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Autore: Blackmoody    27/01/2013    3 recensioni
Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
[...] «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Erin Anwar è una midgardiana giovane, brillante e arrogante. Non ha poteri o strani segreti, solo una mente particolare – e non brama l'asservimento. Non per se stessa, sicuramente. Il giorno in cui la sua strada incrocia quella di un certo dio asgardiano sarà un giorno che almeno due mondi ricorderanno a lungo.
Post-Avengers, diciassette capitoli, EPIC BADASSERY.
microcorrezioni 2O14
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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4.

Mr. Mischief and me (tell each other fairy tales)

 

 

 

 

 

 

Erin non riuscì a chiudere occhio, quella notte. Si rigirò per ore come una biscia tra le lenzuola fresche di bucato, alzandosi tre volte per tre differenti motivi: il primo fu la fame nervosa che la assalì, dal momento che prima di coricarsi aveva lo stomaco chiuso e non aveva mangiato; il secondo fu la voglia impellente di un thé caldo e della puntuale tappa in bagno che ne seguì, e il terzo fu Loki – o per meglio dire fu il bisogno di controllarlo.

Il Dio degli Inganni giaceva, profondamente addormentato, sul letto che occupava la piccola stanza degli ospiti. Indossava ancora gli abiti impolverati coi quali era giunto, sebbene si fosse premurato di lasciare gli stivali fuori dalla porta, e dormiva supino come se si fosse gettato sul materasso a peso morto piombando subito nel sonno. Erin ne fu sollevata e ripensò con notevole divertimento alla smorfia di superiorità che l’asgardiano aveva sfoggiato mentre gli mostrava la casa e dove avrebbe alloggiato, non ritenendolo un ambiente a lui consono.

La giovane se ne tornò quindi in punta di piedi nella propria camera, annaspando nel goffo tentativo di fare silenzio, e si tuffò di nuovo sotto le coperte, sveglia come un grillo.

Dalle veneziane abbassate filtrava la luce dei lampioni, disegnando strisce aranciate sul muro, e lei le fissò cercando di fare mente locale: avere un ingannatore divino nel proprio appartamento non era esattamente ciò che si sarebbe immaginata, nemmeno nei suoi sogni più estremi, e l’incognita che quella situazione rappresentava andava crescendo di minuto in minuto. Erin voleva che il dio nordico piovuto dal cielo rimanesse, senza ombra di dubbio, ma non aveva la più pallida idea di come agire o come comportarsi. Gli aveva offerto d’impulso un aiuto e adesso non riusciva a concepire un piano sensato né una strategia di conoscenza. Si spremeva le meningi per ricordare almeno un paio di leggende sul Valhalla e al contempo si chiedeva, confondendosi da sola, cosa avrebbe inventato per tenere quei ficcanaso dei suoi amici fuori dalla faccenda. Inoltre l’adrenalina le scorreva ancora a fiotti nelle vene e, complice l’orario antimeridiano, le era assai difficile concentrarsi.

Quando il cielo sopra Boston iniziò a rischiararsi e i primi rumori della città si risvegliarono, Erin guardò speranzosa l’orologio: mancava poco alle sette e finalmente poteva cominciare a fare qualcosa di costruttivo. Con calma scelse degli indumenti puliti, afferrò della biancheria a caso da un cassetto e si barricò in bagno per un’ora buona, concedendosi una lunghissima doccia calda che la aiutò a rilassarsi. Poi sgattaiolò in cucina in accappatoio e coi capelli bagnati avvolti in un asciugamano, e controllando l’agenda si preparò un abbondante caffellatte; le prove quel giorno erano fissate per le tre del pomeriggio, pertanto aveva una mattinata intera per sbrogliare almeno un po’ la matassa legata a Loki.

Questi non si svegliò neppure al suono del phon e delle imprecazioni che Erin sbraitò nello scivolare sul tappetino della toeletta, e lei se ne stupì al punto di arrischiarsi a verificare che non gli fosse successo qualcosa o che non fosse magicamente scomparso, magari.

Ma il dio nordico era lì dove lo aveva lasciato quella notte, placido e immoto, e aveva soltanto cambiato posizione nel sonno. Erin ridacchiò della propria stupidità e ancor più stupidamente s’incantò a guardarlo: nella luce tenue del mattino che rischiarava la stanza appariva simile a una figura dipinta, e pur essendo un essere antico e immune al tempo in quel momento aveva l’aspetto di uomo nel pieno della propria giovinezza. Osservandone il volto disteso Erin pensò che era bello in maniera inconsueta, con quei lineamenti marcati e regali, le labbra sottili e la fronte alta, e la pelle quasi diafana che contrastava coi capelli color del buio; ed era magro e forte assieme, e il suo carisma era rimasto immutato nonostante tutto.

