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Autore: SunnyRoronoa    30/01/2013    2 recensioni
“Lo S.H.I.E.L.D è l’acronimo di Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division, l’agenzia più importante e segreta che il nostro paese conosca.
Combattiamo criminali di grande calibro e pericolosità, abbiamo i soldati migliori e collaboriamo con quelli che voi comunemente chiamate “ Supereroi”
E lei signorina, lei ha tutte le caratteristiche che deve avere un soldato dello S.H.I.E.L.D, è per questo che è qui.”
Si girò e mi guardò.
“E’ qui perché io l’ho scelta.”
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci al tredicesimo capitolo!
Noterete subito che è molto più lungo rispetto ai precedenti, ma è uno dei capitoli più importanti! :)
Spero vi piacerà almeno un po’!
Fatemi sapere!
Grazie, come sempre.
Alla prossima! 






13. Una vita salvata ed un sacrificio.






“Natasha…” Sussurrai il suo nome poco prima di scendere dall’auto.
Lei si girò, teneva in mano una cartina datagli da Dimitryi la mattina stessa.
Ci aveva mostrato come arrivare alla prigione e noi in cambio gli avevamo risparmiato la vita.
“Dimmi…”
“Come facciamo a sapere dove si trova Clint?”
Avevamo la pianta dell’edificio, l’entrata, l’unica a sentire il russo, era una specie di casetta in cemento armato posizionata al centro di un campo arido, che si abbassava fino a scomparire sotto terra.
Era sorvegliata da diversi uomini, che giravano intorno al perimetro regolarmente, scambiandosi di turno solo la mattina.
“Non lo sappiamo…”
“Come?” Esclamai venendo quasi subito fulminata dalla donna per il tono troppo alto di voce.
“Vuoi che ci becchino subito?” Ringhiò con cattiveria.
“Scusami…”
Lei tornò a fissare la cartina.
“Non sappiamo dov’è, dovremo cercarlo.”
“Ma…”
“La prigione non è enorme come puoi vedere” disse mostrandomi la carta” e sicuramente è vuota…”
Osservai il foglio che aveva in mano e notai che aveva ragione.
Non era molto grande, erano tutti corridoi collegati fra loro, tutti sviluppati su un unico piano.
Era anche vero che forse avremmo dovuto studiare di più il posto, ma ne io ne lei avevamo voglia di aspettare altro tempo per andare a recuperare Barton.
“Quindi io credo che l’unica cella sorvegliata sia quella di Clint.”
“Capito…”
Staccai gli occhi dalla mappa e mi guardai intorno.
Era buio pesto e l’unica luce che c’era era quella della torcia che Natasha aveva in mano.
La luna era coperta da una fitta coltre di nubi scure, e le stelle non sembrava si fossero spente.
Sentivo le mani congelarsi a causa del freddo che ci circondava, lo stesso freddo che attraversava la pesante tuta di pelle che avevo addosso.
I guanti che indossavo lasciavano scoperta solo la punta delle dita, che stavano assumendo la consistenza di piccoli ghiaccioli.
La mia fedelissima spada era incastrata nella sua fodera nera attaccata alla mia schiena, ed aspettava solo di essere usata.
Ero pronta per l’azione, cosi come lo era Natasha.
“Non c’è molto da dire…” Concluse la rossa chiudendo il foglio che aveva fra le mani e nascondendolo in una tasca.
“Entriamo e cerchiamo Clint, quando lo troviamo usciamo dall’edificio il prima possibile. “ Si girò verso l’entrata della prigione” Nascoste tra i cespugli li…“ Indicò delle erbacce vicino alla casa “ Ci sono due moto, chiunque lo troverà per prima dovrà scappare senza aspettare l’altra, ci siamo capiti?”
La guardai confusa.
“Significa che se rimarrò li dentro te non mi aiuterai?”
Scosse la testa.
“Dovrai cavartela da sola.”
Feci spallucce e la guardai.
