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Autore: driu    02/02/2013    6 recensioni
(…) “Pensavo ne avessimo parlato Haz, non posso comprare anche un cane; ho già Fred...”
Si fermò un attimo a riflettere, poi spostò gli occhi sul ragazzino e gli sorrise, portando l’indice a sfiorargli il naso leggermente rosso e guardandogli le labbra socchiuse.
"…e te."
[Larry Stylinson; Harry+Louis; Romance]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parole: 3773
Rating: arancione
Pairing: Harry-Louis (Romance)
 
 
 
 
Come sempre, vi consiglio la lettura accompagnata da questa canzone che è la storia di per
se.
Ci vediamo giù belli e belle.
 


 









 

Forever and always.




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Nella piazzetta le voci della gente si mischiavano a formare un brusio incomprensibile.
I due ragazzi camminavano in silenzio discosti dal marasma generale, addossati al muro illuminato di una casa.
Da lontano già si potevano vedere la compagnia del più giovane che lo salutava.
“Allora… grazie per avermi accompagnato.”
Soffiò timidamente Harry, le mani ancora nelle tasche e il mento affondato nella sciarpa spessa, le guance rosse non solo per il freddo dicembrino.
Louis lo guardò intenerito, anche lui impegnato nel contempo a ripararsi dal gelo pungente.
“Figurati.”
Si fermò e così fece anche l’altro.
“Salutami mia sorella.”
Gli aggiustò il cappello in testa e gli tolse un po’ di neve dalle spalle, per poi sorridergli più di prima.
“Ok…”
Mormorò senza convinzione il diciassettenne, ancora con la testa bassa.
Louis gli diede un buffetto sulla guancia ancora più imbarazzata di prima e cominciò ad allontanarsi.
“Ehm… Louis?”
Si fermò e si voltò interrogativo verso il piccolo che aveva alzato timidamente gli occhi, incitandolo a continuare.
“Non vuoi venire con noi?”
Me.
‘Me’ avrebbe tanto voluto dire, ma non gli sembrava il caso.
Quello sorrise - come quella sera non riusciva a smettere di fare - e scosse la testa.
“Mi spiace, non posso. Devo tornare al lavoro.”
L’altro arrossì esageratamente e si maledì.
“Certo, certo che stupido. Ciao Louis.”
Si girò velocemente e quasi corse verso i suoi amici sotto lo sguardo di rimprovero della sorella del maggiore.
Il liscio entrò nella propria macchina e, non prima di aver acceso il riscaldamento, si immise nel traffico che caratterizzava le strade prima di Natale.
Non passarono neanche una decina di minuti, nei quali il ragazzo rifletté su ciò che doveva fare quella sera in ufficio, che sentì un colpo al lato sinistro della vettura.
Sobbalzò e, preoccupato, fermò la macchina sul ciglio della strada, scendendo poi velocemente.
Ciò che si trovò davanti lo fece fermare stranito: Harry, piegato sulle ginocchia, ansimava pesantemente.
“Ma che… Harry?”
Quello deglutì con  ancora la bocca aperta e lo guardò, gli occhi verdi e lucidi che lo inchiodarono dov’era.
“Louis, solo… ti prego, solo adesso.”
Il ventiseienne lo scrutò sempre più confuso, fino a quando il piccolo gli si avvicinò tremante e lo appoggiò sulla carrozzeria della macchina.
“Harry…”
Cominciò Louis, ma l’altro si affrettò a premere le labbra su quelle del più grande.
Lo baciò, lo baciò come solo un diciassettenne sa fare, insicuro e spaventato, le mani che si muovevano scomposte sul suo viso.
Stette fermo per tutto il tempo, gli occhi spalancati.
Lentamente Harry si staccò, le mani ancora sulla pelle dell’altro.
“Oddio..”
Cominciò ad indietreggiare.
“L-Louis scusami… io.. me ne vado… scusa.”
Balbettò, incespicando sulle proprie parole e sui piedi camminando all’indietro, il maggiore che lo guardava ancora attonito.
Poi, la caviglia messa male, il ragazzo cadde per terra, finendo con metà faccia in una pozzanghera sporca, gemendo.
Louis lo vide non alzarsi da terra, lì, sporco ed umiliato.
D’un tratto, sentì dei singhiozzi.
“Scusami Louis.. S-scusa.”
Il giovane cercò di alzarsi malamente, piangendo di se stesso e della sua misera vita.
Due braccia lo avvolsero da dietro e lo tirarono su.
“L-lou…”
Mormorò, con la voce spezzata.
Lo guardò in silenzio, stringendolo sempre.
“Sta zitto.”
Ed Harry poté dire di essere felice, quando l’uomo gli premette la bocca contro la propria.
“Sempre.”
Gli sussurrò il liscio.
Harry scosse la testa ormai leggera e pianse ancora un po’.
Gioia.
“Per sempre.”
Lo corresse.
 