L’irlandese si piantò una manata in fronte per darci un taglio e battè rapidamente in ritirata dalla camera degli ospiti per finire di truccarsi e vestirsi. Poi s’infilò nelle orecchie le cuffie dell’iPod, prese la borsa e si mise gli stivali saltellando verso la porta, e quando fu in strada si diresse verso il centro commerciale più vicino ascoltando i Tower of Power.

 

 

Loki aprì lentamente le palpebre, sollevandosi a sedere sul letto. La pesante stanchezza della sera precedente era scomparsa dalle sue membra, e la lunga dormita gli aveva giovato. La stanza in cui si trovava era piccola ma confortevole, immersa nella luce soffusa del giorno che ormai brillava sfacciato oltre la finestra oscurata dalla bizzarra tenda rigida a listelli. Loki si alzò e recuperò i propri stivali sulla soglia, continuando a guardarsi intorno: la dimora era silenziosa, segno che l’assurda mortale non era presente, e lui ne approfittò per studiare quel luogo con mente finalmente lucida. Era una casa abbastanza spaziosa e arredata con una certa classe, se comparata con lo stile generale di quel misero pianeta; le molte finestre e la posizione elevata ne facevano un ottimo punto d’osservazione, fatto utile qualora si fosse presentata l’occasione di sfruttare l’appartamento come base strategica. Il Dio degli Inganni sogghignò apertamente, per un attimo dimentico di quel che era accaduto e concentrato sulle prospettive ancora ignote che gli si stendevano dinnanzi, come se non fosse cambiato niente da quando aveva tentato di conquistare Midgard, come se quella conquista fosse ancora a portata di mano.

Il sorriso svanì dal suo viso come fumo nell’aria: prima di ritentare l’impresa doveva riappropriarsi dei poteri perduti, e se ben conosceva Odino non sarebbe bastato abbassarsi a vivere come un mortale per due o tre dì per convincerlo che era degno di tornare. Forse restare con la donna d’Irlanda gli avrebbe indicato la via per risolvere la questione o almeno accelerarla, oppure lei stessa si sarebbe rivelata una soluzione. Troppi erano gli interrogativi, pensò Loki, e d’altronde in quella situazione poteva permettersi di non avere fretta.

Avrebbe sondato minuziosamente l’animo e le intenzioni di Erin Anwar e si sarebbe accertato di non avere alle costole ridicole organizzazioni di sedicenti supereroi midgardiani, pianificò, e soddisfatto del ragionamento prese a camminare per il soggiorno. Notò che vi si trovavano molti libri e alcuni apparecchi tecnologici di fattura più semplice di quelli visti sulla grande nave volante dello S.H.I.E.L.D. e riconobbe che certi orpelli tipicamente femminili erano identici in ogni angolo del cosmo, da Asgard a Midgard. Ma ciò che catturò la sua attenzione furono degli spartiti musicali fitti di note, sistemati su un leggìo nero e sottile, e un astuccio anch’esso nero poggiato sul tavolo lì di fianco: Loki ricordò vagamente che l’irlandese si era definita “musicista”, la sera precedente, e nell’aprire l’astuccio vide che conteneva uno strumento lucente diviso in tre pezzi di diversa lunghezza. Sembrava fatto d’argento, e nonostante i complicati meccanismi che lo componevano doveva essere un flauto.

In quella la porta dell’appartamento si spalancò ed Erin entrò in casa canticchiando una canzone ritmata, le mani cariche di sacchetti colorati. Loki richiuse l’astuccio.

«Ehilà, dio nordico, ben ritrovato.» lo apostrofò la giovane: «Come ti senti?»

Lui ignorò la domanda e ne fece una a sua volta: «Che genere di flauto è questo?», e indicò la custodia sul tavolo; Erin inarcò le sopracciglia, stupita, e mise a terra le sporte.

«Un flauto traverso in argento. Non è artigianale e non è il migliore che possiedo, ma per studiare è un ottimo strumento.» disse con tranquillità. «Comunque vedo che stai bene.»

Poi, mentre l’asgardiano si passava una mano tra i capelli scompigliati e la studiava senza avvicinarsi, tirò fuori dai sacchi una pila di indumenti e una scatola di cartone, che depose sul divano che si trovava in mezzo a loro, e un paio di grossi libri dalla copertina elaborata.

«Ti ho preso qualcosa da indossare per confonderti tra noi tristi esseri umani, e anche per avere vestiti puliti da mettere nel caso tu volessi fare una doccia.» gli spiegò, sorniona.

«Doccia? Non possiedi una vasca per le abluzioni?»

«Il mio bagno è troppo piccolo per contenere una vasca, per quanto io ne desideri una.»

