5.
Wrapped
up in chemicals
Nick Fury
contemplò con fare inquieto lo schermo del computer che aveva di fronte: i
grafici indicavano un inequivocabile picco di energia elettromagnetica rilevato
qualche giorno prima nei dintorni di Boston, sebbene dopo quell’episodio gli
strumenti dello S.H.I.E.L.D. non avessero registrato altre attività che
potessero collegarvisi, e ciò lo innervosiva.
«Hill,
sai meglio di me che questi dati non sono rassicuranti.» disse a voce bassa.
L’interpellata
si voltò a guardarlo, la fronte corrugata: «Lo so bene, direttore, eppure non
abbiamo altri segnali che possano ricondurre a questo fenomeno. Ho già mandato
alcuni agenti a controllare la zona, e nessuno di loro ha trovato elementi
anomali.» ribatté.
L’uomo
incrociò le braccia al petto e prese a camminare avanti e indietro:
«Probabilmente non è niente di cui dobbiamo preoccuparci, ma preferisco prendere
precauzioni. Fa’ tenere d’occhio l’intero distretto bostoniano, Maria, e manda
un messaggio urgente a Selvig e al suo team. Li voglio qui tra meno di una
settimana.»
«Crede
che lui e Jane Foster potranno vederci più chiaro, signore?» chiese la donna.
Fury
assentì: «Più chiaro di noi sicuramente. E metti sul chi vive anche Stark.»
La bella
Hill sorrise appena: «Non ne sarà molto felice. In fondo è passato poco più di
un mese dall’ultima volta.» commentò ironica, considerando l’indole di Iron
Man.
«Quel
che pensa lui non ha grande importanza.» tagliò corto l’altro scrollando le
spalle.
In una
decina di giorni di convivenza forzata Loki aveva finito con l’abituarsi alla
presenza di Erin Anwar e alla modestia della sua dimora. Non aveva ancora messo
piede fuori da quelle quattro mura, e ciononostante il solo osservare lei, i suoi
comportamenti e i suoi gusti gli aveva fornito un soddisfacente quadro della
natura midgardiana che mai prima aveva considerato.
Non che
l’irlandese potesse definirsi un esempio attendibile di essere umano, ma
tramite lei aveva per contrasto scoperto molte cose: i mortali erano facilmente
plagiabili, per prima cosa. Governi e potenze economiche plasmavano il loro già
labile pensiero attraverso l’apparecchio chiamato televisione, proponendo immagini convincenti e falsi miti e
seguendo quelle che Erin medesima aveva definito “regole di mercato”. Era una rete
di finzioni e di vuote promesse sì ben congegnata che persino il Dio degli
Inganni dovette riconoscerne l’efficacia.
Erin
colse la palla al balzo e gli illustrò un paio di tattiche di marketing facendo
riferimento all’esperienza dell’asgardiano, in una tiepida serata in cui se ne
stavano sul tetto del palazzo a guardare, dopo cena, le luci abbacinanti della
città che si stendeva ai loro piedi. Gli disse che se avesse dato corda agli
amici di Thor e se non avesse mentito a quest’ultimo, se non gli avesse mandato
contro il Distruttore, avrebbe mantenuto la propria posizione di reggente per
molto tempo, e forse Odino lo avrebbe preferito al figlio maggiore persino
quando questi fosse tornato dall’esilio. Lo stesso valeva per i fatti di
Stoccarda: minacciare di morte un vecchio innocente e disarmato non era
esattamente la strategia più funzionale per farsi amare dalle masse, spiegò la
ragazza di Galway. Il popolo andava conquistato blandendolo e quindi guidandolo
con polso e saggezza, e a tal proposito gli consigliò di leggere un libro
antico intitolato Il Principe,
scritto da un tal Machiavelli nella lontana Italia. Loki non ebbe mai modo di
leggerlo, forse suo malgrado, e tuttavia le dritte della giovane gli rimasero
in mente.