 
 
§
 
 
 
Il silenzio nell’abitacolo prendeva quasi forma di fianco al ragazzo che, immobile, guidava fissando la strada.
Si fermò con calma al semaforo rosso, frenò gradualmente fino a fermare la macchina, poggiandosi con la stessa velocità allo schienale, le mani ancora a stringere il volante.
Davanti, sulle strisce pedonali, passarono una mamma con due bambini scorrazzanti.
Ma lui riusciva solo a vedere la luna.
 
“Lou! Lou guarda come brilla!”
Si avvicinò alle spalle del piccolo - che, ormai, più tanto piccolo non era, ma a lui piaceva ancora pensarla così, ricordarsi delle sue braccia che riuscivano ad avvolgerlo completamente - e gli poggiò il mento su una di esse, osservando più il viso sorridente di Harry che l’oggetto preso in considerazione. Gli pose le mani sui fianchi e sorrise baciandogli il collo.
Il ragazzino mugugnò con disappunto e lo richiamò.
“Lou, guarda la Luna.”
 Ripetè con sicurezza, rialzando il braccio ed indicandola, segretamente pago delle attenzioni rivoltegli dal fidanzato.
Quello ridacchiò accontentandolo finalmente e fissò lo sguardo dove gli era stato chiesto.
“Si Haz, è piena.”
Commentò senza molta convinzione, preferendo di gran lunga rimirare altro che quel corpo celeste onnipresente.
Il riccetto sembrò non accorgersi dello scarso interesse del compagno ed abbassò la mano portandola su quella di Louis, ancora poggiata sulla sua anca, al contrario dello sguardo che brillò più di prima.
“Ma… non è bellissima?”
Louis aspettò un secondo ancora, guardò la Luna e poi Harry.
La Luna ed Harry.
Harry.
Lo prese dalle spalle e lo girò, fissandolo negli occhi.
“Si.”
Mormorò, accarezzandogli le guance morbide con le mani ed, infine, le labbra sorridenti con le proprie.
 
Si accorse del semaforo verde a causa di un colpo di clacson della macchina dietro di lui; ingranò la marcia ed alzò una mano in segno di scusa, per poi ripartire.
Le strade a quell’ora della notte - si trovò a notare - erano più buie e vuote di quello che si potesse immaginare.
Guardando sui marciapiedi ci si poteva quasi immaginare il passo frenetico delle persone a mezzogiorno, quello infreddolito dovuto ai geli invernali ed ancora quello spensierato durante le afose estati.
Ora, invece, osservandoli si scorgevano ombre e mattonelle vuote, saracinesche abbassate e cestini stracolmi. E il silenzio.
A quell’ora della notte, insomma, la vita dormiva.
Svoltò incerto un angolo per arrivare all’ampio e semideserto parcheggio, si infilò in un posto auto vuoto e girò la chiave nel quadro della macchina, sentendola tossicchiare un’ultima volta per poi spegnersi.
Stette alcuni minuti con la fronte bassa e le mani ad accarezzare il volante consunto.
Alzò giusto un attimo gli occhi, quel tanto che bastò per fargli scorgere una collina in lontananza.
E, per la prima volta quella sera, gli occhi si fecero pesanti.
 
