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Autore: Chara    03/02/2013    5 recensioni
Phoebe è una semplice ragazza inglese, dal carattere un po' spigoloso e una modesta esperienza di uomini imbecilli. L'incontro con Joseph Morgan le aprirà gli occhi su quanto non sia il caso di fare di tutta l'erba un fascio, anche se ci vorrà un bel po' di tempo prima che il suo cervello accetti che quella che prova nei confronti dell'attore non è semplice attrazione fisica.
STORIA DA REVISIONARE!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joseph Morgan, Joseph Morgan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XXII

 

 

 

Avevo vinto io, alla fine. Il piano di Joseph non avevo nemmeno voluto sentirlo e, tuttora, non sapevo di cosa trattasse. Mi ero fissata con la mia idea, che sicuramente non comprendeva pugni ricambiati o estorsioni. O tentati omicidi. D’accordo, stavo esagerando. Joseph era una brava persona, non sarebbe mai arrivato a tanto e io ne stavo facendo un dramma. Avrei dovuto dargli più fiducia, ma, come ogni volta in cui ero preoccupata per qualcosa, ero terribilmente melodrammatica e volevo avere il controllo della situazione per evitare che qualcosa andasse male a causa delle mie negligenze. Vedevo tragedie ovunque, avrei dovuto prendere un calmante.

Ma la cosa divertente era che nei guai mi ci ero ficcata da sola, perché non sapevo se in realtà il mio piano fosse davvero meglio. E me n’ero pentita solamente dopo che Joseph aveva ceduto.

Mi maledii incessantemente per tutto il tempo in cui rimasi sotto la doccia, tentando di farmi incoraggiare dal getto caldo e costante, e mi domandai anche per quale motivo non avessi ascoltato anche le lamentele e la preoccupazione della signora Flynn.

«Sei ancora in tempo per ripensarci» sbuffò infastidito Joseph per l’ennesima volta, non appena mi vide uscire dal bagno. Era tutto il pomeriggio che continuava con quella tiritera; gli avrei tirato un pugno o presto o tardi. Gli lanciai un’occhiata in tralice, scoprendolo comodamente spaparanzato sul divano con Amber addormentata con il capo sulla sua spalla.

«Zitto – gli dissi a bassa voce e roteai gli occhi – La sveglierai.»

«Meglio – continuò pungente – Almeno sarai in minoranza e riusciremo a convincerti a non fare questa stronzata.»

Sbattei le palpebre stupita: non avevo mai sentito Joseph esprimersi in modo volgare. Doveva essere davvero irritato. Così risi leggermente, passandomi le dita fra i capelli freschi di piastra. Mi facevano impressione, ero abituata alle mie morbide onde casuali e non mi piaceva affatto quell’innaturale perfezione… ma sapevo che c’era qualcuno che l’apprezzava. Un tempo ero solita acconciarmi i capelli in quel modo per compiacere un idiota, e rifarlo in quel momento portò facilmente a galla ricordi spiacevoli.

«Sei un povero illuso – lo sbeffeggiai, avvicinandomi al divano con un sogghigno superiore – Amber sarebbe dalla mia parte, sa che non c’è altra scelta.»

«Sì che c’è» perseverò, cercando di non alzare la voce.

«Joseph – lo chiamai, portandomi alle sue spalle e posando le mani su di esse – Abbiamo rifatto questa conversazione almeno dieci volte oggi. Non hai ancora capito che non cederò?»

Lo vidi alzare una mano per sfiorare le mie dita, ma mi allontanai rapidamente, consapevole del fatto che, con il peso di Amber sul suo braccio, non sarebbe riuscito ad alzarsi per rincorrermi come faceva ogni maledetta volta.

Voltò il capo appena sopra la spalla e mi fulminò con uno sguardo, capendo come stessi sfruttando la situazione a mio vantaggio, e increspai le labbra in un sogghigno. Era lui di solito quello che mi metteva alle strette, che mi impediva di comportarmi come più mi andasse. Avrei sfruttato la situazione a mio vantaggio, per l’unica volta in cui mi fosse concesso.

Se ripensavo a poche ore prima, quando in quello sgabuzzino ci eravamo letteralmente spalmati l’uno sull’altra anche involontariamente, sentivo ancora caldo alle guance.

«Perché arrossisci?» chiese Joseph con tono cauto, forse timoroso di ricevere l’ennesimo rifiuto senza nemmeno fare nulla. Ma che diavolo aveva al posto degli occhi, i raggi laser?

«Pensavo» risposi di riflesso, voltandomi per andare in cucina a prendermi dell’acqua. Stare nella stessa stanza con lui mi metteva sempre una certa arsura che, però, non ero sicura potesse essere placata con qualcosa che non fossero le sue labbra.

«A cosa?» lo sentii chiedere sommessamente, complice forse la distanza dal divano al frigorifero.

Roteai gli occhi: era mai possibile che fosse così invadente? La discrezione non era il suo forte, e dire che avrebbe dovuto essere abituato a starsene buono, vista la quantità ingente di paparazzi che quelli come lui dovevano sempre sopportare!

