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Autore: Padmini    27/01/2013    1 recensioni
Maximillian Webb, medico legale al Saint Bartholomews Hospital di Londra, con una fidanzata opprimente e un lavoro che non lo soddisfano totalmente.
Tutto ciò è destinato a cambiare quando incontrerà una donna molto speciale ...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
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Chiedo venia per la lunga assenza con questa storia, ma per motivi tecnici è stato impossibile continuarla. Ora cercherò di essere più costante. Spero che vi piaccia e che continuiate a seguirla e, en passant, lasciate pure qualche recensioncina.

Un bacio e buona lettura



 

 

 

The First Consultant Detective

 

 

 

 

 

Sherlock P.O.V.

 

 

 

Era una sera come tante altre. La noia ormai era diventata mia amica e io cercavo di tirare avanti come potevo. Non potevo più camminare come un tempo, avevo bisogno del bastone. L'unica mia consolazione era il tabacco. Non più cerotti alla nicotina.

Rain, per il mio novantesimo compleanno, mi aveva regalato un'elegantissima pipa in ciliegio e io la fumavo ogni sera. Al diavolo i polmoni! Potevo pur permettermi una buona fumata, no? Ormai avevo raggiunto i cento anni … anno più, anno meno …

Mi sottoponevo periodicamente a visite di controllo, che dimostravano ogni volta la mia buona salute, perciò potevo lasciarmi andare almeno a questo vizio.

Me ne stavo appunto in veranda ad osservare il sole che accennava a tramontare, quando sentii vibrare il cellulare.

Da tanto non ricevevo telefonate e mi chiesi immediatamente chi potesse essere. Immaginai che fosse quel rompiscatole di Gatiss con qualche sua richiesta assurda. Presi il cellulare e mi misi gli occhiali. Ero scocciato. Chi diamine stava interrompendo la mia fumata?

Era Benedict.

“Dimmi, Ben” risposi, lievemente sorpreso.

“Oh! Nonno … c'è un problema”

Qualcosa nella sua voce mi fece preoccupare, ma cercai di non darlo a vedere.

“Rain … si tratta di Rain. Non sta bene. Posso portarla da te? Sarebbe il caso che restasse da te per qualche tempo”

Naturalmente accettai.

Nemmeno due ore dopo erano davanti a casa mia, con la Jaguar di Ben carica del bagaglio di Rain e … Rain.

La accolsi come meglio potevo. Le avevo già preparato una tazza di cioccolata calda e ce la gustammo seduti davanti al camino. Lei si confidò con me e venne fuori che Maximillian, il suo coinquilino, aveva abusato sessualmente di lei.

Che cieco ero stato! Avevo preferito non vedere, come la mia Rain, d'altra parte.

Era evidente che quel ragazzo in passato aveva avuto problemi con qualche droga … morfina? Cocaina? … e che ci stava lentamente ricascando.

D'altra parte, potevo prevedere ciò che sarebbe successo? No, no di certo. Eppure …. Maximillian aveva bisogno d'aiuto. Ne ero certo.

Mi immaginai la reazione degli uomini di famiglia, Julian per primo. Non potevo permettere che si sfogassero su di lui. Lo capivo. Da ex tossicomane lo comprendevo e sapevo che quello di cui aveva bisogno era solo un aiuto sincero.

Senza farmi vedere da Rain gli mandai un SMS. Gli consigliai di nascondersi in un mio vecchio appartamento che usavo per i pedinamenti e gli dissi dove tenevo la chiave.

Sapevo che Benedict, seguito da Hamish, William e Julian, lo avrebbero cercato per tutta Londra per potergli dare la lezione che si meritava secondo loro. Non potevo permettere che accadesse.

Non potevo nemmeno lasciare Rain sola, perciò optai per rimandare tutto al giorno dopo.

L'ascoltai, le parlai, le raccontai la mia esperienza e tutto ciò sembrò rassicurarla. Più delle parole, però, penso che fu la mia presenza a rasserenarla. Qualsiasi cosa fosse stata, ora stava meglio e solo questo contava.

 

Il giorno seguente mi alzai con la precisa intenzione di recarmi a Londra. Rain doveva starne lontana, però. La obbligai a stare in casa mia e le consigliai di provare a rilassarsi. Avevo dato appuntamento a Max al Bart's. Doveva recarvisi come se nulla fosse, come se fosse un normale giorno di lavoro. Così fece.