“Facciamolo.”
Il grande aggrottò la fronte, continuando però ad accarezzare il braccio nudo del ragazzo sdraiato completamente sopra di lui.
Stava sudando in maniera esagerata perché, pur non avendo né coperte ad infastidirlo né finestre aperte che facessero entrare il caldo estivo e sopra la testa girasse ondeggiando una pala, il corpo nudo di Harry ad opprimerlo contro il materasso sfatto non lo aiutava a mantenere una temperatura corporea a livelli piacevoli.
Ma non l’avrebbe spostato per nessun motivo, constatò con un sorriso sarcastico in viso.
“Pensavo ne avessimo parlato Haz, non posso comprare anche un cane; ho già Fred...”
Si fermò un attimo a riflettere, poi spostò gli occhi sul ragazzino e gli sorrise, portando l’indice a sfiorargli il naso leggermente rosso e guardandogli le labbra socchiuse.
“…e te.”
Harry si esibì in una smorfia di profonda offesa e si liberò dalla stretta di Louis, scendendogli da sopra ed andando a sdraiarsi dalla parte opposta dell’immenso lettone matrimoniale, la schiena rivolta al ragazzo.
“Non ti parlo più.”
Sentenziò chiudendo gli occhi, deciso ad ignorarlo.
Il grande esplose in una gioiosa risata che fece tirare le labbra anche all’altro.
Si maledì per essere così condizionato da quel suono e le serrò con convinzione, mentre il liscio gli si metteva a cavalcioni e gli portava i polsi ai lati della testa.
Le rughe che gli increspavano gli occhi.
Le labbra aperte che gli sollevavano gli zigomi.
Le guance gonfie.
La barba leggera sul mento poco pronunciato.
Il naso che si arricciava di tanto in tanto.
I capelli arruffati, una ciocca a cadergli sulla piccola fronte.
Harry non si accorse di essere immobile senza opporsi, lo sguardo incantato sull’umano più bello della galassia e un sorriso stupido sul volto fino a quando Louis gli lasciò i polsi e si chinò sul suo viso, ancora a cavalcioni sul suo addome.
“Mi hai già perdonato.”
Era un’osservazione, non una domanda, e questo portò Harry a muoversi fintamente infastidito per levarselo di dosso; il liscio ridacchiò lievemente, prima di appoggiare le labbra sulla guancia del suo ragazzo, un bacio che solo lui sapeva regalargli, meglio di qualunque altra effusione.
Il riccio si rilassò e sorrise finalmente anche lui, premendoselo ancora ed ancora su quella porzione tenera di pelle ora umida.
“Non intendevo quello.”
Asserì tranquillo, come se stesse parlando ad un bambino cocciuto.
L’altro sollevò la testa confuso, spostandogli una matassa di capelli che gli cadeva sulla fronte.
“Ah no?”
“No.”
Si mise comodamente seduto sulla sua pancia e puntò le mani sui suoi pettorali, guardandolo curioso in attesa di una spiegazione.
Harry cominciò ad accarezzargli le cosce, non più sicuro di quella proposta  che prima gli sembrava così giusta; poi però deglutì e si diede coraggio.
“Andiamo a vivere insieme.”
La sua voce un po’ tremava, ma la paura se n’era andata con la stessa velocità con cui si era presentata.
Si alzò frettolosamente dal letto, scostandosi di dosso il ragazzo ed avvicinandosi eccitato alla finestra.
“Guarda.”
Puntò un dito sul vetro freddo lasciandoci l’impronta ed indicò una casetta su una collina in lontananza.
“Immagina: io che torno da scuola, apro la porta e preparo il pranzo in casa nostra; tu che torni di pomeriggio dal lavoro e ritrovi il pasto pronto… - qui ridacchiò, perso nelle sue fantasie - o almeno immagina sia così, sai che non sono un ottimo cuoco. Poi però io sentirei la porta sbattere da camera nostra, metterei da parte i libri e correrei giù dalle scale per venire ad abbracciarti come si deve. Tu saresti stanco, ma mi sorrideresti e tenteresti di apprezzare la mia cucina - ridacchiò nuovamente, guardando la collina -. Di sera potremmo ordinare qualcosa dal cinese e mangeremmo davanti al camino, con Fred che ci miagola intorno e, magari, un cane, perché la casa sarebbe enorme. E saremo insieme.”
Harry finì il racconto con il fiato corto e gli occhi luccicanti, voltandosi infine verso Louis, non trovandolo però come avrebbe voluto.
Questo lo guardava con una punta di disagio sul volto, seduto sul letto.
“Haz, io lavoro, l’hai detto anche tu, ho ventisei anni, mentre tu…”
Deglutì, si passò una mano tra i capelli e posò lo sguardo ovunque, tranne che sul ragazzo che era ancora in piedi di fianco alla finestra, impaurito.
Finalmente alzò gli occhi e li puntò su quelli verdi dell’altro.
“…tu ne hai diciassette.”
Lo scrutò un po’, maledicendosi nel vedere il viso innamorato del ragazzino spegnersi lentamente di quella luce meravigliosa che lo aveva caratterizzato fino a poco prima.
“Non sto dicendo di no, solo che mi sembra presto.”
Tentò disperatamente di riparare la situazione, picchiettando poi sul materasso incitandolo a raggiungerlo.
Harry guardò per terra, sorridendo timidamente, fingendo di aver compreso quando l’unica cosa che avrebbe voluto era amare senza freni.
“Si… si hai ragione, è troppo presto ancora.”
Camminò fino al letto e spinse Louis contro il materasso, riponendosi nella posizione originale non prima però di aver spento la luce.
“Buona notte Lou.”
Mormorò, stringendosi al petto del maggiore.
“Haz…”
Tentò, ma non aggiunse altro.
Louis lo accarezzò tutta la notte, non chiuse occhio, perché sapeva che Harry, pur con gli occhi chiusi e il viso da bambino, di sogni non ne stava facendo.
 
