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Autore: Blackmoody    04/02/2013    1 recensioni
Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
[...] «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Erin Anwar è una midgardiana giovane, brillante e arrogante. Non ha poteri o strani segreti, solo una mente particolare – e non brama l'asservimento. Non per se stessa, sicuramente. Il giorno in cui la sua strada incrocia quella di un certo dio asgardiano sarà un giorno che almeno due mondi ricorderanno a lungo.
Post-Avengers, diciassette capitoli, EPIC BADASSERY.
microcorrezioni 2O14
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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5.

Wrapped up in chemicals

 

 

 

 

 

 

Nick Fury contemplò con fare inquieto lo schermo del computer che aveva di fronte: i grafici indicavano un inequivocabile picco di energia elettromagnetica rilevato qualche giorno prima nei dintorni di Boston, sebbene dopo quell’episodio gli strumenti dello S.H.I.E.L.D. non avessero registrato altre attività che potessero collegarvisi, e ciò lo innervosiva.

«Hill, sai meglio di me che questi dati non sono rassicuranti.» disse a voce bassa.

L’interpellata si voltò a guardarlo, la fronte corrugata: «Lo so bene, direttore, eppure non abbiamo altri segnali che possano ricondurre a questo fenomeno. Ho già mandato alcuni agenti a controllare la zona, e nessuno di loro ha trovato elementi anomali.» ribatté.

L’uomo incrociò le braccia al petto e prese a camminare avanti e indietro:

«Probabilmente non è niente di cui dobbiamo preoccuparci, ma preferisco prendere precauzioni. Fa’ tenere d’occhio l’intero distretto bostoniano, Maria, e manda un messaggio urgente a Selvig e al suo team. Li voglio qui tra meno di una settimana.»

«Crede che lui e Jane Foster potranno vederci più chiaro, signore?» chiese la donna.

Fury assentì: «Più chiaro di noi sicuramente. E metti sul chi vive anche Stark.»

La bella Hill sorrise appena: «Non ne sarà molto felice. In fondo è passato poco più di un mese dall’ultima volta.» commentò ironica, considerando l’indole di Iron Man.

«Quel che pensa lui non ha grande importanza.» tagliò corto l’altro scrollando le spalle.

 

 

In una decina di giorni di convivenza forzata Loki aveva finito con l’abituarsi alla presenza di Erin Anwar e alla modestia della sua dimora. Non aveva ancora messo piede fuori da quelle quattro mura, e ciononostante il solo osservare lei, i suoi comportamenti e i suoi gusti gli aveva fornito un soddisfacente quadro della natura midgardiana che mai prima aveva considerato.

Non che l’irlandese potesse definirsi un esempio attendibile di essere umano, ma tramite lei aveva per contrasto scoperto molte cose: i mortali erano facilmente plagiabili, per prima cosa. Governi e potenze economiche plasmavano il loro già labile pensiero attraverso l’apparecchio chiamato televisione, proponendo immagini convincenti e falsi miti e seguendo quelle che Erin medesima aveva definito “regole di mercato”. Era una rete di finzioni e di vuote promesse sì ben congegnata che persino il Dio degli Inganni dovette riconoscerne l’efficacia.

Erin colse la palla al balzo e gli illustrò un paio di tattiche di marketing facendo riferimento all’esperienza dell’asgardiano, in una tiepida serata in cui se ne stavano sul tetto del palazzo a guardare, dopo cena, le luci abbacinanti della città che si stendeva ai loro piedi. Gli disse che se avesse dato corda agli amici di Thor e se non avesse mentito a quest’ultimo, se non gli avesse mandato contro il Distruttore, avrebbe mantenuto la propria posizione di reggente per molto tempo, e forse Odino lo avrebbe preferito al figlio maggiore persino quando questi fosse tornato dall’esilio. Lo stesso valeva per i fatti di Stoccarda: minacciare di morte un vecchio innocente e disarmato non era esattamente la strategia più funzionale per farsi amare dalle masse, spiegò la ragazza di Galway. Il popolo andava conquistato blandendolo e quindi guidandolo con polso e saggezza, e a tal proposito gli consigliò di leggere un libro antico intitolato Il Principe, scritto da un tal Machiavelli nella lontana Italia. Loki non ebbe mai modo di leggerlo, forse suo malgrado, e tuttavia le dritte della giovane gli rimasero in mente.