“Va bene, come vuoi..” Non avevo paura, sapevo di potermela cavare.
“Bene…” Poggiò le mani sull’auricolare che aveva all’orecchio e lo accese. “Da adesso parleremo attraverso questo.”
Presi anche io l’auricolare e lo accesi, mettendolo sull’orecchio destro.
“Appena avremo superato l’entrata, te andrai verso i corridoi di sinistra, io verso quelli di destra. Non farti scrupoli con nessuno, uccidi chiunque ti trovi davanti perché loro faranno lo stesso con te se non sarai più furba e veloce.”
Posò il suo sguardo su di me.
“Tutto chiaro?”
Mi limitai ad annuire con decisione, facendole capire che ero pronta per iniziare il salvataggio.
Aspettai che controllasse tutto il suo equipaggiamento e poi insieme, iniziammo a correre verso l’entrata della prigione.
Proprio davanti alla porta c’erano due uomini, e altri due erano appostati nei paraggi.
Evitammo quest’ultimi senza problemi, nascondendoci nell’ombra come due animali notturni, fino a che non arrivammo ad una ventina di metri dall’obbiettivo.
Ci sdraiammo a terra per osservare la situazione e sembrava davvero tutto tranquillo, forse troppo.
Improvvisamente, dalla porta uscirono altri due uomini, scambiarono qualche parola con quelli appostati davanti all’entrata e si incamminarono verso un’auto, parcheggiata di fianco alla casa.
Guardai con la coda dell’occhio Natasha per chiederle cosa avremmo dovuto fare e prima che potessi avvertirla, lei si alzò e sparò un colpo di pistola all'uomo che stava per aggredirla.
Si, ci avevano beccate.
Non appena il proiettile partì, tutti si girarono verso di noi e ci puntarono contro le  torce che avevano in mano.
“Merda.” Disse la rossa poco prima di iniziare a correre verso l’entrata.
La guardai senza muovermi per qualche secondo, e solo dopo che la vidi cadere a terra, coperta da un uomo che l’aveva praticamente placcata, mi alzai e iniziai a correre anche io per andare ad aiutarla.
Inutile dire che i colpi di pistola iniziarono a volare nell’aria non appena i nemici videro anche me.
Tirai fuori la spada e quando fui abbastanza vicino, feci per saltare e conficcarla nella schiena dell’uomo che sovrastava la mia compagna, quando la sua voce mi fermò.
“NON FARE L’IDIOTA, CORRI DENTRO E CERCALO! CI PENSO IO QUI!” Disse urlando mentre elettrificava l’uomo con una scarica elettrica, sicuramente creata dai suoi guanti.
La guardai e lei mi lanciò un’occhiata d’intesa, poco prima di spostare il corpo inerme del nemico che aveva appena paralizzato. Sorrisi, per farle capire che avevo colto il messaggio ed inizia a correre verso la porta, evitando i proiettili che mi venivano sparati contro.
Natasha colpì con un coltello l’uomo che si trovava davanti alla porta, cosi da darmi l’opportunità di entrare senza dover sfoderare la mia arma.
Questo cadde a terra senza vita e cosi entrai senza problemi.
Varcai la soglia e la chiusi dietro di me.
Sentivo il rumore degli spari provenire dall’esterno, e le urla degli uomini che venivano uccisi.
Scesi le scale e feci giusto in tempo a nascondermi sotto di esse che altri quattro uomini le salirono ed uscirono da dove io ero appena entrata, sicuramente diretti contro la povera Natasha.
Nonostante i nemici fossero in numero maggiore, sapevo che quella donna poteva farcela senza problemi anche senza il mio aiuto.
Così, convinta di questo, presi il corridoio sinistro come avevamo deciso con la Romanoff ed iniziai a camminare lungo di esso.
Girai un angolo e vidi due uomini venire verso di me.
Sicuramente avevano sentito il trambusto proveniente da fuori e stavano raggiungendo i loro compagni per aiutarli.