Dopo un lungo viaggio, tra autobus e treno, arrivai finalmente a Charing Cross e, dopo un breve tragitto in taxi, mi ritrovai davanti alla porta dell'obitorio, dopo tanto tempo.

Maximillian era lì. Aveva appena finito un'autopsia e ora stava compilando la documentazione.

Quando entrai sobbalzò. Mi aspettava, ma non era pronto a ricevermi. Non sapeva cosa aspettarsi da me. Lo avrei sorpreso.

“Maximillian ...” lo salutai con un cenno del capo.

“Signor … Signor Holmes!” mi rispose lui, gridando per la paura “Io … io ...”

Posò la cartelletta al tavolo e cercò di darsi un contegno.

“Immagino che lei sia qui per …” non resse. Si accasciò sulla poltrona e cominciò a piangere “Mio Dio! Cos'ho fatto. Io … io non ero in me. Ero ubriaco. Ero … la prego, signor Holmes! Mi perdoni ...”

“Non sono io a doverti perdonare” gli risposi gelido. Fu più forte di me. Nonostante lo capissi, facevo fatica a lasciar correre ciò che aveva fatto alla mia piccola.

“Rain deve perdonarti e, soprattutto … tu lo devi fare”

Mi guardò stranito. Non si aspettava una reazione simile.

“Ti capisco, sai?” gli dissi, ottenendo un'altra occhiata ancora più sorpresa della prima “Anch'io sono stato tossicomane”

Il colpo di grazia.

“Tossicomane?” mi domandò “Lei? Non ne avevo idea … Ma io … io non ...”

“Stai parlando con il più grande detective del mondo” dissi senza falsa modestia “Non puoi nascondermi nulla. Inoltre riconosco i sintomi. Già quando siete venuti a casa mia tempo fa, per quel caso della medusa … già allora avevo visto qualche segnale, ma avevo preferito ignorarlo. Ho preferito vedere il bene che avresti potuto fare per Rain … che potresti ancora fare, se volessi farti aiutare”

Restò qualche minuto meditabondo. Era veramente sorpreso. Questo era evidente. La cosa, naturalmente sorprese anche me. Mi ero aspettato una reazione diversa. Imbarazzo. Vergogna.

Invece era totalmente spaesato. Non capiva davvero di cosa stessi parlando.

Era davvero frustrante.

Con un movimento veloce e deciso gli afferrai il braccio e sollevai la manica fino a sopra il gomito.

“Come le spieghi, queste?” gli chiesi arrabbiato, notando i segni delle iniezioni.

“Queste?” mi domandò lui, che ora sembrava scocciato.

Si sottrasse dalla mia presa e si rimise a posto la manica e mi guardò con gli occhi ridotti ad una fessura.

“Io avrò anche fatto una cosa orrenda sua nipote” mi disse in un sibilo “Ma lei non può venire qui e darmi del tossicodipendente. Questi sono i segni delle iniezioni di insulina. Sono diabetico e devo iniettarmi l'insulina con regolarità. Contento?” mi chiese infine, sfogando in quell'ultima domanda tutta la sua rabbia.

Insulina? Poteva essere solo insulina? C'era qualcosa che non quadrava.

In quel momento, il momento più sbagliato che potesse capitare, arrivò la spedizione punitiva.

Julian, seguito da William e Hamish. Sospirai di sollievo quando vidi che mancava Benedict. Nonostante questo, però, ero accigliato.

Max, dietro di me, capì immediatamente cosa gli sarebbe successo. Non l'avrei permesso. Mi girai su me stesso e li affrontai a viso aperto, la mano tesa sul bastone, pronto a colpire se fosse stato necessario.

“Zio Sherlock!” esclamò Hamish vedendomi “Sei qui anche tu, dunque”

“Esatto” risposi “Non lascerò che gli facciate del male” dissi e alzai lievemente il bastone da terra, per dimostrare che ero pronto a combattere.

Mi guardarono allarmati.

“Ma … zio!” mi disse William “Questa bestia ha … non riesco nemmeno a dirlo ... Dopo quello che ha fatto vuoi anche difenderlo?”

“Si faccia da parte” intervenne Julian “La rispetto tantissimo, signor Holmes” mi disse facendosi avanti, minaccioso “Ma questo delinquente ha violentato mia figlia. Mia figlia, capisce? Cosa avrebbe fatto se fosse successo a Violet?”

Scossi la testa.

“Capisco benissimo come ti senti, Julian” gli dissi senza muovermi di un millimetro “Rain è mia nipote, non dimenticarlo mai. Sentiamo, cosa pensi di risolvere picchiandolo?”

