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Autore: owll    31/01/2013    2 recensioni
[...] ora che Vegeta aveva deciso di lasciarla lì con suo figlio, di aprire una voragine nel suo cuore di gettarle in faccia tutti quegli anni passati ad amarlo, per tornare a viaggiare per lo spazio dichiarando di voler ritrovare i Sayan sopravvissuti.[...]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Goku, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa. Purtroppo il capitolo non è molto lungo, ma spero vi piaccia lo stesso. Grazie a tutti quelli che mi seguono e ai porssimi che verranno :)

Come lo Yin e lo Yang

 

 

… una settimana prima.

 

 

La prima cosa che vide entrando in camera fu la sua schiena, una massa di muscoli ambrati, più simili a dune del deserto che a rocce, ma duri come esse.

Era Vegeta, disteso su un fianco, sul letto della donna, di spalle alla porta, con la testa  ai piedi del letto. Se ne stava comodamente adagiato con una mano a reggere il capo e con la l’altra a maneggiare e leggere scartoffie.

Chissà cosa ci faceva lì, le venne da pensare.

Da tempo ormai dormivano assieme la notte, ma di solito era lei a raggiungerlo nella sua camera, lui la preferiva, era decisamente più ‘sobria’ e la scarsità dei colori lo mantenevano concentrato. Nonostante  tutti quegli anni sotto lo stesso tetto avevano ancora stanze separate, ciò serviva a lei per dormire in pace e a lui per potersi ritirare nel silenzio dei suoi pensieri, di quelli ne aveva sempre in abbondanza.

Sorrise guardandolo e indugiando sull’uscio, da un bel po’ tutto stava andando per il verso giusto, erano già passati quattro anni di pace dal Cell Game, anni in cui Trunks aveva potuto crescere serenamente con entrambi i genitori in vita; sorte che non era potuta toccare a Chichi e Gohan  il quale si era ritrovato a dover fare anche da padre, nonché mentore al suo fratellino.

Da alcuni giorni, però, aveva una strana sensazione che la prendeva alla bocca dello stomaco e che la colpiva nei momenti più strani della giornata. La attribuiva spesso all’ansia che le portava il lavoro, anche se questa volta sembrava essere qualcosa di diverso.

Quella sera, stava rientrando dal laboratorio ‘piccolo’, quello al quale aveva accesso diretto dal salotto di casa sua. Avevano deciso, lei e suo padre, di ristrutturarlo in vista di un anno ricco di importanti progetti scientifico-meccanici, non ché di notevoli studi astronomici, studi che l’avrebbero portata, di lì ad un giorno a dover partecipare ad un congresso mondiale sull’astronomia e sullo studio degli asteroidi.

Di questo aveva discusso con lui tutto il pomeriggio.

 “Tesoro, ho bisogno che ci vada tu, lo sai che i giornalisti ti adorano!” l’uomo aveva teneramente cercato di convincerla con quel suo fare calmo e ponderato, ma lei ormai non ci cascava più, o meglio, faceva finta di cascarci, sapeva bene perché il giornalisti la amavano e non era di certo per il suo intelletto, loro non erano comunque gli unici. I peggiori erano i suoi viscido-colleghi scienziati, così di solito ‘amava’ definirli, che provavano a conquistarla con ogni mezzuccio possibile. Bulma non poteva certo dirsi contrariata, le era sempre piaciuto stare al centro dell’attenzione e anche se più di una volta questo le aveva creato problemi la sua bellezza le aveva aperto porte che il cervello da solo non poteva sperare di aprire. C’erano volte in cui, però, non riusciva proprio a lasciarli fare, e quindi aveva imparato, con gli anni, tecniche di ‘escapologia’ capaci di non lasciare nessuno contrariato. Era furba e intelligente su tutti i fronti, e le piaceva vantarsene, l’unica persona dalla quale non era riuscita a scappare era ‘l’uomo’ che ora condivideva il suo letto, un sanguinario alieno Sayan che l’aveva fatta impazzire.

Oltre che a discutere dei giusti argomenti da esporre al congresso, suo padre le aveva reso una serie di carte astronomiche, documenti ed una foto incorniciata trovati negli angoli impolverati del piccolo laboratorio, oggetti che aveva pensato le avrebbe fatto piacere riavere.

Aveva ancora tutto con se quando varcò la soglia della propria camera. 

