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Autore: Aphasia_    28/01/2013    0 recensioni
Una raccolta di storielle scritte tanto, tantissimo tempo fa, senza nessuna pretesa, senza nessuna esperienza, ma solo in occasioni di piccoli drammi quotidiani, incubi ricorrenti e delusioni più che comuni a qualunque essere umano.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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I lividi bruciavano, e l'occhio nero sul mio viso erano le prove schiaccianti. Era tutto vero. Era successo. Ma come poteva? In un notte sola? E come poteva essere vero? Era così..assurdo. Non so cosa avrei dato per far si che fosse stato solo un sogno, anche denaro, o la mia anima... Non so che avrei dato.
Mi sarebbe piaciuto dare una giustificazione normale a quell'occhio nero, quando a scuola mi avevano chiesto come me lo fossi fatto, avrei tanto voluto dire "ho sbattuto contro un cartellone pubblicitario.." o qualcos'altro di buffo. Ma date quelle prove e quella notte assurda non avrei mai risposto sinceramente perchè nessuno doveva sapere che non c'era stato solo un occhio nero come cambiamento, perchè dopo quella notte, non sarei più stata la stessa.
E credetemi se vi dico che ciò che sto per raccontarvi è tutt'altro che normale, nessuno mi crederebbe, non mi credo nemmeno io. Perciò se trovate questo messaggio, forse un pò bagnato per via della bottiglia di plastica scarsa un pò bucata, leggetelo solo per curiosità, anche scettici, ma leggetelo, perchè la mia storia non può restare chiusa nelle mura del mio cuore, non più, non ora..che non ne ho più uno. E se mi crederete pazza io ve ne sarò grata per qualche strano motivo perchè almeno mi avete dato ascolto, perchè so che la pazzia fa parte dell'essere umano, e sentirmi umana non può che farmi bene, ora che non posso più. Lo so che questo "più" vi incuriosisce (credo), ma non prendetelo alla leggera, perchè non avete idea della cruda verità di questo racconto, e non avete nemmeno idea della vita che faccio, normalissima, ma non è una vita, vista quello che, dopo quella notte, sono costretta a nascondere.



Ero sola, quella notte. Sarei dovuta essere felice, lo ero sempre stata in quelle occasioni, ma quella sera ero nervosa, del resto come sempre il quel periodo, e questa si può dire, era stata la cosa più normale che mi era capitata, la più bella paradossalmente. Il motivo per cui ad un certo punto ero uscita a prendere una boccata d'aria posso giurarlo, mi è ancora ignoto, forse per frenare la voglia che avevo di urlare e svegliare tutto il vicinato o forse per evitare di sbriciolare il bicchiere che avevo tra le mani, ammesso che ci sarei riuscita. Ma la rabbia era troppa, per le parole che correvano da sempre alle mie spalle, cattive, maligne, che mi stavano avvelenando poco a poco l'animo. In quei momenti sarei tanto voluta essere Lucrezia Borgia, dolce e angelica, ma non più di tanto nel suo anello pieno di veleno, che uccideva con una sola carezza. Ma mi dovevo accontentare di essere io, una ragazza arrabbiata che usciva a fare una passeggiata notturna per calmarsi. Fuori controllo. L'aria fresca la adoravo, soprattutto se raffreddava il viso furioso, e se mi gelava le ossa, una sensazione a cui non riunciavo mai. Era come se si fosse fermato tutto e la rabbia fosse un universo immutabile, senza pianeti, senza satelli, senza me, che sarei dovuta essere il big bang generatore. Mi stava totalmente dominando, tanto che non mi ero accorta assolutamente di niente, degli ubriaconi nella piazza, dei teppistelli in giro che facevano battutacce, dei lampioni che ronzavano, vecchi e opachi. Non è una buona scusa essere arrabbiati per aver passato una notte del genere, e non è nemmeno un buon pretesto per richiedere l'attenzione di sconosciuti in una storia del terrore. A me serve l'attenzione, quindi non mi interessa, ho solo la mia rabbia a parlare, i miei ricordi non voglio tirarli fuori.
