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Autore: _Kiiko Kyah    02/02/2013    2 recensioni
Esami di università, problemi con gli amici, nuovi incontri, una sedicenne muta senza memoria in giro per casa da gestire: come far impazzire un ventiquattrenne in crisi.
{ Het; Crack!pairing;] [AU!;] [Fluff; Malinconico; Romantico }
"Ascoltami attentamente, Shirou: l'età è solo un fottuttisimo numero."
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Axel/Shuuya, Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Shawn/Shirou, Shuu, Tsurugi Kyousuke, Yuuka Gouenji/Julia Blaze
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'OTP— the phantom and the cutie.'
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Il trillo della sveglia cominciò a perforare i timpani di Atsuya che, con un grugnito, si sentì perfettamente sereno con sé stesso solo quando la colpì con un pugno, facendola cadere dal comodino con un rumoroso tonfo, così che si ruppe. Una sensazione impagabile.
Con la gamba sollevò e lanciò via il piumone azzurro che lo stava avvolgendo, mentre con le mani si stropicciava gli occhi assonnato; si portò faticosamente seduto sul letto, e guardò istintivamente alla sua sinistra per sapere l’ora. Ah, già, aveva appena spaccato la sveglia.
Si alzò e si avviò verso la cucina, senza stupirsi del fatto che, pur non essendo la prima dormita da quando l’insonnia l’aveva colto, ovvero da quando Shirou era partito, era stata molto appagante. Forse perché non aveva dormito di nuovo sulla poltrona, seduto e piegato, bensì sul suo letto, al morbido e al caldo.
Per arrivare in cucina era necessario passare nel soggiorno, dove il divano era stato letteralmente scuoiato dato che andava asciugato dall’acqua che un certo scricciolo aveva portato, ma dopo essere entrato nel salone pregò il cielo di stare ancora sognando.
Bloccando ogni muscolo del suo corpo e facendolo scioccare fin nel midollo, gli occhi azzurro-grigiastri del ventiquattrenne avvistarono, su quello che fino alla sera prima era il suo perfetto muro bianco, quello che aveva dovuto pregare il fratello per non affrescare o come minimo decorare, una gigantesca, nera, ben delineata scritta. In calligrafia perfetta anche, senza errori.
 
Buongiorno!
 
...
Dovette raccogliere tutta la sua buona volontà e la sua stanchezza per impedirsi di gridare.
L’artefice di quell’atto di così palese vandalismo apparve in quel momento dalla porta della cucina. Proprio come il pomeriggio prima, quando era stata trovata, indossava quell’enorme felpa grigiastra, con il cappuccio ancora calcato sulla testa, mentre le gambe erano ora coperte da uno dei pantaloni più piccoli che il Fubuki avesse, le cui estremità erano legate con un nodo alle caviglie perché altrimenti sarebbero finite sotto i suoi piedi e l’avrebbero fatta cadere. Inoltre, si era messa un grembiule bianco, probabilmente trovato in cucina, che il rosa riconobbe: era quello di Shirou.
Santo cielo.
Sorrise divertita al vederlo – ma cosa cavolo aveva da divertirsi!? – e stappò il grande pennarello nero che aveva deciso di utilizzare al posto della penna, perché così i suoi messaggi sarebbero potuti essere più chiari e ben leggibili.
Ben svegliato ~!
I tratti facciali di Atsuya si contorsero in una smorfia mista fra lo shock e la rabbia, talmente strana che la ragazza si prese quasi paura, glielo si leggeva in faccia. Dal canto suo, lui avvertiva una o forse due vene pulsargli sulla fronte dal nervoso, indeciso se scoppiare in lacrime, darsi un ceffone per assicurarsi di essere ben sveglio o andare e spaccare qualche piatto, un paio di quelli del servizio di porcellana che Hiroto aveva regalato ai gemelli Fubuki il giorno del loro ventitreesimo compleanno. Decise che adempiere a tutte e tre le idee fosse la cosa migliore da fare, tuttavia si trattenne dal compierne anche una sola: aveva una minorenne in casa, dopotutto.
Ma perché era ancora lì e non in qualche centro sociale?
Beh, perché ...
 
