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Autore: keska    29/01/2013    2 recensioni
Capitoli EXTRA della storia "CULLEN'S LOVE".
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE '
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23 Marzo. Ora di pranzo.

 

«Dannazione! Edwaaard!» urlai, trascinando la “a”.

«Cavolo Bella, a meno che non sia un fatto di vitale importanza qual è il motivo di urlare così? Ti sento benissimo ugualmente».

Mi voltai a fissarlo con un’occhiata assatanata mentre con una mano tenevo il mestolo per girare la pasta e con l’altra cullavo Mark, stretto al mio petto appena sopra il pancione ingombrante, che piangeva. E Kate mi tirava i pantaloni. «Mi sembra che sia di vitale importanza» sibilai fra i denti.

Mi fissò, sconcertato. «Che diavolo sta succedendo? Dammi Mark» fece, protendendosi immediatamente per sollevarlo.

Scossi il capo. «No, no, senti. Hai finito di sistemare di là? Mark lo tengo io, visto che sono già sporca. Non possiamo andare a cambiarci in due, abbiamo fatto già abbastanza danni. Problemi di vasino» indicai con lo sguardo, mostrandogli i suoi pantaloni bagnati e la mia maglietta nelle stesse condizioni. «Tu finisci di cucinare e bada a Kate. Gli altri saranno qui fra meno di mezz’ora e io mi devo lavare di dosso la pipì del cucciolo».

Edward passò la mano fra i capelli di suo figlio, sorridendogli e facendolo tranquillizzare. «Non è successo niente, cucciolino. Adesso la mamma ti cambia e tu starai bene» lo rassicurò con dolcezza. Poi sollevò Kate da terra e prese il mio posto ai fornelli. «Non ti stancare» mi ammonì, lanciandomi un’occhiata di sbieco, prima di intavolare una seria conversazione con la figlia.

Cambiare Mark non fu troppo impegnativo, considerando che quel bambino era davvero molto tranquillo e poche coccole bastavano per farlo rilassare. Il senso di disagio nel sentirsi bagnato lo aveva indotto a piangere, ma speravo che non si vergognasse troppo di quello che era successo. Dopotutto, seppur acuto e intelligente, era pur sempre un bambino di un anno e mezzo.

«Ti piace questa tutina tesoro? È più bella di quella che avevi prima» lo coccolai, facendogli il solletico.

«Tì» ridacchiò, guardandomi birichino.

Lo lasciai sul fasciatoio, scostandomi appena per recuperare una maglietta pulita dall’armadietto. Sfilai quella sporca e un attimo prima di risollevare lo sguardo sul bambino notai qualcosa sulla mia pancia. Una macchia. Rossa.

 

«Pensi che possa essere morbillo? O varicella?» chiesi preoccupata.

Edward continuò ad osservare la macchiolina, passandoci appena il pollice sopra. Aveva una ruga di concentrazione fra gli occhi. «Non lo so, non mi pare. Non sei stata vaccinata?».

Sospirai, lasciando andare il capo sullo schienale del divano su cui ero seduta. Mark, accanto a me, si accoccolò meglio contro il mio corpo. «Non lo so, Edward! Potrei chiederlo a mia madre ma non sono certa che se lo ricorderebbe e mio padre di sicuro non ne ha idea» sibilai spaventata.

Mio marito mi accarezzò il viso. «Vedrai che non è niente. Aspettiamo che venga Carlisle e chiediamo a lui».

«Ma se fosse morbillo?».

Scrollò le spalle. «Agiremo di conseguenza. Inutile fasciarsi la testa da ora. Magari è solo una puntura di insetto. E poi è solo una, e piccola, non mi pare il caso di allarmarsi».

Annuii, un nodo alla gola, riabbassando sul pancione la maglietta morbida e calda.

«Mammi! Ho dato pappa ‘a Boa!» gridò Kate, saltellando allegra nella nostra direzione.

Mi voltai a fissare di sbieco Edward. «Dici che abbiamo bisogno di un altro pesce rosso?».

Si voltò per ridere sotto i baffi.

 

«Chiamalo, Edward» mormorai, la voce che mi tremava.

Fece passare un braccio dietro le mie spalle, guidandomi sul divano. «Ehi, stai calma. Siediti qui, avanti. Sicuramente Carlisle ci dirà cosa fare».

Tremante sollevai la maglia a fissare la macchia. Era triplicata di dimensioni. In dieci minuti. «Non è normale» mormorai, querula.

