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Autore: CignoNero    03/02/2013    0 recensioni
Quanti di voi credono nell’amore? L’amore quello vero s’intende.
Quello profondo, intenso, quello che ti toglie il respiro e ti strappa il cuore dal petto.
Avete mai amato una persona tanto da distruggere voi stessi?
Perché infondo, è questo che succede quando ci s’innamora...soprattutto quando l’amore non è corrisposto.
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO .1

 

<> Un giovane ragazzo dal viso stanco e spaventato, indietreggiava sempre di più, mentre il suo pusher di fiducia accompagnato dai suoi due tirapiedi, era pronto ad attaccare.

<< Dove sono i miei soldi fottuto bastardo? >> Slim sferrò un pugno sul volto del giovane ragazzo e lo lasciò sanguinante sull’asfalto.

<< Ti do ventiquattro ore per pagare la merda che ti fumi con i tuoi amichetti, dopodiché ti ritroverai con una pistola puntata alla tempia. >> Si chinò e prese il ragazzo per la maglia facendolo rialzare. Poi gli voltò le spalle e sparì nell’oscurità di quel vicolo della città di Milano.

Slim era il peggior spacciatore in circolazione, non perchè facesse male il suo lavoro, ma perché era una pessima persona.

Tutti lo descrivevano come una bestia, un mostro di uomo privo di sentimenti, il suo cuore era gelido come il ghiaccio. Tutti a Milano parlavano di lui, e tutti sapevano che, se gli avessero mancato di rispetto, si sarebbero trovati con un’arma da fuoco puntata alla tempia e il cervello nelle mani di Slim. Insomma era il boss della città di Milano.

Ovviamente come tutti i boss che si rispettano, anche Slim aveva dei tirapiedi. Una banda di ragazzini pronti a morire per il loro capo. Avevano tutti tra i sedici e i vent’anni e nessuno di loro girava senza un’arma.

I migliori per Slim erano Mike e Alan, due fratelli di diciannove e diciotto anni che lo seguivano ovunque, da quando avevano capito che andare a scuola non sarebbe servito a nulla e che l’unica cosa importante nella vita erano i soldi e il rispetto. Che cosa si poteva pretendere da quei ragazzi, con un esempio del genere davanti?

Slim non aveva passato una bella infanzia. I suoi genitori erano morti quando aveva dieci anni, a causa di un incidente stradale. Nessuno dei suoi parenti volle prendersi la briga di crescere un bambino squilibrato e casinista, quindi il piccolo Slim fu sballottato da un orfanotrofio all’altro, ma anche lì non ebbe fortuna, nessuna famiglia volle adottarlo, fino all’età di quattordici anni.

Così la proprietaria dell’orfanotrofio in cui si trovava decise di portarselo a casa.

Quello fu lo sbaglio più stupido che potesse fare. Slim iniziò a uscire, a farsi la sua comitiva di amici e a combinare i primi casini in giro. Dai quattordici anni ai diciotto non fece altro che entrare e uscire dal carcere minorile, con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti, furti e violenze. A vent’anni se ne andò di casa e si trasferì in un appartamento nella periferia di Milano. Ora, a venticinque anni, era diventato un uomo cattivo e con un odio profondo verso ogni essere umano. La gente rabbrividiva solo a guardarlo.

Nonostante le sue brutte maniere, era sempre circondato da donne, di ogni età. Ovviamente con loro il suo comportamento non cambiava, le trattava tutte come degli oggetti.

Dopotutto era un bel ragazzo: alto all’incirca un metro e ottanta, corporatura da giocatore di rugby, capelli leggermente ricci e di color castano come i suoi occhi colmi d’odio.

Aveva lo sguardo stanco, lo sguardo di uno che ne aveva passate tante, ma aveva ancora la forza di lottare e andare avanti.

<< Che ci facciamo qui Slim? >> Chiese Alan guardandosi intorno.

Quel posto metteva i brividi. Era una strada senza uscita dove le uniche cose che c’èrano erano dei bidoni della spazzatura e un lampione che illuminava i volti dei tre ragazzi.

<< Aspettiamo un cliente. >> Rispose il capo sorridendo.

Dopo qualche secondo un ragazzo magrolino apparve dal fondo della strada. Era vestito in modo elegante e camminava insicuro verso i tre ragazzi.

<< è lui? >> Chiese Alan sorpreso. << Un figlio di papà, non gli manca nulla, perché si distrugge con questa merda? >> Continuò guardando Slim in cerca di risposte.

<< Ragazzo, non ci interessa la sua storia ma solo i suoi contanti. >> Rispose il boss, tirando fuori dalla tasca dei suoi pantaloni una bustina trasparente.

<< Mike, tocca a te. >> Disse poi avvicinandosi al ragazzo.

<< Raddoppio il prezzo a questo fighettino? >> Domandò il ragazzo prendendo in mano la busta con la coca.

<< Vedo che hai stoffa ragazzo! >> Slim diede una pacca sulla spalla al suo allievo e lo spinse verso il ragazzo che ormai era a pochi metri da loro.

Aspettarono che Mike finisse di servire il loro cliente e dopodiché si spostarono in piazza del duomo. Si misero seduti sui gradini davanti alla cattedrale sorseggiando birra e osservando la piazza ormai vuota a quell’ora.

