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Autore: CowgirlSara    04/02/2013    2 recensioni
La pace era una sensazione stranissima. Era un qualcosa di bellissimo e fragile che ricopriva tutto come una coltre di brina. Sì, una specie di mattina invernale. Solo che adesso era estate e le battaglie, le perdite, i peccati, i sogni infranti erano veri. Il dolore era reale, ma era come se contasse e pesasse meno di quella pace finalmente raggiunta.
Dal Cap.2: La prima cosa di cui Milo si accorse fu che era sempre uguale, come se il tempo l’avesse, per qualche misterioso motivo, ignorata, nel suo scorrere indifferente.
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo Aiolia, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary'
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WYA - 3 Eccoci qua, col terzo capitolo, la storia si fa un po’ più drammatica, ma spero che continui a piacervi. Siate così gentili da farmelo almeno sapere, i commenti sono sempre graditi!

Vi lascio alla lettura!
Baci
Sara

- Capitolo 3 -

…stay at my side,
For you are my blessing you are my pride.
It's your love here that keeps my soul alive.
(Black Cowboys – Bruce Springsteen)

Elettra si era seduta al tavolo del soggiorno, fissando il vuoto. Le capitava così, all’improvviso. Il dolore era come un’onda che non ti aspetti. Bastava un nulla. Il libro che lui aveva lasciato a metà posato sul comodino. La sua maglietta nella cesta dei panni sporchi. O anche il solo sedersi a quel tavolo, intorno al quale avevano discusso infinite volte. O il suono chiaro della sua voce, che sarebbe rimasto tale ancora per poco. Se la sarebbe dimenticata, sapeva che era così. Inevitabile. Ma il vuoto fisico della sua presenza era qualcosa che non si poteva dimenticare. Una persona non c’era più. C’era un buco, un vuoto, una voragine…
Un singhiozzo violento le squassò la gola, si tappò la bocca con una mano, restando con gli occhi spalancati e pieni di lacrime. Quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle, però, si asciugò velocemente il viso, ricomponendosi.
“Ioria è già andato via?” Domandò alla persona che era entrata, sospettando si trattasse di Milo.
“Sì.” Rispose il cavaliere avvicinandosi; lei si alzò, continuando però a dargli le spalle. “Ad ogni modo, mi domando come farà a tornare…” Aggiunse il ragazzo con tono ironico. “…visto che…”
Elettra si girò con un mezzo sorriso liquido. “…non ha la patente.” Affermò, terminando la frase; Milo sorrise beffardo.
“Chiamo il mio autista.” Annunciò la donna, dirigendosi verso il telefono.
“No!” La fermò lui. “Divertiamoci ancora un po’…” Suggerì poi, con aria vagamente maligna.
“Senti…” Fece lei voltandosi. “…non mi sembra il caso…” Sembrava, però, indecisa; Milo si approfittò subito della crepa.
“Suvvia…” La blandì il cavaliere, rispolverando il suo sguardo più seducente. “…non ditemi che non vi alletta l’idea di tenerlo un po’ sulle spine.” Elettra lo guardava negli occhi con un vago sorriso e le braccia incrociate.
“Sei sempre così persuasivo con le donne?” Gli domandò ironica.
“Modestamente…” Si vantò lui, alzando gli occhi al soffitto.
La donna lo fissò ancora per qualche istante, poi sorrise e si voltò verso lo scrittoio posto tra le due porte finestra. “Adesso chiamo.” Dichiarò quindi, afferrando il cordless; Scorpio rise scuotendo la testa.
Elettra avvertì l’autista di recuperare Ioria al terzo cancello e di accompagnarlo al Santuario di Atena, poi posò il ricevitore e tornò da Milo, che era rimasto in piedi in mezzo alla stanza, senza perdere la sua espressione canzonatoria.
“Tutto a posto, il viandante è in buone mani.” Annunciò al cavaliere. “Avresti preferito mandarlo a piedi?” Domandò poi, accorgendosi della sua espressione.
“Noooo….” Fece Milo divertito.
Elettra scosse il capo. “Siete un caso disperato, voi due.” Affermò poi; lui rise e lei lo guardò. “Mio padre sarebbe felice di rivederti.” Gli disse quindi.
“Dite?” Ribatté il ragazzo sorpreso.
 “Oh, sì, sono sicura che gli sei mancato.” Ribadì con tenerezza; a lui non restò che sorridere chinando il capo.
“Lui è mancato a me.” Confessò timidamente.
“Sono davvero felice che tu abbia deciso di restare.” Continuò Elettra.
Scorpio alzò gli occhi nei suoi e gli sembrò di vederli appena più vivaci; se ne rallegrò, prendendole le mani. “Anch’io ne sono felice, sul serio.” Le disse con sincerità.
Rimasero a guardarsi per un lungo istante. Nessuno dei due poteva negare che fosse avvenuto un contatto. Il nucleo di un sentimento che si poteva chiamare solidarietà. Ed era incredibile come questo fosse capitato con una persona ritenuta la più improbabile.
“La cena è pronta.” Annunciò la voce seria di Alexandros; dalla sua espressione si sarebbe detto che li osservava da un po’.
Elettra gli sorrise, senza togliere le mani da quelle di Milo. “Arriviamo, grazie amore.” Gli rispose poi, mentre il ragazzo lasciava delicatamente la presa.
Lei, quando il figlio fu andato via, lo guardò, con negl’occhi la domanda inespressa sul perché l’avesse lasciata; Milo non rispose, ma abbassò gli occhi, incapace di spiegare il suo imbarazzo.