«Alla gente che non si fa gli affari suoi» sibilai in risposta, dopo aver bevuto con calma un bicchiere di acqua fresca. Quella sensazione di gola secca non passava; avrei solamente voluto lanciarmi contro di lui e baciarlo, per tentare ogni possibile rimedio. Magari ero solamente agitata per ciò che mi si prospettava davanti quella sera, o magari no.

«Quindi pensavi a me» dedusse e, dal tono, immaginai stesse sogghignando.

«Ammetti di non farti gli affari tuoi?» sogghignai a mia volta, credendo di averlo raggirato e finalmente convinto a tacere. Ma non avrei potuto essere più fuori strada di così.

«Ammetti che pensavi a me?»

Spalancai gli occhi, ringraziando che non potesse vedermi, e lentamente mi diressi di nuovo verso di lui, cambiando poi idea e decidendo di rimanere appoggiata al mobile della cucina. Vedevo la sua nuca anche da lì, mi bastava per tenerlo sotto controllo.

«Non posso non pensare a te se ho la tua faccia davanti agli occhi» tentai di ragionare, ma stavo cominciando ad arrampicarmi sugli specchi ed era palese anche alle mie stesse orecchie.

«Quindi mi pensavi» insistette con soddisfazione crescente. E perché non avrebbe dovuto cogliere l’occasione al volo?

«Vai al diavolo» sibilai, ed ecco che la mia pazienza andò al diavolo.

«Hai preso troppa confidenza con questa frase.»

«Mi porti ispirazione.»

«Tu invece…» esordì con calma serafica, e dal suo tono seppi che sarebbe stato meglio che non continuasse quella maledetta frase pericolosa.

«Non voglio nemmeno starti a sentire!» sbottai, tornando finalmente in salotto. Se dovevo litigare preferivo vederlo in faccia e mandarlo al diavolo facendomi guardare dritto negli occhi.

Ma ciò che vidi non mi fece di certo saltare dalla gioia: Amber era raggomitolata su un fianco e stringeva tra le braccia un cuscino, non più la spalla di Joseph. E cominciai a maledirla in tutte le lingue del mondo.

«Insomma – sbottò l’idiota, riuscendo finalmente ad alzarsi perché, a quanto sembrava, la mia migliore amica mi voleva male anche mentre dormiva – Ti ho detto che ho lasciato Emily, eppure tu ti comporti ancora peggio di prima!»

«Perché semplicemente non credo davvero a ciò che mi hai detto: non credo che tu l’abbia lasciata.»

«Perché no?» allibì incredulo, allargando le braccia come a mostrare che non aveva nulla da nascondere. Ci credevo poco.

«L’hai lasciata per telefono, quindi» dedussi, provando a dargli il beneficio del dubbio. Ma quella cosa ancora mi puzzava: stava cercando di combinare qualche malefatta delle sue, anche se non riuscivo proprio a capire cosa potesse essere. Tutto ciò che sapevo era che quella situazione faceva acqua da qualche parte, e, finché non avessi trovato la falla, non avrei mai potuto dargli fiducia.

«Ma sei pazza? – scoppiò a ridere senza reale divertimento, forse offeso per la bassa opinione che stavo mostrando di avere di lui – Che uomo sarei per fare una cosa del genere?»

«Quindi – continuai, prendendo a camminare avanti e indietro per la cucina, per non disturbare Amber che riposava stravolta in salotto – Emily è da qualche parte qui a Londra e mi hai negato il piacere di vederla?»

«Smettila con questo dannato sarcasmo di bassa lega» mi bloccò afferrandomi per le spalle e fui obbligata ad alzare il viso per guardarlo negli occhi. Sembrava sincero, ma degli attori non c’era mai troppo da fidarsi. Me lo ripetevo ogni volta in cui il suo attaccamento a me sembrava così dannatamente sincero da farmi quasi dimenticare come si facesse a maltrattarlo.

«Allora illuminami tu, perché se brancolo nel buio posso solo fare congetture sarcastiche» ribattei stizzita, facendo qualche passo indietro solo per il gusto di tenerlo a distanza. Peccato che di lì a poco ci sarebbe stata la credenza e la mia fuga sarebbe ingloriosamente finita, più o meno come ogni altra volta: quella casa era troppo piccola per la mia vigliaccheria.

«La scorsa settimana – cominciò con un sospiro, rinunciando almeno momentaneamente ad avare un contatto con il mio corpo – Emily è venuta a trovarmi ad Atlanta. Sai, sta girando a Los Angeles, ma ha avuto qualche giorno libero. Solo che ogni volta che la baciavo vedevo il tuo viso, così le ho detto che non la amo più e che non voglio continuare una storia che sarebbe una farsa.»

«Non le hai detto per caso anche dei preliminari focosi sulla mia scrivania e di tutte le volte che mi hai chiusa tra il tuo corpo e una dannata parete?»