La smisurata ambizione di costei seguitava a piacergli e a sconcertarlo, ribaltando qualunque convinzione che sino a quel momento aveva avuto sui terrestri – se terrestre nel senso comune del termine Erin Anwar si poteva definire. Era al contempo allegra e rumorosa, incline a perdere facilmente la pazienza, ottimista e appassionata malgrado l’animo disincantato e arrogante che possedeva, e tali contraddizioni attraevano la curiosità del dio caduto come una calamita fa col ferro. Egli si sorprese dunque spesso a studiarla, in quei giorni, specialmente mentre suonava il suo flauto d’argento producendo intriganti melodie del tutto sconosciute alle orecchie di lui. Loki non aveva mai apprezzato molto il genere femminile, per quanto lo conoscesse, ma per l’irlandese dovette fare un’eccezione.

Erin lo osservava di rimando, confrontando ciò che vedeva coi propri occhi con ciò che i libri della biblioteca narravano. Prese così l’abitudine di leggere al suo divino ospite passi dei miti che lo riguardavano, chiedendogli conferma, e Loki trovò la cosa piuttosto divertente: non le dette mai una risposta che non fosse ambigua o maliziosa, e lei stette al gioco più a lungo del previsto. Talvolta le parve di cogliere barlumi di tristezza negli occhi ardenti dell’asgardiano, ben celati dietro i suoi affascinanti sogghigni, nel parlare del suo presunto e reale passato, e fu tentata di indossare la maschera dell’amica comprensiva per indurlo ad aprirsi e rivelare qualche debolezza. Scacciò però presto l’idea, intuendo che non avrebbe funzionato.

Entrambi erano convinti di avere un vantaggio l’uno sull’altra, di avere in mano le redini della situazione a vicendevole insaputa: se Erin guardava e pazientava, ritenendo opportuno pianificare una cosa alla volta a seconda degli avvenimenti, Loki si muoveva in sordina, ben calibrando atti e parole conscio dell’occhio vigile di Odino puntato su di lui, sperando che questi notasse che stava vivendo come un midgardiano e che da una midgardiana si lasciava incantare. Del resto con quello sciocco di Thor aveva più o meno funzionato.

C’era però un aspetto che nessuno dei due aveva considerato, nel fare i propri calcoli: l’intimità. Non certo intimità a livello fisico, giacché non si erano mai sfiorati nemmeno per sbaglio, da quando si erano incontrati nelle campagne – no, era l’intimità del vivere assieme. Era intimo, per Erin, farsi trovare in pigiama in cucina a preparare la colazione o incrociarsi sulla porta del bagno, o trovarlo seduto a leggere nel rientrare dalle prove o studiare i brani per il concerto imminente sapendo che lui si trovava poche stanze più in là. Era intimo mangiare allo stesso tavolo e persino conversare, dato che si conoscevano appena e che tra loro c’era un abisso di tempi e universi opposti.

Per Loki era intimo e bizzarro il fatto in sé di condividere una dimora così piccola con una fanciulla, e lo era perciò tutto quello che la situazione comportava. In quella prima decina di giorni vi fu un singolo episodio che più di qualunque altro gli parve intimo e bizzarro: fu quando decise di indossare da capo a piedi alcuni degli indumenti comprati dall’irlandese – una blusa abbottonata, delle braghe strette di pesante cotone azzurro, delle calzature in cuoio basse e chiuse da lacci – e nel comparirle di fronte così abbigliato la vide fissarlo basita e sorridente, le guance appena colorite, e ne fu colpito perché ben poche dame di Asgard lo avevano mirato in quel modo in vita sua, con le iridi velate da un incoscio desiderio.

Quell'intimità comunque non impedì loro di mantenersi ragionevoli e distaccati, concentrati sui rispettivi piani e propositi, e nel frattempo si depositò in silenzio tra i due iniziando lentamente a colmare l’abisso profondo che li separava.

 

 

Due lunedì dopo la caduta di Loki su Midgard, Erin andò alle prove di buon’ora.

