4.
Mr.
Mischief and me (tell each other fairy tales)
Erin non
riuscì a chiudere occhio, quella notte. Si rigirò per ore come una biscia tra
le lenzuola fresche di bucato, alzandosi tre volte per tre differenti motivi:
il primo fu la fame nervosa che la assalì, dal momento che prima di coricarsi
aveva lo stomaco chiuso e non aveva mangiato; il secondo fu la voglia
impellente di un thé caldo e della puntuale tappa in bagno che ne seguì, e il
terzo fu Loki – o per meglio dire fu il bisogno di controllarlo.
Il Dio
degli Inganni giaceva, profondamente addormentato, sul letto che occupava la
piccola stanza degli ospiti. Indossava ancora gli abiti impolverati coi quali
era giunto, sebbene si fosse premurato di lasciare gli stivali fuori dalla
porta, e dormiva supino come se si fosse gettato sul materasso a peso morto
piombando subito nel sonno. Erin ne fu sollevata e ripensò con notevole
divertimento alla smorfia di superiorità che l’asgardiano aveva sfoggiato
mentre gli mostrava la casa e dove avrebbe alloggiato, non ritenendolo un
ambiente a lui consono.
La
giovane se ne tornò quindi in punta di piedi nella propria camera,
annaspando nel goffo tentativo di fare silenzio, e si tuffò di nuovo sotto le
coperte, sveglia come un grillo.
Dalle
veneziane abbassate filtrava la luce dei lampioni, disegnando strisce aranciate
sul muro, e lei le fissò cercando di fare mente locale: avere un
ingannatore divino nel proprio appartamento non era esattamente ciò che si
sarebbe immaginata, nemmeno nei suoi sogni più estremi, e l’incognita che
quella situazione rappresentava andava crescendo di minuto in minuto. Erin
voleva che il dio nordico piovuto dal cielo rimanesse, senza ombra di dubbio,
ma non aveva la più pallida idea di come agire o come comportarsi. Gli aveva
offerto d’impulso un aiuto e adesso non riusciva a concepire un piano sensato
né una strategia di conoscenza. Si spremeva le meningi per ricordare almeno un
paio di leggende sul Valhalla e al contempo si chiedeva, confondendosi da sola,
cosa avrebbe inventato per tenere quei ficcanaso dei suoi amici fuori dalla
faccenda. Inoltre l’adrenalina le scorreva ancora a fiotti nelle vene e,
complice l’orario antimeridiano, le era assai difficile concentrarsi.
Quando il
cielo sopra Boston iniziò a rischiararsi e i primi rumori della città si
risvegliarono, Erin guardò speranzosa l’orologio: mancava poco alle sette e
finalmente poteva cominciare a fare qualcosa di costruttivo. Con calma scelse
degli indumenti puliti, afferrò della biancheria a caso da un cassetto e si
barricò in bagno per un’ora buona, concedendosi una lunghissima doccia calda
che la aiutò a rilassarsi. Poi sgattaiolò in cucina in accappatoio e coi
capelli bagnati avvolti in un asciugamano, e controllando l’agenda si preparò
un abbondante caffellatte; le prove quel giorno erano fissate per le tre del
pomeriggio, pertanto aveva una mattinata intera per sbrogliare almeno un po’ la
matassa legata a Loki.
Questi
non si svegliò neppure al suono del phon e delle imprecazioni che Erin sbraitò
nello scivolare sul tappetino della toeletta, e lei se ne stupì al punto di
arrischiarsi a verificare che non gli fosse successo qualcosa o che non fosse
magicamente scomparso, magari.
Ma il dio
nordico era lì dove lo aveva lasciato quella notte, placido e immoto, e aveva
soltanto cambiato posizione nel sonno. Erin ridacchiò della propria stupidità e
ancor più stupidamente s’incantò a guardarlo: nella luce tenue del mattino che
rischiarava la stanza appariva simile a una figura dipinta, e pur essendo un
essere antico e immune al tempo in quel momento aveva l’aspetto di uomo nel
pieno della propria giovinezza. Osservandone il volto disteso Erin pensò che
era bello in maniera inconsueta, con quei lineamenti marcati e regali, le
labbra sottili e la fronte alta, e la pelle quasi diafana che contrastava coi
capelli color del buio; ed era magro e forte assieme, e il suo carisma era
rimasto immutato nonostante tutto.
L’irlandese
si piantò una manata in fronte per darci un taglio e battè
rapidamente in ritirata dalla camera degli ospiti per finire di truccarsi e
vestirsi. Poi s’infilò nelle orecchie le cuffie dell’iPod, prese la borsa e si
mise gli stivali saltellando verso la porta, e quando fu in strada si diresse
verso il centro commerciale più vicino ascoltando i Tower of Power.
