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Autore: Fanny Jumping Sparrow    29/01/2013    4 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve gente! :D
Finalmente tra un impegno, un libro da studiare e svariate lezioni, sono riuscita a concludere un nuovo capitolo ^W^
Che dire? Non voglio anticiparvi nulla, mi auguro che, pur essendo più lungo del mio solito, vi divertirete nel leggerlo, così come io mi sono divertita a scriverlo.
Vi lascio alla lettura non senza ringraziare e salutare calorosamente quanti continuano a leggere e seguire questa storia e quanti vi si avvicinano per la prima volta.
E ringrazio anche VAleMPIRE per aver raffigurato nuovamente i due protagonisti nel disegno che troverete in fondo alla pagina.
Al prossimo approdo!)

XIX: WE ARE PARTNERS, AREN’T WE?

Fradicio fino al midollo. Anchilosato. Privo di punti di riferimento nell’innaturale immobilità di uno strano crepuscolo inchiostrato di cinabro e nerofumo.
Qualcosa di viscido e filamentoso gli ostruiva la gola smorzandogli il respiro. Un’enorme massa inerme gli era collassata sul petto schiacciandolo.
Affilò i sensi tramortiti, calibrando le forze residue per vibrare un vigoroso cazzotto. La bocca si liberò e poté finalmente tossire e sputacchiare i lunghi peli che gli si erano attaccati alla lingua impastata di salmastro. L’orecchio destro captò una bestemmia soffocata: Radish aveva perduto un altro molare; poteva andargli molto peggio. Un giorno gliela avrebbe fatta ingoiare assieme al rum di cui si ingozzava, quella dannata selva di pidocchi!
Restava bloccato da un mucchio consistente di carne che emanava un pessimo odore di sporco e sapeva di stoppa. Era troppo spossato e, per quanto fosse poco allettante, quello era pur sempre un trancio di carne adagiata ad un paio di spanne dal naso. Aveva lo stomaco sottosopra, terribilmente vuoto e reclamante. Ne aveva bisogno.
La mascella si spalancò d’istinto e abbrancò famelica.
Quello stomachevole troncone fibroso, a dispetto del puzzo e del saporaccio, apparteneva a qualcuno ancora vivo che si dibatté come un capodoglio infilzato da una fiocina:
- Aiutatemi! C’è qualcosa che mi sta sbranando il braccio! – barrì agitandosi con l’impeto di un terremoto che ridestò tutto il resto della ciurma assopita dalla stanchezza e dallo sbandamento delle onde.
Di primo acchito il flebile chiaroscuro e lo stordimento lo avevano ingannato, ma non appena capì a chi apparteneva quella formidabile tagliola che gli stava lacerando il bicipite, il suo orrore centuplicò: - Per tutti i diavoli del mare! Vegeta! Sono io, Nappa! Fermati! Lasciami!
Essere sbatacchiato dall’arto nerboruto del suo nostromo interruppe lo stato di incoscienza di Vegeta, che allentò la morsa della sua acuminata tenaglia dentale, tirandogli un calcio nel costato per zittirlo e cadendo in piedi con una giravolta. Indifferente all’occhiata sconvolta del compare che si premeva la lesione bucherellata, stiracchiò lentamente la spina dorsale facendone scrocchiare le vertebre ammaccate, e sgrondò i capelli tra le mani, torcendoli e stirandoli verso l’alto mentre aguzzava lo sguardo tutto intorno.
Non c’era un alito di vento e il vascello non oscillava. Erano arenati, apparentemente in mezzo al nulla: l’odore del mare era una parvenza impalpabile, lontana. Non era più abituato a non respirarlo. In compenso subiva con graffiante insistenza gli umori dei sopravvissuti e le loro ferite trasudanti vivida linfa.
La belva interiore ruggì protestando ferocemente.
- Fate la conta dei danni e sbarazzatevi dei cadaveri prima che marciscano – dispose sbrigativo ai suoi, soffermandosi ad ammiccare con chiara malignità verso Nappa che deglutì con un brivido la sua richiesta, patendo ancora il bruciare della nuova cicatrice.
Capitan Vegeta gironzolò inquieto lungo il perimetro da poppa a prua, meditando sul da farsi, tendendo tutti i sensi a quanto li circondava.
