.4.
Aprì
gli occhi di colpo, svegliato da un tonfo forte e improvviso. Si
guardò attorno agitato e si lasciò sfuggire un
sospiro di sollievo
constatando che era solo Rufy caduto a terra dopo
una delle
sue lotte notturne con il materasso, grande alleato del cuscino.
Stava
steso vicino al proprio letto in una posizione alquanto scomoda; non
che il suo corpo di gomma ne risentisse... In ogni caso, gli aveva
fatto prendere un grosso spavento.
Il
giorno che imparerà a dormire sopra
al letto, riuscirò sicuramente a passare notti
più lunghe...
Il
cyborg richiuse
gli occhi, confortato dall'innocenza di quella scoperta, e per un
attimo si illuse di riuscire a riprendere sonno. Attese, ma la sua
pazienza si mostrò vana quando, dopo essere ricorso a ogni
espediente per conciliare il riposo, si alzò borbottando
qualche
insulto sulla “incapacità di essere un normale
dormitore” del
suo capitano e uscì sbattendo la porta della camera,
consapevole che
nessuno dei suoi compagni di stanza aveva il sonno leggero come il
suo.
Si
diresse verso la
cucina, cercando di non fare rumore.
Fu
proprio mentre
poggiava lo sguardo sulla porta che vide il circolare fascio di luce
che attraversava il vetro dell'oblò, accompagnato dalla
sottile
linea che, da sotto la porta, illuminava il pavimento. Chi
è che
è sveglio a quest'ora?, si chiese mentre afferrava
la maniglia e
spingeva piano la porta. Prima la Marina, poi quella maledetta
tempesta: chiunque avrebbe ceduto al richiamo del sonno dopo giornate
così pesanti.
Ma
non Robin, che
stava composta e perfetta come sempre su una delle sedie della
cucina; come se non avesse rischiato di morire qualche ora prima.
Le
gambe accavallate
una sopra l'altra, teneva una tazza di caffè fumante nella
mano
sinistra, mentre con l'altra girava placidamente le pagine di un
grosso tomo; i lunghi capelli neri ricadevano lucidi come inchiostro
sulla spalla destra. Il semplice vestitino che indossava era nascosto
dalla coperta viola che teneva poggiata sulle spalle.
La
donna sembrava
non essersi accorta del suo arrivo, ma l'uomo la conosceva abbastanza
da capire che quello era solo il suo modo di fare: era ormai
consapevole che il sorprenderla andava ben oltre le sue
capacità;
ben oltre le capacità di chiunque. Decise comunque di
annunciarsi
con un leggero colpo di tosse.
Alla
luce soffusa
della cucina, vide i suoi occhi cerulei fare fatica a staccarsi da
quella stessa lettura che l'aveva sicuramente portata alla cucina a
quella riprovevole ora, quasi non volessero smettere di
conoscere,
di imparare, di assimilare informazioni su chissà
quali studi.
Mentre alzava lo sguardo verso di lui, le lenti della leggera
montatura che portava, si offuscarono del bianco riflesso mandato
dalla lampada, impedendo così a Franky di leggere quello che
provava
l'archeologa. Aveva scoperto di essere l'unico a riuscire a farlo,
che con lei gli bastava guardarla negli occhi per capire, seppur solo
in minima parte, quello che le passava per la testa. Perciò,
il non
poter affondare i propri occhi in quelli della
compagna mentre
la distraeva dalla sua lettura, diede vita a una spiacevole
sensazione che il cyborg non riuscì ad arginare.
E
se non volesse essere disturbata? Probabilmente è venuta qui
proprio
per cercare una tranquillità che in camera con Nami aveva
paura di
non trovare.. da quel che so, la sorella mugugna mentre dorme. Non
dev'essere proprio una pacchia leggere mentre fa versi strani.
Come
può il
semplice luccichio di un paio di lenti mandare in tilt un uomo grande
e grosso come Franky? Ah, questo è un'abilità
innata ed
esclusivamente di Robin; o almeno dei suoi occhiali...
«Franky?»
Il
suono di quelle
sei semplici lettere lo riportò alla realtà.
Robin lo stava
fissando, con un sorriso appena accennato. «Qualcosa non
va?»
chiese, piegando la testa da un lato.
Sì.
