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Autore: Juliefer    27/01/2013    52 recensioni
Non so esattamente cosa spinga due persone a legarsi. Forse la sintonia, forse le risate, forse le parole. Probabilmente, l’incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po’ di se, a scoprire pian piano quel che il cuore cela. Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute. O forse accade perché doveva accadere. Perché le anime son destinate a trovarsi prima o poi.
-Juliefer.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER Eighteen


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Rosalie

 

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Come fa, mi sono chiesta tante volte, una cosa che non c'è mai stata a non esserci più.
Non c'è più qualcosa, ma è un qualcosa che non essendoci neanche stato alla fine non sai neanche cos'è, però sai benissimo che non c'è più perché almeno una volta l'hai sfiorato. Hai sfiorato qualcosa che pur non essendoci più per un po' era sfiorabile.
Questi buchi fatti nel niente, di questo sfiorabile, che forse per un periodo avresti potuto anche abbracciarlo, sono qualcosa che mi ha sempre ammazzato.
 
La testa era andata in escandescenza, le tempie pulsavano ritmicamente mentre la poca materia grigia ancora intatta cercava disperatamente una soluzione.
La paura del nulla mi mangiava da dentro, ero sopraffatta dai singhiozzi. Le mie mani salivano e scendevano con violenza sulla pelle. I crampi mi attanagliavano lo stomaco, rendendomi ancor più vulnerabile. Strofinavo i polsi sulla parete, raschiando il muro.
“Smettila, così non risolverai nulla. Il tatuaggio non se ne andrà.”
Mi torturavo lentamente il viso, volevo cancellare il mio volto, deformarlo. Volevo sparire, eliminare quella fastidiosa vocina nella mia testa.
Il panico si era letteralmente assorbito nelle mie membra ed aveva raggiunto il pieno controllo su tutto il corpo.
“Torna indietro, Rosalie.”
I movimenti erano sempre più spasmaci e la rabbia continuava ad accumularsi in un piccolo angolo della mia mente, mentre scalciavo disastrosamente sul muro bianco.
“Lui non merita questo…”
Stremata da quei piccoli movimenti frenetici, liberai le mani e, osservando soddisfatta i tagli e le scorticature che ricoprivano i palmi, le appoggiai sulla parete.
“…lui ti vuole solo aiutare”
Aiutare? Il sangue mi diede al cervello e tutto si offuscò.
Strinsi la mano e la portai indietro. Riunii le poche forze rimaste e le scaricai rapidamente contro il muro, urlando di dolore.
Le nocche si infransero rumorosamente nel medesimo istante.
No, non potevo darle retta. Io avevo paura, tanta paura.
“Non puoi affrontarlo da sola.”
Sbattei con forza il viso. Una, due, tre volte e finalmente uno schizzo di liquido rosso macchiò il bianco candido della superficie dinanzi a me.
Continuai ancora e ancora finché le forze mi vennero a mancare.
Esausta, mi girai e affiancai le spalle al muro, lasciandomi scivolare giù, fino a sfiorare il parquet con la schiena.
Gli occhi erano sbarrati, vuoti, i capelli incrostati di sangue ed il volto distrutto.
“Vai da lui, Rose.”
Annuii, scoppiando a piangere.
 

La luce del sole filtrava attraverso la tenda.
Mi svegliai; la testa mi pulsava terribilmente. Il cuore, impaurito, accelerò i battiti per qualche secondo ma poi, come un pugno allo stomaco, ricordai tutto.
Cercai di sollevare le palpebre ma ciò che ottenni furono unicamente due strette e deboli fessure.
Mi guardai intorno, mi ero addormentata sul muro, nella stessa posizione della sera precedente.
Provai a sfiorare il pavimento con una mano ma un dolore lancinante mi tolse il fiato.
Abbassai lo sguardo sui palmi e uno spettacolo raccapricciante si presentò ai miei occhi.
Un conato di vomito mi travolse dal basso ventre e fui costretta a distoglierlo rapidamente.
Sospirai e anche quel piccolo gesto mi costò fatica. Potevo percepire le costole doloranti al di sotto della maglietta, i capelli dannatamente annodati, la lingua secca e gonfia.
Allungai il braccio sinistro, relativamente in buone condizioni, e afferrai lentamente l’orologio sul comodino.
Sbirciai con cautela: le otto e un quarto.
Susanne non era ancora rientrata in camera. Meglio così, non avrebbe dovuto assistere per nessun motivo a quello spettacolo da voltastomaco.
Probabilmente aveva passato la notte fuori, con… Harry.
Harry. Harry Styles. Quel nome rimbombò nelle mie orecchie come una delicata melodia mentre le immagini della sera precedente mi investirono come un treno.
Mi sorpresi; non versai una sola lacrima. Forse gli occhi erano troppo gonfi per farlo, ma, in qualche modo, mi sentivo… meglio, mi sentivo più forte, in grado di poter affrontare qualsiasi cosa.
Ignorai le disperate preghiere del mio corpo e mi sollevai da terra, dirigendomi verso il bagno. Inciampai e caddi un paio di volte ma il dolore non faceva più effetto.
Ancor prima di guardare il mio riflesso allo specchio, aprii il rubinetto e feci scorrere l’acqua. Unii le mani a coppa e portai il liquido gelato sul volto.
Urlai. Faceva male, ma dovevo essere più forte e continuai fin quando non percepii gli occhi schiudersi gradualmente.
Con un po’ di timore, alzai lo sguardo, ma inaspettatamente non rimasi sconvolta. Quella maschera di sofferenza non mi toccava più di tanto.
Passai delicatamente un dito sul collo, pieno di lividi violacei, sfiorandoli uno ad uno, salii pian piano per arrivare alle labbra spaccate, gonfie e rosse  ma non certamente per il rossetto, toccai il naso incrostato e con le mani bagnate tolsi il sangue secco in eccesso, lasciando che le lentiggini riconquistassero il viso, infine portai la mano ancora più su, giungendo agli occhi. Erano gonfi, estremamente gonfi, ma solo sotto ad uno di essi si intravedeva una striscia verdognola di sangue pesto. Nonostante tutto, brillavano entrambi violentemente, erano di un verde intenso, un verde smeraldo, un verde speranza. Sì, ero stata io stessa a fare del male al mio corpo ma non ne provavo alcun rimorso. Forse, detto da un punto di vista masochista, ma mi era servito. Adesso sapevo che potevo affrontare qualsiasi cosa, perché il peggio era passato.
 