Mancavano poco più di quindici giorni al concerto fissato in un importante teatro cittadino, e il direttore aveva premura di esercitarsi con l’intera orchestra sulla Karelia Suite di Sibelius.

Sylvia, Francis e il resto del gruppetto di amici più stretti dell’irlandese stavano già accordando gli strumenti quando lei arrivò, e dai loro sguardi ammiccanti capì che non avrebbe potuto rifiutarsi oltre di uscire con loro: dall’arrivo dell’asgardiano aveva sempre trovato qualche scusa per non uscire la sera o per non farseli piombare in casa, e ormai il suo atteggiamento rischiava di risultare sospetto ai suoi pettegoli compari.

«Anwar, oggi niente storie. Stasera vieni con noi a ubriacarti.» la apostrofò infatti la rossa saltandole praticamente al collo: «Si può sapere cos’hai combinato in queste settimane?»

Erin fece un gesto vago con le mani: «Ero in fase pantofola selvaggia e l’altro giorno mi sono sentita poco bene.» tentò alla cieca.

«Ma davvero? Due settimane in pantofole? Tutto qui?» rise Francis, e Sylvia inarcò un sopracciglio con aria scettica.

Erin si mise a montare il flauto eludendo i loro sguardi: «Ho anche avuto problemi col bagno. Mi si è intasato lo scarico e il cesso è praticamente eruttato.» si affrettò ad aggiungere.

Owen Wilde, altro amico e contrabbassista, si unì alla conversazione puntando scherzosamente contro la flautista di Galway il proprio archetto: «Erinni, tu non me la racconti giusta. Di solito se una donna si comporta così ha qualcosa da nascondere.» disse.

«Io non sono una donna normale.» si vantò Erin.

«Effettivamente no.» concessero Sylvia e Francis all'unisono.

«Secondo me c’è un uomo di mezzo.» continuò Owen col tono di chi ci ha preso in pieno.

L’irlandese scattò in piedi come se un mazzo di carciofi le si fosse appena materializzato sulla sedia e senza dire una parola corse a prendere un accordatore elettronico su uno scaffale. Avvertiva sulla nuca le occhiate divertite degli amici, e imprecando tra sé pensò che per certe cose avrebbe avuto molto da imparare dal Dio degli Inganni.

«Non c’è nessun uomo.» rispose con assoluta calma nel tornare al proprio posto, e a voler essere pignoli non era una bugia. «Ve lo giuro.» insistette, e involontariamente si ritrovò a fissare Francis dritto negli occhi come per giustificarsi con lui soltanto.

Il trombettista ricambiò lo sguardo e rise di nuovo:

«Erin, non è mica una colpa! Anzi, se tu avessi una storia saremmo tutti felicissimi per te.»

Lo disse con affetto e senza malignità, e tuttavia il cuore di Erin mancò di un battito. Con le eccitanti novità degli ultimi giorni si era quasi dimenticata della propria storica cotta per lui, e il sentirsi rammentare proprio dal diretto interessato che tra loro non c’era più niente non la rese felice. Le insinuazioni di Owen le avevano d’altro canto ricordato quanto equivocabile fosse, seppur immotivatamente, la sua convivenza con l’asgardiano, e il battito cardiaco le fece strani scherzi per un istante in più.

«Allora stasera uscita alcolica collettiva?» domandò il contrabbassista.

Gli altri confermarono e Francis annunciò che lo avrebbe riferito al resto della ghenga; Sylvia propose invece a Erin di passarla a prendere a casa con un po’ d’anticipo per chiacchierare in pace tra loro, ma l’altra ululò un deciso “no!” e si offrì di passare lei dalla rossa con il Duetto a capote abbassata, perché con quella macchina facevano sempre una figura migliore. L’amica accettò con una punta di dubbio nella voce e lasciò correre.

Poi il direttore salì sul podio reclamando l’attenzione degli orchestrali e tutti presero posizione rumoreggiando. Erin aprì il cartolare degli spartiti e accordando il proprio La a 442 hertz si gettò alle spalle gli strani pensieri di poco prima.

