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Autore: Lennyk192    04/02/2013    0 recensioni
Quinn lo studiò atterrita per qualche secondo, prima di urlare e riprendere a muoversi, tirando i ceppi con strappi violenti, con l'unico risultato di provare ancora più dolore.
Sentì la sua guancia bruciare quando uno dei demoni le assestò uno schiaffo da rivoltarle la faccia.
La testa vorticò e quasi svenne per la violenza dell'impatto, ma prima di scivolare nell'oblio qualcosa pizzicò i suoi polsi e gli avambracci e uno stupido pensiero le sfiorò la mente.
Il giorno dopo sarebbe stata la Vigilia di Natale.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From beneath you it devours'
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Capitolo 2: From the frying pan to the fire





Rinvenne sentendosi terribilmente male: tremava ed era spaventata oltre ogni limite.
Il cuore le martellò nel petto mentre metteva a fuoco la cella buia e umida, un odore acre le fece venire la nausea, ma cercò di immettere abbastanza ossigeno per mantenersi lucida.
Sentiva la testa pesante e le braccia non rispondevano al comando del cervello di spostarsi dal suolo polveroso.
Qualcosa di freddo era chiuso attorno ai suoi polsi e quando provò con un enorme sforzo a sollevarne uno, quello ricadde con tale violenza che sbatté le nocche della mano a terra.
Erano ceppi di metallo attaccati ad una catena fissata alla parete retrostante.
Quinn continuò a ripetere a se stessa che si trattava di un altro incubo, reale quanto il precedente, ma la sua mente non riusciva proprio ad elaborare quella bugia come descrizione fedele della realtà.
Poco lontano si sentivano uomini urlanti, ci mise un po' a capire che stavano festeggiando qualcosa: avevano voci profonde e cavernose, ma si poteva distinguerne l'ilarità di fondo.
Percepiva echi dei loro movimenti, ma non aveva idea di quanto fossero distanti.
Ne approfittò per stringere le dita attorno alle catene e tirare con tutte le sue forze verso il basso. La fronte le si imperlò di sudore e indirizzò le sue energie verso quell'unico scopo.
Il metallo scricchiolò appena nella pietra, ma non si spostò dalla posizione d'origine.
Tentò di ricordare come avessero fatto a trascinarla fin lì, ma tutto ciò che sapeva era che qualcuno l'aveva afferrata alle spalle proprio fuori dalla casa di Pam e tappato la bocca, la sensazione di farfalle allo stomaco, prima lieve poi sempre più intensa e infine un feroce strappo che l'aveva fatta urlare.
Che cosa mi è successo?


Quando qualche ora dopo il cancello sbarrato si aprì emettendo un fastidioso stridio, accompagnato da una folata di aria fredda, Quinn ebbe a malapena la  forza di sollevare lo sguardo.
Due figure scure si stagliavano sulla soglia, parlottando tra loro attraverso grugniti indistinti. Avrebbe voluto sentire meglio, ma le appariva tutto confuso e ovattato e per quanto impegno ci mettesse, non riusciva a vedere nulla nel buio.
La sua mente lavorava al rallentatore, come se fosse stata drogata.
Uno dei due uomini avanzò di qualche passo, fermandosi accanto a lei e sistemandosi alla sua altezza. Le afferrò il mento con dita ossute e lo sollevò senza molte cerimonie, studiando attentamente il suo viso mentre le stringeva la mandibola. 
Quinn cercò di divincolarsi, ma più si muoveva e più la testa le girava vorticosamente.
"Chi sei? Non...non toccarmi" protestò debolmente con voce roca.
Da quanto tempo non beveva? Le sembrava di avere la gola ricoperta di carta vetrata.
"Chiudi il becco" la zittì quello mollando la presa e prendendole un polso.
Trafficò nel buio e la ragazza percepì un lieve rumore metallico prima che un intenso bruciore le attraversasse il braccio.
L'aveva tagliata con un coltello.
Non vedeva quasi nulla, ma ne aveva la consapevolezza.
Avvertì qualcosa di caldo e denso colarle dalla pelle al suolo e un odore metallico si disperse nell'aria.
L'ultimo suo pensiero fu che forse era stata sequestrata da pazzi squilibrati per un qualche desiderio sadico, poi non ci fu altro che un buco nero che l'inghiottì.


