendolo voltare, e quello che apparve terrorizzò le due ragazze. Al centro del petto, il kimono era lacerato ed insanguinato, e la pelle segnata da tre profonde ferite che, nonostante il potere rigenerativo dei vampiri, non volevano saperne di guarire; non solo, vi erano segni come di cancrena, e il sangue che fuoriusciva era denso e nero.

Eric capì subito cosa gli era successo.

«Statemi… statemi lontane…» rantolò prima di perdere i sensi

«Mio signore!» disse Nagisa con gli occhi inondati di lacrime.

 

Eric aveva contratto la rabbia.

Nagisa, aiutata da Izumi e Carmy, lo portò in tutta fretta all’albergo, dove fu lasciato nelle mani della dottoressa Himeka.

Sfortunatamente, non esistevano rimedi certi contro la rabbia trasmessa dai vampiri. Tutto quello che si poteva fare, se l’infezione non era grave e veniva presa per tempo, era trattare l’organismo con farmaci lenitivi ed epurare eventuali ferite infette, poi stava alla vittima trovare la forza per debellare da sé il decorso del virus.

Non c’era tempo di trasferire Eric in un ospedale di Tokyo amministrato dall’Associazione, e comunque non sarebbe servito a niente.

Tutti gli studenti o quasi furono mandati nelle loro camere, con il divieto assoluto di uscire, ufficialmente perché uno studente era sospettato di aver contratto una grave influenza, e la stanza dove Eric fu portato venne interdetta a chiunque.

Solo i professori, Izumi e Nagisa furono ammessi alla sua presenza; Izumi arrivò per ultima, dopo aver calmato Carmy ancora scossa per l’accaduto, e ciò che vide la lasciò sgomenta: Eric era disteso sul futon, coperto da capo a piedi, il volto e i capelli imperlati di sudore e l’espressione sofferente, di qualcuno che trattiene a stento e urla di dolore.

Nagisa sembrava anche più sopraffatta, e restava inginocchiata accanto al suo signore cercando, senza trovarla, la forza di stringergli la mano.

Un Sangue Puro non avrebbe mai avuto motivo per dover temere la rabbia, ma Eric era mezzo umano, e questa, una volta tanto, era stata la sua rovina, per non dire la sua condanna.

«Non sarebbe il caso di portarlo all’ospedale?» chiese Peter

«Sarebbe inutile.» replicò Yagari «E comunque, nelle sue condizioni

«Gli ho dato un sedativo.» disse la dottoressa «Dovrebbe calmare il dolore. Ora è tutto nelle sue mani».

Ma purtroppo, neanche la dottoressa era ottimista.

«Jun, dimmi seriamente.» disse il direttore «Quante possibilità ha di cavarsela?»

«Tutto dipende da lui. Ha un fisico forte e una grande volontà, e questo di sicuro ha un vantaggio. Ma anche così, le probabilità che il suo organismo riesca ad assorbire e distruggere il virus sono cinquanta su cento. Forse anche meno».

La notizia gelò tutti; Izumi non volle crederci, Nagisa sembrava sul punto di piangere, Peter digrignava i denti per l’impotenza e la collera.

«Dovete essere pronti a tutto.» sentenziò ancora la dottoressa «Se dovesse raggiungere l’ultimo stadio della malattia, ci sarebbe una sola alternativa».

L’alternativa peggiore.

Quella che nessuno voleva neanche prendere in considerazione.

Un vampiro affetto dall’ultimo stadio della rabbia era comunque destinato a morire entro poco tempo, ma era dovere degli Hunter assicurarsi di eliminarlo comunque quanto prima, per non dare modo al contagio di diffondersi ulteriormente.

«Per il momento deve restare isolato. Ho già eretto una barriera attorno alla stanza che gli impedirà di uscire. In ogni caso, non dovremo aspettare molto per sapere come andrà a finire.

Se il virus farà o meno effetto, lo sapremo al massimo per domani mattina. In ogni caso, bisogna essere pronti a tutto».