Edward mi baciò il capo, scomparendo un attimo alla mia vista.

«‘aamii» urlacchiò Mark, scuotendo in aria il suo trenino. Kate glielo prese dalle mani, facendolo giocare e ridere. «Ciuf ciuf ciuufff!».

Carlisle arrivò non più di tre minuti più tardi, eppure dal suo esame obbiettivo non riuscì a ricavare alcuna informazione che fosse di senso logico. «Non hai altri sfoghi?».

Scossi il capo, fissando il suo volto concentrato alla ricerca di un segno che mi facesse rilassare o preoccupare ulteriormente.

«Prurito? Fastidio, irritazione? Bruciore?».

«Niente, a parte il fatto che in questo momento sto morendo di paura» confessai preoccupata.

Carlisle sollevò le sopracciglia. «Potrebbe essere uno sfogo da stress o una reazione allergica a qualcosa… Ma è strano che non ti dia alcun sintomo, e poi sembra…».

Suonarono al campanello.

Sollevai il capo di scatto. «Sono già arrivati?» domandai agitata.

«Vado ad aprire. La smetti di stressarti?» mi rimproverò bonariamente Edward, prendendo i bambini con sé.

«Mmm… strano…» mormorò Carlisle, ancora intento ad osservare la macchia rossa.

«Cosa? Oddio!» esclamai, notando come si espandesse a vista d’occhio. Ricopriva ora un quarto del pancione. Il cuore prese a battermi velocemente e altrettanto rapidamente la macchia continuò ad ingrandirsi.

«Davvero strano…».

«Cosa è strano? È terribile, non è strano!».

Carlisle mi fissò. «Rilassati» mi ordinò con voce compassata.

«Cazzo, Bella! Che hai fatto alle mie nipotine?» esclamò Emmett, osservando la pancia quasi totalmente ricoperta di rosso. Accanto a lui quasi tutto il resto della famiglia entrava in sala e mi guardava, aprendo la bocca sorpresa e strabuzzando gli occhi.

Li fissai, senza riuscire più a trattenere le lacrime. «Non è normale, non è normale» singhiozzai, premendo le dita contro il pancione.

Edward venne vicino a suo padre, fissandolo attentamente e rispondendogli a fior di labbra. Mi mise le mani sulle spalle, obbligandomi a guardarlo. «Stai. Calma» scandì con lentezza.

Mi morsi il labbro, lasciandolo tremare fra i denti. Esme invitò i presenti a spostarsi in sala da pranzo, e portare, grazie al cielo, i bambini con loro. Edward mi cancellò le lacrime, carezzandomi il viso finché non fui decentemente calma.

«Ecco, guarda» fece infine, mostrandomi come la macchia avesse smesso di espandersi.

Ancora tremante, scrutando i visi di Edward e Carlisle in cerca di una possibile bugia domandai: «Non è sangue, vero?».

Mio suocero scosse il capo. «No. Sembra colore».

«Com’è possibile che sia colore?» domandai stranita, la voce roca.

«Sarebbe davvero strano».

Carlisle strofinò le mani contro la mia pelle. «Portami un panno bagnato, Edward».

«Vuoi che ti aiuti a sfilare la maglietta?» mi domandò Edward, indicandola e tornando in un secondo con un canovaccio inumidito.

«No, grazie, preferisco tenerla».

«Se non funziona andiamo in ospedale a fare delle prove allergiche. Ma ora…» fece Carlisle, passando la pezza sul pancione.

E così avvenne qualcosa di realmente assurdo.

«È blu!» esclamai isterica, perché stare calma in quel momento non era davvero possibile.

Persino Carlisle aveva il volto marchiato dalla sorpresa.

«Ma cosa diavolo…?» fece Edward, toccando con le dita i punti in cui suo padre passava con la pezza e la mia pelle cambiava colore.

«Oddio» gorgogliai, saltellando sul posto, disperata.

«Aspetta». Carlisle osservò il panno che aveva in mano. «È blu. E la tua maglietta è…».

«Rossa» finii per lui.

Edward aggrottò le sopracciglia. «Pensi che sia una reazione ai coloranti dei tessuti?».

Mio suocero scosse il capo, lo sguardo di chi ha appena fatto una scoperta. «Penso che le gemelle ci stiano facendo uno scherzetto».

 

7 Maggio 2010. Terzo compleanno di Kate.

 

«Mamma!».

«‘ammi!».