<< Slim. >> Disse Alan facendo un tiro e passando lo spinello a suo fratello.

Slim lo guardò sorseggiando la sua birra e attendendo che il ragazzo andasse avanti.

<< Credo di essermi innamorato. >> Disse poi timidamente.

<< Cazzate! >> Disse Slim in tono cattivo.

<< No, è così. Lei è bellissima e dice di amarmi. >>

<< Sì, è così che funziona. Dicono di amarti, fanno qualche smanceria e poi quando sei cotto al punto giusto, ti fottono. >> Sì alzò in piedi e si dispose davanti ai due ragazzi.

<< Ascoltate bene. >> Disse poi. << Non dovete mai e dico mai mostrare amore. L’amore è cosa da sfigati, è per i deboli. >> Quelle parole Slim non le pensava davvero, lui sapeva bene quanto fosse importante amare qualcuno, ma sapeva anche che avrebbe dovuto trovare la persona giusta.

<< Giusto. >> Esclamò Mike, alzandosi in piedi e brindando con il suo capo che intanto rideva compiaciuto.

Alan non disse più nulla, rimase seduto in silenzio. Non condivideva il pensiero di Slim ma se voleva salvarsi la pelle, non aveva altra scelta, doveva tacere e accettare qualunque cosa dicesse il suo capo. 

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<< No, no e ancora no. Angelina le ho detto mille volte che mia figlia non deve mangiare carboidrati a colazione. Butti questa roba e le prepari una tisana alle erbe, svelta. >>

Aurora, una donna dai lungi capelli rossi e con più silicone in corpo che carne, rimproverava la propria domestica. Angelina, terrorizzata, fece dietrofront e tornò in cucina.

La donna dai lunghi capelli attraversò l’enorme salone della sua meravigliosa villa appena fuori Milano, ed entrò nella camera di Josefine, la sua unica figlia.

<< Amore è ora di alzarti, non lo sai che dormire troppo invecchia la pelle? >> Si avvicinò alle grandi finestre e aprì le tende. In un attimo la stanza dall’alto soffitto s’illuminò.

<< Mamma lasciami dormire. >> Mugugnò Josefine da sotto le coperte.

<< Tesoro abbiamo il grande gala questa sera, dobbiamo prepararci al meglio. Ho preso la briga di prenotarti un massaggio al centro benessere e subito dopo manicure e piega. >>

Josefine si scoprì il volto e si mise seduta: << Fantastico! >> Sorrise e si voltò a guardare la porta della sua camera, dalla quale entrò Angelina.

<< La sua colazione signorina. >> Posò il vassoio sul comodino e uscì dalla stanza.

<< Vado dall’estetista, a più tardi cara. >> Aurora prese quattro banconote da 500 euro e le posò sul comò di fronte al letto a baldacchino di sua figlia, dopodiché uscì dalla stanza.

Josefine si alzò dal letto, prese la sua tisana e iniziò a sorseggiarla. Poi si avvicinò al comò si guardò allo specchio e subito dopo abbassò lo sguardo. Sfiorò con le dita le banconote e sorrise soddisfatta.

Josefine era la classica ragazza snob, viziata e superficiale. Era cresciuta pensando che i soldi potessero comprare qualunque cosa.

Passava la metà delle sue giornate dall’estetista, dalla parrucchiera o a fare shopping con le amiche.

Fin da bambina aveva sempre avuto tutto ciò che desiderava. Lei non aveva idea di cosa volesse dire faticare o lottare per ottener qualcosa. I genitori l’avevano sempre accontentata in tutto.

Non era da tutti ricevere come regalo dell’ottavo compleanno una fattoria vera e propria, o una casa in montagna per i suoi diciotto anni.

Posò la tazza sul comò e si guardò nuovamente allo specchio.

Era una ragazza splendida. Aveva un corpo perfetto: la pelle bianca come il latte e una liscissima chioma bionda.

Entrò nella sua cabina armadio che assomigliava molto a un negozio di abbigliamento.

Prese un paio di jeans e una magliettina a maniche corte e si cambiò. Lasciò la vestaglia e le ciabatte sul pavimento accanto al letto, tanto sarebbe passata Angelina a riordinare.

Funzionava così, lei non alzava un dito in casa dal momento in cui Angelina era ai suoi ordini.

Avrebbero dovuto farla santa a quella donna. Ormai erano vent’anni che lavorava per la famiglia di Josefine e non aveva mai sbottato. Serviva una pazienza infinita per sopportare i capricci della piccola Jo, i compiti assegnati dalla padrona di casa Aurora e le prediche e i rimproveri del signor Alessandro, L’uomo di casa, il quale era sempre fuori per lavoro.

Josefine scese la lunga scalinata e arrivò nel salone, dove c’èra l’entrata principale della villa.

<< La sua auto l’aspetta infondo al vialetto signorina. >> La governante si avvicinò alla ragazza e le porse la borsa.

<< Grazie Angelina. >> Josefine sorrise, prese la borsa e si precipitò fuori dalla porta.

Attraversò il vialetto fatto di mattoncini, contornato da bellissimi fiori.

Salì sulla sua limousine nera e dopo aver salutato l’autista, gli ordinò di portarla in centro a Milano, dove avrebbe incontrato le sue due amiche, Elisabetta e Caterina.

 

 

  
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