I raggi del sole giungevano obliqui e il cielo aveva insolite venature indaco e vermiglie, che si intessevano come un reticolo intrappolando la luce delle stelle. L’aria era satura di polvere sottile, vapori e gas che, miscelandosi, producevano una spessa coltre di nebbia, che neppure le lampare riuscivano ad intagliare. Sarebbero stati costretti a scendere e perlustrare quel luogo infernale passo passo, alla cieca.
Dei lampi squarciarono l’orizzonte, illuminandolo di frastagliate fluorescenze bianche e violacee.
Quello che più lo arrovellava era trovare la via del ritorno. Aveva bisogno di muoversi per sentirsi vivo, non poteva nemmeno pensare di essere costretto a dimorare in quel deserto stagnante per più di qualche ora.
Era tornato alla balconata del timone e soltanto allora aveva prestato attenzione alla balaustra, in cui penzolava un pezzo di corda attorcigliata con un nodo ad anguilla. Ne valutò la recisione stringendola tra i polpastrelli. Un sorriso amaro si appropriò del suo broncio, storpiandosi nell’istante in cui individuò avvicinarsi alle spalle il suo profumo mielato.
- Se volevate liberarvi di me, vi informo che non ci siete riuscito – gorgogliò acidamente Bulma, scagliandogli contro la cima spezzata che le era rimasta legata alla cinta.
Vegeta si defilò in cerca di qualcosa da masticare. Doveva sfamarsi subito o avrebbe risolto affondato i denti nel suo ventre.
Allo stesso tempo la piratessa girò i tacchi un po’ acciaccata. Si era ritrovata abbracciata al pennone di mezzana e, visto che nessuno l’aveva sentita chiamare o si era preoccupato di cercarla, si era avventurata a scendere da sola, rimediando qualche livido, ma anche una maggiore sicurezza nelle sue capacità di non dipendere da nessuno. Se solo non fosse esistita la notte …
- Non pare anche a voi che qui ci sia uno strano silenzio? – proruppe d’un tratto Radish, sporgendo una lampara oltre il parapetto e scrutando cauto e prevenuto l’orizzonte.
Nappa gli si affiancò colpendolo con una leggera gomitata: - Cosa ti aspettavi? È risaputo che questo è uno dei posti più merdosi della terra!
Altri marinai cianciarono tesi e confusi, criticando a bassa voce il Capitano e disperandosi per la drammatica incertezza della situazione in cui li aveva scelleratamente condotti.
L’atmosfera polverosa, la calura asfissiante e la scarsa luce bluastra accrescevano l’ansia e il disorientamento di tutti.
- Prima ce ne andremo, meglio mi sentirò – sottoscrisse Bulma, scappandole uno stranuto corrosivo che ebbe il potere di friggere le assi del ponte, convincendola a doversi ritirare quanto prima sottocoperta per scongiurare altri involontari danni a persone o cose.
- Ritengo che ve la caverete egregiamente, Capitan Vegeta. Buona fortuna! – gli raccomandò con accento smaccato, affrettandosi a varcare la sala nautica, dove era certa di aver smarrito il cappello, ma il pirata l’anticipò, ostacolandola: - Voi verrete con me. – fiatò con soverchieria, innescandole una scarica di brividi e balbettii.
- Me ne sfugge il motivo … - mormorò innocentemente, spostando gli occhi altrove, indossando il copricapo piumato che raccolse da terra e drizzando le gambe per mascherarne l’incondizionata mollezza. Doveva filare al più presto nella sua vasca.
Vegeta la squarciò con una lunga occhiata astiosa, schioccò la lingua ed inspirò a voce più bassa: - Continuate ad ammorbarmi con la solfa che siamo soci. Mettiamolo in pratica. – la stuzzicò affidandole le Carte del Supremo.
La turchina espirò a fondo, reprimendo lo scolorimento. Aveva caricato quell’ultima frase di una valenza ambigua che le solleticò acutamente i nervi: - Temete che possa guidare un ammutinamento? Ne sarei capace! – spiccicò spavalda, vertendo sullo sberleffo per respingere la soggezione della sua oppressiva cupezza.
Il Capitano trascurò la sua ambiziosa intimidazione e, scansandola come fosse nient’altro che una fronda capitatagli sul sentiero, si introdusse in cabina, accese un candeliere, e iniziò a rovistare in giro, recuperando armi personali e munizioni.