Non appena si resero conto che avevano di fronte una nemica, tirarono fuori le armi: due AK47, meglio noti come fucili automatici Kalašnikov.
“Russi..” Sibilai poco prima che iniziassero a sparare.
Mi abbassai, evitando i colpi e lanciai una granata fumogena verso di loro.
Questa scoppiò ed emanò una fitta nebbia di gas che gli impedì di sparare di nuovo.
Chiusi gli occhi e trattenni il fiato.
Tirai fuori la spada dal fodero e rimasi in ascolto per una manciata di secondi.
Individuai cosi il respiro affannato degli uomini che cercavano di localizzarmi in mezzo a quella cortina di fumo.
Con un balzo saltai addosso ad uno di loro e gli conficcai la spada nel petto, sfilandola subito e squarciando l’altro con un singolo colpo, obliquo al resto del corpo.
Questi caddero a terra insieme, senza vita.
Non appena sentì il rumore dei loro corpi toccare il pavimento, ripresi a correre uscendo fuori dal gas che avevo creato.
Girai l’altro angolo e questa volta non trovai nessuno.
Iniziai a pensare che forse Clint si trovasse nell’altro lato della prigione.
-Cazzo, significa che devo fare il giro se Natasha non ha ancora finito li fuori…-
Imprecai e continuai a correre a perdifiato, senza fermarmi un secondo.
Osservavo ogni singola cella che superavo ma tutte erano sempre completamente vuote.
Quando ormai ero quasi arrivata alla fine dell’ala sinistra, vidi qualcosa che attirò la mia attenzione.
Proprio accanto ad una cella vi era una porta in ferro, semi aperta.
La osservai, non sapevo per qualche assurdo motivo ma la mia testa mi diceva che dovevo controllare il suo contenuto.
Con la spada ancora in mano, posai il palmo sulla porta e la aprì lentamente.
Davanti a me comparvero delle scale.
Senza pensarci due volte iniziai a scenderle lentamente.
“James sei tu?” Sentì una voce provenire da sotto di me. “James non spaventarmi, sennò giuro che ti sparo.”
Guardia, era una guardia.
Nel mio cuore di accese una speranza, forse avevo trovato la stanza che cercavo.
Strinsi la mano sull’elsa della katana e scesi un altro paio di scalini.
“James giuro che mi incazzo! Ti lascio controllare questo farabutto da solo la prossima volta!”
Bingo.
Sorrisi felice, lo avevo trovato.
Presa da un’insolita frenesia, corsi giù per gli ultimi scalini e uccisi senza problemi anche l’ultimo uomo che mi divideva da Clint.
Arrivai cosi ad una porta, proprio come quella che avevo varcato poco prima.
Era chiusa stavolta, e dovetti prendere le chiavi dal corpo della mia ultima vittima per aprirla.
Feci scattare la serratura e non appena questa si aprì, spalancai la porta, trovando davanti a me solo oscurità.
La luce che avevo alle mie spalle illuminava solamente qualche paio di metri della stanza.
“Clint…” Sussurrai il suo nome come fosse una rischiesta d’aiuto, come se dovessi essere io quella in pericolo, quell ache doveva essere salvata.
Spostai gli occhi sul lato destro del muro e accesi l’interruttore che trovai.
Unaluce accecante mi pervase e dovetti abituarmi a quella luminosità.
Quando posai gli occhi su quello che avevo davanti, il mio cuore perse un colpo e parve fermarsi per qualche secondo.
“Oddio…”
Per un attimo pensai davvero che fosse morto.
Aveva la testa abbandonata quasi a se stessa, tenuta bassa e immobile, ed era legato al muro con due catene che gli stringevano i polsi.
La camicia che aveva addosso era squarciata e ricoperta di sangue, e il busto era completamente pieno di lividi.
Mi avvicinai subito a lui, abbassandomi e osservandolo, con il cuore stretto in una morsa.
“Cosa ti hanno fatto…”
Sussurrai mentre prendevo il suo viso e lo alzavo verso il mio.