Si alzò stancamente dal sedile e chiuse la macchina, mentre si avviava sul fronte dell’edificio la cui insegna risplendeva nella notte più buia e deserta che mai.
Hospital.
Non permise ad altre riflessioni di fargli breccia nella mente ed entrò attraverso le porte scorrevoli, attraversò il corridoio immenso che fungeva da sala d’aspetto, una colata infinita di cemento illuminato da luci ad intermittenza.
Louis si guardò intorno mentre la receptionist da lontano lo vedeva arrivare e, davvero, non credé di aver mai visto nulla di più lontano.
Si sentì solo, solo insieme ad Harry, solo a lottare per due, in un edificio i cui muri cadevano a terra e che probabilmente, compreso lui, le persone presenti nella struttura non superavano i tre.
Si fermò davanti al bancone, non salutò, non alzò lo sguardo.
“Harry Styles.”
Si limitò a sussurrare, come se anche solo il pronunciare il suo nome avesse potuto consumarlo.
La donna digitò per alcuni secondi sul computer ronzante per poi riferirgli con compassione “Stanza trenta, secondo piano, reparto di terapia intensiva.”
Louis si girò e cominciò a camminare in quella desolazione.
Fece le scale come se non ne avesse mai viste prima, fece ogni cosa come se fosse la prima, anche respirare.
Sarebbe impazzito se non avesse trovato un occupazione.
Arrivò al secondo piano e camminò, camminò e camminò.
Vuoto, ecco tutto ciò che vi era tra quei corridoi e nella sua mente.
Ventidue, ventiquattro, ventisei, ventotto…
Trenta.
Si fermò davanti alla porta e, tremante, fece volare lo sguardo sulle seggiole d’attesa.
Vuote.
Ci si accasciò sopra, stanco, vuoto anche lui, non volendo quasi accorgersi dei due poliziotti che gli si affiancavano.
“Louis Tomlinson?”
Disse uno dei due, controllando e leggendo con difficoltà il nome da una cartellina con tono freddo e formale.
Il ragazzo alzò lo sguardo e si schiarì la gola, si passò una mano sugli occhi ed aggiustò la postura.
“Si?”
Gracchiò con voce malferma, sentendola rimbombare per i corridoi, assordandolo.
I due si sedettero nelle sedie ai lati del ventenne.
“Il suo amico ha avuto un incidente d’auto, e vede…”
Ma la voce dell’uomo si perse nell’aria nel momento che un’infermiera aprì la porta trenta ed uscì, indifferente e fredda come tutte le persone quella sera, lasciando però a Louis una fugace visione di ciò che in quel momento non avrebbe mai voluto scorgere.
Due piedi.
Due piedi immobili, bianchi come un foglio di carta, due piedi scoperti sopra ai quali partiva un lenzuolo azzurrino che ne nascondeva le caviglie.
La camera fu chiusa in fretta.
Ma i ricordi erano arrivati a quel ragazzo ormai uomo che non udiva più alcun suono, non quello dei poliziotti o del vento urlante, ma solo l’eco di una risata.
 