In quel preciso
istante, Cutty Flam, noto ormai come Franky, si sentì un
perfetto
idiota. Adesso che poteva guardarla negli occhi, si rese conto di
quanto stupido fosse stato a passare a conclusioni così
affrettare... insomma, da un dito ne aveva tirato fuori tre o quattro
persone.
«Emh,
nono... Ecco,
credevo...» balbettò, cercando invano di
recuperare un po' della
propria dignità. Tutti quegli sforzi sembrarono divertire la
donna,
che soffocò una leggera risata dietro la mano libera.
Ciò non fece
che aumentare l'imbarazzo dell'uomo, che decise di mettere fine a
quell'assurda scenetta di cui si era ritrovato a essere lo sfortunato
protagonista, prendendo posto nel tavolo.
Una
volta recuperato
il proprio contegno e una volta essersi seduto davanti a lei,
cercò
di recuperare anche le redini della situazione. «Cosa
leggi?»
Riuscì
a farla
sorridere ancora una volta, e stavolta non per la sua goffaggine. Era
un sorriso carico di soddisfazione, carico del grande piacere
provocato dal suo interessamento per un bene così grande
come per
lei era la lettura. La risposta infatti non tardò arrivare
ma, come
si poteva immaginare, Robin non lasciò trasparire nulla di
tutto
quello che quella semplice domanda le aveva causato. «Per
oggi ho
deciso di lasciare perdere la storia e divertirmi un po' con qualche
libro più leggero.» spiegò, chiudendo
il volume e accarezzando con
un dito il profilo delle lettere che componevano il titolo.
Franky
sgranò gli
occhi. Non gli era sfuggito né il “per
oggi”, che implicava che
quel libro sarebbe durato solo un giorno e che, visto l'ora, doveva
essere giunto alla sua fine; né gli sfuggì il
“libro più
leggero”; chissà come mai
l'enorme scritta “FILOSOFIA”
che troneggiava sul profilo del tomo non gli permetteva di
classificarlo fra i “libri leggeri”. Mah,
dopotutto stiamo
parlando di Robin...
«E
scommetto che è
un libro a dir poco SUPER!» commentò infatti,
lasciando perdere ciò
che lo stupore gli suggeriva.
La
mora sorrise e si
tolse gli occhiali, poggiandoli delicatamente sopra il libro.
«Vuoi
un po' di caffè?» gli chiese, indicando la propria
tazza. «È
appena fatto e dovrebbe essere ancora caldo...»
Immaginando
la
risposta, si alzò e portò a tavola la caffettiera
ancora fumante e
una tazza pulita, riempendola fino all'orlo. Franky la prese fra le
sue seconde mani, che aveva puntualmente fatto uscire dai palmi
enormi. Ringraziò con un cenno del capo e ne prese un sorso,
attento
a non scottarsi. «SUPER.» sussurrò
soffiandoci sopra,
ringraziandola con lo sguardo.
Robin
sorrise
nuovamente, riprendendo la lettura. Calò il silenzio per un
po', i
minuti intervallati dal ritmico sfogliare delle pagine ricche del
pensiero di tanti uomini venuti prima.
Quante
mani avevano
toccato quel libro? Chi l'aveva scritto? Chi erano quelle persone che
avevano riposto lì il loro sapere, il loro pensiero? Solo in
quel
libro c'erano così tanti modi di vedere il mondo, ed era
solo un
volume. Ripensò a Ohara, dove c'era stata la più
grande biblioteca
del mondo!, e capì fino a fondo lo scempio che era stato
compiuto
quel giorno lontano di cui Robin non parlava mai. L'immenso contenuto
di quel gigantesco albero non era stato risparmiato... quante
testimonianze erano andate perse nel nulla?
Franky
capì cosa
spingeva Robin a immergersi dentro a quel mondo, un mondo fatto di
milioni di storie, di emozioni, di persone, di luoghi diversi, di
eventi e particolari; un mondo di cui lui non avrebbe mai fatto
parte, neanche ora che l'aveva compreso.
Quella
sera proprio
non riusciva a tenere a freno il proprio cervello. Da quando
rimuginava così tanto su un qualsiasi pensiero? Forse
ho bevuto
troppa cola... e il caffè non ha che peggiorato la
situazione...
poveri i miei circuiti!