La sera prima.
< Yuuka? Solo il nome? Un cognome non ce l’hai? > domandò perplesso osservando attentamente i pittogrammi disegnati sul foglio bianco del quaderno.
Probabilmente sì.– fu la rapida risposta. Però, era veloce a scrivere! Evidentemente qualcuno gli aveva già insegnato ad esprimersi a quella maniera. Bene, un problema in meno.
< Che vuoi dire con Probabilmente sì!? > sbottò, indispettendosi. Lo stava forse prendendo in giro?
Non me lo ricordo – scrisse ancora, mostrando un’espressione spaventata all’idea di averlo innervosito, con tanto di fugace occhiata da cucciolo bastonato, nella quale rappresentazione sembrava esperta – Ti prego non arrabbiarti. – aggiunse svoltando pagina.
Il salmonato sospirò, passandosi una mano sulla chioma spettinata.
< No che non mi arrabbio ... > ma senza cognome non poteva sapere se quella ragazzina corrispondeva ad una denuncia, e portandola alla polizia così avrebbe solamente finito col farla mandare in un orfanotrofio, o ai servizi sociali, che di lei se ne sarebbero fregati altamente; era ancora troppo piccola per cavarsela da sola e l’uomo, conscio di quanto la vita in orfanotrofio fosse orribile, aveva bisogno di poterle assicurare il ritorno a casa prima di agire.
< Quanti anni hai? > provò ad accertarsi, sollevando gli occhi sulla mano affusolata che cominciò a delineare la risposta con la penna.
Non ricordo.
Atsuya inarcò un sopracciglio, che incominciò a fremere convulsamente mentre il nervosismo saliva. Non sapeva nemmeno quello?
< Da ...dove vieni? > continuò il suo terzo grado cautamente, non del tutto certo di ricevere una risposta vera.
Non ricordo.
Come volevasi dimostrare.
< Ti ricordi di qualche parente? > mormorò senza quasi ormai il più minimo e insignificante briciolo di fiducia nel pensiero di poter sapere qualcosa in più su di lei.
Non ricordo.– la consapevolezza di essere colpevole dell’improvviso cambio d’umore di Atsuya era evidente sul delizioso viso infantile di Yuuka. Le palpebre di quelle mandorle al cioccolato sbatterono lentamente, come ad assaporare ogni momento di silenzio.
...
Che alla fine fu interrotto da un sonoro sbuffo esausto. Il giovane si abbandonò all’indietro e socchiuse gli occhi aggrottando la fronte.
< Yuuka, non hai la memoria? > ipotizzò sarcasticamente. < Un colpo vuol dire sì, due vuol dire no. > il singolo suono appena percettibile di qualcosa che colpiva la morbidezza del divano fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Poiché ora sapeva per certo che se l’avesse portata alla polizia altro che servizio sociale – o meglio servizio-di-quelli-che-tanto-dicono-e-niente-fanno – e orfanotrofio, il posto che la forze dell’ordine avrebbero scelto per lei era un ospedale, psichiatrico forse, per curare la sua amnesia. Portarla alla polizia non sarebbe stato quindi di alcun aiuto, dato che la vita d’ospedale per una che sembrava avere appena la cognizione della realtà sarebbe potuta essere l’esperienza peggiore.
Pertanto, l’unica soluzione possibilmente non cinica e senza cuore, al momento era ...tenerla con sé.
Fine flashback.
 