«Tesori di zio, dovete chiamarla più forte, altrimenti non si sveglierà mai. Non sentite come russa?».

«Emmett, sei impazzito? Lasciala dormire, diamine».

Mi lamentai, annaspando per tirarmi su, confusa. Con quella pancia immensa era impossibile trovare una posizione comoda per dormire. Sbattei le palpebre, guardandomi intorno, disorientata.

«Mamma, mamma!».

«Che ore sono?» domandai, la bocca impastata dal sonno.

«Sono le nove. Non ti preoccupare, Alice e Rose stanno già iniziando a sistemare».

«Mamma!» mi chiamò ancora Kate, cercando di richiamare la mia attenzione.

«Le nove? Cavolo, non potevi svegliarmi prima? Ahi…» borbottai, una smorfia sul viso «queste pesti non smettono di tirarmi calci» feci, abbassando il viso ad osservare il ventre. Verde. Era quello il loro potere, emettere colori. Cioè, per ora, divertirsi a far cambiare colore alla mia pancia e costringermi a tenermi lontana da qualsiasi umano. 

«Mamma!» urlò più forte Kate.

Sospirai, mordendomi un labbro e sollevando lo sguardo. «Scusa amore. Dimmi. Adesso la mamma ti prepara tutto quello che ti ha promesso».

La bambina sorrise, indicando il fratello, lì accanto.

Mi portai le mani alla bocca, sgranando gli occhi. «Oh mio Dio».

Mio figlio, sul viso un pittoresco quadro molto simile al trucco di un clown, gongolava orgoglioso, accanto alla sorellina, tenendola per mano. «Maak. ‘ello» sorrise, battendo le mani.

L’espressione ancora congelata, rimasi lì a fissarli, orgogliosi del loro lavoro. Erano davvero troppo soddisfatti perché potessi sgridarli. Anche se probabilmente avevano dato fondo a tutti i miei migliori cosmetici. Forzai un sorriso sul mio volto, sperando che non passasse come una smorfia. «È molto bello, Kate» balbettai, sforzandomi di non aggiungere altro.

La bambina sorrise, stringendomi le braccia al collo. Compiva quel giorno tre anni, ma come corporatura non ne dimostrava più di due e mezzo, pur essendo molto più intelligente dei ragazzini della sua età. Le baciai la guancia, accarezzandole i capelli. Io e Edward le avevamo regalato una cucina giocattolo dove poter scaricare tutte le sue energie. Almeno per la prima settimana.

A fatica mi sollevai dal divano. Ero al sesto mese di gestazione, ma davvero non c’era confronto nella dimensione del pancione fra questa gravidanza e le precedenti. Era enorme. Di g.

«Alice, Rosalie e Jasper sono già nel salone, stanno sistemando i festoni» m’informò Edward.

Sospirai. «Se non mi sbrigo a cucinare non farò mai in tempo».

«Credo che Esme e Carlisle stiano per arrivare. Non ti preoccupare, ti aiuterà lei».

Mi passai una mano fra i capelli. Arrossii, premendo l’altra sul pancione. «Scusatemi un attimo» balbettai, avviandomi verso il bagno.

«‘ammi!» mi richiamò Mark, sgambettando nella mia direzione. Gli tesi una mano, prendendolo con me. Non c’era modo che lo prendessi in braccio.

 

«Vieni qui campione» lo richiamò Jasper con un sorriso, allungandosi nella sua direzione. Era un ottimo zio, e Mark gli somigliava molto, caratterialmente. Taciturno e riflessivo, ma con tanto amore da dare a chi gli stava attorno.

Sollevai la testa dal pane che stavo tagliando. «Grazie Jazz. Ne avevo proprio bisogno, se voglio finire in tempo».

Mi fece l’occhiolino, stringendosi il bambino al fianco. L’avevo appena cambiato, pulendogli il viso e mettendogli una salopette marroncina. Speravo che non si sporcasse almeno prima dell’inizio della festa. «Vuoi uno sgabello?» domandò, vedendomi incerta sulle gambe.

Gli sorrisi, riconoscente, accettando il suo aiuto per sistemarmici in equilibrio. La schiena mi faceva sempre malissimo.

«Allora, avete deciso come le chiamerete?».

Annuii. «Beh, io e Edward avevamo pensato a Anne e Juliet. Ci sembrano nomi abbastanza classici, sono carini» dissi con una scrollata di spalle.