Così tra un borbottio e l'altro mi ero spinta troppo oltre, oltre la piazza, dove finiva la via e iniziava l'altro quartiere, quello del cimitero, che era sempre stato in effetti vicino a casa mia. Nonostante fosse stato ampliato da poco restava sempre lo stesso, immobile, freddo, rimanendo sempre il posto che in assoluto mi creava ansia. La mia non era paura, normalissima, ma era proprio un senso di oppresione che provavo sempre, camminando, nel sentirmi gli sguardi freddi di quelle foto addosso, li sentivo accanto che mi giudicavano, che squadravano.. sembravano dirmi "lasciaci dormire in pace, intrusa..". Era sempre stato un problema doverci entrare, solo per quelle sensazioni che per l'alone di tristezza. Neppure la mia rabbia aveva retto al ricordo di quelle brutte sensazioni, perciò non era stato difficile, ma piuttosto automatico, fare retrofront. Ma prima che potessi anche solo posizionare i piedi e girare il bacino, avevo sentito la voce di una ragazza dietro di me che mi chiamava, per nome.
Scappa. Era stato il mio primo pensiero, avvenuto per connessioni: Cimitero, voce, la voce che ti chiama per nome, spettro, scappa. Era stato tanto semplice quanto naturale, i vivi temono i morti oltre che rimpiangerli, è una legge di natura, una terribile legge di natura. Perciò avevo continuato a camminare, tenendo gli occhi chiusi, sempre più veloce, con le orecchie tappate. Non era vero, era assurdo, non volevo sentire, non volevo vedere. Purtroppo la ragazza era stata più veloce in qualche modo, e mi aveva trattenuto mettendomi una mano sulla spalla. Come prima azione=reazione: avevo urlato. Lei aveva riso, facendomi urlare ancora di più. Sparisci orribile spirito allegro! avevo pensato, più che altro urlato.
"Tranquilla.Devi solo venire.." aveva detto con la stessa voce che mi aveva chiamato prima. Non volevo andare, con nessuna delle mie forze, volevo solo scappare e tornare a casa, chiamare mia madre e sentire la sua voce, posare la testa sul cuscino con la sua mano che mi rassicurava, che mi confermava che era stato solo un brutto incubo. La mano della ragazza, così delicata nel fermarmi, ora si era fatta forte e ferrea, perchè urlavo ancora e anzichè calmarmi non aveva fatto che terrorizzarmi ancora di più. A un certo punto mi trovai muta e seduta sul prato, lo sentivo perchè avevo ancora gli occhi chiusi, e le palpebre mi facevano male da quanto non volevo vedere. La gola però mi bruciava, quindi avevo urlato, mi ero opposta. Mi faceva male un occhio (l'occhio nero era la risposta), e sendivo umido sotto il sedere, l'erba era bagnata e fredda... Erba, dove potevo trovarmi? Il primo posto che mi era venuto in mente lo avevo escluso subito, con tutta me stessa, e anche se le lacrime calde in contrasto con l'erba fredda mi confermavano la risposta, avevo sperato solo che finisse tutto presto: ero in cimitero.
Non avrei mai trovato il coraggio di aprire gli occhi, se non per la voce calma e gentile, che avevo riconosciuto essere di quella ragazza. Perchè li avevo aperti? Se non avessi visto niente, non avrei i ricordi, e a quest'ora sarebbe stato solo un bene. Ma quella voce, aveva qualcosa di magnetico, inquietantemente rassicurante anche se dubitavo appartenesse a questo mondo, eppure li avevo aperti. Nonostante il buio il mio campo visivo aveva riconosciuto le sagome delle lapidi e la debole luce della luna che ci osservava indifferente, insieme alle sagome di una ragazza davanti a me e di altre quattro persone alle sue spalle.
