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Autore: lovewholovesyou    02/02/2013    3 recensioni
Lea, Dianna, Naya e Heather ne hanno avuto abbastanza della loro vita. Così decidono di partire e il destino incrocierà le loro strade.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Dianna Agron, Heather Morris, Lea Michele, Naya Rivera, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hi everyone! Ecco finalmente il primo capitolo serio serio! (per modo di dire.)
Spero vi piaccia e di avere qualche recensione in più (Vi controllo, so che leggete...)
Eh, nulla! cercherò di aggiornare più spesso.
love everyone!
Grazie alla mia beta fede <3




2. Crossroads



Lea sentiva meno la mancanza di New York con tutto quel movimento che aveva Piazza Duomo a Milano. Diciamo che l'intera città sapeva essere grigia e spenta, come le raccontavano, e allo stesso meravigliosa: la gente, anche se correva da una fermata ad un altra per non far tardi al lavoro, sembrava quasi regalare felicità ai passanti. Stretti nei vagoni delle metropolitane era difficile non venire spintonati e non rischiare di volare a terra. Ed ogni volta che accadeva, qualcuno si voltava e si scusava. Era una cosa che la rendeva davvero felice, nonostante temesse che il trucco le colasse da un momento all'altro. Quella mattina aveva un colloquio presso la casa discografica che l'aveva convocata e si era promessa di sembrare il più accettabile possibile. Non aveva nemmeno cambiato taglio di capelli e ora se ne stava pentendo perché aveva questi lunghissimi boccoli castani che le davano fastidio. Appena scese finalmente alla prima delle fermate che avrebbe dovuto affrontare si preoccupò di legare i capelli in una treccia quanto più ordinata e seria possibile e, per non evitare di perdersi e di chiedere indicazioni in un italiano improvvisato, seguì il resto delle persone salire e scendere le scale. Mentre aspettava la metropolitana si dondolava sulle ballerine di pelle che aveva comprato qualche giorno prima in un negozio vicino all'albergo dove alloggiava quando sentì lo sguardo di un ragazzo alle sue spalle. Non era nemmeno un bel ragazzo, anzi, sembrava quasi fosse uscito da un film di paura. E insisteva nel guardarle le gambe scoperte dalla gonna in cotone rossa. Lea tossì leggermente cercando di mantenere la calma finché non arrivo la metropolitana. Questa volta riuscì a sedersi accanto ad una bambina e alla nonna che parlavano animatamente di qualcosa che la newyorchese faticò a capire. E finalmente arrivò il momento di scendere.

Era da circa tre giorni che girava la piazza milanese alla ricerca dell'ufficio sicura di non perdere tempo a trovarlo il giorno del colloquio. Non aveva cantato per un'intera giornata così che, nell'eventualità di un provino, non avrebbe avuto alcun problema con le sue corde vocali. Aveva cercato di alzarsi due ore prima per essere sicura di non arrivare in ritardo nemmeno di un minuto. Lea era talmente agitata che era comunque di fretta sapendo di avere tantissimo tempo per arrivare all'ufficio che per sbaglio, mentre scendeva le scale dell'albergo, urtò violentemente una ragazza bionda che stava entrando nella hall. Si fermò solo un secondo per chiederle scusa e notò il bel viso sorridente e gli occhi azzurri luminosi. La ragazza le sorrise e Lea poté correre via di nuovo. Fosse stata nei panni di quella ragazza, Lea le avrebbe sbraitato a dietro. Arrivò nell'ufficio con una decina di minuti in anticipo: era un edificio enorme, non alto quanto i grattacieli di New York, pieno di finestre, una affianco all'altra. Forse un edificio un po' trascurato per essere la sede di una casa discografica così importante.

Lea entrò con passo svelto, tentando di non inciampare nella moquette bordeaux, e si diresse su per due rampe di scale. Le più lunghe della sua vita. Le si aprì davanti in un lungo corridoio illuminato: ad ogni lato una porta con un nome diverso e lei non seppe nemmeno dove andare. Poi vide una scrivania nera infondo e, con la speranza di trovare qualcuno si avvicinò e si sedette sul divano in pelle lì in fianco. Sulla superficie ordinata in legno, lampeggiava ai suoi occhi una targhetta nera con inciso il nome di una segretaria probabilmente. Lea si stava sistemando la gonna quando il rumore dei tacchi attirò la sua attenzione, facendola scattare in piedi.