Loki aprì
lentamente le palpebre, sollevandosi a sedere sul letto. La pesante stanchezza
della sera precedente era scomparsa dalle sue membra, e la lunga dormita gli
aveva giovato. La stanza in cui si trovava era piccola ma confortevole,
immersa nella luce soffusa del giorno che ormai brillava sfacciato oltre la
finestra oscurata dalla bizzarra tenda rigida a listelli. Loki si alzò e
recuperò i propri stivali sulla soglia, continuando a guardarsi intorno: la
dimora era silenziosa, segno che l’assurda mortale non era presente, e lui ne approfittò
per studiare quel luogo con mente finalmente lucida. Era una casa abbastanza
spaziosa e arredata con una certa classe, se comparata con lo stile generale di
quel misero pianeta; le molte finestre e la posizione elevata ne facevano un
ottimo punto d’osservazione, fatto utile qualora si fosse presentata
l’occasione di sfruttare l’appartamento come base strategica. Il Dio degli
Inganni sogghignò apertamente, per un attimo dimentico di quel che era accaduto
e concentrato sulle prospettive ancora ignote che gli si stendevano dinnanzi,
come se non fosse cambiato niente da quando aveva tentato di conquistare
Midgard, come se quella conquista fosse ancora a portata di mano.
Il
sorriso svanì dal suo viso come fumo nell’aria: prima di ritentare l’impresa
doveva riappropriarsi dei poteri perduti, e se ben conosceva Odino non sarebbe
bastato abbassarsi a vivere come un mortale per due o tre dì per convincerlo
che era degno di tornare. Forse restare con la donna d’Irlanda gli avrebbe
indicato la via per risolvere la questione o almeno accelerarla, oppure lei
stessa si sarebbe rivelata una soluzione. Troppi erano gli interrogativi, pensò
Loki, e d’altronde in quella situazione poteva permettersi di non avere fretta.
Avrebbe
sondato minuziosamente l’animo e le intenzioni di Erin Anwar e si sarebbe
accertato di non avere alle costole ridicole organizzazioni di sedicenti
supereroi midgardiani, pianificò, e soddisfatto del ragionamento prese a
camminare per il soggiorno. Notò che vi si trovavano molti libri e alcuni apparecchi
tecnologici di fattura più semplice di quelli visti sulla grande nave volante
dello S.H.I.E.L.D. e riconobbe che certi orpelli tipicamente femminili erano
identici in ogni angolo del cosmo, da Asgard a Midgard. Ma ciò che catturò la
sua attenzione furono degli spartiti musicali fitti di note, sistemati su un
leggìo nero e sottile, e un astuccio anch’esso nero poggiato sul tavolo lì di
fianco: Loki ricordò vagamente che l’irlandese si era definita “musicista”, la
sera precedente, e nell’aprire l’astuccio vide che conteneva uno strumento
lucente diviso in tre pezzi di diversa lunghezza. Sembrava fatto d’argento, e
nonostante i complicati meccanismi che lo componevano doveva essere un flauto.
In quella
la porta dell’appartamento si spalancò ed Erin entrò in casa canticchiando una
canzone ritmata, le mani cariche di sacchetti colorati. Loki richiuse
l’astuccio.
«Ehilà,
dio nordico, ben ritrovato.» lo apostrofò la giovane: «Come ti senti?»
Lui
ignorò la domanda e ne fece una a sua volta: «Che genere di flauto è questo?», e indicò la custodia sul tavolo; Erin inarcò le sopracciglia, stupita, e
mise a terra le sporte.
«Un
flauto traverso in argento. Non è artigianale e non è il migliore che possiedo,
ma per studiare è un ottimo strumento.» disse con tranquillità. «Comunque
vedo che stai bene.»
Poi,
mentre l’asgardiano si passava una mano tra i capelli scompigliati e la
studiava senza avvicinarsi, tirò fuori dai sacchi una pila di indumenti e una
scatola di cartone, che depose sul divano che si trovava in mezzo a loro, e un
paio di grossi libri dalla copertina elaborata.
«Ti ho
preso qualcosa da indossare per confonderti tra noi tristi esseri umani, e
anche per avere vestiti puliti da mettere nel caso tu volessi fare una doccia.» gli spiegò, sorniona.
«Doccia?
Non possiedi una vasca per le abluzioni?»
«Il mio
bagno è troppo piccolo per contenere una vasca, per quanto io ne desideri una.»
Loki le
dedicò un’occhiata di regale e sprezzante pietà:
«Mi
abbasserò a fare uso della doccia, allora, e di questi poveri stracci terreni.»