La
smisurata ambizione di costei seguitava a piacergli e a sconcertarlo,
ribaltando qualunque convinzione che sino a quel momento aveva avuto sui
terrestri – se terrestre nel senso comune del termine Erin Anwar si poteva
definire. Era al contempo allegra e rumorosa, incline a perdere facilmente la
pazienza, ottimista e appassionata malgrado l’animo disincantato e arrogante
che possedeva, e tali contraddizioni attraevano la curiosità del dio caduto
come una calamita fa col ferro. Egli si sorprese dunque spesso a studiarla, in quei
giorni, specialmente mentre suonava il suo flauto d’argento producendo
intriganti melodie del tutto sconosciute alle orecchie di lui. Loki non aveva
mai apprezzato molto il genere femminile, per quanto lo conoscesse, ma per
l’irlandese dovette fare un’eccezione.
Erin lo
osservava di rimando, confrontando ciò che vedeva coi propri occhi con ciò che
i libri della biblioteca narravano. Prese così l’abitudine di leggere al suo
divino ospite passi dei miti che lo riguardavano, chiedendogli conferma, e Loki
trovò la cosa piuttosto divertente: non le dette mai una risposta che non fosse
ambigua o maliziosa, e lei stette al gioco più a lungo del previsto. Talvolta
le parve di cogliere barlumi di tristezza negli occhi ardenti dell’asgardiano,
ben celati dietro i suoi affascinanti sogghigni, nel parlare del suo presunto e
reale passato, e fu tentata di indossare la maschera dell’amica comprensiva per
indurlo ad aprirsi e rivelare qualche debolezza. Scacciò però presto l’idea,
intuendo che non avrebbe funzionato.
Entrambi
erano convinti di avere un vantaggio l’uno sull’altra, di avere in mano le
redini della situazione a vicendevole insaputa: se Erin guardava e pazientava,
ritenendo opportuno pianificare una cosa alla volta a seconda degli
avvenimenti, Loki si muoveva in sordina, ben calibrando atti e parole conscio
dell’occhio vigile di Odino puntato su di lui, sperando che questi notasse che
stava vivendo come un midgardiano e che da una midgardiana si lasciava
incantare. Del resto con quello sciocco di Thor aveva più o meno funzionato.
C’era
però un aspetto che nessuno dei due aveva considerato, nel fare i propri calcoli:
l’intimità. Non certo intimità a livello fisico, giacché non si erano mai
sfiorati nemmeno per sbaglio, da quando si erano incontrati nelle campagne –
no, era l’intimità del vivere assieme. Era intimo, per Erin, farsi trovare in
pigiama in cucina a preparare la colazione o incrociarsi sulla porta del
bagno, o trovarlo seduto a leggere nel rientrare dalle prove o studiare i
brani per il concerto imminente sapendo che lui si trovava poche stanze più in
là. Era intimo mangiare allo stesso tavolo e persino conversare, dato
che si conoscevano appena e che tra loro c’era un abisso di tempi e universi
opposti.
Per Loki
era intimo e bizzarro il fatto in sé di condividere una dimora così piccola con
una fanciulla, e lo era perciò tutto quello che la situazione
comportava. In quella prima decina di giorni vi fu un singolo episodio
che più di qualunque altro gli parve intimo e bizzarro: fu quando decise di
indossare da capo a piedi alcuni degli indumenti comprati dall’irlandese – una
blusa abbottonata, delle braghe strette di pesante cotone azzurro, delle
calzature in cuoio basse e chiuse da lacci – e nel comparirle di fronte così
abbigliato la vide fissarlo basita e sorridente, le guance appena colorite,
e ne fu colpito perché ben poche dame di Asgard lo avevano mirato in quel modo
in vita sua, con le iridi velate da un incoscio desiderio.
Quell'intimità comunque non impedì loro di mantenersi ragionevoli e distaccati, concentrati
sui rispettivi piani e propositi, e nel frattempo si depositò in silenzio tra i
due iniziando lentamente a colmare l’abisso profondo che li separava.
Due
lunedì dopo la caduta di Loki su Midgard, Erin andò alle prove di buon’ora.
Mancavano
poco più di quindici giorni al concerto fissato in un importante teatro
cittadino, e il direttore aveva premura di esercitarsi con l’intera orchestra
sulla Karelia Suite di Sibelius.