Bulma lo spiò dalla soglia, appoggiandosi sullo stipite e studiando le indicazioni della tavoletta. Il buio le era nemico da sempre e benché al momento non le fossero comparse le squame, tantomeno le unghie si fossero trasformate in variopinte conchiglie, non si sentiva affatto sicura di potersi unire alla ardimentosa spedizione che si stava preparando a partire.
Elaborò in fretta una scusante che non lo insospettisse troppo e che le desse il tempo di spazientirlo abbastanza da indurlo a rinunciare a portarsela dietro. Non ne era entusiasta, ma giocò la carta della frivolezza: - D’accordo verrò. Però dovrei andarmi a cambiare. Sono pur sempre una creatura delicata – gli vociò con civettuola impellenza. Starnutì di nuovo, coprendosi con le mani il viso per evitare di spandere goccioline tossiche: - Ecco, avete visto! Mi prenderò un malanno! Questi vestiti sono zuppi!
Al posto di Vegeta si frammise a risponderle Radish, che passava là davanti con le spade fresche di molatura: - Non stiamo andando ad una stupida festa da ballo, pupa! – la canzonò facendo risuonare le lame affilate nell’aria in maniera sinistra. - Ma se vuoi, ti aiuto a toglierli? C’è un’arsura insopportabile … - le propose spudorato, compiacendosi dei fiochi e imbarazzati singulti che le aveva provocato lambendola dal mento ai fianchi con le estremità delle sciabole.
Una terza punta di acciaio affilato e ricurvo tintinnò: - Ignorali, Bulma: sono dei trogloditi – la difese Yamcha, parandosi dinanzi, circondandole la vita con un braccio. E, intimandole di farsi da parte, sfidò il bucaniere dalla selvaggia capigliatura.
- Ha parlato il gran signore! – pronunciò con insolenza il gigante, roteando le due scimitarre e guizzandogliele contro, costringendolo a sudare sette camicie per non finire infilzato da uno dei suoi ineccepibili colpi.
Bulma tratteneva il respiro, scissa tra l’opportunità di barricarsi nel suo alloggio più in fretta possibile, o la necessità di recitare le regole del codice miste a maledizioni per persuadere almeno Yamcha, che tra i due era quello messo peggio, a desistere. Quando al riecheggiare delle prime stoccate tra la ciurma si aprirono perfino le tifoserie, la ragazza si accasciò su un barile, schermandosi la vista con una mano, nella stressante attesa che quello scontro si consumasse senza vittime.
Il tonfo provocato dal cozzare di una terza sagoma, che travolse i duellanti spingendoli con sé oltre la murata, congelò lo scomposto vociare dei pirati che si affacciarono sul fianco della nave da cui i tre erano svaniti.
La visibilità ridotta dalla foschia di umidità e pulviscolo lasciava trapelare soltanto il ripercuotersi ovattato di gridi e trambusti. L’attonito silenzio divenne timoroso brusio. Le menti superstiziose dei marinai germinarono orride creature per compensare la cecità della circostanza.
Bulma fu distolta dal ticchettare della bussola assemblata alle Carte che teneva tra le dita. La ripose nella bisaccia. Era stata una fortuna insperata risvegliarsi senza coda e la fortuna, aveva imparato, andava colta al volo perché mutevole e beffarda. Inoltre c’era una preziosa sfera che attendeva di essere scovata in quel dannato luogo. Accondiscese alla sua vena meno prudente e riflessiva, e, in uno scatto, raggiunse i filibustieri fermi in febbrile ascolto sul parapetto di tribordo. Sganciò un lanternino legandoselo alla fascia di cuoio ad armacollo, quindi si volse a Nappa sottraendogli la cima di mura che reggeva esitante: - Da’ qua! Omoni grandi e grossi come voi che se la fanno sotto – disse esasperata, dando volta alla fune e, agendo con un coraggio inopinato, si buttò nell’invisibile spazio sottostante.
Il molosso, umiliato e indispettito, emise un bramito imitandola e lanciandosi anche lui, seguito da altri emuli.