Mi guardò e, per un momento, la mia domanda lo calmò.

“Mi sfogherei!” rispose poi, ringhiando “Ho bisogno di sfogare la mia rabbia su qualcuno … chi meglio di quel criminale che ...”

“Basta così” lo interruppi alzando la mano “Ciò che state per fare è inutile e dannoso. Inutile perché non cambierà le cose, dannoso perché rischiate di andare in prigione e … non migliorereste la situazione di Rain … né di Maximillian. Vi siete precipitati qui come bestie e non avete fatto l'unica cosa sensata che potevate fare. Andare da Rain. Ci avete anche solo pensato?”

Si guardarono imbarazzati. Evidentemente il loro primo e unico pensiero era andato alla vendetta.

“Cosa vuoi dire, zio?” mi domandò ugualmente William “Non vorresti picchiarlo anche tu?”

“Devo ammettere che, all'inizio, volevo” risposi serio “Ma la ragione ha sempre la meglio sulla brutalità. Maximillian è un ex tossicodipendente e ha bisogno d'aiuto. Ciò che ha fatto a Rain … ciò che le ha fatto è stato tremendo, ma ciò non deve distoglierci dal problema”

“Come fai ad essere così freddo?” mi domandò Hamish “Rain ...”

“Sono un sociopatico, Hamish” lo interruppi.

“Bella fortuna!” mi rispose William ridendo sarcastico.

“Non l'ho mai considerato un handicap” gli risposi, ignorando il sarcasmo “Non essere coinvolto dai sentimenti degli altri mi ha sempre permesso di poter esaminare i casi in modo distaccato e professionale. Per quanto riguarda Maximillian … ha urgente bisogno d'aiuto, prima che faccia del male a sé o ad altri. Tu, invece” aggiunsi poi, guardando Julian “Vai in palestra. Prendere a pugni un sacco da pugilato fa sempre bene in questi casi. Fidati. Esperienza personale” *

Mi guardarono torvi consapevoli del fatto che, nonostante la loro smania di picchiare Max, avevo ragione.

Annuii, soddisfatto.

“Bene” dissi cercando il portafogli in tasca “Ho qui il biglietto da visita di un medico che potrebbe ...”

Mi fermai. Julian, non potendo resistere alla rabbia, aveva eliminato in pochi passi la distanza tra lui e Max, urtandomi per sbaglio. Caddi a terra e sentii un forte dolore alla gamba che, dopo un veloce esame, risultò essere ancora intera, per fortuna. Non feci in tempo ad alzarmi e potei solo vedere Julian avventarsi su Max come una belva feroce.

Alzai il braccio, ingenuamente. Fu tutto inutile.

Il suono del primo pugno rimbombò nella stanza dell'obitorio come un colpo di pistola.

A fatica riuscii ad alzarmi e raggiunsi Julian prima che facesse partire il secondo.

“Fermati!” gli urlai “Non risolverai nulla, così!”

Qualcosa nella mia voce o nel mio sguardo sembrò convincerlo. Ora dovevo solo comprovare le mie teorie e c'era un solo modo per farlo. Entrando avevo visto Daphne nel suo ufficio.

Mollai la presa su Julian e mi diressi lì.

“Daphne!” gridai, aprendo la porta.

“Oh! Zio Sherlock!” mi salutò lei vedendomi “Non sapevo fossi qui … ma cosa ...”

Si alzò e guardò il piccolo gruppo che si era riunito nel suo obitorio.

“Cosa ci fate qui?” domandò ai fratelli “Maximillian sta lavorando. Lasciatelo in pace! Vedo che c'è anche lei, signor Cumberbatch. Vi devo chiedere di andarvene …”

“Non ce ne andremo finché ...” cominciò Julian, ma lo interruppi.

“Non ce ne andremo finché non avrai eseguito le analisi del sangue a Maximillian” dissi deciso.

Tutti si voltarono a guardarmi. Solo Max, però, aveva capito.

“Le ripeto, signor Holmes, che non mi drogo. Sono stato tossicodipendente in passato. Questo è vero, ma …”

“Max!” esclamò Daphne, guardandomi sorpresa “Ci sei ricascato, dunque?”

“Non è come pensi tu ...” cercò di difendersi lui.

“Se mio zio mi ha chiesto di farti fare delle analisi del sangue probabilmente è perché pensa che tu abbia ricominciato a drogarti, mi pare ovvio”

Annuii soddisfatto. In tutti quegli anni avevano imparato qualcosa da me.

