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Autore: imber    04/02/2013    8 recensioni
{Violet&Tate: ambientato in seguito al finale della prima stagione}
“Non dovresti passare il giorno di Natale da solo.”
La voce di Violet è bassa, appena un sussurro. Dolce e roca per via del tabacco, come l’aveva sempre ricordata. Tate solleva gli angoli della bocca in un pigro sorriso, abbassando gli occhi.
Sente i passi leggeri di Violet avvicinarsi un poco a lui, tentennanti. Attende che lui dica qualcosa.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate, Langdon, Violet, Harmon, Violet, Harmon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Shelter
 




“Forse ho detto qualcosa di sbagliato
Posso fare meglio con le luci accese
 
Ho ancora voglia di affogare ogni volta che te ne vai
Per favore, insegnami gentilmente come respirare”
 

 
 
 
Non avrebbe mai voluto perderla. Soprattutto, non in quel modo.
Perché ora ne è certo, per lei sarà impossibile perdonarlo ancora una volta.
Non era riuscita a salvarla, quel giorno. È questo il suo più grande rimpianto.
Forse, se fosse giunto anche solo qualche istante prima nella sua stanza, e stringendo tra le sue braccia quel corpicino gelido e distante avrebbe intuito che di lì a poco non sarebbe stata altro che uno dei tanti spiriti maledetti per l’eternità a espiare i propri peccati in quella casa, lei non sarebbe più costretta a fermare l’afflusso di lacrime bollenti che Tate scorge nei suoi occhi ogni qualvolta si incontrano.
“Aspetterò. Per l’eternità, se necessario.”
Ma quanto amara e spietata appare ora la prospettiva di trascorrere il resto della sua miserabile vita pagando per gli errori commessi in precedenza, senza il sostegno dell’unica persona a cui avesse mai sentito davvero di appartenere?
Senza il calore del suo abbraccio, o l’ardore nei suoi profondi occhi chiari, e quel sorriso che da solo avrebbe potuto spazzare via tutto il dolore di cui l’anima di Tate era imbevuta, e si cibava.
Quasi senza accorgersene, aveva finito col consumarsi dall’interno, annientando la sola cosa che fosse stata capace di amarlo.
Perché la sola, brutale verità era che distruggendo Violet Tate aveva annullato anche sé stesso.
Lei continuava ad essere per lui la miglior droga che avesse mai assunto. La sua medicina. L’amore malsano e morboso che provava per Violet l’aveva curato, sì, ma contemporaneamente aveva segnato anche la fine di quel lento processo di degradazione e autodistruzione che Tate sospettava già da tempo non potesse essere guarito.
Le sue ferite non sarebbero mai più state risanate. La sua anima dannata non si sarebbe salvata semplicemente aggrappandosi al ricordo del tempo in cui Violet si fidava ancora di lui, e in lui aveva riposto la sua fiducia invano, come si era poi rivelato.
“Ti fidi di me?”
Sì, Violet si era fidata cecamente di lui. E donandogli il suo amore aveva commesso l’errore più grande di tutti. Credere di poterlo salvare.
Forse se lei non fosse stata così certa che mai Tate avrebbe potuto ferirla, se fosse corsa via da quella casa prima che lui le avesse permesso di innamorarsi delle sue debolezze e della sua malinconia, Violet coverebbe ancora una flebile traccia d’amore per lui.
 
È Natale, ora. La casa è gelida, silenziosa. Ma forse, più semplicemente, è lui a sentirsi vuoto. 
Appoggia il mento sul palmo della mano destra, mentre si siede alla finestra.
Ha sempre amato osservare la pioggia che picchietta incessantemente contro il vetro sporco di quelle finestre. Adora la sensazione dell’acqua che gli scorre sui capelli, imperla le sue ciglia, s’insinua con il suo sapore triste nelle labbra.
Ma non potrà sentirlo mai più veramente. Tutto ciò a cui potrà pensare, osservando le gocce scorrere sul suo maglione di lana, saranno solo i ricordi conservati quando era ancora in vita.
Quel contatto umido e freddo, l’odore lievemente aspro del terriccio bagnato o dell’asfalto toccato dalla pioggia. Ricordi che solo ora rimpiange non aver mai contemplato in pieno, sensazioni che non torneranno mai più indietro.
“Cosa ci fai qui?”
Il cuore di Tate perde un colpo. Lo farebbe certamente, se solo potesse battere ancora.
È sufficiente anche solo la sua voce per farlo sentire vivo, desideroso come mai lo era stato prima d’incontrarla di non essere morto. Per poterla trascinare lontano da quella casa, sentire il profumo dei suoi capelli, o il calore delle sue guance che spesso si erano imporporate, prima che morisse.
Le lacrime prendono il sopravvento su di lui, e non è in grado di stabilire con certezza se dipendano dalla gioia al pensiero che finalmente lei gli abbia rivolto la parola o dalla tristezza, ricordando tutto ciò che ha perso e che una volta era stato suo.
“Non dovresti passare il giorno di Natale da solo.”
La voce di Violet è bassa, appena un sussurro. Dolce e roca per via del tabacco, come l’aveva sempre ricordata. Tate solleva gli angoli della bocca in un pigro sorriso, abbassando gli occhi.
Sente i passi leggeri di Violet avvicinarsi un poco a lui, tentennanti. Attende che lui dica qualcosa.
Ma è solo un attimo. Torna sui propri passi, e Tate la sente farsi più lontana.
Il panico s’impossessa di lui. Non può accettare l’idea che Violet se ne vada senza che sappia la verità, chiudendosi nel silenzio e tagliandolo fuori dal suo fragile mondo come stava divenendo abile a fare da un po’ di tempo a quella parte.
“Mi è mancato così tanto il suono della tua voce.”
I passi di Violet si bloccano, sul pavimento in legno. La sente trattenere il respiro, forse insieme ad un singhiozzo. Ma lei è sempre stata la più forte tra loro due, e non rinuncerà ad ottenere ciò per cui è venuta così facilmente.
“Volevo solo tu sapessi che io non ti odio”, pronuncia Violet di getto. “Non so perché ho aspettato questo giorno per dirtelo. Forse, semplicemente non ero pronta.”
Finge di ignorare quello che ha appena udito. Per rabbia, per inquietudine, perché è più semplice assopire i suoi sentimenti che provare a risvegliarli. Non vuole essere ferita ancora una volta. Tate attende in silenzio, torturandosi le mani. Sa che c’è dell’altro, lo percepisce dal tono calzante della voce di lei.
“Sarebbe una bugia dirti che sarò in grado di amarti come un tempo. E io non voglio prenderti in giro.”
Non come io ho fatto, pensa amaramente Tate, sicuro che Violet abbia in parte desiderato creare quell’allusione.
“Buon Natale, Tate.”
Violet esce da quella che un tempo era stata anche la sua stanza, tanto silenziosa com’era giunta. Era andata da lui in cerca di risposte, di una qualche reazione. Eppure, ora è più confusa di prima.
Tate resta immobile, gelato e per nulla rassicurato dalle parole che ha appena udito, a osservare le gocce di pioggia che scendono lungo le vetrate ancora più impetuose, senza sapere che anche Violet, appoggiata dietro lo stipite della porta, sta cercando di bloccare le lacrime.

  
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