Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Padmini    31/01/2013    7 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Voglio cominciare questo capitolo con un po' di pubblicità.

Con altre persone ho creato la pagina di un Gioco di Ruolo su facebook.

Si chiama Sherlock BBC GDR page (https://www.facebook.com/pages/Sherlock-BBC-GDR-page/119978311502355?fref=ts).

Quasi tutti i personaggi principali sono occupati, ma ce ne sono tantissimi liberi che aspettano solo un attore! Se avete voglia fate un giretto e guardate gli album dei personaggi del canone e della BBC e di quelli inventati. Spero vogliate raggiungerci!

Se volete partecipare con un personaggio fatemelo sapere. Potete leggere la storia nell'album dell'archivio delle role.

 

 

 

Sherlock Scott Holmes

 

 

 

 

 

 

Bene, dopo i consigli per gli acquisti (no, scherzo, è gratis!), torniamo alla storia.

John si è sfogato e ora può ascoltare con calma la storia di Sherlock … se ne avrà il tempo! Ho cambiato il rating proprio per questo … heheheh Buona lettura!

 


 

 
La casa vuota 





 

John restò per qualche istante senza fiato, incredulo.

L'aveva detto.

No, non l'aveva detto. Non aveva detto 'ti amo'. Se l'avesse fatto avrebbe capito che quello di fronte a lui non era Sherlock Holmes. Non gli aveva confessato apertamente il suo amore ma gliel'aveva fatto capire. Sorrise e scosse la testa, cercando di non piangere per la felicità. Erano altre le domande a cui voleva rispondesse.

Prese il disinfettante, il cotone, alcuni cerotti e delle bende.

“Spogliati” gli ordinò “Devo medicarti”

Lui arrossì lievemente, colorando di rosa le pallide guance e distolse lo sguardo.

“Avanti!” lo incoraggiò nuovamente il dottore “Non fare i capricci. Ti ho già visto quasi nudo a Bukingham Palace, ricordi?”

“Non è nulla” si affrettò a dire Sherlock scuotendo la testa “Davvero”

“Questo lo deciderò io”

Prese l'alcool e lo versò su un batuffolo di cotone, poi cominciò a tamponare lievemente le ferite sul viso. Fu come fare un viaggio indietro nel tempo. Non era cambiato assolutamente nulla.

 

Gli tornò alla mente quel pomeriggio di tanti anni prima. Aveva portato Sherlock al parco con la bicicletta nuova, regalo del suo ottavo compleanno. Faceva freddo ma lui aveva insistito per uscire lo stesso. Voleva provarla a tutti i costi e John, da bravo babysitter, non aveva potuto dirgli di no. Gliel'aveva detto tante volte. 'Vai piano, Sherlock, o rischi di cadere!' Non c'era stato verso. Le gambine magre di Sherlock pigiavano scatenate su quei pedali, lungo i viali del parco. Per loro fortuna non c'erano tante persone in giro o avrebbe rischiato di investire qualcuno.

Quando John vide Sherlock correre verso una larga lastra di ghiaccio non fece in tempo ad urlare. Riuscì solamente ad aprire la bocca ma ormai era troppo tardi. Lo scivolone fu interminabile. Sherlock finì a terra e faccia in giù. Per qualche istante sembrò che non si fosse fatto niente, poi John lo vide tremare e nel giro di pochi secondi l'aria fu squarciata dalle grida di dolore del piccolo. Non si era mosso dalla posizione nella quale era caduto ma piangeva disperato.

John gli era andato subito incontro e lo aveva preso in braccio e con l'altro aveva recuperato la bicicletta. Lo aveva portato a casa, e disinfettato con cura. Le ginocchia erano piene di graffi anche se portava i pantaloni lunghi e le mani erano rosse e piene di sangue, così come la punta del naso.

Sherlock piangeva in silenzio mentre John lo curava.

 

Non aveva bevuto alcool, eppure gli sembrava di essere ubriaco. Mentre toccava con il batuffolo di cotone la pelle dell'amico, rivedeva il faccino di quel monello al quale voleva così bene. Si passò le mani sugli occhi, incredulo. Di fronte a lui non c'era il detective freddo e insensibile con il quale aveva condiviso l'appartamento per tanti anni. Guardandolo negli occhi vedeva proprio il piccolo Sherlock, spaventato e solo.

Si chiese quante ne avesse dovute passare in quei tre anni, nascondendosi e vivendo in costante pericolo. Si pentì di avergli dato tutte quelle botte, ma in fin dei conti entrambi sapevano che se le meritava.

“Ora togliti la camicia” gli ordinò “Devo controllare il petto. Ti ho dato un bel destro prima e non vorrei aver incrinato una costola”

Sherlock sbuffò.