Feci una panoramica del volto, aveva un occhio nero e qualche taglio, ma nonostante quello, rimaneva comunque bello come la prima volta che lo vidi.
“Clint…Rispondimi…”
Quando i suoi occhi furono colpiti dalla luce che illuminava la stanza, iniziarono a tremare e lentamente si aprirono.
“Clint..” Sussurrai nuovamente il suo nome, per fargli capire che ero li per portarlo via.
Che ormai era fuori pericolo.
Lui non appena posò gli occhi leggermente aperti sui miei, prese quasi paura.
Mentre io quando rividi i suoi, sorrisi involontariamente perché mi ero quasi dimenticata quanto il loro colore fosse particolarmente bello.
“No…” Disse con un rantolo di voce.“Non dovresti essere qui tu…” Continuò.
“Cosa dici? Sono venuta a prenderti!” Lo guardai e lui abbassò la testa nuovamente.
“Vattene, ti prego…”
“Sei impazzito?”
Cosa diavolo stava dicendo?
Non voleva essere salvato?
“Vai via prima che arrivi…” La sua era una supplica.
Preferiva morire piuttosto che essere salvato da me?
Mi alzai in piedi e tolsi le catene che aveva legate ai polsi con le chiavi che avevo rubato poco prima.
Quando il suo corpo non venne più sorretto da nulla, fece per cadere in avanti e io prontamente lo fermai, riaccucciandomi verso di lui e passandogli un braccio intorno alla vita.
“Non so cosa tu stia dicendo, non so se tu sia impazzito, ma non ho fatto tutta questa strada per lasciarti qui a morire.” Sussurrai con tono deciso vicino al suo orecchio.
Non gli diedi neanche il tempo di rispondere o di ribellarsi che mi alzai, sollevando da terra anche lui.
Era davvero pesante, nonostante sicuramente non mangiasse da giorni.
“Ora ti porto fuori di qui…”
Presi il suo braccio e me lo passai intorno al collo, per poi reggere la sua mano con la mia.
Riempì i polmoni d’aria ed iniziai a camminare verso l’uscita della stanza.
Lo portai fino a sopra le scale e quando fummo in cima dovetti riprendere fiato qualche secondo.
Mi guardai intorno e fortunatamente non vi era ombra di nessun nemico, forse Natasha li aveva uccisi tutti.
Pigiai il pulsante dell’auricolare.
“Natasha!” Esclamai.
Aspettai qualche secondo la sua risposta e non ricevendo nulla, ripetei il suo nome.
“Eccomi scusa, un bastardo mi stava dando problemi.”
“L’ho trovato Natasha…”
Silenzio.
“Come sta?”
“Va a prendere la macchina, dubito che riusciremmo a portarlo in moto, non riesce nemmeno a reggersi in piedi.”
Iniziai a camminare verso l’uscita della prigione mentre tenevo Clint stretto a me.
“Mi hai capito?” Dissi non ricevendo alcuna risposta dalla rossa.
“Si…Qui fuori il campo è libero, vengo a prendervi!”
Chiuse la chiamata e io guardai un momento Clint.
“C’è anche Natasha..?” Mi chiese lui non appena si accorse del mio sguardo.
Io annui leggermente.
“Si, siamo io e lei..”
Lui abbassò la testa di nuovo.
“Perché siete venute? Non avevo bisogno di nessu…”
“Stai zitto.” Lo interruppi, usando un tono freddo ed arrabbiato.
Lui mi guardò.
“Se sento di nuovo uscire dalla tua bocca quelle parole giuro che ti ammazzo.”
Sentì una leggera risata provenire dalla sua bocca e questo mi fece sentire meglio.
“Non sto scherzando.” Girammo un angolo e finalmente ci trovammo davanti all’uscita.
“Quando starai meglio ti riempirò di botte.”
Affermai iniziando a salire le scale.
Lui rimase in silenzio e provò a camminare per aiutarmi a trascinarlo, ma ogni volta che faceva un passo, ogni volta che provava a salire uno scalino, sentivo i muscoli del suo corpo irrigidirsi.