“Lou, posso farti una domanda?”
Il ragazzo annuì distrattamente, mentre leggeva il giornale e masticava una brioche ancora calda.
Accidenti ai blocchi stradali.
“Però mi prometti di non spaventarti, ok? È solo una curiosità.”
Ci tenne subito a precisare il piccolo, prevenendo un possibile infarto del fidanzato, fidanzato che alzò gli occhi dal pezzo di carta e gli sorrise mandando giù il dolce.
“Certo Haz, dimmi!”
Il riccio si accucciò meglio sul divano e si rilassò.
“Hai mai pensato a dei bambini?”
A differenza di quello che pensava - conoscendo il carattere del ragazzo - quello si aprì in un sorriso e si alzò dalla sedia, andandosi ad inginocchiare di fianco a lui.
“Si, ci ho pensato, ma penso di essere ancora troppo giovane per averne.”
Gli accarezzo teneramente una guancia e gli passò una mano tra i ricci.
“Però…”
Si avvicinò alle sue labbra, mentre il piccolo gli sorrideva contento.
“…se dovessi averne, li vorrei con te.”
E lo baciò.
Quel bacio e quel ‘Sempre e per sempre’ sussurrato Harry se li chiuse nel cuore.
 
Louis si alzò dalla sedia, interrompendo il racconto dei due poliziotti che lo guardarono confusi avvicinarsi alla porta.
Afferrò la maniglia e, piano la abbassò.
“Ei aspetti, lei non può entrare!”
Lo ammonì un’infermiera, senza però realmente fermarlo, forse disinteressata o troppo stanca.
A malapena Louis udì ciò che gli altri gli dicevano e fece un passo dentro alla trenta, l’odore di disinfettante nell’aria.
Rivide quei piedi e si fermò, chiudendo gli occhi.
Puoi farcela, Louis? Si chiese. Poteva farcela? Poteva vederlo e non crollare?
Perché se lui crollava, nessuno avrebbe più lottato per loro, per due piedi freddi e bianchi e immobili.
Respirò e soffiò fuori l’aria e poi, come a rallentatore, scostò la tendina che nascondeva il letto.
 
E lui era lì.
 
Forse Louis avrebbe dovuto interrogarsi meglio, più a lungo, perché capì che lui, da quel momento, un cuore non ce lo avrebbe più avuto.
Non vide il corpo martoriato coperto dal telo azzurrino, non vide le gambe tumefatte fasciate, non vide le braccia collegate a quelli che gli parevano migliaia di aghi e tubi, non vide il suo viso rosso, gonfio, non vide gli occhi chiusi, non vide e non avrebbe visto i capelli ricci tagliati e il capo bendato.
 
Vedeva un corpo coperto e il volto del suo dolce Haz che rideva guardandolo.
 