“Vi ripeto che non c'è niente di vero!” esclamò lui “Quello che ho fatto a Rain è imperdonabile, ma ...”

“Cosa hai fatto a Rain?” gli domandò Daphne “È per questo che siete qui?” domandò rivolta i fratelli e a Julian “Per qualcosa che ha fatto a Rain?”

Hamish e William annuirono e Julian rispose.

“L'ha violentata”

Se le avessero dato una botta in testa non ci sarebbe stata nessuna differenza. Fece qualche passo indietro, indecisa su chi posare lo sguardo. Prima guardò Julian, non ancora certa se credergli o no; poi guardò i fratelli che, con un cenno del capo, confermarono ciò che aveva appena sentito; poi guardò Max e lui abbassò il capo, colpevole.

Alla fine guardò me. Sapeva che, se avevo difeso Maximillian, doveva esserci un buon motivo. Restò a fissarmi qualche istante a bocca aperta, poi la richiuse e annuì.

“Bene” disse infine “Max. Vieni con me. Voi” disse poi rivolta ai fratelli e a Julian “Andatevene. Zio, vieni con noi”

I tre uomini restarono a guardarsi qualche istante, indecisi sul da farsi, ma un'occhiata particolarmente decisa di Daphne li convinse ad andarsene.

La seguii con Max nel suo laboratorio.

“Siediti qui, Max” gli disse prendendo una siringa per prelievi “Ci metterò un attimo”

“Per me è solo una perdita di tempo” sbuffò lui “Sai benissimo anche tu che devo prendere l'insulina per il mio diabete!”

“Lo so” rispose lei continuando a lavorare “Ma mi fido più di mio zio che di te. Scusa” disse poi, dopo una breve pausa imbarazzata “Lui è stato il miglior detective del mondo e lo conosco da quando sono nata. Per quanto mi possa fidare di te, ti conosco solo da pochi anni. Sappi che lo sto facendo per fiducia in mio zio e non per sfiducia in te”

Maximillian annuì, ma non era molto convinto.

Pochi istanti dopo era tutto finito. Daphne contemplò il sangue che aveva raccolto in una piccola fiala.

“Bene” disse “Questo lo mando in laboratorio. Se c'è cocaina in questo sangue la troveranno. Stanne pur certo. In caso contrario … zio” mi chiamò “Pensi davvero che abbia violentato Rain sotto l'effetto della cocaina?”

Annuii.

“Temo proprio di sì” dissi guardando Max “Non giustifica completamente ciò che hai fatto, ma ci permette di capire un tale gesto. Immagino che, sotto l'effetto della cocaina, tu non sia riuscito a controllarti, vero?”

“Non so di cosa stia parlando” disse lui, ma vidi distintamente una scintilla di dubbio nei suoi occhi.

“In effetti … ero anche ubriaco … avevo bevuto parecchio … Non ricordo … Mi sentivo strano. Erano anni che non bevevo così tanto, ma non ricordo di essermi mai sentito così”

“Il mix tra cocaina e alcool può essere fatale” dissi “Sei stato fortunato”

“Le dico che …!” cominciò lui, ma lo bloccai con un gesto della mano.

“Saranno gli esiti degli esami a rispondermi” dissi con un tono che non ammetteva repliche “Ora, se non ti dispiace, vorrei riposare. Il viaggio è stato lungo”

“Certo” disse lui “certo”

“Andate pure a casa” ci disse Daphne “Vi chiamerò io quando gli esiti saranno pronti. Anzi, no. Verrò direttamente a casa”

Annuii e trascinai fuori Max, in evidente stato di confusione.

Durante il tragitto in taxi non parlammo. Lui era molto triste e fissava la strada senza in realtà vederla. Pensavo di poterlo comprendere, ma capii in quel momento che non ne ero in grado. Io ero consapevole della cocaina che prendevo. Lui no. Ero certo che da poco aveva ricominciato a farsi, ma non capivo quella sua incredulità. Come faceva a drogarsi senza saperlo? Un'amnesia selettiva era da escludere. Dunque, cosa poteva essere?

Immerso in questi pensieri non mi accorsi che eravamo già arrivati a Baker Street.