Spensi la luce e chiusi la porta. Avevo fatto un bel lavoro, la stanza era come nuova, pulita e disinfettata, nessuno si sarebbe accorto di nulla.
Dopo la lenta e lunga doccia, ero rinata. Avevo accettato me stessa per quello che ero.
«Ti amo», avevo detto. Finalmente ero riuscita a dirlo alla persona più importante. Il mio riflesso allo specchio mi aveva sorriso di rimando.
 
Portai la mano fasciata sulla tasca dei pantaloncini a vita alta ma i miei polpastrelli non tastarono nulla di solido.
Il cellulare. Avevo dimenticato il cellulare in camera.
Esitai qualche secondo, guardandomi scrupolosamente intorno, ma pazienza, non avevo alcuna voglia di fare retromarcia e tornare a prenderlo.
Susanne mi avrebbe chiamato, ma l’avrei preceduta sul tempo, presentandomi di persona.
Conoscevo a memoria quel percorso, quegli strani corridoi intrecciati ormai non erano più un ostacolo per il mio pessimo senso dell’orientamento. Inevitabilmente, un leggero sorriso si disegnò sulle mie labbra, al ricordo della prima volta in cui avevo messo piede in quella struttura.
Sovrappensiero, un piede messo male e un pugno mi colpì in pieno stomaco, obbligandomi a piegarmi su me stessa.
I crampi non persero l’occasione per farsi sentire.
Trattenni un urlo di dolore e mi rialzai, continuando a camminare. Quegli shorts mi aiutavano a sostenermi, ma dopotutto mettere i tacchi non era stata una buona idea.
Dovevo apparire il più normale possibile, nessuno doveva sapere cosa era successo l’altra sera, meno che meno Harry.
Lanciai un rapido sguardo al tatuaggio, era sempre lì, nonostante avessi tentato più volte ti raschiarlo via insieme a tutta la pelle.
Rabbrividii silenziosamente e, per quello che era possibile, accelerai il passo.
Oltrepassai l’angolo e, maledicendo la puntualità, mi scontrai contro qualcosa di solidamente duro.
Non era una novità da un po’ di tempo a quella parte, pensai mentre cercavo disperatamente di non perdere l’equilibrio.
Puntando i piedi e ritrovando il baricentro, alzai lo sguardo e sul viso di Louis si dipinse un sorriso.
-Stavo venendo da te…- mormorò soffiandomi sulle labbra. Il suo viso a poco centimetri dal mio.
Mi squadrò da capo a piedi, emettendo un fischio con la bocca, e mi spinse delicatamente verso il muro, facendomi sbattere con la schiena contro la parete. Il mio respiro si fece più pesante, trattenni con tutta me stessa il dolore. Non doveva trasparire nulla.
-Tu dove andavi, dolcezza?- chiese trascinando lateralmente la sua mano sul mio viso. –Oh. Cosa hai fatto in volto?- aggiunse poi, mentre i suoi occhi si scurivano, preoccupati.
Non risposi. Non sapevo mentire.
Le sue sopracciglia si aggrottarono, formando tante piccole increspature sulla sua fronte spaziosa. Mi prese la mano fasciata e la girò delicatamente tra la sue.
-Rose, cosa è successo? E’ stato Zayn, vero? Rispondimi, Rosalie. E’ stato lui? Giuro che se lo prendo..- disse, alzando repentinamente il tono della voce. Il suo petto si alzava ed abbassava con violenza.
Buttai giù il groppo in gola e mossi la testa a destra e sinistra, negando.
-No, Louis, no. Sono solo... sono solo caduta. Sì, sono caduta ieri, e sono tutta dolorante ma… ma sto bene.- lo rassicurai, addolcendo la voce.
Odiavo mentirgli ed era palese che lo stessi facendo, ma il suo amore per me gli impediva di sospettare ciò che avevo detto.
Si fidava. E per questo lo amavo più di qualunque cosa.
Restò ancora per qualche secondo in silenzio, poi si avvicinò velocemente e premette le sue labbra sulle mie.
-Mi fido, Rose. Sei la mia vita, lo sai questo?- mormorò.
Gli morsi il labbro inferiore e lui rise, senza staccarsi. Continuammo quella dolce lotta per qualche altro secondo, finché, vinta dal desiderio, ricambiai il bacio, ignorando il sangue che pulsava ritmicamente sui rigonfiamenti della mia bocca.
-Ho bisogno di parlarti, Louis.- gli sussurrai all’orecchio, lasciando che la mia attrazione per lui avesse la meglio.
-Solo un ultimo bacio…- mi pregò lui, prima che un dolorosissimo sorriso si disegnasse sul mio volto.
Intrecciò le sue labbra alle mie ancora una volta e senza allontanarsi minimamente passò le mani sulle mie gambe e, con un unico movimento, mi tirò su abilmente, intimandomi di allacciarmi per bene al suo busto.
Camuffai il grido di dolore in un grido di sorpresa e i suoi occhi si illuminarono ancor di più, mentre lasciava scorrere le dita sulla mia pelle liscia.
-La mia principessa ha bisogno di aiuto e questo è il minimo che possa fare per farla sentire meglio.- mormorò con dolcezza puntando i suoi occhi nei miei.
-Più che una principessa sembro una scimmia…- gli risposi, facendo un ultimo sforzo e sporgendomi per baciarlo di nuovo.
Le sue labbra erano la miglior casa che avessi mai potuto trovare.
-Scimmia o principessa poco importa. Sei mia lo stesso.- disse, poi, stringendomi più forte.
Soffocai una risata e allacciai la mia mano alla sua, mentre con fare protettivo mi trasportava nella sua camera.
 