Puntò lo sguardo sul petto e così stette per quella che gli pareva tutta la sua vita, lo vedeva abbassarsi e tratteneva il fiato fino a quando, piano e con troppa fatica, quello si rialzava.
Si inginocchiò al letto, non sapeva dove mettere le mani.
Non voleva toccarlo.
“Haz…”
Sorrise folle e lo scosse tremante con una mano.
“Haz, dai, non fare così.”
Tirò su con il naso e ridacchio, pulendosi con il pugnetto la faccia che, senza accorgersi, si era bagnata.
“Harry.”      
Cominciò ad essere arrabbiato e lo scrutò con la fronte corrugata e la mano sempre a scuoterlo piano, ma forse troppo per l’altro.
“Signore deve uscire.”
Lo riprese l’infermiera di prima.
Quello la guardò con odio, perché Harry si divertiva a fargli questo genere di scherzi e quella donna lo stava aiutando.
Ma una parte, piccola, sapeva che Harry in quel momento non stava tentando di trattenersi dal ridere.
Guardò ancora la donna, in piedi davanti a lui, e poi i due poliziotti che stavano sulla soglia della camera.
E forse, forse fu per quello, forse fu perché la mano di Harry non poteva essere così poco sua, forse perché il viso di Harry, lui, non lo riconosceva più, un barlume di consapevolezza gli si affacciò nella mente.
Fissò con occhi sgranati il corpo steso e le lacrime si fermarono.
“Harry…”
Lo scosse un’ultima volta e, come un incantesimo, il volto sorridente del piccolo si dissolse, lasciando il posto ad uno tumefatto e gonfio.
Si portò una mano al cuore ed ansimò.
No.
No, no no.
Gli prese la mano e se la portò alle labbra chiudendo gli occhi, pensando a quando, tre ore prima, quella stessa mano si muoveva da sola nell’atto di accarezzargli i capelli.
Si raggomitolò sulla sedia di fianco al letto e cominciò a pregare.
Pregò per ore, continuando ad accarezzare allo stesso ritmo continuo il palmo freddo.
Pensò alla casa sulla collina.
Pensò ai bambini che avrebbero dovuto avere, insieme.
Pensò al loro ultimo sguardo.
Pensò al fatto che stava morendo,
solo.
Si alzò di scatto e si asciugò la faccia con una mano, guardò il suo ragazzo e gli mormorò sorridendo “Aspettami.” Per poi correre fuori.
Cercò ovunque, ma alla fine la trovò.
La cappella dell’ospedale.
Si precipitò nel reparto medicazioni e recuperò due cerotti.
Li chiuse a formarne due anelli e li infilò in tasca.
Tornò alla trenta e fermò i due poliziotti.
“Dovete farmi da testimoni, vi prego.”
Gli uomini lo guardarono straniti ma alla fine cedettero a quella faccia che sorrideva perché non poteva più fare nulla.
Si posizionò nuovamente di fianco al letto del giovane e lo guardò con amore, mentre il suo petto continuava a percorrere quel costante movimento regolare.
“Haz, ti amo tanto.”
Sussurrò, prendendolo per mano, e tutti i momenti gli passarono davanti agli occhi.
Pensò alla risata di Harry in mezzo ai suoi amici di università.
Pensò al loro primo sguardo.
Pensò a quel ragazzo senza nessuno che portava su di se i problemi di tutti.
Pensò alla spensieratezza che lui aveva, pur avendo solo quella.
Pensò alla sua pessima cucina.
Pensò alla genuinità del carattere del suo piccolino.
Pensò a tutte le volte che avevano fatto l’amore.
Pensò alla sua timidezza.
Pensò al ‘Sempre’ ‘No, per sempre.’ Che gli aveva giurato.
Pensò al suo fidanzato, al suo migliore amico, a lui che era il suo futuro.
E mentre il prete parlava e la gente che si fermava davanti alla porta della camera ridacchiava insieme ai poliziotti, lui cominciò a piangere, perché c’era il viso contratto dalle risate di Harry nel corpo a cui stringeva la mano, perché le risate di quelle persone estranee erano ignorate da entrambi, non solo da lui stesso.
“Ti voglio per sempre…”
Sempre e per sempre, mormorò piangendo sempre più forte il grande.
“Attraverso le cose buone, cattive e brutte…”
Continuò lui stesso, stringendo con entrambe le mani quella immobile dell’angelo riccio.
 “Cresceremo insieme…”
Gli accarezzò una guancia ed Harry, il suo Harry, gli sorrise ancora una volta ridendo, facendo ridere anche lui.
“E ricordati sempre Haz che felice, triste o qualsiasi cosa tu sia…”
Gli baciò la mano, il petto che continuava a muoversi, i ricordi e le parole che devastavano Louis.
“… che noi ci ameremo piccolo…”
E poi, lentamente, gli infilò uno dei due cerotti al dito e fece lo stesso con se stesso, abbassandosi.
“…Per sempre e sempre.”
Gli sussurrò all’orecchio, baciandolo ovunque potesse, Harry che si ritraeva con il suo sorriso enorme e lo guardava con gli occhioni verdi lucidi, brillanti.
La testa di Harry si mosse impercettibilmente, e Louis spalancò gli occhi rossi.
Nella stanza gli infermieri si rincorrevano e strattonavano Louis, ma questo era trattenuto da una debole stretta della mano del piccolo.
Fissò il suo volto sfigurato e vide una palpebra sollevarsi, vide lo sforzo immenso di Harry nel fare questo gesto, vide le sue labbra che si dischiudevano e sentì un sibilo indistinto.
 