Fece ingresso una donna che si muoveva veloce su quei trampoli in vernice neri, vestita elegantemente. Teneva i capelli corvini in uno chignon e faceva in modo che il ciuffo non le cadesse davanti alla faccia perché teneva gli occhiali da vista in testa. Passò davanti a Lea con tale velocità che non ebbe nemmeno il tempo di guardarla in viso. Lea le si avvicinò e questa alzò lo sguardo.

«Naya Rivera, come posso aiutarla?» le chiese con un italiano perfetto ma con la cadenza americana che aiutò Lea enormemente. Gli occhi neri di Naya la osservavano stanca e annoiata.

«Avrei un colloquio con il signor D'Agostino. Mi ha mandato questa.» Lea le mostrò l'email e Naya annuì scocciata.

«Purtroppo non è disponibile al momento. Deve attendere.» stavolta le risponde in inglese, cosa che la fece sollevare. Grazie al cielo non avrebbe dovuto mostrare la sua pessima conoscenza dell'italiano.

Lea ritornò quindi seduta sul divanetto, sbuffando e dondolandosi le gambe accavallate non sapendo come intrattenersi.

«Conosci bene l'americano.» le disse Lea. «Vieni dagli Stati Uniti?»

La segretaria annuì soltanto sorridendo falsamente e tornò a scrivere. Avrebbe voluto che Naya spiccicasse qualche parola, come credeva facessero le segretarie, ma quella ragazza dai tratti latini rimase concentrata sullo schermo del suo computer e rispondendo ogni tanto a qualche chiamato. Indossava e toglieva gli occhiali a minuti alterni, quando leggeva e quando scriveva. Sembrava una tipa parecchio asociale, come se il lavoro fosse la sua unica preoccupazione. Lea si strinse nelle spalle e tornò a leggere quel giornale di gossip che sfogliava da dieci minuti. Anche se ancora una volta riuscì a capirci veramente poco.

Passò più di un'ora a giocare con i ciuffi di capelli che le sbucavano dalla treccia e a leggere riviste senza capirne veramente qualcosa quando, dalle scale, sentì un rumore di passi.

Anche Naya sollevò lo sguardo per un istante, come se sapesse chi stesse per arrivare. Lea la stava osservando e scorse una leggera delusione nel suo volto. La newyorchese di voltò in cerca del motivo di tutto quel movimento: a Lea quasi mancò il fiato.

Una giovane ragazza dai capelli biondi si stava avvicinando alla scrivania con passo leggero, tenendo la testa alta e un'espressione seria sul viso. I suoi capelli schizzavano un po' a destra e a sinistra, quasi non li avesse pettinati. Eppure le stavano così bene! Guardava dritta e stava arrivando verso Naya, con la gonna del vestito in tessuto che si muoveva leggera seguendo l'eleganza della sua camminata. Lea non le scorse nemmeno un particolare del viso, ma sentiva già che fosse la ragazza più bella che avesse mai visto.

Si rivolse alla segretaria con una dolce calda e pronunciando le parole lentamente. Lea quasi si sciolse sentendola parlare che nemmeno si accorse del discorso che stavano facendo. Per quanto capisse dell'italiano, La bionda chiese a Naya di poter vedere il signor D'Agostino per quel servizio fotografico che le avevano chiesto.

«Ho una lettera che mi ha mandato. Diceva di venire oggi.» continuò la ragazza e Lea quasi percepì una somiglianza di pronuncia quasi come quella di Naya.

«Certo, prosegua per quel corridoio, infondo a sinistra.»

Lea scattò in piedi, sconvolta. Non era momentaneamente occupato?

«Scusi!» esordì avvicinandosi rabbiosa e appoggiandosi alla scrivania, dopo aver scansato la bella bionda dietro di lei. «E' tutta mattina che sto aspettando per questo maledetto colloquio. Sono scappata di casa per venire qui, fin da New York. Se perdo questa possibilità sarò costretta a tornare a casa e ritornare ai miei stupidi video su Youtube. Ho aspettato perché il presidente non era disponibile e, ora, questa bionda può parlare con lui? C'è qualcosa che non quadra!» disse arrabbiata con la sua solita voce irritante.