Doveva soffrire molto, se non troppo.
Con molta fatica arrivammo alla porta, che spalancai con un calcio.
Davanti a noi trovammo Natasha, che non appena ci vide si fiondò verso Clint e mi aiutò a sorreggerlo.
Si guardarono e si scambiarono un sorriso complice, senza pronunciare parola.
Per un attimo la gelosia parve impossessarsi di me, ma poi allontanai quei pensieri.
La salute di Clint era più importante di qualsiasi altra cosa.
Lo portammo fino alla macchina, che era parcheggiata a qualche metro dall’entrata e lo facemmo sdraiare sui sedili posteriori.
Salimmo anche noi, questa volta mi sedetti io dalla parte del guidatore e non appena tutti gli sportelli furono chiusi, accesi il motore e partii diretta verso la strada.
“Dove devo andare?” Chiesi alla Romanoff che nel mentre stava guardando Clint.
“Andiamo al suo albergo, dobbiamo riportarlo li cosi Fury penserà che sia tornato da solo, senza l’aiuto di nessuno.”
“Non dovremmo andare in un ospedale?”
Lei scosse la testa e mi guardò.
“Ho tutto quello che occorre per curarlo, te non ti preoccupare.”
La guardai con la coda dell’occhio e continuai a guidare, rimanendo in silenzio.
Clint non aprì bocca per tutto il tragitto e Natasha fece lo stesso.
Nessuna di noi aveva il coraggio di chiedere cosa fosse successo, o per lo meno, nessuna delle due voleva far parlare l’uomo che era sdraiato sui sedili posteriori.
Sapevamo entrambe che doveva riposare e riprendersi, prima di poter raccontare cosa gli era accaduto durante quell’ultimo mese.
Una volta arrivati davanti all’hotel, parcheggiai e scesi dall’auto.
Natasha fece scendere Clint e io posai sulle spalle dell’uomo una giacca lunga, presa apposta per coprire le sue ferite.
La Romanoff, prima di chiudere la portiera, prese in mano una valigetta, nascosta sotto il sedile.
La guardai curiosa, ma evitai di fare domande.
Passai un braccio lungo la vita dell’arciere e come prima, lo trascinammo insieme dentro l’albergo.
Quando varcammo la hall, la donna che stava dietro al bancone ci guardò.
“Signor Red, è tornato finalmente!”Sorrise, ma smise non appena non ricevette alcuna risposta dal povero Barton.
“Ha bevuto troppo” Disse Natasha guardando la donna e accennando un sorriso cordiale.
Questa posò gli occhi su di noi, notò le divise e le armi che avevamo addosso e parve pietrificarsi.
“Festa in maschera” Risposi prontamente prima che lei potesse fare qualche domanda.
Accennai un sorriso come aveva fatto la mia compagna e lei ci guardò preoccupata.
“Può darci le chiavi della sua stanza?” indicai con un cenno della testa Clint.
La donna annuì e senza parlare ci diede la tessera per aprire la stanza.
“Se Avete bisogno chiamate..” Disse con tono titubante mentre ci allontanavamo da lei e ci  avvicinavamo all’ascensore.
Aspettammo che questo scendesse e salimmo fino al quarantesimo piano, dove c’era la camera dell’arciere.
Quando varcammo la soglia della stanza, Natasha lasciò Clint e appoggiò la valigetta che aveva in mano, sul tavolo.
“Portalo a letto, muoviti!” Mi ordinò senza darmi spiegazioni.
Io eseguì il suo comando e portai Clint in camera da letto.
Lo feci sedere e poi sdraiare sul materasso.
Accesi la lampada del comodino e lo osservai.
-Forse non era stato contento di vedere me, arrivare a salvarlo, forse avrebbe preferito vedere Natasha.- Pensai involontariamente mentre passavo gli occhi sul suo viso teso.
Non riuscivo a capire per quale strano ed assurdo motivo mi avesse detto di andarmene, non appena mi aveva vista, e quella era forse l’unica risposta che sapevo darmi.