La loro caduta fu frenata da un terreno arido, duro e pietroso da cui promanava una nebbia più rarefatta. Tra le sue volute tre figure mascoline stavano azzuffandosi forsennatamente. Il meno imponente predominò di misura, colpendo con uno sfondante pugno la milza degli altri due, garrottandoli e costringendoli a strisciare la faccia al suolo: - Familiarizzate con la vostra dimora, perché qui resterete finché creperete di stenti – li denigrò barbaramente, schiacciandoli sotto le piante degli stivali come sculture di argilla.
Bulma boccheggiò, contrariata e sconcertata dalla riconferma di una palese e avvilente verità: lei, che poteva vantare di possedere un acume adamantino, era finita in mezzo a villanzoni, cani sciolti, irascibili teste di coccio, capitanati da un uomo privo di qualsiasi briciolo di condotta.
Lo ripudiava totalmente. Strizzò gli occhi, batté i piedi e digrignò la sua ripugnanza:
- Basta! Non ha senso ammazzarci tra di noi! Questo posto è già ostile di suo. Dobbiamo restare uniti se vogliamo sopravvivere.
Vegeta attenuò la pressione delle ginocchia sul collo di Radish e Yamcha, e si alzò inviandole uno sguardo flemmatico e losco che inevitabilmente le istillò il sospetto di una ritorsione. Mosse le gambe verso di lei, incuneandola alle sue iridi e con la rapidità di un falco, le ghermì l’avambraccio destro: - Uniti – sussurrò rilasciando la ruvida presa, azionando la chiusura di un bracciale metallico e mostrandole, all’altro capo della catena che da esso pendeva, la manetta racchiudente il suo stesso polso sinistro. Non avrebbe più potuto sfuggirgli: doveva accompagnarlo in quella perniciosa esplorazione tenuta al guinzaglio come un cane da tartufo!
Anche se la sua indole le suggeriva una vibrata opposizione a quella prepotenza, osservare lo stato pietoso in cui versavano i due che aveva malmenato la dissuase dal dare retta all’orgoglio. Estrasse la mezzaluna che racchiudeva Carte e bussola cerca-sfere e, consultato l’ago, ruotò il viso alla sua sinistra.
Vegeta annuì con occhi sottili ma la trascinò in direzione di Nappa, che li scrutava da lontano confuso: - Fa’ che la Bloody sia pronta a salpare per quando saremo tornati, oppure comincia ad abituarti all’idea di fare tutto quanto con un solo braccio – lo minacciò conficcando le dita nei buchi che gli aveva lasciato con quel tremendo morso.
Bulma picchiettò le rocce con la punta dello stivale, affinando le orecchie per captare l’eco di liquescenze sotterranee, chiedendosi su che criterio si basasse la sua tenace convinzione.
Anche il pelato strinse la mandibola fissandolo pesto ed inebetito: il vascello era impantanato nella tundra, non c’era modo di andarsene. Provò a dirglielo impappinandosi, venendo istantaneamente zittito: - Scorre acqua qui sotto. Spaccatevi la schiena e dragate! – gli ordinò imbestialito il Capitano, tornando poi a smuovere Radish con un calcione e incitandolo a recuperare la sua spada per scortarlo insieme ad un’altra decina di pirati che erano sbarcati.
Yamcha restò invece a guardarli andar via, venendo reclutato a prendere parte al faticoso lavoro di scavo.

Avanzare attraverso quella densa bruma iridescente era come dipanare i fili di una spessa ragnatela. La superficie che calpestavano era sconnessa, priva di forme di vita o di qualunque tipo di vegetazione e riecheggiava di scostanti tremori, mentre l’unica forma di luminescenza, al di là del riverbero fioco delle torce che ognuno recava, era rappresentata da fulminei lampi che scheggiavano l’etere cinereo di bianco e blu.
Bulma procedeva per inerzia, trainata come una barca in avaria dal suo carceriere che procedeva lento e cauto, pur rendendole difficile mantenere la sua andatura nervosa. Le mancava l’aria, centellinava la poca acqua dolce dalla borraccia ed era indisposta dall’imperterrito mutismo del suo socio. Andavano avanti da parecchi minuti e lui non le aveva volto la faccia che un paio di volte per domandarle se c’erano variazioni nell’ago.
Alzò gli occhi al baleno privo di luce facendosi vento con il cappello: - Secondo voi in questo momento è giorno o notte?