                                                                                                                                        ***


Entrare nel loro nascondiglio fu un gioco da ragazzi.
L'edificio era privo di finestre e aveva un solo ingresso, attraverso le pareti sottili sentiva qualcuno muoversi e parlare.
Al suo fianco, i demoni sorridevano soddisfatti delle prime vittime, per metà già ricoperti di sangue scuro.
Lui no.
Alec non si sprecava per i demoni di bassa lega.
Era un predatore e voleva scontrarsi con qualcuno alla sua altezza. Qualcuno di forte e pericoloso.
Proseguì attraverso la scia di cadaveri senza degnarli di uno sguardo, dritto verso i sotterranei, mentre gli altri gli coprivano le spalle.
Urla strazianti si levavano nell'aria, ma il demone non se ne curò minimamente raggiungendo finalmente la sua meta.
Due soldati del vecchio esercito di Thren, Signore della vendetta, ora guidato dal figlio di sangue Zane, si trovavano a guardia di una piccola cella.
Si accorsero subito della sua presenza e lanciarono un tonante grido di battaglia prima di attaccarlo con ferocia.
Alec, per nulla sorpreso, si scostò repentinamente evitando con cura ogni pugno. Si picchiarono selvaggiamente pur essendo armati, senza mai riprendere fiato, in un corpo a corpo senza esclusione di colpi. 
Infine, stanco di quel gioco, Alec afferrò uno dei due per il collo, lasciando che l'altro lo colpisse alla schiena con un pugnale.
Con un semplice movimento del polso lo ribaltò e la creatura atterrò scomposta su un fianco con un rumore di ossa rotte che lo fece ghignare.
Un leggero pizzicore gli rammentò l'assalto del demone alle sue spalle e con una rotazione improvvisa e violenta se lo scrollò di dosso, scagliandolo contro la parete rocciosa.
Quello si rimise in piedi, frastornato e sanguinante.
Il liquido nero gli attraversò il corpo ferito formando rapidamente una pozza scura a terra.
Alec inclinò il capo ghignando e lo squadrò sarcastico.
"Tutto qui?" disse, sapendo di farlo infuriare.
Lo scontro che seguì fu sanguinoso e lungo, e alla fine Alec si ritrovò più ferite sparse per il corpo, ma la soddisfazione di aver vinto gli impedì di sentire dolore.


Il silenzio surreale dei sotterranei fu interrotto da un suono simile ad un singhiozzo.
Voltò la testa di scatto.
La cella buia riapparve nella sua visuale e aprì cautamente il cancello, guidato dal forte odore di sangue che già gli incendiava le vene.
Una giovane donna era in ginocchio sul pavimento, incatenata alla parete.
I lunghi riccioli biondi le ricadevano sulle spalle, aveva la testa leggermente china mentre lo fissava attraverso le folte ciglia con i suoi occhi di ghiaccio. 
Era stata trattata proprio come tutti gli altri prigionieri.
Il che era strano, calcolando il mistero che aveva preceduto il suo rapimento.


Quinn pensò che doveva essere svenuta di nuovo, perché
quando tornò in sé era completamente rigida, come se fosse rimasta distesa sul pavimento a lungo.
Una fitta alla tempia e la sensazione appiccicosa sulla pelle le suggerì invece che qualcuno l'aveva colpita.
Ecco, sì.
Era certa di aver ricevuto una gran botta.
Con il manico di un coltello.
In sottofondo udiva urla sconnesse, grandi tonfi, come di mobili che si spaccavano e corpi che si scontravano.
Ancor prima di ricordare di essere immobilizzata contro la parete, si ritrovò in ginocchio, a cercare di alzarsi e scattare verso la porta di ferro. Il suo corpo si tese e qualcosa la strattonò di nuovo giù.
Maledizione.
Gridò, tanto per la paura quanto per il dolore, ma non uscì altro che un lamento soffocato.
All'improvviso qualcuno si materializzò sulla soglia e col cuore in gola, si sforzò di sollevare lo sguardo.


Lui la stava fissando.
Pregò che la luce proveniente dall'esterno lo mostrasse più imponente di quello che era.
Fisicamente si limitò a sussultare, ma dentro di lei si scatenò una rivoluzione.
La poca calma rimasta vacillò del tutto e il panico prese il sopravvento. La testa le pulsava e girava di nuovo.
Quinn tentò di rimettersi in piedi, quantomeno per essere in grado di indietreggiare, ma le gambe non ressero e prima che potesse ricadere al suolo, due forti braccia la mantennero ferma e stabile.
Notò che i suoi occhi erano di uno strano grigio-verde, le ricordavano l'acqua di una palude, quasi completamente coperti dai capelli biondo scuro che gli ricadevano scomposti sulla fronte e la sua pelle era...rossa.
No, ricoperta di ferite aperte, si corresse. Sanguinava.