Tutto. Gli avevo raccontato tutto, saltando qualche particolare, certo, come l’episodio della sera precedente o lo strano comportamento di Zayn, ma, per la prima volta, mi sentivo svuotata. E lui mi aveva capita, compresa come nessun altro aveva fatto fin ora.
Una lacrima mi rigò la guancia, non aveva mai smesso di stringermi la mano. Mi accarezzò il volto come solo lui sapeva fare e le sue labbra si strofinarono contro le croste sul mio naso.
-Rosalie, io credo tu debba parlargli. Sì, credo tu debba dire tutto ciò ad Harry. Lui… capirebbe.
-Lo so, Louis, ma ho paura. Io non... io non... io non sono nessuno.
Mi fece sedere sulle sue gambe, mi strinse a lui delicatamente. Inspirai il dolce profumo dei suoi capelli, mentre le sue parole mi investivano in pieno al di sopra della mia spalla.
-Rose, tu vivi rinchiusa in una scatola trasparente, costruita dalle tue paure, dalle tue stesse parole. Prova a romperla e scoprirai di essere molto più di ciò che credi. Le pareti di questa scatola le ha partorite la tua mente e il loro nome comincia sempre per “non”. “Non posso.” “Non ce la farò mai.” “Non dipende da me.”, la più estesa di tutte. Ma se guardi in alto, troverai la quarta, che si chiama “non ci credere”. Rosalie, non è vero che non sei nessuno. Non lo capisci? Sei il mio amore, Rose. Io.. io..
Non gli diedi il tempo di completare la frase che mi fiondai sulle sue labbra.
Cademmo indietro sulle coperte morbide del letto matrimoniale. Lo baciai ancora e ancora.
Baci che avevano il sapore delle mie lacrime, che ormai non riuscivo più a trattenere.
Mi strinse tra le sue braccia più forte che mai, rendendomi parte integrante del suo corpo.
Avrei voluto rimanere sveglia prolungando quel momento per l’eternità ma le mie palpebre si fecero pesanti.
Mi addormentai così, con la testa sul suo petto, ascoltando i battiti perfetti del suo cuore.
















 



Trullallero!
è quasi un mese che non aggiorno, dio mio.
perdonatemi, ci sono state delle situazioni poco piacevoli e la fantasia è venuta a mancare.
anyway, non  pensate che io sia una criminale psicologicamente disturbata 
ma un po' di violenza ci voleva in mezzo a tutte queste sdolcinerie uu
ok, no AHAHAHAH
ma in Rose qualcosa è cambiato e lo vedrete meglio nel prossimo chappy
quando lei e Harry si incontreranno e...
...to be continued!
weeeeell, per quanto riguarda il banner, lo avete scelto?
sono tutti bellissimi e metterò i crediti una volta caricati,
ma purtroppo solo uno sopravviverà! 
è tutto nelle vostre mani (?)
scusatemi ancora per il clamoroso ritardo,
mi farò perdonare con la dolcezza e l'infinito amore dei gemelli
nel prossimo capitolo, it's a promise.
love ya,

//g.

   
 
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