Serrò la mascella e abbassò il capo, forse colpevole o forse solo infastidito dalle mie parole piene di astio. Ero perfettamente consapevole di aver esagerato, ma doveva pagare per ogni maledetto momento in cui mi aveva messa in difficoltà, facendomi rivivere di nuovo il mio rapporto con Dave. Lui non riusciva a starmi lontano pur avendo la sua Emily che lo aspettava a braccia aperte chissà dove, ma io non riuscivo a sfuggirgli e, dannazione, mi stavo invischiando in un maledetto rapporto senza né capo né coda, ma che mi creava una pericolosissima dose di dipendenza.

E quella che si sarebbe fatta male, guarda caso, sarei stata ancora io.

«Ti diverti a farmi sentire un essere infame?» mormorò dopo un breve momento di silenzio, alzando gli occhi contratti forse dalla rabbia.

«Ci sto riuscendo?» replicai in un sibilo, forse ancora più furiosa di quanto lui stesso non fosse.

Io per prima non capivo il mio comportamento, quale fosse la causa di tutto quel rancore che stavo sfoderando senza sosta. Ma immaginai che dovesse essere per colpa dei sentimenti dirompenti che stavano per arginare le mie barriere, quelle stesse che Joseph aveva minuziosamente sbriciolato minuto dopo minuto da che era piombato sulla mia strada. A ben pensarci, però, con lui avevo ceduto fin da subito, quando aveva insistito per accompagnarmi a casa e io non avevo saputo come controbattere per farlo desistere. Forse quello era stato un segno, forse avrei fatto meglio ad ascoltare quella voce che mi diceva di non rivolgergli la parola ogni minima volta in cui me lo trovavo di fronte. O forse ancora aveva ragione lui: il mio cuore aveva sempre pensato al posto della mia stupida testa e mi ero ritrovata in quella situazione assurda, con Joseph Morgan che mi stringeva di nuovo tra il suo corpo e un qualcosa perché non riusciva a ottenere le risposte che cercava.

Mi ritrovai a invocare l’aiuto di Amber, ma realizzai ben presto che, se anche si fosse svegliata, avrebbe finto di dormire per il semplice gusto di mettermi i bastoni tra le ruote e sperare che Joseph riuscisse finalmente a sciogliermi.

«Non serviva la tua cattiveria gratuita per farmi sentire un insetto – sputò quelle parole tra i denti, come se gli costassero una certa fatica o chissà per quale altro motivo – Ma starti lontano mi è impossibile.»

«Possibile che tu riesca a vanificare ogni mio tentativo di ragionamento?» allibii esasperata, cercando di divincolarmi dal suo ferreo abbraccio. Perché seppelliva il viso nell’incavo della mia spalla? Perché mi stringeva i fianchi come se fossi stata una cosa preziosa? E, soprattutto, perché lo faceva proprio in quel momento? Stava forse tentando di dissuadermi da ciò che mi ero prefissata di fare? Non c’era niente di più probabile, ma con quelle domande a me stessa non avrei cavato un ragno dal buco.

Avrebbe potuto rendermi le cose più facili ed essere un detestabilissimo uomo qualunque, ma se lo fosse stato forse non avrei perso la testa in quel modo per lui e allora non sarebbe sorto nessun problema.

«Certo che è possibile – sorrise, alzando il capo per incrociare i miei occhi, e mi sentii minuscola – E lo sai per quale motivo? Perché non si tratta di ragionare, adesso. Si tratta di sentimenti e quelli devi solamente seguirli. Pensare non basta. Anzi, non serve.»

Il respiro mi si mozzò in gola: sentirlo parlare di cose così profonde non poteva che scuotermi dentro. Odiavo la confusione che mi albergava nella mente.

«Joseph – sospirai, il suo respiro caldo si infranse contro le mie labbra – Devo andare adesso.»

Lasciami andare, o non riuscirò più ad allontanarmi da te.

Mi baciò lentamente e non mi opposi, lasciando che la sua lingua tracciasse con lentezza il contorno delle mie labbra. Non tentò di approfondire il bacio e gliene fui grata, anche se era sempre presente quella parte di me che avrebbe voluto ribellarsi e sbatterlo al muro fino a perdere il senno.

«Posso dirti di nuovo di ripensarci?» sospirò sulle mie labbra, la fronte contro la mia e le mani sulle mie guance. Sembrava una supplica, un disperato tentativo di impedirmi di compiere il mio dovere per salvare la mia faccia e anche un po’ la sua.

«No» replicai sicura, pur mantenendo la voce bassa. Non c’era possibilità di scampo quella volta, sapeva lui per primo quanto fossi decisa e non tentò più di fermarmi quando, agguantata la maniglia, uscii da quella casa e dal mio porto sicuro.

Avrei dovuto fare la parte della raggiratrice, avrei dovuto comportarmi in un modo che decisamente non mi piaceva per avere tutte le risposte che mi servivano. Ma non avrei potuto proprio lamentarmi: l’avevo deciso io.

Così, con la mascella indurita e le labbra strette dalla determinazione, mi avviai verso Longford Street e verso la mia maledetta condanna, che proprio non voleva saperne di lasciarmi in pace.

   
 
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