Vegeta diede uno scossone alla catena, pressandola a proseguire anziché sostare: - Qui albe e tramonti non si alternano. I raggi del sole giungono troppo deboli e trasversali per permetterlo.
La donna mormorò una monosillabica risposta, domandandosi perché mai le sue gambe continuavano a formicolare e pregando gli dei che quel postaccio, date le sue peculiarità, le evitasse la sgradita occasione di trasformarsi proprio davanti a lui.
D’un tratto uno dei bucanieri che marciava davanti a loro inciampò in una sporgenza ricadendo in un crepaccio e, prima che qualcuno potesse soccorrerlo, fu risputato fuori con un’alta fiammata che lo carbonizzò uccidendolo in brevi terribili istanti.
L’azzurra strillò terrorizzata e istintivamente saltò al collo del collega, staccandosi subito dopo per arrancare più lontano possibile, affannata dallo spavento.
Il sayan, ignorando stoicamente i suoi schiamazzi, si avvicinò al malcapitato e si chinò su di lui esaminando il suo cadavere.
- Ha fatto la fine di un cerino – appurò con triste sconcerto Bulma che, suo malgrado, era stata condotta sull’agghiacciante scenario del morto.
- Troppo cotto per i miei gusti – affermò dissacratorio il Capitano, spintonandolo di nuovo nel cratere – Cosa c’è scritto in quelle dannate carte? Leggete – impose brusco alla piratessa che scrutava il solitario paesaggio circostante con le labbra stropicciate dal disgusto.
La turchina sistemò la tavoletta sotto il lume a olio e decifrò le iscrizioni indicate dalla lancetta che aveva installato: - “La vostra brama non arda con gran danno, mille bocche voraci l’ingoieranno.” – tradusse dopo qualche secondo.
Vegeta stavolta, con sua sorpresa, si fidò e non volle controllare personalmente le righe, ma si limitò a rifletterci. Bulma invece si chinò ad analizzare il terreno: - Queste rocce contengono zolfo e magnesio. Perciò a contatto con la fiamma viva della torcia hanno sprigionato quell’incandescenza quando quel poveretto ci è caduto … Sarà opportuno non commettere lo stesso tragico errore – puntualizzò, strappandolo alle sue riflessioni e affievolendo la fiammella nella campana di vetro che portavano con sé. Gli altri pirati, ancora scossi dall’accaduto, seguirono il suo esempio.
Il moro la squadrò di sbieco, cocentemente indignato dall’essere stato toccato dalla sua sapienza e dal provare un’intima compiacenza nell’averla a fianco.
Il resto del tragitto non si rivelò meno impervio e sfavorevole. Il gruppetto fiancheggiò una corolla di geyser che movimentarono leggermente quella statica atmosfera mortuaria, in cui poco o nulla sembrava mutare da quando una violenta eruzione vulcanica aveva sepolto ogni rigoglio di vita, soffocandola nel fuoco e nella cenere.
Il paesaggio riarso e spoglio incastonato da macigni bruniti, appariva ora una landa completamente piatta e incolore che stringeva il respiro di inquietudine e malinconia. Lo snervamento e lo spossamento degli avventurieri divenivano sempre più persistenti: non si scorgeva nulla di rilevante.
Con uno sbuffo esausto Bulma si acconciò a terra a gambe intrecciate, frenando la catena che la vincolava a Vegeta che, incurante del suo rifiuto a proseguire, non si arrestò fintanto che non avvertì estinguersi il seppur lieve peso che stava spostando. Si voltò e, focalizzandola seduta tranquillamente poco dietro, restò interdetto: - Spiacente. Non tutti sono dotati di una forza sovrumana come voi. – parlò glissando il particolare che, mentre lui disdegnava di guardarla, fosse riuscita a scassinare la serratura, trafficando con una forcina. Il manipolo di briganti che li accompagnava si unì alla protesta della donna, accampandosi e riposando le membra.
Capitan Vegeta sguainò la spada e ruggendo si slanciò verso di lei.
Alla stregua di un lago di ghiaccio su cui si fosse abbattuta una picconata, nel suolo iniziò a propagarsi lo stridio di frastagliate incrinature che si ramificarono sotto i loro piedi. I predoni si scrutarono a vicenda, rimbalzando occhiate offuscate e sperdute, interrogando i due Capitani che si fissavano ammutoliti attraverso lo sfrigolio dell’aria che li separava.