«Il mio nome è Dianna.» la ragazza le rispose innervosita in inglese e solo in quel momento Lea si voltò verso di lei e scorse i due enormi occhi verdi che la fissavano. «E non permetto che tu possa dirmi questo. Sei così egoista: sono mesi che aspetto che qualcuno mi chieda un lavoro retribuito modestamente perché devo mantenere una figlia e una casa. Anche io sono scappata, ma non posso tornare indietro. Non posso. Mentre tu puoi, e hai sicuramente altre possibilità di farti notare. Io non ce le ho. Smettila di giudicare prima di conoscere.»

Nonostante fosse evidentemente arrabbiata, Dianna non alzò la voce contro Lea ma la guardo con la rabbia negli occhi, un po' invidiosa. E senza proferire parola, Dianna si allontanò per il corridoio.

Naya rideva di nascosto divertita e dovette tornare a scrivere prima che Lea se ne accorgesse. L'ebrea sospirò e, un po' imbarazzata, tornò a sedersi ed aspettò per il resto della mattinata. Solo qualche ora dopo poté parlare con il signor D'Agostino: si aspettava subito qualche complimento per la sua bellissima voce e per lo straordinario talento. Ma il presidente le propose solo una piccola collaborazione con un artista italiano in un singolo e quasi Lea si sentì sprofondare. Aveva viaggiato così lontana da casa per ricevere solo la collaborazione con chissà chi. Lei si aspettava qualcosa solo suo, una collaborazione non le avrebbe portato successo, sopratutto se sul suolo europeo. Lei voleva essere un'artista mondiale.

Uscì dall'ufficio rifiutando l'offerta e correndo al bagno trattenendo le lacrime. Quando ormai stava singhiozzando appoggiata al lavandino realizzò di non essere sola in quella stanza: La ragazza che qualche ora prima con cui aveva avuto uno scontro, Dianna, stava uscendo da uno dei bagni e si avvicinava al lavandino per lavarsi le mani. Lea pensò che fosse il caso di scusarsi, come minimo. Asciugatasi le lacrime e tirato su con il naso, le si avvicinò.

«Dianna, mi dispiace per come ti ho trattata prima.» balbettò Lea. «Non sapevo quanto fosse importante per te. Davvero, mi dispiace.»

«Non importa.» rise per un secondo la bionda. «Non avrei nemmeno dovuto sbottare così ma ogni tanto, quando sono nervosa, reagisco in modo sbagliato.»

Dianna guardò Lea e vide i suoi occhi rossi e gonfi per le lacrime, ma non le chiese spiegazioni. Si limitò a sorriderle e farle un accenno di saluto mentre stava per uscire dal bagno.

«Potrei farmi perdonare con un pranzo?» le chiese improvvisamente Lea, mordendosi il labbro inferiore.

Dianna si voltò verso di lei e vide la sua espressione timida e il sorriso accennato brillare come i suoi occhi. Sospirò con una smorfia divertente e annuì. «A patto che decida io dove.»

Lea fece un cenno esaltato e le venne accanto mentre uscivano insieme dalla stanza.

Naya era ancora seduta alla scrivania: fingeva di scrivere qualcosa su quel computer ma, in realtà, stava solo giocando a carte per ammazzare il tempo. Era per quello che la pagavano. Stare seduta ad una scrivania, ricevere gli ospiti e portare il caffè al signor D'Agostino. Ma piuttosto che fare come la collega Sara, impegnata direttamente e personalmente con il presidente, avrebbe preferito qualsiasi cosa.

Aspettava seduta su quella sedia girevole scomodissima da ormai cinque anni aspettando qualche cosa che le cambiasse la vita. Tutto era così monotono.

Appena le due ragazze che aveva conosciuto quella mattina uscirono insieme dall'ufficio quasi non le venne da invidiarle: perché non poteva anche lei avere qualcuno con cui passare del tempo? Quelle due aveva perfino litigato ed ora stavano camminando l'una in fianco all'altro. Anche Naya voleva qualcuno con cui litigare e fare pace in meno di un minuto, magari con un abbraccio o un bacio. Eppure sembrava quasi che vivesse in una bolla, quasi che fosse trasparente.