Sospirai e mi girai verso la porta che si affacciava sul salone quando vidi la rossa venire verso di noi con una siringa in mano.
Si avvicinò al bordo del letto e io la guardai, non capendo quale fosse il suo intento.
“Farà un po’ male Clint, lo sai…” Sussurrò sedendosi sul materasso.
Prese la siringa e la conficcò sul collo dell’uomo che inarcò solo un secondo le sopracciglia, per poi tornare come prima.
“Cosa gli hai fatto?” Chiesi.
“Gli ho iniettato una medicina che curerà i lividi e le fratture dall’interno.”
“Cosa?”
“Non esiste questa roba in commercio, l’hanno scoperta nel nostro laboratorio…Insieme al Dottor Banner, conosci?”
Scossi la testa.
“No, ma se funziona allora mi fido..”
“Funziona..” Disse lei “ Ma soffrirà parecchio…”
Posai gli occhi su Clint.
“Non credo soffrirà come ha sofferto in quest’ultimo mese…”
Esclamai con tono amareggiato.
“Già…”
Aggiunse la rossa mentre buttava la siringa nel cestino.
“Faremo due turni, lo controllerò un po’ io e te potrai risposare, poi quando avrò bisogno di chiudere gli occhi, prenderai il mio posto…” Disse infine sedendosi accanto all’uomo, che pareva addormentato.
Io annui poco convinta.
“Va bene…Vado sul divano allora…” Lanciai un ultimo sguardo a Clint e uscì dalla camera, andandomi a sdraiare sul divano.
Non volevo ammetterlo, ma ero dannatamente gelosa di quella donna, e la gelosia pareva essere forte quasi quanto la preoccupazione che avevo per lui.
Tolsi la spada da dietro la mia schiena e la poggia a terra.
Sospirai e provai ad annullare qualsiasi pensiero avessi in testa, dovevo riposare almeno qualche ora per poter essere sveglia dopo.
Chiusi gli occhi e mi addormentai seppur con difficoltà.



“Uccidimi, no?”
“Non posso…”
“E allora vieni con me!”
“NON POSSO TI HO DETTO!” Lacrime.
Lacrime fuoriuscivano dai miei occhi.
“Se non verrai con me sai benissimo che morirai!”
“Non verrò con te, non tradirò mai il mio popolo per unirmi a questa pazzia!” Ringhiai.
“Sei pazza.”
“VATTENE!” Buttai la spada a terra e mi accucciai in mezzo ai miei compagni morti.
“VATTENE
GAMBLE!” Ringhiai di nuovo, mentre piangevo come una bambina.
“NON VOGLIO PIU VEDERTI!”






Mi svegliai di soprassalto, completamente sudata.
Natasha mi guardò confusa.
“Ti senti bene?” Chiese non appena posai gli occhi sui suoi.
Io annui leggermente.
“Si tranquilla, era solo un incubo…”
Mi tirai su e la guardai.
“ Che ore sono?”
“Le cinque di notte, ho bisogno di riposare…”
Mi alzai e le lasciai il posto.
“Sta sudando molto, però la medicina sta già facendo effetto, quindi tienilo sotto controllo.”
“Ok…” Dissi andando verso la camera.
Entrai e mi sedetti sul bordo nel letto, dove poco prima doveva essersi seduta la mia compagna.
Lo guardai e notai che aveva il viso completamente bagnato ed era teso, dormiva sicuramente, ma stava soffrendo.
Strappai un pezzo di stoffa dal lenzuolo e iniziai a tamponare il sudore che gli gocciolava dalla fronte, lungo il collo.
“ Sei uno stupido Barton…” Sussurrai. “Guarda come ti sei ridotto…”
Passai il panno sul viso e mi alzai per andare a bagnarlo un po’.
Tornai dopo una manciata di secondi e non appena la stoffa fresca toccò la sua fronte, Clint parve rilassare i muscoli del volto.