“Sempre e per sempre.”
 
 
 
 
§
 
 
 
 
“Quello che successe dopo, signori e signore, a noi non piace ricordarlo.
Si sentì solo un ‘bip’ che andava a diminuire e tante, davvero tante voci che si accavallavano.
Louis si sentì solo trascinare fuori dalla camera accompagnato dal lungo e costante fischio dell’apparecchio attaccato al suo piccolo, ma non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dal corpo di Harry.
Quando fu portato fuori, fece ancora in tempo a vederlo un’altra volta, in mezzo a tutto e tutti, lui e la mano ancora penzoloni fuori dal letto, il petto che veniva scoperto, prima che la porta fu chiusa, per sempre.
Ma a noi non piace ricordarla così la fine di questa storia.
Harry non era morto da solo, anche se non c’era nessuno ad aspettarlo nei corridoi di quel lugubre ospedale, accudito da infermiere che rasentavano i robots.
A noi piace ricordare Louis che fu felice quando la porta gli fu sbattuta in faccia, perché Harry gli aveva permesso di vedere un'ultima volta le sue iridi verdi, perché sapeva che Harry, poco prima, gli aveva promesso l’eternità.
Ed anche a Louis piace ricordarla così la sua storia, la sua vita trascorsa con di fianco il suo Haz e, nel cuore, quell’ultima promessa.
Forever and always.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Driu.
 
Ed eccomi qui, gente!
 Allora, prima di qualunque altra cosa voglio ringraziare tuuutte coloro che hanno recensito la mia scorsa (e prima!) one shot Be us.” :
 
littleblackraincloud
_harrysdimples
Sunset
sheloveshim890
everythingaboutyoux
Brandy amber (amo la sua fic **)
 
Ed ovviamente anche le seguite, preferite e piaciute (?).
 
Grazie ragazze, siete dolcissime con me, tutte.
 
Poi vorrei spiegarvi che… NO, non sono masochista.
Scrivo queste brutture perché amo la Larry Stylinson e finchè non verrà fuori per me sarà sempre una tragedia.
E tanto per spendere due parole su tutto ciò, bhè, a me non convince per niente.
Voglio dire, è una cosa scritta nella fretta più assoluta e abbastanza sconclusionata, ma la pubblico comunque per rendere onore a questa canzone magnifica (della quale, tra parentesi, vi consiglio di leggerne il testo perchè è un qualcosa di magnifico) e per dar pace al mio blocco dello scrittore.
Scusate eventuali errori ortografici ed altro, l’ho riletta un centinaio di volte quindi abbiate pietà!

Mi farebbe davvero piacere ricevere qualche opinione ragazzi, davvero davvero davvero tanto.
QUALUNQUE cosa, qualunque cosa vi passerà per la mente quanto leggerete l’ultima parola di questo spazio autrice, bhe, mi farebbe piacere sentirla, perché forse voi non ve ne rendete conto, ma l’autostima e le riflessioni personali di una “scrittrice” dipendono completamente da voi.
Vi risponderò nel modo più adeguato ed esaustivo che riuscirò, riuscite già a farmi dei regali enormi con tutte le mie altre storie (non credevo che “Be us” potesse ricevere 6 recensioni che, per me, sono un piccolo successo), sono sicura che mi stupirete ancora - spero in meglio! - :)
Un bacione a tutte, a presto.
Driu.
 
Ps.  Tanti auguri piccolo..

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