Loki le dedicò un’occhiata di regale e sprezzante pietà:

«Mi abbasserò a fare uso della doccia, allora, e di questi poveri stracci terreni.»

Erin scoppiò in una sincera risata: «Credimi, il mio mortale tenore di vita è abbastanza elevato da permettermi quasi sempre il meglio! Ma non sono sicura che questi abiti ti vadano bene addosso e ho preferito spendere poco nell’ipotesi di doverli cambiare. Inoltre c’è da sperare che questa tua condizione sia passeggera, perciò vedi di sopportare.»

Il Dio degli Inganni ridacchiò, apprezzando lo spirito pratico dell’irlandese, e afferrò il mucchietto di indumenti dirigendosi verso il bagno, l’espressione appena contrariata.

«Nella scatola invece c’è un paio di scarpe.» disse ancora Erin; «Io intanto cucino qualcosa che anche il tuo nobile stomaco possa approvare. Buone abluzioni!»

Ma Loki era già scomparso nell’altra stanza, chiudendo sonoramente a chiave la porta.

 

 

La ragazza di Galway, colta da culinaria ispirazione, preparò una sostanziosa zuppa di cipolle tipica delle sue parti e due braciole di carne di maiale che passò sulla gratella, lasciandole mediamente al sangue come voleva la tradizione. Nel frattempo tolse dal frigorifero due bottiglie di Guinness e ne sorseggiò una nell’attesa che il cibo cuocesse, il naso immerso tra le pagine di uno dei libri che aveva preso in prestito alla biblioteca del quartiere: una raccolta di fiabe e leggende vichinghe e un saggio sulla complessa mitologia del Nord Europa di cui l’uomo che al momento si trovava nella sua cabina doccia sembrava far parte a tutti gli effetti. Le storie legate al Valhalla e ai suoi potenti abitanti erano molte e lunghe, epopee a tinte forti che avevano condizionato l’immaginario di quasi un intero continente, e leggendo qua e là Erin prese finalmente a ricordare ciò che le era stato raccontato da bambina, sebbene avesse sempre preferito elfi, uomini e druidi ai roboanti dèi norreni.

Con sguardo febbrile corse ai capitoli dedicati a Loki l’Ingannatore, e il modo in cui questi veniva descritto le strappò una risata nervosa: forse, si disse tracannando un robusto sorso di birra, stava giocando col fuoco, se doveva dar retta al mito, e forse la cosa peggiore era che non gliene importava granché.

«Dall’odore si direbbe che tu sappia cucinare, donna d’Irlanda.»

L’Ingannatore in questione fece il suo ingresso in cucina coi capelli umidi e una delle maglie di cotone che lei aveva comprato indossata sopra i soliti calzoni e stivali neri asgardiani, ed Erin sobbalzò sputando metà Guinness e inghiottendo a fatica il resto.

«Ovvio che so. Le abluzioni sono state di tuo gradimento?» chiese tossendo.

Di nuovo, Loki rispose con un’altra domanda: «Cosa leggevi su quei tomi?»

«Leggevo di te.» disse la giovane guardandolo di sotto in su: «I miei simili non ti hanno mai dipinto in toni eccessivamente lusinghieri, eppure li trovo un po’ esagerati.»

«I mortali hanno sempre avuto una fervida fantasia.» commentò il dio caduto, e qualcosa nel suo tono indusse Erin a non ritenerlo un complimento.

Lui sedette al tavolo, e l’irlandese si affrettò a servire la zuppa calda e densa:

«In effetti preferirei sentire direttamente da te la storia di come sei giunto qui per ben due volte, di cosa cercavi e perché, e dei fatti del tuo mondo. Non amo molto l’umanità, sebbene ne faccia parte mio malgrado, e poiché ritengo la gente mediamente stupida tendo a non fidarmi molto di quel che dice.» asserì con cautela, iniziando a mangiare.

Loki dovette riconoscere che quella donna aveva la straordinaria capacità di rapportarglisi da pari a pari, o almeno dava l’impressione di non ritenersi inferiore a chicchessia, nemmeno a lui. Sceglieva con cura le parole e sapeva far leva sui tasti giusti, segni di una forza di persuasione non indifferente. Il Dio degli Inganni decise di premiarla per questo e di dirle ciò le interessava: così avrebbe guadagnato una buona fetta della sua preziosa fiducia, e più tardi si sarebbe occupato di far parlare lei. Cominciò allora a raccontare e cominciò dall’inizio, da Asgard e Jotunheim, da Odino e Laufey e Frigga e da suo fratello Thor; narrò della sua prima caduta attraverso il cosmo e del Tesseract, del piano per divenire sovrano di Midgard dopo che il trono degli Æsir gli era stato sottratto, dei Vendicatori, dell’iridio nei laboratori di Heinrich Schäfer e della battaglia di New York; rimembrò ad alta voce la bruciante sconfitta, la prigionia tra mura dorate che non si era aspettato e infine l’umiliante punizione che Odino gli aveva inflitto, ma non accennò minimamente al ricatto del titano rosso.