 

La mia vecchia casa. Da quando ero andato ad abitare stabilmente in Sussex non ero più entrato lì dentro. Mille ricordi cominciarono a scorrermi davanti come un film. Mi bloccai, quando vidi lo smile sporco dello sperma di Max. Rabbrividii, pensando che lì lui aveva … Chiusi gli occhi, cercando di scacciare quell'immagine dalla mente.

“Vuole un tè?” mi domandò lui, imbarazzato.

Non sapeva come muoversi, cosa dire, cosa fare. Annuii. Volevo metterlo a suo agio. Nonostante tutto, nonostante quello che aveva fatto alla mia Rain, lei lo amava. Non potevo permettere che un incidente del genere li separasse.

“Bene” disse lui meccanicamente e andò in cucina a trafficare con il bollitore e le tazze.

Nel frattempo continuai a guardarmi in giro. La stanza era disordinata come me la ricordavo. Rain aveva proprio preso da me. Fogli sparsi ovunque, lettere inchiodate al caminetto con un pugnale. Quel pugnale. Il pugnale che, per quei spaventosi giorni, mi fece credere che mio padre era morto.

Chiusi nuovamente gli occhi, cercando di dimenticare. **

Nell'angolo, vicino alla finestra, c'era il pianoforte verticale di Rain. Lo spazio era troppo poco perché potesse permettersene uno a coda, perciò aveva dovuto optare per qualcosa di più piccolo. Me la immaginai seduta lì, totalmente assorta dalla musica, e mi tornarono in mente i momenti in cui anch'io, vicino a quella stessa finestra, suonavo il violino osservando i passanti o i pensieri del

mio mind palace.

Mi sedetti sulla mia vecchia poltrona e sentii il profumo di Rain. Non c'era dubbio. Anche lei si sedeva lì. La poltrona profumava di vaniglia. In quel momento apparve Max con un vassoio e due tazze colme di tè.

Mi sforzai di bere il mio anche se, in realtà, non mi andava molto. Lui mi guardava incerto. Si fidava di me ma aveva paura di quel che le analisi avrebbero potuto portare alla luce.

Bevemmo il tè in silenzio. Non c'era nulla da dire. Quando lo finii posai la tazza sul tavolino. Quella strana situazione mi ricordò, ancora una volta, il mio passato.

L'incontro con James ***, la mela intagliata. Te ne devo una. Una caduta.

Chiusi gli occhi.

Pensavo che, ritirandomi in Sussex, avrei dimenticato tutto quello. Eppure i ricordi, piacevoli e spiacevoli, tornarono a farmi visita. Rientrai nel mind palace e, come spesso mi accade, non mi accorsi del tempo che scorreva.

Riaprii gli occhi solo quando sentii la mano di qualcuno sulla spalla e la voce di Daphne che mi chiamava.

“Zio” mi chiamò “Zio Sherlock. Torna tra di noi” disse ridendo. Una risata nervosa, che voleva solo nascondere la preoccupazione “Ho gli esiti dell'esame”

Riaprii gli occhi. Davanti a me c'erano Max, Daphne e Benedict. Ben, il più calmo della famiglia, si era probabilmente auto proclamato ambasciatore di pace. Julian e i gemelli non avrebbero esitato a picchiare Max, così aveva deciso che sarebbe stato meglio lasciarli lontani da lui, almeno finché non si fossero calmati.

Apprezzai molto il comportamento di Ben. Era arrabbiatissimo con Maximillian. Era più che evidente, eppure riusciva a controllarsi. Non per niente era un attore. Sapeva mascherare perfettamente le sue emozioni, così come sapevo farlo io. Sorrisi brevemente, pensando che più di una persona mi aveva detto che il teatro aveva perso un gran talento quando avevo deciso di dedicarmi alla carriera di detective.

“Avanti” dissi “Dimmi l'esito”

“Ancora non lo so” rispose lei “La busta è qui. Chiusa. Aprila tu”

Me la porse. Mi alzai ed estrassi il pugnale dalla mensola del camino e, con un rapido gesto, aprii la busta che tenevo in mano. Infilzai nuovamente la lama sul legno e tornai alla lettera. Feci scivolare il foglio sulla mano aperta e cercai gli occhiali in tasca. Li infilai e cercai l'esito.

Sospirai e guardai Max dritto negli occhi.

 

 

 

 

 

 

*Sherlock va in palestra a sfogarsi sul sacco da pugilato quando scopre che Arthur Watson è suo padre e che, di conseguenza, lui e John sono fratelli.

**Sempre 'Violet'.

***Chi potrebbe mai essere? James Moriarty! Ovvio, no?

   
 
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