“È proprio necessario?”

“Continuiamo con i capricci?” gli chiese John, con lo stesso tono di voce che avrebbe usato per un bambino.

“Non vorrei essere scortese, John, ma non è il momento. Abbiamo i minuti contati”

Si alzò e andò alla finestra, scostando appena le tende.

“Stanotte mi aspetta una missione particolarmente difficile ...” disse rivolgendo nuovamente lo sguardo a John “Vorresti unirti a me?”

John restò qualche istante senza parole, poi sorrise.

“Verrò con te ovunque e molto volentieri” disse alzandosi e raggiungendolo alla finestra “Quando partiamo?”

“Non ora. Dobbiamo aspettare ancora qualche ora, poi entreremo in azione. Non preoccuparti, ti spiegherò tutto a tempo debito. Ora è meglio che ti riposi. Sembri stanco”

“Non sono stanco” rispose John massaggiandosi il viso “Voglio sentire tutto. Spiegami come ti sei salvato, come hai simulato la tua morte”

“Sei sicuro di volerlo sentire adesso? Non preferisci rimandare a quando tutto sarà finito?”

“Sherlock” lo richiamò John guardandolo severamente “Mi hai tenuto nascosto il nostro passato e la tua finta morte. Devi ammettere che mi merito qualche spiegazione, non credi?”

Sherlock annuì e indicò le due poltrone perché si accomodasse e anche lui prese posto. Chiuse gli occhi qualche minuto, per riordinare le idee, poi cominciò a raccontare.

I dettagli di quella storia erano orribili e spaventosi, eppure a John sembrava di sentire il piccolo Sherlock che gli raccontava della sua giornata a scuola. Lo stesso entusiasmo impregnava la sua voce, la stessa voglia di condividere, l'identica gioia. Lo ascoltò con la bocca spalancata per lo stupore perché ad ogni parola Sherlock confermava la sua genialità.

 

 

 

Quando la pendola del soggiorno suonò le undici e mezza, Sherlock interruppe il racconto e balzò in piedi.

“Presto, dobbiamo andare”

Si vestì velocemente, tralasciando il travestimento, e trascinò John in strada.

Tenendolo per mano, corse lungo i vicoli di Londra che conosceva così bene. Con un tuffo al cuore, John ricordò l'angoscia di quella sera, in cui entrambi erano scappati dalla polizia. Aveva visto per la prima volta Sherlock come una preda in fuga dai cacciatori. Era spaventato, confuso e aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, anche se poi aveva dichiarato di non aver bisogno di amici.

Quella sera, però, era diverso. Guardò gli occhi dell'amico. Brillavano come stelle.

Non era la preda, ma il cacciatore. Un predatore sicuro di sé e della pista che stava seguendo.

“Sherlock, mi vuoi spiegare dove stiamo andando?”

Naturalmente il detective non rispose. Si fermò all'improvviso, in un vicolo stretto e buio. Si avvicinò ad un portone e lasciò la mano di John solo per prendere il suo set da scassinatore. Scelse il grimaldello giusto e cominciò a trafficare con la serratura, che cedette quasi subito.

Entrarono silenziosamente. Se non fosse stato per l'incredibile capacità di Sherlock di vederci anche nella semi oscurità, John sarebbe andato a sbattere contro qualcosa, ma l'amico lo teneva saldamente per un braccio, guidandolo tra scale e stanze vuote.

Infine arrivarono ad una stanza polverosa, illuminata da un paio di finestre impolverate. Sherlock si avvicinò con prudenza e intimò a John il silenzio posandogli un lungo dito sottile sulle labbra, con il quale poi indicò la finestra.

John si sporse per vedere senza essere visto e riconobbe la via sulla quale la casa si affacciava.

“Ma questa ...” inizio, stupito.

“Sì, è Baker Street” rispose Sherlock con un sorriso eccitato “ ...e quello che vedi di fronte a noi è l'appartamento nel quale abbiamo convissuto per tanti anni. Questo è l'appartamento che Moriarty usò per piazzare la bomba e successivamente per spiarci. Oggi, però, andrà diversamente”

“Com'è possibile? Perché … Sherlock!” sussurrò in preda al panico “C'è qualcuno in casa nostra! Lì alla finestra ...”

Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco l'immagine, poi li sgranò nuovamente, sempre più stupito.

“Sei tu ...” disse, indicando la figura che si stagliava nello schermo della finestra e alternando lo sguardo tra lui e l'appartamento al 221B.

“È ovvio che non sono io, John” gli rispose bonariamente Sherlock “Si tratta di un manichino, che la fedele signora Hudson sposta ad intervalli irregolari, perché sia più vero”

“Perché tutta questa farsa?” domandò lui leggermente irritato “Vuoi deciderti a spiegarmi?”