 Trunks era già a letto, ne era certa, si era scatenato tutto il giorno con il nonno alla ricerca di tesori nascosti nel laboratorio da sfrattare. Era stato proprio lui, le aveva detto suo padre, a trovare la foto. Un vecchio scatto fatto da chissà chi in cui c’erano lei e Goku da bambino, lui aveva ancora la coda, questo le fece capire che doveva essere davvero datata.

“Di che si tratta?” le chiese Vegeta senza voltarsi, e riportandola alla realtà. Si riferiva ai fogli che stava leggendo, si trattava della sua ultima ricerca. Di solito non gli interessava affatto sapere a cosa stesse lavorando, nonostante a lei piacesse spiegarglielo, la sua concentrazione era mirata solo al perfetto funzionamento e all’aggiornamento costante della Gravity Room. Solo quando si trattava di pianeti, stelle, metalli e leghe era sempre pronto ad ascoltarla. In fondo era un Sayan, e i Sayan da sempre apprendevano dalle altre razze ciò di cui avevano bisogno e probabilmente Vegeta era uno di quelli che si era sempre occupato di trattare con gli scienziati, spesso e volentieri sostenevano colte discussioni su determinate faccende spaziali o su determinati motori a propulsione. Più di una volta Bulma aveva provato ad indagare sulla sua vecchia vita, cercando di capire come fosse il suo pianeta di nascita, ma di solito, quando si arrivava al punto in cui entrava  in scena Freezer, e cioè sempre, quel bianco lucertolone aveva fatto parte della sua vita sin da quando era ragazzino, si innervosiva e si incupiva. Di certo erano stati giorni assurdi quelli al servizio di un dittatore come quello, tutto il rancore che provava non si sarebbe mai assorbito,  Freezer era morto e purtroppo non per mano sua.

Superò il letto raggiungendo la cassettiera già ingombra di carte, fascicoli, profumi e flaconi di ogni sorta e vi poggiò, come per coronare il tutto, le mappe stellari e gli altri documenti . La foto, invece, prese il posto d’onore sul comodino accanto all’abatjour a forma di cuore che inondava la stanza di una calda luce rossa.

“Si tratta dell’ultima ricerca di mio padre, quella che mi costringerà a scrivere STASERA…” sottolineò lasciandogli intendere che non avrebbe avuto tempo per ‘altro’ “… il discorso che dovrò sostenere al congresso nel quale lui mi ha scaricato per domani sera!” continuò entrando nel bagno per farsi una rapida doccia. Aveva passato l’intera giornata chiusa nel laboratorio, aveva bisogno di una rinfrescata. Stranamente Vegeta non la raggiunse, eppure era convinta che lo avrebbe fatto, gli piaceva da morire farle perdere tempo, invece continuò a decifrare le ricerche, dovevano interessargli davvero molto, anche se si trattava dell’analisi di una macchia nera fra gli astri.

Una strana piega al centro della fronte se ne stava lì a dimostrazione del suo impegno mentale.

Rientrando dal bagno indossò un paio di pantaloncini e una canotta comoda per la notte, lo trovò ancora lì immerso con il naso nei fogli. I capelli turchini arruffati le incorniciavano il volto lievemente arrossato dal calore della doccia.

La luce rossa illuminava il volto contratto del Sayan che alzò gli occhi per guardarla, probabilmente attratto dal suo profumo, un profumo che gli era sempre piaciuto particolarmente, glie lo aveva confessato in una notte di passione qualche anno prima.

La donna lo osservò per un attimo, a dorso nudo con un paio di pantaloncini scuri se ne stava ancora steso su di un fianco, i muscoli contratti erano attraversati da sottili venature rosa e lisce, cicatrici segno indelebile del suo passato. Doveva essersi allenato molto, una vena ancora gli pulsava sul collo dallo sforzo.

La sua rude bellezza la spiazzava sempre, i Sayan non invecchiavano, acquistavano valore col tempo.

Ancora ricordava bene il giorno in cui, ignaro di cosa gli sarebbe accaduto, di ritorno da Namekk lei gli aveva aperto le porte di casa; era un ragazzo, sperduto, arrabbiato con se stesso, ora invece era un uomo ancora incazzato nero, ma maturo e le piaceva da impazzire.

