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Autore: Olivia Spich    30/01/2013    1 recensioni
Elena è stata tradita. Il giorno della consegna dei diplomi sarà costretta a fare i conti con il suo passato, che incombe ancora nella sua vita. Ma sebbene si aspetti una giornata particolarmente movimentata, non sa ancora che in verità l'attende qualcosa di molto più grande di lei.
Dal secondo capitolo:
"Mi girai di scatto e la mia mano sinistra si lanciò in aria. Colpii la guancia di Matteo con un unico schiocco che rimbombò nella sala e mi dispiacque solo per il dolore che sentii io. E non parlo della mano."
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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IL SOLDATINO


I primi passi nel corridoio erano difficili. Sembrava mi fossi dimenticata come si cammina.
Avevo passato i miei giorni fino ad allora credendo di aver preso ogni decisione giusta per me. Giusta per quello che mi veniva raccontato. Per quello che avevo visto.
E di colpo mi ritrovavo a contare di nuovo le piastrelle del pavimento, con il mondo falso fino a quel momento vissuto, che mi crollava sulle spalle.

Uno, due, tre, quattro...

Matteo ha dovuto fare una scelta più grande di lui. Più grande di noi.
Chiedere ad una persona di scegliere tra la famiglia e la ragazza è da meschini.
Qualcuno finisce sempre per farsi male. Ma chi tra noi se ne era fatto di più? Non saprei dirlo nemmeno adesso.

Sette, otto, nove, dieci...

Io ero la vittima, Dario il carnefice e Matteo era il giudice. E proprio Matteo aveva il carico di tutta la faccenda sulle sue spalle. Su di sè portava la decisione che avrebbe cambiato le vite di tutti noi.
Ed invece di alleggerire il suo peso, io ero la zavorra.
In ogni caso non c'era molto da fare. Ci avevano già pensato loro ad animare la situazione.

Quindici, secidi, diciassette...

Erano solo parole quelle che pensavo. Dietro non c'era alcuna idea di come avrei dovuto reagire.
Non sapevo quale fosse la cosa giusta da fare. Non sapevo nemmeno se volevo fare la cosa giusta.
Decisi solo di continuare a contare le piastrelle del pavimento.
Quella era la mia nuova priorità, e per quanto mi sforzassi di credere che fosse originale, non lo era affatto.

Feci mentalmente una lista delle cose da fare che mi tenesse impegnata fino a quando non fossi arrivata a casa: lasciare quel posto, salutare quanta più gente possibile in 3 minuti contati dal cronometro, uscire dalla sala senza piangere.
Salire in macchina, accendere la radio, non uccidermi sbattendo contro un albero. Arrivare a casa.
Chiudere la porta a chiave.
Soffocarmi col cuscino.
Non era una grande piano, ma almeno spuntare mentalmente le voci della lista mi avrebbe gratificato.

Iniziai col cercare la via d'uscita di quel posto provando a ripercorrere mentalmente i corridoi che avevo fatto per arrivare fin lì. Riconobbi poi la sala del ricevimento, e vidi alcuni compagni di classi diverse. Li seguii e arrivai nella sala in cui si teneva il rinfresco.
Era un'atmosfera ancora più piatta di come l'avevo lasciata, ma non mi importava molto.
Salutai i miei compagni in fretta, scorsi Alessandro e gli feci un cenno con gli occhi. Lui mi guardò, e prima che mi girassi per uscire mi sorrise.
Mi tornarono a mente le sue parole rivolte a Dario. E mi sentivo una sciocca. Cosa doveva pensare di me? Mi ero lasciata plasmare da Dario, senza sapere quanta sofferenza ci fosse dietro. Mi era stata negata la verità così come io avevo negato a Matteo di farmela conoscere.
E la cosa che più di tutte faceva male era che in fondo sia Alessandro che Matteo mi volevano bene nonostante i guai passati.

Scossi la testa e guardai avanti a me.
Uscire era il mio obiettivo. Finchè Giulia non mi si piazzò davanti.
Feci un passo a sinistra e lei mi seguì. Mi spostai verso destra e lei mi imitò.
La rabbia salì alla testa. Non sapevo per quanto ancora sarei riuscita a controllarmi. Ma era sicuro che la soglia della mia pazienza era ogni oltre limite superata da un pezzo.

-"Che vuoi?" Dissi piano.

-"Già te ne vai? Mi sarebbe piaciuto parlare un po' di più!"

-"E a che scopo? Solo per umiliarmi? Speravo tu avessi più creatività, ma mi sono dimenticata che stiamo parlando di te." La voce iniziava ad aumentarmi di tono, ma era una cosa su cui non potevo nulla.

-"Se tu usassi la tua lingua non solo per sputare sentenze, credimi, avresti molto più successo!"

-"Come lo hai tu, immagino, vero? Non è una novità!"

L'atmosfera iniziava a scaldarsi.
Improvvisamente la nostra conversazione era diventata l'evento del giorno, molto più interessante della salsa sui crostini.
La gente si guardava intorno, come a chiedersi che cosa stesse succedendo.
Se lo avessi saputo, avrei risposto volentieri alle loro domande.

-"Si, io in effetti riscuoto molto successo, cosa vuoi che ti dica, sono richies...."

-"Senti, lasciami passare, eh?"

-"E perchè mai? Ora io e te ci divertiamo un po'."

Le sue parole mi gelarono il sangue. Era agghiacciante quello che diceva. E il modo in cui lo diceva.

-"Elena, perchè non ci racconti come va la storia tra te e Dario dopo che hai rotto con Matteo? So che vi trovate molto bene insieme, soprattutto in camera da letto!" disse Giulia ridendo e facendo qualche passo indietro, come fosse la spettatrice di ciò che stava avvendendo.

Bastarda infame.
Le uniche due parole universali per definire Giulia Moroselli.
Cosa sapeva lei dei fatti? Sapeva la verità e la stava usando distorcendola a suo favore? Oppure stava solo tirando ad indovinare?

Restai in silenzio, a subire la vergogna degli sguardi calati su di me.
C'era un gran mormorio.
"Scomparire" era il verbo adatto alla situazione.
Alzai il mio sguardo e vidi entrare Matteo.
Era l'ultimo che mi avrebbe fatto piacere vedere. O forse il penultimo. Forse avrei riservato il posto più infimo ad un amico che non potevo più definire così.
Furono attimi interminabili quelli che intercorsero tra il pensiero di voler andar via e il movimento del mio corpo che mi permise di farlo.
Sorrisi e feci la cosa che sapevo fare meglio. Scappare.
Uscii dalla sala e mi lasciai il passato letteralmente alle mie spalle.
Era ancora tutto da rivedere, ma questo era il nuovo piano per la mia sopravvivenza momentanea.

Mi accorsi solo dopo che nel mio piano non avevo incluso un ombrello. Pioveva ancora più forte della mattina stessa. Ma l'importante sarebbe stato arrivare alla macchina, i capelli bagnati erano un rischio che dovevo correre per andarmene da quel manicomio.
Il viale era infangato e gli schizzi di pioggia volavano via ad ogni macchina che passava dalla strada principale.
Correvo.
Correvo come non avevo mai fatto prima.
Il fango sotto ai miei tronchetti sembrava volermi risucchiare, ma io correvo.

-"Elena! Fermati!!!"

Fu un impulso improvviso.
I miei piedi si piantarono a terra, e il mio corpo si fermò, perdendo quasi l'equilibro.
Mi piantai lì, in quel fazzoletto di terra e fango, come se avessi dovuto rispettare quell'ordine.
Perchè questo dovevo fare. Obbedire agli ordini. Ero un soldatino.

  
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