Sorrise. «Molto. Io e Mark andiamo di là a vedere se hanno ancora bisogno di qualcosa. Rilassati Bella, mi raccomando».

 

«Sei sicura che entri?».

«Sì, sicura. Scrivi».

«E se scrivessi tu? Sei più brava».

Esme scosse la testa con un sorriso. «Non se ne parla nemmeno, sei molto più brava tu. Scrivi, Bella».

Sospirai, concentrandomi per scrivere, col cioccolato, il nome di mia figlia sulla torta glassata di rosa. Avevo quasi concluso, quando - «Ahi!» - un calcio ben assestato mi fece sussultare. «Accidenti, no! Ho sbavato la “t”» mi lamentai.

Si sporse a vedere. «Non ti preoccupare, aspettiamo che solidifichi e lo togliamo. Fidati, l’ho fatto altre volte, funziona. Continua a scrivere tesoro».

Mi morsi un labbro. «Sei sicura? Voglio che sia perfetta».

«Sicura» mi sorrise «continua pure».

 

«Come sta la mia paziente preferita? Bella, cresci a vista d’occhio» fece Carlisle, venendo ad abbracciarmi, non prima di aver coccolato per un buon quarto d’ora la sua nipotina/principessa festeggiata e relativo fratello - scudiero/paladino di notevole importanza.

«Eh, non me lo dire, Carlisle. Sappi che potrei venire nel tuo studio uno di questi giorni ad implorarti di far nascere le pesti».

Scosse il capo, sorridendo. «Ricordati, rilassati-».

«Respira e riposati. Sì, già. Non appena Kate e Mark saranno d’accordo con te, con piacere» scherzai, ammiccando.

 

«Mamma, vieni?» chiese Kate, allungandosi nella mia direzione.

Sorrisi, tirando indietro la sedia e provando a sollevarmi. Edward venne in mio soccorso. «Certo amore. Fammi vedere, la mamma ha messo tutte le candeline?».

«Sì» esclamò, contenta, saltellando sulla sedia dove l’avevano sistemata, proprio davanti alla sua torta. Alice le aveva messo indosso uno stupendo vestitino color crema, e sistemato un cappellino a cono con le piume e le paillettes. Sulle guance tanti brillantini, con cui aveva voluto essere decorato anche Mark.

«Accidenti, sono davvero tantissime!» feci con sorpresa «ma quante sono? Quanti anni fai?».

Mi mostrò le dita di una mano. «Tre» dichiarò, soddisfatta.

«Amore, ormai Kate è una bimba grande» intervenne Edward, sistemandole i capelli ricciolini e marroni, come i miei.

«Eti!» strillò Mark, sporgendosi nella sua direzione.

«Mark, stai con la zia. Adesso Katie deve soffiare le candeline».

Kate lo fissò con sufficienza. «No. Io tono grande, Mark piccolo. Io devo insegnare» fece, lasciando che il fratellino soddisfatto la raggiungesse sulla seggiolina.

«Sta’ attento alle sue mani. Appena le vedi in zona panna tiralo via» ammonii Edward sottovoce.

Rise, ammiccando nella mia direzione. «Non entreranno in zona panna. Promesso».

«Quando ‘ico tre devi soffiare. Fotte. ‘nsieme a me, capito?» gli spiegò Kate, seria.

Il bambino annuì, voltandosi velocemente verso la torta, oggetto del suo interesse.

«Guardate qui, vi faccio una foto!» esclamò Rosalie.

«Uno, due… tre!».

E così la torta fu annaffiata dalla saliva dei miei marmocchi. Fortuna che dovessero mangiarla solo loro.

«Auguri!».

 

 

 

 

 

 

Odio le scrittrici che scrivono, poi scompaiono, poi ricompaiono dopo un mese.

Oh. Umh. Sto parlando di me…

Beh, ragazze, voi lo saprete meglio di me: non è facile.

Non è facile nemmeno quando hai il capitolo pronto e lo devi solo pubblicare. Perché quando passi un mese e messo a studiare (se ti va bene) 8 ore al giorno, il tempo NON lo trovi!

A parte questo…

Manca una settimana esatta al mio esame di biochimica (chi lo ha fatto saprà che vuol dire). Ho un minuto. Pubblico.

Se fra una settimana passo l’esame giuro… che vi pubblico un capitolo super-succosissimo sulla nascita delle gemelline *ammicchissimo*.

 

E ora…

Bye bye!

(pregate per me).

 

   
 
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