Poi sentì i battiti del cuore accelerare quando sentì altri passi veloci arrivare dalle scale: una altra ragazza bionda correva in fretta su dei tacchi altissimi, passò davanti alle due ragazze di poco prima e la mora le fece un accenno di saluto come se la conoscesse.

La ragazza aveva i capelli biondi legati in una lunga coda di capelli, impressionante come fossero ordinati nonostante stesse correndo da chissà quanto tempo. Si fermò col fiatone, appoggiandosi sulla scrivania. Naya la guardò cercando di mantenere un'espressione seria invece che ridere per come la bionda tentasse di parlarle tra un affanno e l'altro.

Aveva due occhi color ghiaccio, forse i più belli che Naya avesse mai visto fino a quel momento, e un viso dai tratti delicati. Sembrava essere molto dolce da come si sistemava il maglione di lana tre taglie la sua.

«E' qui...L'ufficio del teatro Smeraldo?» le chiese, sempre respirando a fatica, e leggendo il foglio che teneva in mano. California, pensò Naya riconoscendo l'accento.

La latina ridacchiò e fece cenno di no. «E' al settimo piano.»

«Vuole dirmi che devo altre cinque rampe di scale?» disse sconvolta la bionda, che dovette sedersi un attimo per recuperare il fiato. «Mi sono persa mentre uscivo dall'albergo: ad un certo punto mi sono ritrova a girare in tondo finché non ho chiesto ad un turista cinese se aveva una mappa o qualcosa per aiutarmi. Questa città è caotica!» continuò a lamentarsi mentre rideva lei stessa della sua stupidaggine.

Si scambiarono uno sguardo e subito Naya fu costretta ad abbassarlo per paura di arrossire: era davvero reale quella ragazza.

«Beh, l'appuntamento era circa due ore fa, quindi ritenterò domani.» disse infine la ragazza per interrompere il silenzio.

Si alzò in piedi e automaticamente si alzò anche Naya. «Domani l'ufficio è chiuso.» le disse agitata.

«Perfetto...» sbuffò la bionda, guardando al cielo. Poi sorrise e allungò la mano a Naya. «Sono Heather.»

Naya sorrise altrettanto e le strinse la mano tremante. «Naya.»

«Dunque...» continuò Heather. «Dato che la mia giornata si prospetta noiosa e particolarmente inutile, e probabilmente anche la tua, perché non pranziamo assieme? Ho una voglia matta di patatine fritte!» gridò esaltata.

«Certo!» Naya nascose la sua esaltazione dietro quelle semplici parole. «Tra un mezz'ora qui ho finito.»

«Ottimo, così ho tempo di guardarmi in faccia...Ho corso così tanto che ho paura di essere diventata inguardabile.» scherzò allontanandosi in cerca di un bagno.

«Stai benissimo, davvero.» Naya non si accorse neanche di averlo detto ad alta voce. «Intendo dire che...Sei apposto così!» arrossì tremendamente. «Okay, dammi due minuti e ti raggiungo.» le disse infine, capendo di essersi resa ridicola in meno di tre secondi.

Heather sorrise divertita e annuì allontanandosi.

Che fosse la buona volta anche per Naya di trovare qualcuno disposto ad esserle amica?

 

 

Dianna e Lea si ritrovarono sedute ad un tavolo in un ristorante vicino all'ufficio della casa discografica. Il locale era praticamente deserto a quell'ora. Strano, per trovarsi in centro a Milano. Era un posto intimo, oltretutto, il loro tavolo era in un angolino lontano da confusione e chiacchiericcio dei pochi clienti. Dianna si accorse di come Lea guardava il cibo, rigirando parecchie volte la forchetta nel piatto. La ragazza si guardava in giro poi si stringeva nella spalle e infilava un boccone enorme di spaghetti in bocca. Dianna rise divertita.

«Hai un sorriso spento in faccia.» le chiese la bionda. «Non è andato bene il colloquio?»