Sylvia,
Francis e il resto del gruppetto di amici più stretti dell’irlandese stavano già
accordando gli strumenti quando lei arrivò, e dai loro sguardi ammiccanti capì che
non avrebbe potuto rifiutarsi oltre di uscire con loro: dall’arrivo
dell’asgardiano aveva sempre trovato qualche scusa per non uscire la sera o per
non farseli piombare in casa, e ormai il suo atteggiamento rischiava di
risultare sospetto ai suoi pettegoli compari.
«Anwar,
oggi niente storie. Stasera vieni con noi a ubriacarti.» la apostrofò infatti
la rossa saltandole praticamente al collo: «Si può sapere cos’hai combinato in
queste settimane?»
Erin fece
un gesto vago con le mani: «Ero in fase pantofola selvaggia e l’altro giorno
mi sono sentita poco bene.» tentò alla cieca.
«Ma
davvero? Due settimane in pantofole? Tutto qui?» rise Francis, e Sylvia inarcò
un sopracciglio con aria scettica.
Erin si
mise a montare il flauto eludendo i loro sguardi: «Ho anche avuto
problemi col bagno. Mi si è intasato lo scarico e il cesso è praticamente eruttato.» si affrettò ad aggiungere.
Owen
Wilde, altro amico e contrabbassista, si unì alla conversazione puntando
scherzosamente contro la flautista di Galway il proprio archetto: «Erinni, tu
non me la racconti giusta. Di solito se una donna si comporta così ha qualcosa
da nascondere.» disse.
«Io non
sono una donna normale.» si vantò Erin.
«Effettivamente no.» concessero Sylvia e Francis all'unisono.
«Secondo
me c’è un uomo di mezzo.» continuò Owen col tono di chi ci ha preso in pieno.
L’irlandese
scattò in piedi come se un mazzo di carciofi le si fosse appena materializzato
sulla sedia e senza dire una parola corse a prendere un accordatore elettronico
su uno scaffale. Avvertiva sulla nuca le occhiate divertite degli amici, e
imprecando tra sé pensò che per certe cose avrebbe avuto molto da imparare dal
Dio degli Inganni.
«Non c’è
nessun uomo.» rispose con assoluta
calma nel tornare al proprio posto, e a voler essere pignoli non era una bugia.
«Ve lo giuro.» insistette, e involontariamente si ritrovò a fissare Francis
dritto negli occhi come per giustificarsi con lui soltanto.
Il
trombettista ricambiò lo sguardo e rise di nuovo:
«Erin,
non è mica una colpa! Anzi, se tu avessi una storia saremmo tutti felicissimi per te.»
Lo disse
con affetto e senza malignità, e tuttavia il cuore di Erin mancò di un battito.
Con le eccitanti novità degli ultimi giorni si era quasi dimenticata della
propria storica cotta per lui, e il sentirsi rammentare proprio dal diretto
interessato che tra loro non c’era più niente non la rese felice. Le
insinuazioni di Owen le avevano d’altro canto ricordato quanto equivocabile
fosse, seppur immotivatamente, la sua convivenza con l’asgardiano, e il battito
cardiaco le fece strani scherzi per un istante in più.
«Allora
stasera uscita alcolica collettiva?» domandò il contrabbassista.
Gli altri
confermarono e Francis annunciò che lo avrebbe riferito al resto della ghenga;
Sylvia propose invece a Erin di passarla a prendere a casa con un po’
d’anticipo per chiacchierare in pace tra loro, ma l’altra ululò un deciso “no!”
e si offrì di passare lei dalla rossa con il Duetto a capote abbassata, perché
con quella macchina facevano sempre una figura migliore. L’amica accettò con una punta di dubbio nella voce e lasciò correre.
Poi il
direttore salì sul podio reclamando l’attenzione degli orchestrali e tutti
presero posizione rumoreggiando. Erin aprì il cartolare degli spartiti e
accordando il proprio La a 442 hertz si gettò alle spalle gli strani pensieri
di poco prima.