Aspirò quel poco di ossigeno rimasto mescolato all'odore pungente di quell'uomo, rendendosi conto dei numerosi pugnali assicurati in vita, solo quando li toccò con il fianco.
"Stai lontano da me" sibilò dimenandosi per allontanarlo da sé. Boccheggiò, come se si sentisse annegare.
"Shh, sta buona" le sussurrò carezzevole all'orecchio spostando lentamente una mano verso la catena, che si spezzò sotto una lieve pressione. La ragazza deglutì sonoramente e lo fissò con occhi sgranati. "Come hai...?"
Diavolo.
Solitamente non riusciva a stare zitta e ora non riusciva nemmeno a formulare una frase per intero!
Quello scrollò le spalle con fare noncurante "Magia" bisbigliò agitando le mani davanti al suo viso come se stesse parlando con una bambina piccola "Andiamo, ti porto fuori da qui" ordinò poi, avviandosi all'uscita. Lei continuò a spostare lo sguardo dalla parete su cui giaceva la catena dondolante ai suoi polsi.
"A meno che tu non preferisca restare" aggiunse sardonico davanti alla sua esitazione.


Quando Quinn mise piede fuori dalla porta, qualcuno dalla straordinaria velocità aggredì quello che doveva essere il suo salvatore, facendogli distogliere finalmente l'attenzione da lei.
Senza la minima esitazione rispose all'attacco, colpendo l'uomo alla mascella con un gancio destro tanto forte da fare invidia a Cassius Clay
, e piegandosi su di lui gli tagliò la gola di netto, interrompendo il suo ruggito rabbioso.
L'urlo stridulo che squarciò l'aria fece in modo che i loro occhi si incontrassero di nuovo, prima che lui le si piazzasse davanti chiudendole la bocca.
"Stai zitta. Non è proprio il momento per le crisi da patetica umana" ringhiò minaccioso "Volevi che ti uccidesse?" domandò con finta condiscendenza, lasciando lentamente cadere la mano.
"Io...no" bisbigliò la ragazza gettando un'occhiata incerta all'uomo che li aveva aggrediti.
Anche se definirlo uomo sarebbe stato azzardato. Le parole di ringraziamento che stava per pronunciare vennero inghiottite in fondo alla gola, balbettò a vuoto per qualche secondo, provocandogli un breve ghigno divertito.

La creatura ai suoi piedi aveva la pelle chiazzata di blu e un paio di...corna? gli sbucavano dalle tempie incurvandosi all'indietro, tutt'intorno alla testa.
Il liquido scuro che fuoriusciva dalla ferita alla gola era nero come il carbone.
Sangue nero.


Quinn sollevò lo sguardo velato dall'orrore. "Chi era quello?" la sua voce, costantemente ricca di una nota indignata e determinata, era ridotta a un sussurro tremulo. Non può essere vero...forse il risultato di qualche esperimento? Ma dove sono finita?
"Credo che la domanda giusta sia 'cosa era quello?'. Semplice, dolcezza"
Dolcezza?
"Era un demone"
Un che?
"Come me"

                                                                                                                                        ***


Quando si risvegliò, era stesa su qualcosa di morbido. Sbatté le palpebre più volte, attendendo che la sua vista offuscata dal sonno tornasse a posto. Abbassò lo sguardo su quello che riconobbe come un materasso.
Letto. Era su un letto. Morbido e comodo. Quasi le sfuggì un sospiro di sollievo.
Avevo ragione.
E' stato tutto un assurdo incubo.


"Bentornata nel mondo dei vivi, dolcezza"
Forse no.
Quella voce. Calda, dal tono sarcastico e vagamente scocciato.
Quinn posò gli occhi azzurri sulla figura appena uscita da una stanza adiacente a quella in cui si trovava lei.
Sembrava un bagno, convenne, sbirciando le piastrelle bianche e il grande lavandino in marmo.
L'uomo indossava una camicia aperta sul torace e un paio di pantaloni scuri, bassi sui fianchi. 
Era lo stesso che l'aveva aiutata ad uscire da quel buco scuro dove l'avevano trascinata...