«Grazie.»
Franky
sussultò,
ormai abituato al silenzio. Si accorse dopo un momento di sgomento
che era stata Robin a parlare. Con assoluta nonchalance, fece passare
il movimento come un tentativo di sistemarsi sulla sedia.
«Per
cosa?» chiese.
«Per
avermi salvata
dalla tempesta. Hai rischiato la vita tuffandoti per cercarmi,
quindi... grazie.» ripeté, senza imbarazzo.
L'uomo
si grattò la
testa, sperando che lei non ricordasse chi avesse
compiuto la
manovra per farla respirare. «Figurati, non è
stato un problema per
me...» si schermì. Non avevano ancora parlato di
quanto successo, e
Franky era ancora un po' confuso per ciò che aveva sentito
agitarsi
nel proprio cuore mentre cercava di salvarla.
«Magari
la prossima
volta che verrò attaccata da uno paio di Marines e ti
pregherò di
andartene... segui il mio consiglio, così non
sarò costretta a
ricambiare il favore.» lo punzecchiò.
Mmh,
se ogni
salvataggio finisse come quello di ieri, mi farei salvare
più spesso
da te.. Franky si stupì dei propri pensieri.
«A
quindi quello
che è successo sarebbe tutta colpa mia?»
ghignò. Entrambi sapevano
benissimo che nessuno dei due si era sentito in obbligo a
rimanere con l'altro. Era stata una scelta autonoma, presa
perché
non volevano succedesse niente di male alla persona a cui tenevano.
Ma
per tutta
risposta Robin annuì. «Tutta colpa
tua.» confermò, senza
smettere di sorridere.
«Beh,
allora le
porgo le mie scuse!» accennò un inchino con la
testa. «Ammetto le
mie colpe. Non sarei dovuto rimanere... avrei dovuto lasciarla in
pericolo, come da lei richiesto. Invece ho insistito, e lei si
è
trovata nuovamente in pericolo cercando di restituire il
favore.»
concluse, con tono professionale.
Il
sorriso
dell'archeologa si incrinò lievemente, una sfumatura che non
scappò
agli occhi del cyborg. «Peccato che quella volta nessuno dei
due
fosse in pericolo... né io ti ho messo in condizione di
rischiare la
vita, come invece è successo prima.»
replicò, tornando a scrutare
il libro con un cipiglio amaro.
«Beh,
c'è da dire
che ci trovavamo nel bel mezzo di una tempesta, non in una cittadina
tranquilla... e l'acqua ti ha messo in posizione di svantaggio sin
dall'inizio.»
Le
sue parole fecero
il proprio dovere, riuscendo a calmare i sensi di colpa della donna.
«Grazie, Franky. Sei sempre... premuroso nei miei confronti.
Una
cosa che non credo di meritare più di tanto.»
«Ehi..
siamo
Nakama, no? E come tale, è mio compito prendermi cura di te,
e tu di
me.»
«Giusto.»
assentì lei. La
conversazione languì per un po', interrotta solo dal
regolare ritmo
delle pagine sfogliate.
Sentendosi
in colpa per non esser ancora riuscito a tirar fuori l'argomento,
l'uomo si impose un po' più di coraggio e decise di dirgli
chi aveva
compiuto una certa respirazione
artificiale...
«Cosa ricordi dell'incidente?»
«Pensavo...»
Tacquero
entrambi.
Cercarono lo sguardo dell'altro, divertiti dal fatto di aver iniziato
la frase assieme. Franky abbassò il capo, in un chiaro
invito a
lasciarla parlare per prima.
«Mi
mancava...» fu poco più di un sussurro, ma nella
cucina vuota
risuonò come un urlo.
«Mi
mancava tutto
questo.» continuò la donna. «La Sunny,
tutti voi, la mia camera,
il nostro prato morbido e persino i miei fiori.»
spiegò, staccando
lo sguardo dalle scure lettere della pagina. La bocca si era mossa in
un sorriso nostalgico, e per un momento gli occhi di lei gli
sembrarono più lucidi del solito. Ma fu un attimo veloce,
una cosa
che Franky attribuì alla stanchezza.