La prova
fu lunga e produttiva e terminò che il sole era già calato a occidente, tra i
grattacieli scintillanti della metropoli. Il gruppetto di amici si dette
appuntamento in un noto locale del centro per il dopocena e si separò lanciando
ancora battute all’indirizzo dell’irlandese che rispose a tono mentre correva per
prendere l’autobus. Era convinta che sarebbe stato problematico spiegare al dio
nordico la ragione per cui quella sera si sarebbe assentata, ma non aveva fatto
i conti col proverbiale disinteresse di costui per le sciocchezze umane: gli
annunciò la novità in cucina e lui a malapena la guardò, ed Erin finì col
trovare stupido l’aver ritenuto importante parlargliene, dal momento che la
casa era sua e che tra loro non esisteva alcun tipo di relazione che prevedesse
il giustificarsi per ogni singola uscita.
Allora
scelse di disinteressarsi a sua volta, mangiò in fretta e altrettanto
frettolosamente uscì, notando con la coda dell’occhio quanto familiare e
surreale assieme fosse l’immagine della nobile figura di Loki, ancora seduto al
tavolo, stagliata nella luce soffusa della stanza.
Rimasto
solo, il Dio degli Inganni contemplò in silenzio la tranquillità della dimora e
di quella serata midgardiana la cui aria tiepida filtrava dalle finestre che
l’irlandese aveva lasciato aperte, non sapeva se per volere o per più probabile
distrazione. Terminò con calma il proprio pasto, sorseggiando il vino rosso di
buona qualità che Erin aveva servito e considerando che in un certo senso si
stava abituando ai sapori del cibo terreno: non era troppo diverso da quello
che veniva preparato ad Asgard, sebbene la qualità lasciasse spesso a
desiderare; e il vino era più secco e pungente ma gli piaceva più della birra
scura d’Irlanda. La birra era una bevanda che meglio si adattava agli animi
grezzi e semplici come quello di Thor, giudicò tra sé.
Quindi si
alzò e si spostò nel salotto, dove nessuna lampada era stata accesa, e ne trovò
gradevole il buio morbido che solo gli aloni dell’illuminazione esterna
intaccavano. Si accomodò su una poltrona – la cosa più simile a un trono che
avesse trovato in quella casa – e fissò il mondo oltre i vetri spalancati
senza realmente vederlo.
Per
quanto il suo corpo fosse al momento paragonabile a una mera forma umana, la
mente di Loki poteva ancora perdersi in riflessioni insondabili, giungendo in
luoghi e dimensioni che pochi avrebbero potuto anche solo scorgere. Vagò
così nuovamente col pensiero attraverso ciò che aveva visto, vissuto e appreso,
finché non scattò in piedi come colpito da una frusta: un nome gli era balenato
in testa, un nome non desiderato, e un’idea allarmante si era fatta strada tra
le altre. L’asgardiano andò alla finestra, le mani dietro la schiena.
Thanos,
questo era il nome. Il titano rosso gli aveva promesso il dominio su Midgard e
i mezzi per ottenerlo in cambio del Tesseract, promettendo dolore e distruzione
nel caso in cui lui non fosse riuscito nell’impresa, e Loki aveva a tutti gli
effetti fallito. Non era dunque strano, si disse, che quell’essere temibile
avesse lasciato correre, che non gli avesse dato la caccia?
Forse la
prigionia su Asgard glielo aveva tenuto a distanza per qualche tempo, e forse
l’esilio tra i mortali lo aveva sinora celato agli occhi acuti del titano, ma
era questione di tempo: presto Thanos avrebbe ripreso a
cercarlo, se già non lo stava facendo, e infine lo avrebbe trovato, e Loki si
augurava che per allora avrebbe riavuto i propri poteri.
Lo
avrebbe cercato e avrebbe cercato pure di impadronirsi in maniera diversa del
Cubo Cosmico, e poiché il Cubo si trovava adesso ad Asgard, ben controllato da
Odino, quel demone ossessionato dalla Morte non avrebbe esitato a
scatenare una guerra contro il Padre degli Dei per averlo. Come avrebbe fatto
lui stesso, pensò quasi con sorpresa il dio caduto.
In
quell’istante la porta dell’appartamento si aprì ed Erin entrò con impeto in
casa incespicando e schiavicciando, e lui si rese conto che dovevano essere
passate almeno tre ore da quando era uscita. L’irlandese chiuse l’uscio
poggiandovisi contro e sorrise:
«Eeeeeeeehi, Loki!» lo salutò con voce eccessivamente amichevole.
L’asgardiano
le si avvicinò cauto: «Sei ubriaca, donna d’Irlanda?»