"Non ricordavo che gli umani dormissero così tanto" proseguì quello, sedendosi ai piedi del letto dandole le spalle e prendendo a frizionarsi i capelli con un grande asciugamano bianco.
Aveva usato di nuovo quel termine, umani, con quella nota di estraneità, come se non appartenessero realmente alla stessa specie.
Rammentando la conversazione avuta precedentemente, Quinn emise uno sbuffo irrigidendo la mascella.
Addio paura, benvenuta rabbia.
"Smettila. Questa storia è ridicola e mi ha stufato! Voglio sapere subito chi c'è dietro" sbottò acida, tentando di sollevare i polsi ancora pesanti a causa dei ceppi metallici, per incrociare le braccia sul petto.
L'uomo si voltò con un sorrisetto sulle labbra. "Prego?"
"Hai capito benissimo. Cos'è, una specie di scherzo di cattivo gusto?" il suo cipiglio interrogativo, venne sostituito in un attimo da un'espressione che rifletteva il suo stato di panico. "Oh mio Dio! E' per mio padre, vero? Avrei dovuto immaginarlo. Ma rapirmi non servirà, non scucirete niente da lui. Potete togliervelo da quella mente bacata, stupidi, perfidi, figli di..."
"Sei fuori strada" la interruppe lui con voce dura. Sembrava mortalmente serio e questo le suggerì di chiudere la bocca per qualche secondo. Prese un respiro profondo prima di riprendere.


"E' inutile negarlo. Non sono neanche così impressionata, nel ventunesimo secolo, mi sarei aspettata di meglio da un branco di terroristi" borbottò riducendo gli occhi a due fessure.
"Ti si è sciolta la lingua, eh? Temevo che sarebbe successo" fece, fingendosi afflitto. Si spostò verso di lei, fino a sedersi al suo fianco, e sorrise di più vedendola ritrarsi.
"Ascoltami, perché te lo spiegherò solo una volta e non amo ripetermi"
Quinn fece per parlare e, quando lui la zittì con un gesto improvviso della mano, temette che volesse schiaffeggiarla.
Non lo fece.
Si limitò a scostarle i capelli dal collo senza che lei potesse fermarlo, tesa com'era.
"Apri.bene.le.orecchie" sillabò poi maligno, accostando la bocca al suo orecchio.
"Questo non è un gioco. Sei stata coinvolta, per immensa sfortuna di entrambi, in una guerra che non ha niente a che vedere con il tuo mondo umano. Siamo demoni. Creature infernali. Questa è la verità, principessa. Se non ti piace, non è un problema mio"


La ragazza sgranò gli occhi guardandolo come se fosse pazzo. Sapeva che esistevano dei soggetti mentalmente disturbati che pensavano di essere qualcosa di più che semplici umani, che soffrivano di un disturbo schizotipico di personalità, ma non ne aveva mai incontrato nessuno finora.

"Vorresti davvero farmi credere di essere..."
Venne interrotta da un suono minaccioso, simile al rombo di un tuono, ma meno forte, che proveniva da...lui.
Un ringhio.
Simile a quello di un cane. Seguito da uno sguardo infuocato tutto rivolto a lei e la sua linguaccia.
Oh mio Dio.
"Non posso..." bisbigliò dopo interminabili secondi.
"Cosa?" la interrogò lui, addolcendosi appena. L'ultima cosa che voleva era scatenare un'altra crisi isterica come quella avuta nei sotterranei prima che perdesse i sensi. Ricordava ancora la sensazione dei suoi piccoli pugni contro il petto, le unghie nella pelle, e i timpani deboli per le urla assordanti. Decisamente sgradevole.
"Crederti"
Alec scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo, appellandosi a tutti i sentimenti negativi che solitamente alimentavano la trasformazione completa di un demone.
Scosso da un fremito violento, strinse i denti quando la sentì arrivare, alterando il suo corpo in una morsa di dolore quasi liberatoria. Le ossa si allungarono, i muscoli si espansero, più possenti...
Sentì i cambiamenti del suo tessuto epiteliale che da pallido e rosato diventava sempre più scuro.
Il calore agli occhi era il campanello d'allarme che il loro attuale colore era  nero come le cavità di granito e il lieve fastidio alle gengive segnava l'estensione delle zanne.


Quinn emise una sorta di squittio, mentre il fiato le si mozzava in gola, e il cuore le prese a martellare così forte che sentiva il sangue pulsare nelle orecchie.
Rinunciando a cercare una spiegazione razionale a quell'orribile spettacolo, si precipitò fuori dalla porta, superando a tutta velocità la mostruosa creatura davanti sé e pregando di trovare libera la strada verso la salvezza.
Doveva uscire da quel manicomio, poi se ne sarebbe tornata a casa e avrebbe chiamato la polizia.
O magari l'FBI o la CIA...
Non aveva la borsa né il cellulare, che era certa di aver lasciato accanto alla sua auto quando l'avevano portata via, ma anche a costo di elemosinare un passaggio, sarebbe scappata lontano.
Quando individuò la strada, uscì senza esitazioni sotto la pioggia scrosciante, senza curarsi dei suoi vestiti già fradici dopo pochi secondi. Raggiunto il marciapiede di fronte all'abitazione, proseguì velocemente fino ad un grande incrocio.
Rimase in piedi, immobile sotto la furia degli elementi, mentre il vento, violentissimo, le scompigliava i capelli.
Qualcosa non andava.
Guardandosi intorno confusa, si rese conto che la strada principale della città, solitamente molto trafficata, era completamente deserta.
Impossibile. Ma dove sono finiti tutti?