«Non era come me lo aspettavo.» ammise Lea facendo un sorriso forzato. «Immaginavo un futuro diverso. Vorrà dire che tornerò a casa, alla mia solita vita.»

Dianna si morse leggermente il labbro e tenne lo sguardo fisso su Lea e sul suo viso segnato dalla tristezza e dalla delusione. Fino a qualche minuto prima l'aveva considerata come la persona più insopportabile e arrogante sulla faccia della Terra. Ma, dopotutto, anche lei lo è sempre stata, sopratutto se si trattava di ostacolarle la strada. Con un sorriso, Lea continuò a portare alla bocca il suo boccone di spaghetti.

«Come mai sei scappata?» le chiese tutto ad un tratto la mora e Dianna si sentì morire dentro. Riportarle alla mente il passato era la cosa che più le faceva male. Ma l'espressione triste di Lea le riaffiorò e capì di non essere l'unica ad avere sofferto. Lea stava ancora soffrendo probabilmente. Dianna bevve un sorso di vino e sospirò.

«Sono rimasta incinta molto giovane. Ero una ragazza piuttosto ingenua, credevo che tutto sarebbe andato per il meglio, ma mi sbagliavo. I miei genitori sono stati parecchio cattivi e io ero troppo stupida per capire che mi avrebbe aiutato. Invece sono scappata e sono andata a vivere con la mia migliore amica. Con lei, appena ho partorito Valerie, sono partita per l'Italia alla ricerca di una vita nuova. Vivo di qualche foto ogni tanto, amo la fotografia: è una delle poche cose che mi riesce meglio.» Dianna fece un sorriso quando pronunciò il nome dell'adorata figlia.

«Alla fine non ti è andata male.» affermò Lea, convinta che la ragazza avesse finito di raccontare.

«Mi sento molto sola qui. Mi manca qualcuno che mi ami. Voglio dire, Taylor è la mia migliore amica, non riuscirei a vivere qui sola senza di lei. Ma sento che mi manca un po' di romanticismo.»

«Non dovrebbe essere un problema per te trovare qualcuno.» disse Lea arrossendo, cosciente di quello che avrebbe detto di lì a poco. «Sei una bellissima ragazza.»

Dianna abbassò lo sguardo. Non era sicura di volerglielo dire, come poteva sapere se non l'avrebbe giudicata?

«Vedi, è un po' più complicato da spiegare. Prometti di non giudicarmi e te lo dirò.» Lea annuì e aspettò con curiosità che Dianna continuasse. «A me piacciono le ragazze.» fece una breve pausa. «E' partito tutto dopo la brutta esperienza con il ragazzo che mi ha messa incinta: ho creduto che gli uomini fossero l'ultima cosa che volevo. Ed ecco che sono giunta alla conclusione di amare le ragazze. Avrei dovuto capirlo molto prima, dato che ogni ragazzo che incontravo non mi faceva lo stesso effetto di una ragazza.»

Lea sorrise e si pulì la bocca dal sugo di pomodoro, credendo che lo avesse spalmato per tutta la faccia. «Non c'è problema. Ora posso capire per cosa intendi con “complicato.”»

Dianna la osservò aggrottando le sopracciglia.

«Anche io. Nel senso, ho avuto una storiella con uno dell'università, ma c'era questa ragazza che andava avanti con mille avance e proposte indecenti che ho accettato solo per sfizio. Poi alla fine è andato tutto diversamente. E, non pensare sia stupido, ma preferivo passare il mio tempo con lei che con i ragazzi.»

Dianna sorrise e avvertì come un sollievo all'interno del suo petto. Forse poteva anche fare amicizia con Lea, nonostante il carattere irriverente e orgoglioso.

Non parlarono per circa dieci minuti: continuarono a pranzare, ogni tanto scambiandosi uno sguardo e qualche sorriso tra un bicchiere di vino e una forchettata.

Lea si era soffermata spesso ad osservarla di nascosto e a pensare a quanto fosse così bella e dolce, che nemmeno riusciva a credere avesse un passato così tormentato alle spalle. La stava ancora guardando quando questa alzò lo sguardo e incrociò quello di Lea e si sorrisero ancora una volta.