«Sono allegra, il che è piuttosto diverso.»
rispose Erin andandogli incontro.
«Puzzi
di birra come quel decerebrato di Thor nei suoi momenti migliori.» commentò
l’altro, e subito dopo trovò strano aver parlato del Dio del Tuono in tono così
leggero.
La
ragazza di Galway scoppiò a ridere di gusto e rimase incastrata con la borsa
all’angolo di un mobile. Sempre ridendo cadde in avanti, e prima che uno dei
due potesse evitare o capire cosa stava facendo Loki tese d’istinto le mani ed
Erin gli si aggrappò per non rovinare a terra.
Era la
prima volta che si toccavano, e il contatto fu
per entrambi scottante e piacevole – per lui la pelle tiepida di lei
sotto la propria, per lei le braccia solide dell’asgardiano che la sostenevano, e il
trovarsi vicini come mai prima erano stati.
E se
Erin notò a malapena il brivido che la percorse, intenta com’era a
metabolizzare l’ormai netta verità che Francis Bright non la desiderava più,
Loki non riuscì a ignorare l’inconsueta sensazione che provava. Guardò
l’irlandese, il suo volto colorito a poca distanza dal proprio, e ne vide la
bellezza pura e semplice e non condizionata, adesso, da alcun tipo di follia,
genialità o ambizione, perché in quel momento Erin Anwar era umana e
vulnerabile.
E questo,
paradossalmente, gli piacque. Lei gli
piacque, così calda e viva e diversa dalle splendide, ieratiche dame di Asgard
e tuttavia di non inferiore beltà, e pensò che gli sarebbe
piaciuto possederla almeno per una notte per sentire di nuovo e di più il suo
calore.
Erin
colse qualcosa di differente e intrigante nell’uomo che la stava praticamente
abbracciando, e ne fu turbata. Nonostante questo cedette al
sonno che i fumi dell’alcol le provocavano e si sciolse dalla stretta gentile
del dio dopo un attimo di esitazione, e l’episodio rimase nei meandri della sua
mente come una luce che si scorge con la coda dell’occhio.
«Grazie.» disse sorridendo e socchiudendo le palpebre, e scivolò verso la propria
camera.
Loki fu
tentato di seguirla per soddisfare il desiderio che gli infiammava il sangue,
e si sforzò di mantenersi lucido: non poteva rischiare – non adesso – di gettare al vento
un’alleanza e una vantaggiosa sistemazione solo per placare un bisogno futile
come quello.
Ma quella
notte l’abisso di tempi e universi opposti che li divideva si colmò ancora un
po’.
> Note a piè di
pagina
Ed ecco entrare in scena i primi comprimari e un paio di idee allarmanti.
Erin sta praticamente tenendo corsi lampo di abbindolamento à la Midgard per il suo divino ospite e
quest’ultimo sta considerando l’opzione di mostrarsi “ammaliato” dalla sua
padrona di casa perché “con Thor ha più o meno funzionato”. O magari ne è
ammaliato davvero e sta iniziando a rendersene conto… Ecco a voi anche il resto
della Boston Philharmonic Orchestra, ora che il concerto è alle porte: per
precisare un paio di cose al riguardo, il La a 442 Hz è la nota sulla quale ci
si accorda in orchestra, la cui frequenza è solitamente tarata sul La del primo
violino o del primo oboe (nelle orchestre di fiati). Se non si fosse capito,
sono musicista anch’io :)
L’appellativo di Owen per Erin, “Erinni”, non è un errore di battitura bensì
un nomignolo riferito al suo essere un po’ fuori di cucuzza – le Erinni sono le
Furie nella mitologia greca e romana. Nella mia testa i fatti degli Avengers si sono svolti ad aprile, più o
meno, perciò adesso nella storia siamo a maggio molto inoltrato.
Il titolo del capitolo è tratto da un verso di Wonderful di Gary Go: we are
miracles / wrapped up in chemicals.
Il prossimo atto è l’ultimo della quiete prima della tempesta – ma CHE
quiete sarà…!
C’mon ladies, sotto con queste recensioni! Grazie di cuore a tutti coloro
che seguono, leggono e apprezzano.
Ossequi asgardiani e a presto!