Solo abituando la vista alla poca luce avevo notato con un misto di vergnogna e terrore, che la ragazza non era altro che una bambina, aveva si e no 9 anni. Eppure faceva paura. Non per il suo aspetto, candido e innocente, una normale bambina, ma per i suoi abiti, che erano totalmente fuori moda e che sapevo nessuna bambina avrebbe mai messo di questi tempi, se non per un matrimonio o occasioni importanti.Sono nel posto giusto per farla finita, avevo pensato tristemente e anche se il pensiero era doloroso avrei fatto di tutto per scappare, anche non tornare più.
"Non avere paura dai.." aveva detto la bambina sorridendo. Aveva tutto di una bambina,l'innocenza, il sorriso, il comportamento, persino i movimenti, ma in cuor mio sapevo che non lo era più.
Avevo notato inoltre che non sbatteva le palpebre mai, nemmeno un volta, e che tra i capelli erano incastrate foglie giallastre e qualcosa di marrone sbriciolata: terra.
Le persone dietro di lei erano due donne e due uomini, li ricordo perfettamente nonostante la poca luce, perchè uno dei due uomo aveva una torcia: La prima donna aveva i capelli neri lunghi fino alla vita sciolti, anche lei non sbatteva le palpebre, ma stavolta tra i capelli aveva un cappellino decorato con fiori finti un pò rovinati, intonato ad un completo scolorito e con qualche toppa; la seconda donna era l'unica ad avere l'aspetto peggiore, con il viso incavato e le labbra viola, e una lunga cicatrice nella gola, e anche se sembrava umile nei vestiti portando solo una semplice veste bianca, al dito portava un anello d'oro lavorato; Dei due uomini il primo era basso, tarchiato e aveva la camicia strappata in più punti, e gli mancava un orecchio, e il secondo, molto più giovane, era l'unico a guardare per terra, fissandosi le scarpe impolverate. Oltre la paura c'era un particolare che più degli altri mi aveva colpito e allo stesso tempo raccapricciato: tutti, compresi la bambina, avevano un marchio nel collo. Era un numero, una spece di tatuaggio identificativo, ma non sapevo cosa significasse. La bambina si era accorta che tra le lacrime il mio sguardo ad un certo punto si era fermato su quel particolare e aveva detto:
"oh, questo? Che numero vorresti tu?" aveva sorriso toccandosi il collo, e quando l'aveva fatto avevo potuto vedere il suo numero:7.
Non riuscivo a parlare, e in quel momento piangendo ancora di più, ero sicura che sarei rimasta muta per tutta la vita. Ecco perchè queste parole, perchè la mia bocca forse non le potrà più pronunciare.
La donna col cappello si era avvicinata e mi aveva guardato meglio facendomi notare che sulle labbra aveva ancora il rimasuglio di un pò di rossetto.
"Secondo me è insignificante...prendiamoglielo e facciamola finita, chissenefrega del numero.." aveva detto sprigionando un alito putrido e nauseabondo.
"Non è tanto male.. a me piace..chissà che sapore ha.." aveva detto l'uomo basso leccandosi le labbra con la lingua violacea e fissandomi il petto.
"Lo sai che a lui farà piacere..che sia bello o no, è comunque un cuore, è comunque una vita" aveva detto la donna con l'anello con voce bassa, come da indemoniata.
"Bene! allora facciamolo..sono stufo di aspettare.." aveva detto l'uomo basso, ormai impaziente. Ma il suo scatto verso di me era stato frenato, a sorpresa, dal giovane con lo sguardo basso. Senza dire una parola aveva alzato gli occhi e aveva fatto un cenno all'uomo. Ancora non riesco a crede che quel ragazzo, che presupponevo ormai facesse parte di quel branco di morti- dagli ovvi segnali era chiaro- potesse aver conservato quegli occhi. Sembrava che la luna vi avesse trasmesso dentro il suo bagliore d'argento, salvandoli dalla morte stessa. Erano bellissimi, ed erano l'unica cosa che si era salvata in quel corpo ormai tumefatto e senza vita. Si era avvicinato a me, ancora paralizzata dal terrore e scossa da convulsioni di agitazione e di freddo, seduta sul prato gelato e con gli occhi appannati e pesti.