Alec tornò nella sua normale forma, mentre attraversava il grande atrio e scendeva in strada sbuffando. Avvertì la presenza di qualcuno alle spalle e non ci fu bisogno di voltarsi per sapere chi fosse.
"E' andata da quella parte" lo informò stancamente Kegan, indicando l'uscita del vicolo.
"Lo so. Riesco a percepire la sua paura" fece con un sorrisetto da schiaffi stampato in faccia. Era sempre appagante riuscire a terrorizzare qualcuno per il proprio aspetto minaccioso, era qualcosa che ingigantiva l'ego di un demone.
"Si può sapere perché l'hai lasciata in vita? Sai benissimo che quelli come lei creano solo guai"
"Dahak vuole vederla" commentò atono, girando l'angolo.
"Ma perché non metterla in una delle celle?"
"Perché no!" sbottò furioso resistendo appena alla tentazione di estendere nuovamente le zanne.
Non voleva ammettere di non conoscere la risposta.
L'aveva vista crollare tra le sue braccia, ferita, spaurita, e qualcosa si era risvegliato in lui. 
Tutta colpa della sua metà umana, sicuramente, che lo metteva spesso nei guai.
Registrò distrattamente il borbottare sommesso dell'amico, mentre la individuava in Carlson Avenue: completamente bagnata, tremava per il freddo e il terrore, guardando spaesata la distesa di cemento davanti a sé.

Scosse il capo, sospirando.
"Umani. Sempre a cercare la verità, poi quando la trovano scappano come topi" sibilò disgustato Kegan.
Demone puro fino al midollo, non riusciva a capacitarsi del fatto che la specie umana non si fosse ancora estinta.
Alec lo ignorò, lasciandolo al centro della strada, mentre si materializzava alle spalle della ragazza senza il minimo rumore.
La vide trasalire, ma non si curò di dargli a vedere la consapevolezza di saperlo lì.


"Non vorrai svenire ancora" la punzecchiò.
"Dove sono?" replicò ostinata, fingendo di non cogliere il suo divertimento. Non c'era timore nella sua voce. Era terrorizzata, eppure riusciva a mascherarlo alla perfezione.
"In un luogo in cui è meglio non essere sola, se ci tieni a restare intera"
"Dove?" insistette lei, voltandosi finalmente dalla sua parte.
Lo guardò con gli occhi che brillavano per un misto di determinazione e furia così potente che gli fece scollegare il cervello per un minuto. Niente male.
La pioggia continuava a cadere scrosciante sopra di loro e i tuoni rimbombavano in lontananza, attutendo il tono di sfida dell'umana.
La camicetta bianca le faceva ormai da seconda pelle, lasciando ben poco spazio all'immaginazione sul tipo di biancheria indossata.
Lo scenario perfetto per una conversazione.
"Non preferiresti discuterne dentro?" domandò con un ghigno, lanciando uno sguardo lascivo lungo tutto il suo corpo.


Quinn abbassò appena lo sguardo e arrossì furiosamente, prima di portarsi a fatica entrambe le braccia a coprirsi il petto, mentre scuoteva la testa con forza.
"Torniamo indietro. Devi liberarti di quella roba" aggiunse con tono più acido, indicando col mento i ceppi ai suoi polsi. Si stava quasi abituando a tutto quel peso, ma immaginava l'orribile stato della sua pelle sotto il metallo.
"Non vengo da nessuna parte con te"
"La mia non era una richiesta amichevole"
Ancora quel tono intimidatorio.
"Non mi interessa" s'intestardì la ragazza, indietreggiando di un paio di passi. Perché nei film la protagonista ha sempre ottime vie di fuga, mentre nella realtà bisognava trovarsi in un deserto illusorio, circondata da mostri?
Vide la sua mascella contrarsi nervosamente, prima che la raggiungesse in una falcata e le afferrasse un braccio in una morsa d'acciaio.
Quinn tentò di non gemere dal dolore e si costrinse a non abbandonare la sua finta sicurezza.

'Non dare mai al nemico l'occasione di scorgere la tua paura'.
Le parole di suo padre le risuonarono nella testa. Aveva miseramente fallito finora, ma avrebbe rimediato.

Provò a divincolarsi, puntò i talloni a terra, e siccome lui non diede il minimo segno di cedimento, gli morse la mano a sangue.
  
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