«Grazie.» le disse la bionda.

«Per cosa?»

«Per avermi detto di essere bellissima, insomma...Non mi capita spesso.» Lea sentì le guance andarle a fuoco e ridacchiò per nascondere l'evidente imbarazzo. «Sei molto bella anche tu, davvero.»

Finito di pranzare, Dianna e Lea proseguirono per le loro strade. La bionda le chiese di passare a casa sua in tarda serata, giusto per prendere un caffè e parlare ancora un po'. E Lea si sentì in dovere di accettare. Pur di stare ancora qualche ora in compagnia di Dianna.

Le due capirono entrambe che quel pranzo sarebbe stato l'inizio di una lunga amicizia.

 

 

Heather si accontentò del primo McDonalds nei dintorni. Non era salutare per la sua dieta mangiare tutte quelle schifezze piene zozze di olio e grassi, ma aveva questa maledetta voglia di patatine fritte da quando era scesa dall'aereo quella notte che poteva anche fare un'eccezione. Naya invece era abituata a pranzi o cene improvvisate: non aveva tempo di cucinare con i turni da segretaria. Oltretutto finiva sempre per bruciare qualche cosa e allora preferiva fermarsi nel supermarket sotto casa e comprare qualcosa di pronto. Ma si teneva allenata: con l'ultimo stipendio era riuscita a comprarsi qualche attrezzo per fare un po' di movimento, qualche corsa la mattina presto e riusciva a mantenersi in forma. Heather lo aveva notato perché aveva scorto i muscoli della gambe scoperti dalla gonna blu scuro.

Naya era anche solita essere una chiacchierona ma proprio non riusciva a dire una parola, quasi avesse paura di dire qualcosa di stupido ed insensato di fronte a Heather. Fu proprio la ballerina a iniziare il discorso, con la bocca piena di patatine fritte.

«Non credevo di poter trovare qualcuno che venisse dall'America come me.» disse masticando con le guance paffute. «Come sei finita così lontana da casa?»

Naya rise divertita dall'immagine buffa di fronte ai suoi occhi.

«Lavoravo nelle sede della casa discografica di Los Angeles come segretaria fino ai diciotto anni, poi ho avuto dei problemi in famiglia.» Naya preferì non raccontare molto della sua vita privata. Dato che nemmeno la sua famiglia aveva accettato la sua omosessualità, forse nemmeno Heather lo avrebbe fatto. «Ed infine sono partita per l'Italia, con il posto di lavoro già assicurato.»

«Mhmh, non è una bella storia. Mi dispiace.» Heather la guardò dispiaciuta, distogliendo lo sguardo per un momento dalle patatine fritte.

«Non fa niente, è passata ormai.»

Naya la guardò con un sorriso ma dentro di se sapeva che non le era passata. Non le sarebbe mai passata probabilmente. Trattenne la lacrima che le stava scendendo sulla guancia cambiando discorso e chiedendo a Heather di passarle il suo bicchiere di coca cola, troppo lontano per la lunghezza del braccio di Naya.

Al momento di passarle il bicchiere, Heather sfiorò appena le dita di Naya e non poté far finta di non aver sentito una scossa tremenda: Heather arrossì per un secondo e guardò in basso per non darlo a vedere all'attraente ragazza che era Naya. La latina tossì leggermente, anche lei imbarazzata dal contatto.

«Ehm...Mi chiedevo se ti andasse di uscire una di queste sere, se non sei impegnata con i tuo spettacoli.» le chiese Naya balbettò un po', per paura di sembrare troppo infantile. Nemmeno lei sapeva come le fossero uscite quelle parole.

«Oh, molto volentieri! Io alloggio in questo hotel.» Heather le lasciò sul tavolo un bigliettino con scritto il nome dell'albergo e il suo numero di telefono seguito da un piccolo cuoricino. «Se non hai nulla da fare, stasera sono lì.»

Naya sorrise e alzò lo sguardo incrociando quello di Heather: faticava a credere che occhi come i suoi potessero esistere. E invece era vero tutto, era vero il battito di cuore di Naya, la voglia di non voler mai allontanarsi da Heather e l'infatuamento che stava travolgendo la latina.

  
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