Yagari aggrottò le sopracciglia, e cercando di non farsi vedere gettò un’occhiata al fucile che aveva dietro la schiena, intercettato comunque sia da Peter che dal direttore; una manifestazione più che ovvia delle sue intenzioni.

Nessuno di loro voleva essere costretto ad uccidere un amico ed un compagno Hunter, ma se la cosa fosse degenerata non ci sarebbe stata altra scelta: e comunque, la morte sarebbe stata sicuramente preferibile a quello in cui l’ultimo stadio della malattia lo avrebbe trasformato.

Nagisa, ormai incapace di contenere le lacrime, corse via coprendosi il volto; sapeva anche lei che quella, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe stata l’unica soluzione, ma nonostante ciò non voleva accettarlo, e poco importava se la morte del suo maestro avrebbe significato, inevitabilmente, anche la sua.

Corse, corse senza meta attraverso i corridoi della pensione fino in cortile, fermandosi ai piedi del laghetto dove nuotavano decine di pesci colorati.

Perché?

Perché doveva finire così?

Almeno le avesse detto cosa stava succedendo. Sarebbe stata lì, al suo fianco, come sempre, pronta ad aiutarlo, ed anche a sacrificarsi per lui se necessario.

E invece no, aveva voluto fare tutto da solo. I suoi sentimenti per quella ragazza lo avevano reso cieco e avventato; non era più la persona che aveva conosciuto, ma nonostante ciò non riusciva a non… non riusciva a non amarlo.

Ora poteva dirlo.

Ora se ne rendeva conto.

Lei amava il suo signore. Lei amava Eric.

Lo avrebbe voluto urlare, ma a che cosa sarebbe servito? C’era una probabilità su due che non arrivasse a vedere la prossima alba, e seguirlo nella morte era solo una ben magra consolazione.

Non era giusto!

Non lo accettava!

E l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quel momento non trovò niente di meglio da fare che venire a cercarla.

Izumi era sinceramente preoccupata, sia per Eric che per quella che considerava un’amica; sapeva di avere la sua parte di responsabilità nell’accaduto, una grossissima parte, e poteva capire, o credeva di capire, come Nagisa dovesse sentirsi.

Per questo le era corsa dietro. Anche lei tratteneva a stento le lacrime, e per quanto ci provasse non riusciva a trovare la forza per parlare.

«Nagisa.» disse dopo molte esitazioni «Io, ecco… lo so che non serve a niente dirlo ora, però… mi dispiace.

Mi dispiace sul serio di quello che è successo. Quel mostro stava per aggredire Carmy. Ma forse, se non fossi stata così avventata…».

Dovette fermarsi per calmare i singhiozzi, e intanto Nagisa, distante alcuni passi, continuava a darle le spalle, senza voltarsi a guardarla e seguitando a tenere gli occhi a terra.

«Però…» disse allora Izumi sforzandosi di pensare positivo «Però Eric è forte. Lo sappiamo tutte e due. Sono sicura che ce la farà. Non si lascerà sopraffare da una cosa così. Ha affrontato e sconfitto prove molto più dure.

E quindi…»

«È colpa tua».

Izumi restò di sasso.

«È tutta colpa tua.» ripeté sommessamente Nagisa.

Nella sua voce c’era una tale cattiveria, ed un tale odio, che Izumi se ne sentì atterrita.

«Che cosa ne sai tu di Eric?» disse ancora la succube continuando a darle le spalle «Credi forse di conoscerlo come lo conosco io?

Prima che arrivassi tu, era una persona completamente diversa. Non avrebbe mai fatto una cosa così stupida.»

«Nagisa…».

Nagisa a quel punto si girò; i suoi occhi erano iniettati di collera e odio.

«Sei solo una stupida bambina, tieni per te una cosa che non ti dovrebbe riguardare, che diritti hai su di lui?

Dopotutto la fortuna ti arride sempre. Tanto Eric verrà a salvarmi. È questo quello che pensi tutte le volte. Sai che lui ti tirerà sempre fuori dai guai. E ora guarda cosa gli è successo».