Erin
scoppiò in una sincera risata: «Credimi, il mio mortale tenore di vita è
abbastanza elevato da permettermi quasi sempre il meglio! Ma non sono sicura
che questi abiti ti vadano bene addosso e ho preferito spendere poco
nell’ipotesi di doverli cambiare. Inoltre c’è da sperare che questa tua
condizione sia passeggera, perciò vedi di sopportare.»
Il Dio
degli Inganni ridacchiò, apprezzando lo spirito pratico dell’irlandese, e
afferrò il mucchietto di indumenti dirigendosi verso il bagno, l’espressione
appena contrariata.
«Nella
scatola invece c’è un paio di scarpe.» disse ancora Erin; «Io intanto cucino
qualcosa che anche il tuo nobile stomaco possa approvare. Buone abluzioni!»
Ma Loki
era già scomparso nell’altra stanza, chiudendo sonoramente a chiave la porta.
La
ragazza di Galway, colta da culinaria ispirazione, preparò una sostanziosa
zuppa di cipolle tipica delle sue parti e due braciole di carne di maiale che
passò sulla gratella, lasciandole mediamente al sangue come voleva la
tradizione. Nel frattempo tolse dal frigorifero due bottiglie di Guinness e ne
sorseggiò una nell’attesa che il cibo cuocesse, il naso immerso tra le pagine
di uno dei libri che aveva preso in prestito alla biblioteca del quartiere: una
raccolta di fiabe e leggende vichinghe e un saggio sulla complessa mitologia
del Nord Europa di cui l’uomo che al momento si trovava nella sua cabina doccia
sembrava far parte a tutti gli effetti. Le storie legate al Valhalla e ai suoi
potenti abitanti erano molte e lunghe, epopee a tinte forti che avevano
condizionato l’immaginario di quasi un intero continente, e leggendo qua e là
Erin prese finalmente a ricordare ciò che le era stato raccontato da bambina,
sebbene avesse sempre preferito elfi, uomini e druidi ai roboanti dèi norreni.
Con
sguardo febbrile corse ai capitoli dedicati a Loki l’Ingannatore, e il modo in
cui questi veniva descritto le strappò una risata nervosa: forse, si disse
tracannando un robusto sorso di birra, stava giocando col fuoco, se doveva dar
retta al mito, e forse la cosa peggiore era che non gliene importava granché.
«Dall’odore si direbbe che tu sappia cucinare, donna d’Irlanda.»
L’Ingannatore
in questione fece il suo ingresso in cucina coi capelli umidi e una delle maglie
di cotone che lei aveva comprato indossata sopra i soliti calzoni e stivali
neri asgardiani, ed Erin sobbalzò sputando metà Guinness e inghiottendo a
fatica il resto.
«Ovvio
che so. Le abluzioni sono state di tuo gradimento?» chiese tossendo.
Di nuovo,
Loki rispose con un’altra domanda: «Cosa leggevi su quei tomi?»
«Leggevo
di te.» disse la giovane guardandolo di sotto in su: «I miei simili non ti
hanno mai dipinto in toni eccessivamente lusinghieri, eppure li trovo un po’
esagerati.»
«I mortali
hanno sempre avuto una fervida fantasia.» commentò il dio caduto, e qualcosa
nel suo tono indusse Erin a non ritenerlo un
complimento.
Lui
sedette al tavolo, e l’irlandese si affrettò a servire la zuppa calda e densa:
«In
effetti preferirei sentire direttamente da te la storia di come sei giunto qui
per ben due volte, di cosa cercavi e perché, e dei fatti del tuo mondo.
Non amo molto l’umanità, sebbene ne faccia parte mio malgrado, e poiché ritengo
la gente mediamente stupida tendo a non fidarmi molto di quel che dice.»
asserì con cautela, iniziando a mangiare.
Loki
dovette riconoscere che quella donna aveva la straordinaria capacità di
rapportarglisi da pari a pari, o almeno dava l’impressione di non ritenersi inferiore
a chicchessia, nemmeno a lui. Sceglieva con cura le parole e sapeva far leva
sui tasti giusti, segni di una forza di persuasione non indifferente. Il Dio
degli Inganni decise di premiarla per questo e di dirle ciò le interessava:
così avrebbe guadagnato una buona fetta della sua preziosa fiducia, e più tardi
si sarebbe occupato di far parlare lei. Cominciò allora a raccontare e cominciò
dall’inizio, da Asgard e Jotunheim, da Odino e Laufey e Frigga e da suo
fratello Thor; narrò della sua prima caduta attraverso il cosmo e del
Tesseract, del piano per divenire sovrano di Midgard dopo che il trono degli
Æsir gli era stato sottratto, dei Vendicatori, dell’iridio nei laboratori di
Heinrich Schäfer e della battaglia di New York; rimembrò ad alta voce la bruciante
sconfitta, la prigionia tra mura dorate che non si era aspettato e infine
l’umiliante punizione che Odino gli aveva inflitto, ma non accennò minimamente
al ricatto del titano rosso.