Tenerla con sé. Che idea geniale, davvero, il premio Nobel per l’intelligenza andava tutto a Fubuki Atsuya. Come cazzo gli era venuta in mente una cavolata simile?! Neanche il più dolce dei pezzi di pane, neanche Shirou, nessuno avrebbe potuto avere un’idea più stupida.
E lui, il salmonato, lui, il burbero, lui, lo scorbutico senza cuore, lui, il noncurante ...lui, c’era cascato.
Si accasciò sulla sedia davanti al tavolo nel vano tentativo di dimenticarsi del suo bel muro imbrattato e notò con sorpresa che davanti a lui sorgeva una tazza rossa all’esterno e bianca all’interno, piena di caffè e che mandava soprattutto un buonissimo odore di cannella.
Percepì lo sfrusciava della carta del quaderno della minorenne e le lanciò uno sguardo curioso.
Non sapevo come ti piacesse il caffè– lesse, e quella svoltò pagina in modo che potesse vedere anche il resto del messaggio – così l’ho fatto con quello che ho trovato.
Oh, quindi aveva anche frugato sulle mensole e nella credenza? E aveva trovato la cannella che per la cronaca a lui non piaceva granché, era Shirou quello che ne andava matto, ma di sicuro non era quella la sua riflessione principale, al momento.
Gli aveva preparato il caffè. Lei. Teoricamente, la persona ospitata era Yuuka, e sarebbe dovuto essere il maggiore a preoccuparsi di queste cose. E invece la ragazzina aveva già preso confidenza con la cucina, e qualcosa gli diceva che presto l’intera casa non avrebbe avuto più segreti per lei.
Bevve il liquido scuro e dolce, trattenendo i suoi istinti maleducati che lo stava spingendo a buttarlo e rifarlo amaro come piaceva a lui e tentando in tutti i modi di far trasparire solo la sorpresa e la gratitudine.
< ...grazie. > borbottò < Ma la scritta sul muro non te la perdono. >
Scusa. – troppo repentine, le repliche della trovatella. Manco le stesse trasmettendo a voce. – Il muro mi sembrava triste, tutto bianco.
Il muro era triste.
Ah.
...
< Ehi, scricciolo, posso chiederti un favore? > domandò alzandosi in piedi e dandole le spalle per lavare la tazza. Aveva preso l’abitudine di fare lui questi lavoretti, da quando suo fratello era tornato in Hokkaido.
Il colpo sul tavolo che stava a significare che sì, poteva, lo raggiunse, provocandogli una lieve increspatura molto simile ad un sorriso sulle labbra candide.
La prossima volta, niente cannella.
Questo, credeva di essere in procinto di chiederle. Credeva, appunto.
< Ti togli quel cappuccio della testa? > disse senza rendersene conto e voltandosi per poterla guardare.
Quella frase riempì presto la stanza, prendendo praticamente il posto dell’ossigeno e creando un’atmosfera piuttosto imbarazzante. Inutile dire che quel tono tenero era parso totalmente estraneo a colui che aveva parlato; dal canto suo, lo scricciolo sembrò interdetta e parecchio stupita per qualche attimo, probabile era che anche lei si aspettasse qualcosa riguardante il caffè appena consumato dal padrone di casa. Poi, sorrise divertita, e quasi cacciò un risolino.
Assentì con un cenno del capo e portò le chiare dita sottili a stringere la lana soffice e calda che le contornava il viso. Esitò un attimo e poi, con un gesto rapido, lasciò cadere il copricapo all’indietro, sulle proprie spalle.
E l’altro per poco non lasciò cadere la tazza, che teneva ancora in mano, per terra. Per fortuna evitò di infrangerla in mille pezzi, però ci era andato davvero vicino.
Il motivo era semplice: senza quel ...coso sul capo, Yuuka sembrava un piccolo angelo. Lunghe e mosse ciocche castano nocciola le scendevano lungo i connotati del volto e del collo. Il modo in cui quella capigliatura si intonava ai suoi occhi profondi e taglienti era impressionante.
Sentendosi troppo osservata, la sedicenne fece fluire il sangue alle guance.  
Perché mi guardi così?– scrisse in fretta, facendo imporporare impercettibilmente anche le gote del rosa.
< Niente. > mentì < Oggi vado all’università, ce la fai a stare sola? > cambiò argomento posando la tazza e iniziando a dirigersi verso il bagno per darsi una lavata e potersi vestire. Sentì un colpo sul tavolo, e anche un secondo.
< Come, no? > domandò palesando la sua ansia. Non poteva certo rimanere a casa, né tantomeno portarsela dietro.
Non voglio stare sola. – ribatté fissandolo timorosa e imbarazzata.
< Perché? > capì di aver inasprito il suo tono di esasperazione quando la vide voltare le pagine fino a trovare uno dei messaggi scritti la sera prima.
Ti prego non ti arrabbiare.
Un qualcosa di freddo lo infilzò nello stomaco. Grande, aveva ricevuto quella supplica due volte, e di sicuro, conoscendo sé stesso, non sarebbero state le uniche. C’era da metterci la mano sul fuoco, ma tentò di ignorare quella sensazione.
< Perché? > ripeté provando a non apparire inquieto, anche se a dirla tutta era facile fargli venire i nervi a fior di pelle. Qualcosa che non lo aiutava era il modo in cui ora Yuuka sembrava incerta se rispondergli o meno, ad esempio, facendogli perdere ancora altro tempo. < Yuuka, perché? > insistette.
Il pennarello si mosse sul foglio.
Ho paura.
< Cosa ...? > mormorò appena quando il quaderno fu girato nella sua direzione. Aveva ...paura? E di cosa?
Non so perché. Solitudine e tuoni. Sola. – non smise di scrivere. Atsuya non sapeva cosa rispondere, cosa dire e cosa fare, e in particolar modo come sentirsi, quale emozione provare. Pena, forse? No, non era la cosa adatta. Mestizia? Nemmeno, già la trovatella era triste di suo ...
Nonostante la confusione, però, quella paura aveva un senso. Quando l’aveva trovata era sola, sotto la pioggia, a subire il frastuono dei fulmini e dei tuoni; molto probabilmente era stata abbandonata al suo destino, magari non intenzionalmente, e rimanere tutta sola non poteva che essere una cosa negativa.
< Io sto diventando troppo sentimentale ... > considerò con un sospiro abbattuto, poi la scrutò di nuovo. < E va bene, vieni anche tu. > la scintilla che si accese nelle iridi scure di Yuuka lo fece sentire meno meschino e molto, troppo buono. Ma la sensazione appariva positiva nel suo stomaco, e quindi sollevò debolmente gli angoli della sua bocca per ricambiare il sorriso che gli era stato appena rivolto. < Ma sbrigati, ti devi cambiare. Forse ho dei vecchi vestiti di quando andavo al liceo ... > già, Shirou li aveva conservati, alcuni.
Mentre frugava nell’armadio con quella dietro, si chiedeva come un pazzo come avrebbe fatto a spiegare la presenza di quella poco più che bambina ai suoi compagni d’università, in particolar modo a quei pettegoli di Midorikawa e Kazemaru, che sicuramente avrebbero pensato male.
Quella cosa sarebbe finita di certo male, ma ...quel Grazie scritto su quel grande rettangolo di carta gli fece dimenticare quel presentimento, che affondò nel sorriso dolce e infantile dello scricciolo. 
  
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