“Come ti è saltato in quella testaccia di fare una cosa simile. Per di più sei partito e mi hai abbandonata. Eri il mio istruttore, mi dovevi almeno delle spiegazioni, o almeno potevi avvertirmi della tua partenza.”
Stavo rimproverando un uomo che non poteva nemmeno sentirmi.
Sorrisi amareggiata.
“Nonostante tutto sono contenta che tu sia ancora vivo...Non sai cosa ho combinato per venirti a riprendere…Mi devi un favore stupido pollo…”
Sorrisi di nuovo e rimasi li accanto a lui finche il sole non sorse sulla città.
Ogni tanto si lamentava nel sonno, faceva qualche verso e dei leggeri gemiti di dolore, ma tutto passava dopo qualche minuto.
Quando ormai era mattina inoltrata, Natasha si alzò e venne subito da me.
“Come sta?” Chiese subito.
“Si è lamentato un po’, ma per il resto credo meglio…”
Lei sorrise, era felice.
“Ascolta, devo passare al nostro albergo per prendere delle cose, non ci metterò più di 20 minuti. Se si sveglia, cosa molto improbabile, fallo rimanere sdraiato…Ok?”
“Ok…” Risposi senza aggiungere altro.
“Vado e torno…”
Lanciò un’ultima occhiata a Clint ed uscì dalla stanza, lasciandoci soli.
“ Le piaci molto sai..?” Sussurrai mentre ero intenta a sistemare i suoi capelli.
Naturalmente non ricevetti risposta da lui, infatti continuò a dormire come se nulla fosse.
Mi alzai e mi affacciai un attimo alla finestra che si trovava di fianco al letto, giusto per distrarmi un po’ da tutta quella confusione che avevo intorno.
Osservai il panorama della capitale tedesca, la strada era piena di macchine che sfrecciavano veloci sull’asfalto, mentre i marciapiedi pullulavano di persone indaffarate e frenetiche.
Li osservai e mi chiesi come potevano fare quello ogni giorno, senza provare noia per la propria vita.
Una vita semplice, normale.
Non era il mio ideale di vita perfetta.
Da anni ormai avevo dimenticato cosa significasse essere normali.
Un soldato non può permettersi la normalità, un soldato vive fuori dagli schemi.
Sospirai, troppi pensieri affollavano la mia mente.
Mi rigirai e andai nel salone per prendere una bottiglia d’acqua dal mini Bar, quando improvvisamente venni scaraventata contro il muro da un’enorme esplosione.
Sbattei la testa violentemente e caddi a terra stordita.
Le orecchie fischiavano come se avessi un uccello nella testa, seduto li a canticchiare la sua canzone preferita.
Quando riuscì ad aprire gli occhi, mi ritrovai legata in mezzo alle macerie della stanza.
Sentivo una voce lontana chiamarmi, ma non riuscivo a localizzarla.
Ero troppo confusa per farlo.
D’un tratto qualcuno mi tirò su, sollevandomi grazie alla corda che avevo intorno alle braccia.
Lentamente posai gli occhi sull’uomo che mi stava portando via e quando lo vidi, il mio corpo si riempì totalmente di paura, una paura cieca e incancellabile.
Senza nemmeno rendermene conto, iniziai ad urlare il nome di Clint fra le lacrime, e spostai gli occhi cercando di localizzarlo.
Sperando che fosse ancora vivo.
Lo vidi appoggiato allo stipite della porta, aveva in mano una pistola e stava sparando verso la mia direzione, provando a colpire l’uomo che mi stava portando via.
Il mio incubo.
Zoppicò avvicinandosi a noi, ma non fu abbastanza veloce perché Gamble mi gettò dentro l’elicottero, posizionato proprio di fronte all’enorme buco che aveva creato con l’esplosione, seguendomi subito dopo.
L’ultima cosa che riuscii a vedere fu Clint che zoppicava verso l’elicottero, urlando il mio nome.
Poi, venni colpita alla testa e da li i miei sensi si spensero definitivamente.
  
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