Lo sguardo che si scambiarono fu intenso e carico di ogni ricordo. Gli occhi neri del sayan erano due pozzi di pece liquida che la attirarono come una calamita, nei quali raramente riusciva a leggervi qualcosa che non fosse indifferenza, rabbia o lussuria. Doveva distogliere la vista “Ti spiegherei tutto, ma ho questo discorso di due ore da scrivere e devo sbrigarmi, domattina parto presto!” disse stendendosi al suo fianco, e posizionando il cuscino accanto al suo. Invece di scivolare nel sonno, raccolse le carte e accese il portatile poggiandolo sul morbido guanciale.

Vegeta le lasciò i fogli, ripiegò il braccio destro sotto la testa e chiuse gli occhi, non una parola dalle sue labbra, nella stanza echeggiavano solo le battute che Bulma scriveva al portatile. Il display le illuminava il viso con una strana luce azzurrina. Ogni tanto mugugnava contrariata a causa di qualche frase senza senso che le veniva fuori, o per concetti complessi da dover semplificare in poche parole, ma senza successo.

Dopo tre ore ancora era lì, gli occhi le bruciavano per la concentrazione, che non aveva mai perso, e a poche righe dalla fine.  Le conclusioni erano la parte più semplice da scrivere, le avrebbe buttate giù dopo una breve pausa. Salvò il file, e gettò un’occhiata alla belva addormentata al suo fianco; lui se ne stava lì, con la sua aura selvaggia che gli aleggiava attorno quasi come se fosse tangibile, persino lei era capace di percepirla. Lo lasciò ai suoi sogni, sempre che effettivamente stesse dormendo, si alzò e si sgranchì la schiena annichilita da una scomodissima posizione tenuta per troppo tempo, in quei momenti si sentiva una debole mortale, Vegeta questi dolori non li avrebbe mai accusati. Sorrise fra se e si avviò in cucina, al piano inferiore. Aprì il frigorifero, riparandosi gli occhi dalla forte luce dell’elettrodomestico  e si versò un bicchiere d’acqua. 

La Luna illuminava la Capsule Corporation e l’intero salotto-cucina era inondato dalla sua luce bianca. Tutto era familiare per lei in quella casa, sotto quel chiarore si profilavano le sagome di ogni oggetto: il vecchio vaso rotto e ricomposto svariate volte negli anni, il divano con la tappezzeria vecchia 30 anni, i libri infilati in ogni spazio possibile degli scaffali, e anche la polvere sembrava sempre la stessa. Si sentì incredibilmente felice in quel momento, non rilassata ne tranquilla, ma felice, una sensazione che le mancava da tempo, dopo la morte di Goku nulla poteva apparirle più gioioso come prima, eppure adesso sembrava che ogni tassello fosse andato al proprio posto ricomponendo il puzzle della sua nuova vita. Sembrava che tutto stesse andando per il meglio non poteva chiedere di più, era una condizione nella quale era arrivata all’apice ad un punto oltre il quale non si poteva salire, questo lo sapeva bene. Suo figlio era un bambino forte e perfetto, nonostante avesse ancora la coda a dimostrazione della suo sangue per metà alieno, era davvero incredibile; poi, anche Vegeta le sembrava tranquillo, se un po’ pretendeva di conoscerlo, leggeva nei suoi modi di fare scioltezza e pacatezza. Tutto le apparve, improvvisamente, così metafisico da sembrare finto.

La strana sensazione che sarebbe durato tutto ancora per poco la colpì improvvisamente mentre beveva l’ultimo sorso d’acqua. Si presentò come un morso allo stomaco e la mancanza del suo migliore amico la trafisse, forse era solo quello il motivo di tanta angoscia, altrimenti cos’altro poteva essere? Si chiese risalendo velocemente al piano superiore.

Sbirciò dietro la terza porta e rassicuratasi che Trunks stesse effettivamente dormendo tornò nella propria.

Riprese posto davanti al pc, nonché al fianco del suo uomo, bello ed impossibile. Finire il discorso era nelle sue intenzioni, per poi scivolare nei sonno, ma quando, uscendo dallo standby, la luce del display investì la camera, immersa in precedenza nel buio,  Vegeta protestò e contrariato le abbassò lo schermo chiudendo l’aggeggio elettronico “Adesso basta!” le ordinò. A Bulma venne da sorridere, forse poteva anche lasciar perdere, le era sembrato di capire che il suo uomo volesse attenzioni.