Erin non
interruppe mai, fece solo qualche domanda e si alzò dal tavolo con l’unico
scopo di mettere le braciole nei piatti. Ascoltò avidamente ogni parola, con una fascinazione genuina dipinta nei grandi occhi color
nocciola e sorridendo a tratti.
Quando
infine l’asgardiano concluse il proprio racconto l’irlandese lo guardò:
«Proverai di nuovo a conquistare la
Terra per esserne il re?» chiese.
Lui annuì
e indagò di rimando: «E tu? Cos’è che ti ha condotta fin qui, fino a me?»
«Vedi,
vengo da un paese che crede ancora in cose antiche, e sin dall’infanzia ho
udito storie su mondi dimenticati in cui regni e sovrani erano sempre descritti
come aspetti positivi, come qualcosa di cui avere nostalgia. E poiché l’epoca
in cui vivo non è migliore di epoche passate in cui queste cose esistevano
ancora, mi sono fatta l’idea che le democrazie e simili sistemi di governo
siano fallimentari e ipocriti, non troppo diversi da monarchie e dittature e
tuttavia privi di figure forti e trascinanti che i popoli possano amare
o anche temere.» rispose Erin, le mani che si muovevano nell’aria come se
stesse cercando di riunire i propri pensieri per dar loro una forma. «È
l’illusione di essere liberi di cui parlavi tu a Stoccarda: la gente è convinta
che la libertà sia questa, far parte di una società che si professa democratica
in modo che qualunque idiota possa diventare qualcuno, spesso a discapito di
chi lo meriterebbe sul serio. Ecco perché da anni spero che prima o poi salti
fuori una figura diversa da tutte le altre, come un personaggio di quelle
storie dimenticate, e che riesca a cambiare le cose. Quando ti ho visto e
sentito parlare, quella sera, ho capito che tu avresti potuto esserlo, e ti ho
ammirato con tutta me stessa. E comunque...»
S’interruppe
e rise rovesciando indietro la testa, a metà tra l’imbarazzo e il
compiacimento:
«E
comunque ammetto di aver sempre pensato che la soluzione migliore sarebbe che
io stessa divenissi sovrana di questo mondo. Credo che saprei come governarlo.»
Loki
avvertì il sangue rombargli nelle vene, eccitato e colpito dalla folle
intelligenza di quella donna geniale, dalle sue idee e dalla sicurezza che
ostentava e finanche dal suo bel sembiante illuminato dalla risata e dalla
fierezza del suo discorso. Allora le sorrise a sua volta, poiché non avrebbe potuto
desiderare alleata più confacente di lei: Midgard spettava a lui, questo era
fuori discussione, ma su certi dettagli si sarebbe concentrato molto più
avanti.
E
rimasero così, seduti ai due capi del tavolo, a sorridersi e guardarsi dritti
negli occhi con le labbra ancora fresche di birra scura.
> Note a piè di
pagina
Bene, con questo capitolo si chiude la parte introduttiva della storia: di
Erin ormai si sa quel che c’è da sapere – chi è, da dove viene, che lavoro fa,
che strumento suona e persino come la pensa sul mondo in cui vive – e lei sa
altrettanto del suo ingannevole ospite. Compreso il fatto che è dannatamente
gnocco con una maglia di cotone e i capelli bagnati, diciamocelo.
Riguardo alle idee “politiche” della nostra folle irlandese vorrei
chiarire un paio di punti: il suo NON è un pensiero simil fascista/nazista o
che, è più un modo idealizzato e romantico di intendere la “monarchia”; è una
cresciuta a pane e storie, e ha pure delle notevoli manie di grandezza. È estrema prima che estremista, ma del
resto non credo che Loki si sarebbe mai lasciato incuriosire da una persona
(tanto più se umana e donna) che fosse meno assurda e attratta dal potere.
Dal prossimo capitolo si aprono le danze, e da danzare ci sarà.
Il titolo di questo è tratto da un verso della canzone Mr. Jones dei Counting Crows che dice “Mr. Jones and me / tell each other
fairy tales”; il pezzo in sé non rientrerebbe nella colonna sonora della
storia, però la frase calzava a pennello. Un brano che invece ci rientra eccome
e che mi fa pensare a Loki è Man of
simple pleasures dei Kasabian.
In tutto questo se c’è qualcuno in ascolto batta un colpo, per favore, ché
qui mi par d’essere dispersa nel vuoto siderale tra i Nove Regni peggio del Mr.
Mischief di cui sopra… Ossequi asgardiani a tutti e a presto!