Sherlock sorrise, compiaciuto e rimase in silenzio.

“Allora?” lo incalzò il dottore.

“Dobbiamo far credere ad una persona che io sia in casa mentre in realtà sono da tutt'altra parte”

“Di chi stai parlando?”

Sherlock si rabbuiò.

“Dell'unica persona ancora in vita che voglia vendicare Moriarty. Sto parlando del suo più fidato collaboratore, Sebastian Moran”

“Moran?” domandò John “Perché dovresti scappare da lui?”

“Non sto scappando, John. Non sono io la preda, in questo momento, anche se è mio desiderio che lui lo pensi. Mi tiene d'occhio da quando sono tornato a Londra, perciò ho organizzato questa trappola per lui, con la collaborazione dell'Ispettore Lestrade” aggiunse, indicando un uomo seminascosto nell'ombra, poco lontano dalla loro porta.

John sorrise e, voltandosi verso Sherlock, vide gli occhi dell'amico illuminati da quell'eccitazione che ben conosceva. La caccia era aperta.

 

 

 

Aspettarono a lungo, come al solito quando Sherlock preparava un appostamento. Non si posizionava mai troppo presto, ma era inevitabile dover passare diverse ore nel silenzio più assoluto in attesa dell'obiettivo.

John stava quasi per addormentarsi, quando sentì le dita affusolate dell'amico stringersi sul suo braccio.

“Non addormentarti proprio ora, Jawn” gli sussurrò “La nostra preda sta per arrivare”

Sherlock si alzò e scostò leggermente le tende per avvisare Lestrade. Ora anche John sentì dei leggeri rumori provenire dal retro della casa, dalla stessa direzione in cui erano arrivati loro.

“Sta arrivando Moran?” domandò in un sussurro.

Sherlock annuì e si mise un dito sulle labbra per ammonirlo di fare silenzio, poi indicò un punto buio della stanza accanto alla finestra, invitandolo a nascondersi lì e andò a prendere posizione dall'altra parte opposta.

Non dovettero aspettare molto. Pochi minuti dopo i rumori, che si erano fatti pian piano più vicini, li fecero capire che il loro uomo era entrato.

Come un'ombra aveva attraversato la stanza e si era inginocchiato appena sotto la finestra. Portava un grosso borsone, che aprì lentamente, facendo meno rumore possibile. Poi, con gesti lenti e misurati, estrasse le parti di un fucile di precisione che montò in silenzio. Nell'arco di una decina di minuti era pronto per agire. Posizionò l'arma sul balcone e si concentrò al massimo per prendere la mira.

Sia John che Sherlock videro il lampo di pazzia sugli occhi del cecchino un attimo prima che premesse il grilletto. Sentirono il rumore attutito dell'arma e, ovattato dalla distanza, il fragore del vetro che si rompeva.

In quello stesso istante si avventarono su di lui. Il primo ad arrivare fu Sherlock, che lo bloccò saltandogli sulla schiena come una ghepardo su una gazzella mentre John gli bloccava le braccia e allontanava con un calcio il fucile.

“Cosa …” borbottò Moran, cercando di capire chi lo avesse catturato, poi vide Sherlock “Tu! Maledetto! Non dovresti essere qui!”

Alzò lo sguardo verso la finestra per sincerarsi di non essere impazzito.

“Non è impazzito, Colonnello” lo rassicurò Sherlock “Ha una mira perfetta, ma non penso che quel manichino abbia sofferto molto. Lo stesso non posso dire del giovane Aldair. Ispettore” disse rivolgendosi al buio, dal quale emerse Gregory Lestrade, accompagnato da alcuni agenti “Ora posso consegnarle l'assassino. Lo arresti, in fin dei conti è ciò che le riesce meglio. Sono sicuro che potrà riscontrare la corrispondenza tra le pallottole conservate in quel borsone con quella che uccise Ronald Aldair. Noi, nel frattempo, possiamo andarcene”

“Va bene, Sherlock” acconsentì Lestrade sospirando “Ma domani ti voglio in centrale per gli ultimi dettagli”

 

 

Quando la stanza si svuoto e John e Sherlock rimasero nuovamente soli, il detective si lasciò andare, si sedette per terra appoggiando la schiena alla parete e chiuse gli occhi. Ora John vedeva nel suo viso la stanchezza tipica che lo prendeva quando giungeva alla fine di un caso.

“Sherlock?” lo chiamò “Immagino che tu sia molto stanco, ma credo sia meglio tornare a casa”

Il detective annuì e si alzò. Si avvicinò alla finestra e osservò fuori. Quella città che un tempo l'aveva respinto, ora era di nuovo lì, davanti a lui, pronta per essere nuovamente vissuta, con tutte le avventure che racchiudeva nelle sue vie e nei suoi angoli più bui.