Una simile verità era già difficile da accettare, ma sbattuta in faccia in quel modo diventava insopportabile.

«Se tu non fossi entrata nella nostra vita come hai fatto, niente di tutto questo sarebbe mai accaduto.

Sei tu l’unica responsabile di quello che è successo.

Era una persona così diversa prima di incontrarti. Ora, certe volte, quando lo guardo, mi sembra di avere di fronte un estraneo.

Tu lo hai cambiato.»

«I… io…» disse la ragazza trattenendo a fatica le lacrime

«Quelle come te sono abituate ad avere tutto e subito. Tu non hai la minima idea di quello che lui e io abbiamo passato.

Hai vissuto tutta la vita in una famiglia felice, senza preoccupazioni né pensieri. Non sai che cosa voglia dire vivere per davvero. Io ho perso tutto. La mia famiglia, i miei amici. La mia vita. Tutto mi è stato portato via. Eric era tutto quello che mi restava. Lui e il mio odio per i vampiri. Mi faceva stare bene il pensiero che lui la pensasse come me.

Ma tu, con le tue moine, i tuoi sogni infantili, e il tuo ottuso ottimismo, gli hai riempito la testa di fantasie e false certezze. Gli hai fatto credere che i vampiri possono essere buoni. Che non dovessero essere considerati a priori una minaccia.

E invece, ora, potrebbe essere proprio per mano di un vampiro che lui morirà.

E tutto per colpa tua. Non lo conosci nemmeno per davvero e sostieni di amarlo, mi disgusti».

Izumi, pur nel dolore datole dalla crudeltà di quelle parole, capì quali fossero i sentimenti che si agitavano nella giovane succube.

«Tu… tu lo ami…»

«Qualsiasi ragazza che non lo ami è cieca. Ma lui non potrà mai amarmi. Come potrebbe amare un mostro come me?»

«Ti sbagli Nagisa, tu non sei un mostro.»

«E anche se fosse, che importanza ha? Tanto potrebbe comunque essere morto in poche ore. Ed è colpa tua. Sei un'egoista, lo sai? Sei riuscita a sottrarmi la mia unica ragione di vita».

Era troppo.

Nagisa aveva ragione.

Tutto era accaduto per causa sua.

Troppe colpe. Troppe responsabilità aveva in quanto stava succedendo. Non se ne rendeva conto, ma ora che le erano state sbattute in faccia non poteva non vederle.

Non aveva idea che Nagisa soffrisse così tanto, né che fosse proprio lei la ragione del suo soffrire. Chissà per quanto tempo aveva soffocato e represso i suoi sentimenti, e tutto per poter continuare a svolgere quell’ingrato ruolo di Cane da Guardia del suo signore, condannata a stargli accanto senza poter mai confessare le sue vere emozioni.

Izumi non ce la fece più. I suoi occhi erano inondati di pianto, la sua anima atterrita dal peso di quelle crudeli parole e delle responsabilità che si rendeva conto di avere.

Schiacciata dal dolore, scappò via, seguita con lo sguardo da Nagisa, che non fece nulla per fermarla.

Emma, intenta a fumare la sua pipa affacciata al balcone della sua stanza, vide la piccola Izumi attraversare il cancello e scappare come inseguita da un fantasma invisibile.

Provò a chiamarla, ma non rispose, e in breve tempo la vide sparire nei boschi circostanti.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Stavolta sono stato più veloce del previsto, e sono riuscito ad aggiornare in tempi rapidi.

Come avevo promesso, siamo tornati alle tematiche e alle atmosfere dei capitoli precedenti.

Non male come salto rispetto all’ultimo, non vi pare?

Col prossimo capitolo chiuderemo la questione delle terme, e credo di poter dire con una certa percentuale di sicurezza che siamo già al 40% della narrazione, se non di più.

Con il racconto della riunione che si svolgerà ad Hokkaido si entrerà davvero nel vivo della storia.

Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Vampire Knight / Vai alla pagina dell'autore: Carlos Olivera