«Sono
stati due
anni difficili... credevo di riuscire a superarli indenne, ma non
è
andata esattamente così.» la voce della donna si
tinse di una
malinconia profonda, e questo dettaglio non passò
inosservato agli
occhi di Franky, che si allarmò. Allungò le sue
grandi mani,
prendendo una delle sue fra le proprie; cercò di
trasmetterle
l'affetto che provava per lei, spingendola a dirle cosa si teneva
dentro, cosa la turbava. Evidentemente la mora apprezzò il
gesto,
perché un poco della malinconia del suo sorriso
sembrò volatizzarsi
davanti ai sentimenti contenuti fra i palmi delle loro mani.
«Cosa
è successo?»
chiese Franky, senza abbandonare la presa sulla sua mano. Nonostante
le sue buone intenzioni, la donna parve esitare: era sempre stata
restia a parlare dei propri problemi e forse si stava già
pentendo
dell'attimo di debolezza di poco prima. Si, glielo leggeva negli
occhi.
Alla
fine, l'affetto
che provava per lui ebbe la meglio, e il groppo che aveva in gola
sembrò sciogliersi in un sospiro. «Non
è successo niente di che,
non devi preoccuparti. È solo che mi siete mancati, ecco. Ma
penso
che sia successo a tutti noi, no?»
«Beh...
suppongo di
si.»
Robin
annuì decisa
alle sue parole. «Vedi? Ti sto facendo preoccupare per
niente,
Franky. Non voglio certo fare la figura della martire. Lasciamo
perdere... ok?» ritirò la mano con delicatezza,
per non sembrare
scortese, e si sistemò con noncuranza una ciocca dietro
all'orecchio, abbassando lo sguardo sul libro.
Il
celato imbarazzo
della mora non fece altro che accrescere l'apprensione di Franky che
però, rispettando la sua decisione, lasciò cadere
l'argomento. Ma
questo non gli avrebbe impedito di cercare un modo per farla
sorridere ancora. Amava il suo sorriso più di qualsiasi
altra cosa
al mondo ed era ormai giunto alla conclusione che quel battito che
perdeva ogni volta, quel respiro mancato, era dovuto a quello che
provava per lei. Il più bel sentimento che Robin potesse mai
fargli
provare.
E
purtroppo se ne
era reso conto solo da poco; quante occasioni buttate all'aria, perse
nel tempo! Forse l'aveva sempre saputo... o forse il suo cuore si
stava arrugginendo. Al solo pensiero di non poter più
provare
quell'amore smisurato per la donna meravigliosa che era Robin, gli
mancò il fiato. No! Non voglio
diventare un inutile
rottame senza sentimenti..
Forse
lo tradì il
piccolo sospiro che gli era scappato per recuperare l'aria perduta;
forse lo tradì il pallore del proprio viso.. o forse fu
semplicemente il grande intuito di Robin che lo smascherò,
ma la
donna si accorse del suo cruccio e lo guardò preoccupata.
«Prima ti
ho interrotto.. dovevi chiedermi qualcosa d'importante?»
«Oh..
n-no. Niente
di che...» balbettò, ma la mora non
sembrò credergli. «Qualcosa
non va, Franky?»
Era
la seconda volta
che glielo chiedeva quella sera ma, Dio!, quanto amava sentire il
proprio nome pronunciato dalla sua voce! Sarebbe rimasto lì
ad
ascoltarla per sempre. «Mmh? Nono... tranquilla!»
riuscì a
rispondere, riacquistando un poco di lucidità.
«Allora
dovrei
chiederti un favore.» fece lei, enigmatica e inquieta allo
stesso
tempo.
Lo
sguardo stupito
del cyborg non la trattenne dal continuare, anzi. Stavolta fu lei a
sporgersi verso di lui, prendendolo per mano. Lo tirò un
poco verso
di sé, spingendolo ad avvicinarsi; quando fu abbastanza
vicino,
accostò le labbra al suo orecchio. «Non lasciarmi
sola, stanotte.»
supplicò con un bisbiglio, la voce tremante.
Una
lacrima leggera,
ribelle, scivolò dalle lunghe ciglia.
Angolo
dell'autrice.
Non
ho avuto modo di
rileggere questo capitolo, perciò è probabile che
troverete qualche
errore :) Ah, vi avviso che il prossimo capitolo sarà molto
più
corto degli altri, perciò non spaventatevi...
Alla
prossima!