La prova fu lunga e produttiva e terminò che il sole era già calato a occidente, tra i grattacieli scintillanti della metropoli. Il gruppetto di amici si dette appuntamento in un noto locale del centro per il dopocena e si separò lanciando ancora battute all’indirizzo dell’irlandese che rispose a tono mentre correva per prendere l’autobus. Era convinta che sarebbe stato problematico spiegare al dio nordico la ragione per cui quella sera si sarebbe assentata, ma non aveva fatto i conti col proverbiale disinteresse di costui per le sciocchezze umane: gli annunciò la novità in cucina e lui a malapena la guardò, ed Erin finì col trovare stupido l’aver ritenuto importante parlargliene, dal momento che la casa era sua e che tra loro non esisteva alcun tipo di relazione che prevedesse il giustificarsi per ogni singola uscita.

Allora scelse di disinteressarsi a sua volta, mangiò in fretta e altrettanto frettolosamente uscì, notando con la coda dell’occhio quanto familiare e surreale assieme fosse l’immagine della nobile figura di Loki, ancora seduto al tavolo, stagliata nella luce soffusa della stanza.

 

 

Rimasto solo, il Dio degli Inganni contemplò in silenzio la tranquillità della dimora e di quella serata midgardiana la cui aria tiepida filtrava dalle finestre che l’irlandese aveva lasciato aperte, non sapeva se per volere o per più probabile distrazione. Terminò con calma il proprio pasto, sorseggiando il vino rosso di buona qualità che Erin aveva servito e considerando che in un certo senso si stava abituando ai sapori del cibo terreno: non era troppo diverso da quello che veniva preparato ad Asgard, sebbene la qualità lasciasse spesso a desiderare; e il vino era più secco e pungente ma gli piaceva più della birra scura d’Irlanda. La birra era una bevanda che meglio si adattava agli animi grezzi e semplici come quello di Thor, giudicò tra sé.

Quindi si alzò e si spostò nel salotto, dove nessuna lampada era stata accesa, e ne trovò gradevole il buio morbido che solo gli aloni dell’illuminazione esterna intaccavano. Si accomodò su una poltrona – la cosa più simile a un trono che avesse trovato in quella casa – e fissò il mondo oltre i vetri spalancati senza realmente vederlo.

Per quanto il suo corpo fosse al momento paragonabile a una mera forma umana, la mente di Loki poteva ancora perdersi in riflessioni insondabili, giungendo in luoghi e dimensioni che pochi avrebbero potuto anche solo scorgere. Vagò così nuovamente col pensiero attraverso ciò che aveva visto, vissuto e appreso, finché non scattò in piedi come colpito da una frusta: un nome gli era balenato in testa, un nome non desiderato, e un’idea allarmante si era fatta strada tra le altre. L’asgardiano andò alla finestra, le mani dietro la schiena.

Thanos, questo era il nome. Il titano rosso gli aveva promesso il dominio su Midgard e i mezzi per ottenerlo in cambio del Tesseract, promettendo dolore e distruzione nel caso in cui lui non fosse riuscito nell’impresa, e Loki aveva a tutti gli effetti fallito. Non era dunque strano, si disse, che quell’essere temibile avesse lasciato correre, che non gli avesse dato la caccia?

Forse la prigionia su Asgard glielo aveva tenuto a distanza per qualche tempo, e forse l’esilio tra i mortali lo aveva sinora celato agli occhi acuti del titano, ma era questione di tempo: presto Thanos avrebbe ripreso a cercarlo, se già non lo stava facendo, e infine lo avrebbe trovato, e Loki si augurava che per allora avrebbe riavuto i propri poteri.

Lo avrebbe cercato e avrebbe cercato pure di impadronirsi in maniera diversa del Cubo Cosmico, e poiché il Cubo si trovava adesso ad Asgard, ben controllato da Odino, quel demone ossessionato dalla Morte non avrebbe esitato a scatenare una guerra contro il Padre degli Dei per averlo. Come avrebbe fatto lui stesso, pensò quasi con sorpresa il dio caduto.

In quell’istante la porta dell’appartamento si aprì ed Erin entrò con impeto in casa incespicando e schiavicciando, e lui si rese conto che dovevano essere passate almeno tre ore da quando era uscita. L’irlandese chiuse l’uscio poggiandovisi contro e sorrise:

«Eeeeeeeehi, Loki!» lo salutò con voce eccessivamente amichevole.