“Possiamo andare” disse avvicinandosi a John “Ormai è troppo tardi per prendere la metro o un taxi e fa particolarmente freddo stanotte. Vuoi dormire a Baker Street?”

“Non saprei ...” rispose lui, cercando di fare il prezioso “Quel buco nel vetro farà passare molti spifferi”

“Non accadrà” rispose Sherlock prendendolo per mano e uscendo “Staremo in camera mia. Il letto è grande abbastanza per entrambi”

“Vuoi che dormiamo insieme?!” domandò più che sorpreso.

Sherlock si strinse nelle spalle.

“Che male c'è?”

“Nessun male ...” ammise lui, sorridendo “Solo non me l'aspettavo”

A quelle parole Sherlock sorrise e lo trascinò via. Non gli lasciò la mano fino a quando arrivarono al loro vecchio appartamento. Nulla era cambiato.

Grazie all'intercessione di Mycroft, la signora Hudson aveva provveduto a tenere pulite le stanze e ora li aspettava con un tè caldo in tre tazze.

“Si unisce a noi, Madame?” le chiese Sherlock con tono canzonatorio.

La donna lo squadrò da capo a piedi con quel suo sguardo severo, da mamma.

“Vi ho preparato il tè, ma solo per festeggiare il tuo ritorno. Non sono la governante!”

Sherlock prese la sua tazza e sorrise.

“Non ne avrò bisogno, signora Hudson. Ho già un fantastico … assistente”

Si voltò verso John e gli fece l'occhiolino. Avrebbe voluto dire 'babysitter' ma si era trattenuto. La signora Hudson non avrebbe capito, ma quell'intesa li fece ridere entrambi.

Festeggiarono a lungo perché avevano tante cose da raccontarsi, anche se sapevano che non sarebbero bastate quelle poche ore per riempire tre anni di vuoto. Erano ormai le due, quando anche la donna cedette al sonno.

“Vi saluto, vado a dormire. Cercate di non fare troppa confusione, voi due!” ammiccò velocemente e sparì giù per le scale, mentre Sherlock cominciava a stiracchiarsi.

“Hai sonno?” gli domandò John incredulo “Non mi sembra possibile!”

“Sono un essere umano anch'io, Jawn e non dormo decentemente da tre giorni. Sono spossato. Ho assoluto bisogno di dormire”

John sbuffò. Gli sarebbe piaciuto fare altro … sicuramente non dormire. Lo guardò meglio. Era evidente la stanchezza nei suoi occhi e probabilmente non era il momento giusto per andare oltre. Si era già sforzato tanto per confessargli in quella maniera così buffa il suo amore. Non voleva forzarlo.

“Posso almeno darti il bacio della buonanotte?” gli chiese poi, non potendo resistere.

Sherlock arrossì impercettibilmente ma annuì.

Andarono in camera e si spogliarono lentamente. John restò in canottiera e mutande, mentre Sherlock portava solo quelle.

“Dovresti coprirti di più!” lo sgridò “Prenderai freddo” gli disse mentre nella sua mente prendeva forma un'altra esclamazione: 'e mi farai prendere un colpo!'

“Non ho freddo” disse e si tuffò sotto le coperte.

John lo guardò intenerito. Quante volte lo aveva visto fare così da bambino e ora era adulto e incredibilmente sexy. Si intimò mentalmente di calmarsi e frenare i bollenti spiriti.

“Vuoi il tuo cane peluche per addormentarti?” gli chiese, raggiungendolo sotto le coperte.

Voleva baciarlo, ma non sapeva come approcciarsi senza spaventarlo.

“Non mi serve più” rispose lui, rimettendosi a sedere “Sei tu il mio Jawn”

Poi, senza preavviso, lo baciò sulle labbra. Un bacio casto, che divenne pian piano più aduace.

John gemette per il piacere. Quante volte aveva desiderato quel bacio! Sentì che tutto il suo corpo si stava eccitando e avrebbe continuato a baciarlo per tutta la notte, ma Sherlock era veramente stanco.

Così come l'aveva baciato, si staccò da lui. Gli sorrise brevemente e si distese, dopo avergli sussurrato un 'buonanotte' così dolce e sensuale da farlo quasi impazzire.

Restò senza parole qualche istante, come congelato in quella posizione, poi suo malgrado scoppiò a ridere. Di Sherlock ora vedeva solo la zazzera di capelli ricci e una piccola porzione di viso.

Sorrise intenerito e spense la luce.

“Buonanotte, Capitano”

   
 
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