"Tu non devi avere paura. Dai retta ad Adele, anche se è solo una bambina. Ci siamo passati tutti, e siamo ancora qui, anche se non abbiamo più la vita. Ma se ce la lascerai- e so che lo farai- saremo tutti liberi prima di quanto tu possa immaginare.." aveva sussurrato e sembrava che anche la sua voce fosse viva. Le lacrime si erano fermate a quelle parole, come se avessero avuto una forza segreta che aveva il potere di ricacciarle negli inferi della mia paura, o forse erano stati i suoi occhi calamitati sui miei, che avevano arginato l'emorragia nel mio animo. Ancora non so cosa mi aveva spinto a dire di si, quella notte, quella notte così assurda, che non scorderò mai. E dopo tutto il pianto, senza lacrime ormai, e ripensamente, mentre guardo il mio corpo che imputridisce giorno per giono, penso che sia stato proprio quel ragazzo a convincermi a fare via il mio cuore, la mia vita. E ora che i miei occhi si vanno via via spegnendo, che il colorito sbiadisce, che inizio a marcire penso che per quegli occhi avrei dato qualunque cosa, e che il mio cuore l'avrei dato a chiunque se solo l'avesse tenuto lui tra le mani. Sembro una stupida a parlarne così, così naturalmente come se fosse una cosa normale, quella che mi è successa. Ma come aveva detto quel ragazzo, di cui so tristemente solo il numero, 9, è capitato a tutti. Non è poi così strano allora. So che non è così, ma illudermi mi sembra un buona cosa, almeno finchè nessuno si accorgerà che sono morta in decomposizione, almeno finchè la persona che voleva il mio cuore e quello degli altri avrò ciò che vuole e ci libererà tutti, almeno finchè non incontrerò 9 un'altra volta, forse l'ultima, o forse una delle tante. Posso solo illudermi, perchè dopotutto i morti possono fare anche questo, oltre che a scrivere messaggi nelle bottiglie, e prendere i pullman. Tutto finchè si potrà, finchè non sarò, o meglio saremo, liberi.


Il controllore mi guarda ancora un altro istante prima di stabilire se sono affidabile o una delinquente, ma il biglietto è valido, e non c'è scusa che tenga. E posso anche fingere di trattenere il respiro in stile suspense, attendendo il suo responso, perchè ormai non c'è più aria nei polmoni. E posso anche fingere che il viola delle mie labbra sia il frutto di un rossetto non proprio azzeccato, così come il fondotinta bianco della mia pelle, o il profumo che deve coprire l'odore ancora più forte del mio decadimento. Qualunque cosa, finchè sarà necessario.
Il biglietto mi viene restituito e subito incrocio lo sguardo di una ragazza della mia scuola che mi sta fissando. Subito allora si avvicina senza essere invitata, al posto a fianco al mio e spero che non mi tocchi, che non sento quanto sono fredda.
Ma invece mi sorprende, anche se non quanto quella notte, e non ricapiterà mai.
"Wow! ti sei fatta un tatuaggio! che significa 77? " mi chiede lei. La risposta è automatica, esattamente quanto avrei voluto fosse stata la mia fuga quella notte..non era stata abbastanza. Ma ormai era troppo tardi.
"Qualcosa di incredibile.." rispondo così ma mi fermo, sono le uniche e poche parole che riesco a dire in una giornata, perchè ormai più un certo tanto non riesco a dirle, sono ancora bloccate in gola, insieme alle urla e a quel si, l'unica parola che mi era uscita quella sera, a risposta di 9. Ma è meglio così dopotutto, come ho già detto, persino i morti sanno scrivere messaggi in bottiglia.
  
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