La mano del Sayan, infatti, passò dallo schermo alla sua schiena. Si fece strada sotto la canotta e toccandole la pelle liscia come seta l’attirò a se. Fu un gesto come un altro, quasi abitudinario, eppure così incredibilmente dolce, che da un sayan come il principe non ci si doveva, ne poteva mai aspettare.

“Ok ok Vegeta, come vuoi! Spengo tutto!” gli disse lasciando scivolare il pc oltre il letto per terra.

Poggiò la testa sul cuscino accanto a lui, beandosi del suo tocco. Le sue mani che la sfioravano, nonostante il tempo passato insieme, continuavano a farle un certo effetto, a farla sentire strana, ad accenderle una fiammella dentro. Corpi estranei quelle mani, fatti di ruvida consistenza un tempo alla ricerca di ossa da maciullare e ora alla ricerca di morbidezza, una morbidezza che gli era diventata familiare con lo scorrere delle lancette e che aveva conosciuto il giorno in cui aveva messo per la prima volta le mani sulla terrestre, mai prima di allora le sue dita avevano potuto toccare qualcosa di così sensuale ed erotico come la pelle di quella donna.

Il sayan teneva gli occhi chiusi, ma sapeva bene che lei era a pochi centimetri dal suo viso, ne sentiva il respiro e l’odore, e sotto ogni cellula dell’epidermide lei era penetrata.

“Vegeta!” disse in un sussurro a poca distanza dalla sua bocca “MhMh!?” mugugnò lui di rimando “Come è andata la giornata?...” prese ad accarezzargli il collo “… ti sei allenato molto?” terminò, una vena su quel collo taurino ancora pulsava in tensione.  “Non abbastanza di certo, e adesso sta zitta!” i suoi modi erano sempre gli stessi, sgarbati, ma ormai aveva imparato a capirlo, era stato firmato una sorta di silenzioso armistizio tra loro.

Gli baciò le labbra. Non voleva risvegliare i suoi bollori, altrimenti sarebbero andati avanti tutta la notte e non poteva permettersi di fare tardi il mattino seguente, ma sentiva il bisogno di bacialo ogni tanto, e quella era una di quelle volte. “Smettila!” le ringhiò sulla bocca “Dammene solo uno e la smetto!”gli rispose secca.

 Il Sayan aprì di scatto un occhio.

Le sue iridi profonde e buie la inchiodarono. A sua volta lui fu colpito dall’azzurro che riusciva ad intravedere al buio, gli occhi della donna nemmeno in quelle occasioni erano scuri, c’era sempre dell’indaco a riflettere il minimo raggio di luce. E quella sera, nonostante il chiarore lunare fosse filtrato dalle tende, riusciva a percepirli, quelle iridi riuscivano a convincerlo anche senza parole.

“Starò via per un paio di giorni per questo congresso!” lo informò, sperava di convincerlo a lasciarle qualche tenero ricordo. Il sayan aumentò la stretta sulla schiena e la attirò maggiormente a se, ora il loro corpi aderivano come lo yin e lo yang. “D’accordo!” sussurrò prima di afferrarle il labbro superiore e, chiudendo gli occhi, allungò la lingua fra le labbra della donna e la baciò come lei gli aveva insegnato a fare.

Bulma adorava quando la belva era così mansueta, quando si lasciava coccolare, se così si poteva dire, e la accontentava in stupidi capricci da terrestre. Dopo la loro prima volta, quasi da dover dimenticare, erano stati così tante volte a letto assieme che non potevano più essere numerate, c’era intimità ora, non come allora, una intimità intensa, fatta di sguardi e silenzi, proprio come quella sera.

Percepiva sullo stomaco il cuore pulsante dell’alieno, che pompava forte quasi quanto il suo. Si erano scambiati un bacio morbido, umido, sensuale. Allontanandosi da lui tenne gli occhi chiusi, voleva scivolare nel sonno con quel suono a cullarla.

“Vegeta?” chiese sussurrando poco dopo, pensava non le avrebbe risposto e invece “Cosa vuoi ancora?” grugnì sistemandosi sul cuscino, sapeva che Bulma era una donna che non si accontentava facilmente.

“Ti amo!”

“Sta zitta!”

  
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