La bussola cerca-sfere riattaccò a ticchettare veloce.
- Non. Muovete. Un ciglio – bisbigliò l’azzurra sollevando lentamente i palmi da terra - Siamo sulla lastra di un minerale fragilissimo ed estremamente sensibile a qualsiasi vibrazione. Ogni variazione di pressione potrebbe frantumarlo …
- Muscovite?! – domandò Vegeta alzando di un tono la voce.
Avvenne in una frazione di secondo: il pavimento litico fu innervato da spaccature più larghe e crollò di colpo, catapultandoli nell’oscurità più insondabile.
Un tanfo di stantio e putrefazione appestava la misteriosa cavità che li aveva risucchiati. Vegeta si affrettò a cercare la torcia e riaccenderla, irradiandone l’alone rossiccio attorno per studiare l’ambiente. Le pareti di quella che aveva creduto una caverna erano lisce, regolari, rette; si presentavano come muri portanti di un’abitazione abbandonata. Qua e là ciarpame e resti di mobilio sembravano confermarlo.
- E adesso come usciamo da qui? – farfugliò preoccupato Radish.
Il Capitano continuava ad inoltrare lo sguardo aguzzo in ogni angolo; mancava una rilevante componente della sua truppa: - Dove si è ficcata quella svampita?
Alla sua biascicata esclamazione corrispose dall’esterno un cinguettio squillante: - Mi chiamo Bulma! L’avete dimenticato? Eppure il mio non è un nome tanto comune … - decantò la piratessa, sbucando alla sua destra spolverandosi la giacca.
A Vegeta ribollì la saliva. Quel suo solito punzecchiante intercalare aveva l’effetto di una pervasiva istigazione. Tribolava per la fame, la sete e una tremenda voglia di uccidere. Avrebbe semplicemente potuto calare la sciabola e reciderle di netto la pulsante giugulare per appagare quei bisogni. Tuttavia, perdute le umane fattezze, si prospettava molto più difficile continuare quell’agognata caccia al tesoro. Quella situazione stava compromettendo il suo io nel profondo.
- Voi siete una gran … - l’imprecazione gli morì sulle labbra, annullata dal tocco leggero ma deciso delle sue dita che, leste e impulsive, vi si posarono: - Una grande esploratrice, ne convengo. Perciò seguitemi. – lo sventò, imboccando impettita una traversa, lasciandosi guidare dalla bussola.
Quella femmina era frizzante, inafferrabile, solleticante spuma di mare, si ritrovò a valutare il filibustiere, con urticante sconvenienza. Fu una questione di secondi perché le sue grida esagitate non rintronassero tutti. Corse nella loro direzione e la rinvenne, tremolante come un filo d’erba, col braccio proteso ad illuminare lo sgangherato ghigno di un teschio.
Le si accostò ridacchiando rocamente: - Dovreste temere i vivi. Quelli sì che possono farvi molto male – la ammonì sferzante, strisciandole davanti e girovagando fra le altre ossa ammucchiate in ogni dove. Gli antichi abitanti dovevano aver cercato inutilmente rifugio in quel grande edificio prima della catastrofe. La città era diventata una catacomba.
- Avete ragione. Mi dispiace. – tornò a parlare Bulma, inghiottendo con fatica il ribrezzo e proseguendo dietro di lui a capo chino.
Aveva pronunciato in un’unica volta due frasi che, una tale vanesia e cocciuta come lei, mai avrebbe creduto fosse capace anche solo di concepire. Vegeta allibì ma restò impassibile; non si sarebbe fatto circuire.
- È più forte di me, ma credo non possiate capirlo – riprese a mormorare la ragazza per allentare la tensione – Voi non avete paura di nulla, o no? – lo incalzò con un sorriso sbruffone.
In quell’istante le mura riecheggiarono di un crescente chiocciolio, simile allo sgorgare di innumerevoli rigagnoli. I pirati si radunarono al centro e in breve non ebbero più fiato.
Erano circondati da uno sciame di fluorescenze di un acceso color rubino.


B-V-cap-XIX

* La muscovite esiste davvero, ho preso ispirazione dal film "Viaggio al centro della terra".
   
 
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