L’asgardiano le si avvicinò cauto: «Sei ubriaca, donna d’Irlanda?»

«Sono allegra, il che è piuttosto diverso.» rispose Erin andandogli incontro.

«Puzzi di birra come quel decerebrato di Thor nei suoi momenti migliori.» commentò l’altro, e subito dopo trovò strano aver parlato del Dio del Tuono in tono così leggero.

La ragazza di Galway scoppiò a ridere di gusto e rimase incastrata con la borsa all’angolo di un mobile. Sempre ridendo cadde in avanti, e prima che uno dei due potesse evitare o capire cosa stava facendo Loki tese d’istinto le mani ed Erin gli si aggrappò per non rovinare a terra.

Era la prima volta che si toccavano, e il contatto fu per entrambi scottante e piacevole – per lui la pelle tiepida di lei sotto la propria, per lei le braccia solide dell’asgardiano che la sostenevano, e il trovarsi vicini come mai prima erano stati.

E se Erin notò a malapena il brivido che la percorse, intenta com’era a metabolizzare l’ormai netta verità che Francis Bright non la desiderava più, Loki non riuscì a ignorare l’inconsueta sensazione che provava. Guardò l’irlandese, il suo volto colorito a poca distanza dal proprio, e ne vide la bellezza pura e semplice e non condizionata, adesso, da alcun tipo di follia, genialità o ambizione, perché in quel momento Erin Anwar era umana e vulnerabile.

E questo, paradossalmente, gli piacque. Lei gli piacque, così calda e viva e diversa dalle splendide, ieratiche dame di Asgard e tuttavia di non inferiore beltà, e pensò che gli sarebbe piaciuto possederla almeno per una notte per sentire di nuovo e di più il suo calore.

Erin colse qualcosa di differente e intrigante nell’uomo che la stava praticamente abbracciando, e ne fu turbata. Nonostante questo cedette al sonno che i fumi dell’alcol le provocavano e si sciolse dalla stretta gentile del dio dopo un attimo di esitazione, e l’episodio rimase nei meandri della sua mente come una luce che si scorge con la coda dell’occhio.

«Grazie.» disse sorridendo e socchiudendo le palpebre, e scivolò verso la propria camera.

Loki fu tentato di seguirla per soddisfare il desiderio che gli infiammava il sangue, e si sforzò di mantenersi lucido: non poteva rischiare – non adesso – di gettare al vento un’alleanza e una vantaggiosa sistemazione solo per placare un bisogno futile come quello.

Ma quella notte l’abisso di tempi e universi opposti che li divideva si colmò ancora un po’.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Ed ecco entrare in scena i primi comprimari e un paio di idee allarmanti. Erin sta praticamente tenendo corsi lampo di abbindolamento à la Midgard per il suo divino ospite e quest’ultimo sta considerando l’opzione di mostrarsi “ammaliato” dalla sua padrona di casa perché “con Thor ha più o meno funzionato”. O magari ne è ammaliato davvero e sta iniziando a rendersene conto… Ecco a voi anche il resto della Boston Philharmonic Orchestra, ora che il concerto è alle porte: per precisare un paio di cose al riguardo, il La a 442 Hz è la nota sulla quale ci si accorda in orchestra, la cui frequenza è solitamente tarata sul La del primo violino o del primo oboe (nelle orchestre di fiati). Se non si fosse capito, sono musicista anch’io :)

L’appellativo di Owen per Erin, “Erinni”, non è un errore di battitura bensì un nomignolo riferito al suo essere un po’ fuori di cucuzza – le Erinni sono le Furie nella mitologia greca e romana. Nella mia testa i fatti degli Avengers si sono svolti ad aprile, più o meno, perciò adesso nella storia siamo a maggio molto inoltrato.

Il titolo del capitolo è tratto da un verso di Wonderful di Gary Go: we are miracles / wrapped up in chemicals.

Il prossimo atto è l’ultimo della quiete prima della tempesta – ma CHE quiete sarà…!

C’mon ladies, sotto con queste recensioni! Grazie di cuore a tutti coloro che seguono, leggono e apprezzano.

Ossequi asgardiani e a presto!

 

  
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