Erin non interruppe mai, fece solo qualche domanda e si alzò dal tavolo con l’unico scopo di mettere le braciole nei piatti. Ascoltò avidamente ogni parola, con una fascinazione genuina dipinta nei grandi occhi color nocciola e sorridendo a tratti.

Quando infine l’asgardiano concluse il proprio racconto l’irlandese lo guardò:

«Proverai di nuovo a conquistare la Terra per esserne il re?» chiese.

Lui annuì e indagò di rimando: «E tu? Cos’è che ti ha condotta fin qui, fino a me?»

«Vedi, vengo da un paese che crede ancora in cose antiche, e sin dall’infanzia ho udito storie su mondi dimenticati in cui regni e sovrani erano sempre descritti come aspetti positivi, come qualcosa di cui avere nostalgia. E poiché l’epoca in cui vivo non è migliore di epoche passate in cui queste cose esistevano ancora, mi sono fatta l’idea che le democrazie e simili sistemi di governo siano fallimentari e ipocriti, non troppo diversi da monarchie e dittature e tuttavia privi di figure forti e trascinanti che i popoli possano amare o anche temere.» rispose Erin, le mani che si muovevano nell’aria come se stesse cercando di riunire i propri pensieri per dar loro una forma. «È l’illusione di essere liberi di cui parlavi tu a Stoccarda: la gente è convinta che la libertà sia questa, far parte di una società che si professa democratica in modo che qualunque idiota possa diventare qualcuno, spesso a discapito di chi lo meriterebbe sul serio. Ecco perché da anni spero che prima o poi salti fuori una figura diversa da tutte le altre, come un personaggio di quelle storie dimenticate, e che riesca a cambiare le cose. Quando ti ho visto e sentito parlare, quella sera, ho capito che tu avresti potuto esserlo, e ti ho ammirato con tutta me stessa. E comunque...»

S’interruppe e rise rovesciando indietro la testa, a metà tra l’imbarazzo e il compiacimento:

«E comunque ammetto di aver sempre pensato che la soluzione migliore sarebbe che io stessa divenissi sovrana di questo mondo. Credo che saprei come governarlo.»

Loki avvertì il sangue rombargli nelle vene, eccitato e colpito dalla folle intelligenza di quella donna geniale, dalle sue idee e dalla sicurezza che ostentava e finanche dal suo bel sembiante illuminato dalla risata e dalla fierezza del suo discorso. Allora le sorrise a sua volta, poiché non avrebbe potuto desiderare alleata più confacente di lei: Midgard spettava a lui, questo era fuori discussione, ma su certi dettagli si sarebbe concentrato molto più avanti.

E rimasero così, seduti ai due capi del tavolo, a sorridersi e guardarsi dritti negli occhi con le labbra ancora fresche di birra scura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Bene, con questo capitolo si chiude la parte introduttiva della storia: di Erin ormai si sa quel che c’è da sapere – chi è, da dove viene, che lavoro fa, che strumento suona e persino come la pensa sul mondo in cui vive – e lei sa altrettanto del suo ingannevole ospite. Compreso il fatto che è dannatamente gnocco con una maglia di cotone e i capelli bagnati, diciamocelo.

Riguardo alle idee “politiche” della nostra folle irlandese vorrei chiarire un paio di punti: il suo NON è un pensiero simil fascista/nazista o che, è più un modo idealizzato e romantico di intendere la “monarchia”; è una cresciuta a pane e storie, e ha pure delle notevoli manie di grandezza. È estrema prima che estremista, ma del resto non credo che Loki si sarebbe mai lasciato incuriosire da una persona (tanto più se umana e donna) che fosse meno assurda e attratta dal potere.

Dal prossimo capitolo si aprono le danze, e da danzare ci sarà.

Il titolo di questo è tratto da un verso della canzone Mr. Jones dei Counting Crows che dice “Mr. Jones and me / tell each other fairy tales”; il pezzo in sé non rientrerebbe nella colonna sonora della storia, però la frase calzava a pennello. Un brano che invece ci rientra eccome e che mi fa pensare a Loki è Man of simple pleasures dei Kasabian.

In tutto questo se c’è qualcuno in ascolto batta un colpo, per favore, ché qui mi par d’essere dispersa nel vuoto siderale tra i Nove Regni peggio del Mr. Mischief di cui sopra… Ossequi asgardiani a tutti e a presto!

 

 

 

  
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