La cena fu piuttosto mesta. Elettra mangiò pochissimo, altrettanto fece Alexi, e Milo, in tutta coscienza, non è che avesse tanto appetito.
La sacerdotessa, ogni tanto, si estraniava, fissando il vuoto. Sotto le luci della sala da pranzo il suo volto era ancora più pallido e per il cavaliere era difficile riconoscere in lei la donna autoritaria e sarcastica che aveva conosciuto. Ma per metabolizzare il dolore, si sa, non sono sufficienti i giorni.
Il soggiorno li accolse subito dopo cena, ma Elettra lasciò Milo e Alexi da soli quasi subito, poiché volle personalmente occuparsi del caffè per tutti.
Il cavaliere si sentiva un po’ in imbarazzo ad essere solo con il ragazzo. Era uno strano essere, Alexandros. Certo il suo umore non doveva essere dei migliori, date le circostanze. Milo immaginava che lui e Camus fossero molto legati, la credeva una cosa inevitabile, visti i rapporti del cavaliere con la madre. La dignità e la compostezza del ragazzo, però, denotavano una certa maturità. Certo, pensando che aveva più o meno l’età dei ragazzi che i Gold Saints avevano affrontato al Santuario…
C’era qualcos’altro però… una forza che lo circondava, che modificava lo spazio intorno a lui, come una consapevolezza… una pace… Un cosmo!
Milo spalancò gli occhi fissando Alexandros. Non era un cavaliere e questo era chiaro. Allora come si spiegava questa cosa? Che sua madre lo avesse addestrato? No, non completamente almeno, non alla guerra, di sicuro… No, no, era diverso… più come un istinto…
Il ragazzo alzò lo sguardo verso il cavaliere e lo fissò con i suoi occhi profondi e scuri. “Devi dirmi qualcosa?” Gli chiese.
Il ragazzo lo aveva percepito, era chiaro. Milo avrebbe avuto molte cose da chiedergli, ma si domandò a che punto arrivasse la consapevolezza di Alexandros. Decise di limitarsi alle faccende più urgenti e, dopo un profondo sospiro, si avvicinò al divano. Doveva chiarire.
“Mi domandavo se, per caso…” Esordì incerto, posando le mani sulla sponda della poltrona di fronte a quella di Alexi. “…prima di cena, quando sei entrato qui, tu non ti fossi chiesto se ci stavo provando con tua madre…” Affermò infine.
Alexandros aggrottò la fronte, leggermente perplesso. “Avrei dovuto chiedermelo?” Replicò poi, posando il libro che aveva in mano.
“Beh, non lo so…” Rispose imbarazzato Milo, grattandosi una tempia. “Ma la situazione poteva dare adito a… dubbi.” Spiegò.
Il ragazzo si sistemò sul divano senza guardarlo. “Non ti conosco bene…” Riprese poi. “…ma non mi sembri il tipo che si approfitta di certi momenti.”
“Certo che no!” Confermò Scorpio serio.
“Ad ogni modo.” Gli disse Alexi guardandolo negli occhi. “Lei si sa difendere, e anch’io.” Milo non aveva il minimo dubbio che si trattasse della verità, non sembrava uno sprovveduto e certo non lo era sua madre.
“Bene.” Annuì quindi il cavaliere. “Sono felice di aver chiarito, non mi piacciono le situazioni ingarbugliate e non è mia intenzione iniziare la nostra conoscenza con perplessità e fraintendimenti.”
“Dunque, tutto a posto?” Lo interrogò il ragazzo. “Adesso puoi rilassarti.” Aggiunse divertito.
“Sì.” Rispose Milo sorridendogli. “E sarà meglio che mi sieda, ho dolori ovunque…” Aggiunse, massaggiandosi una spalla.
“Che cosa ti è successo?” Gli chiese il ragazzo che, incuriosito, aveva rinunciato a riprendere il libro.
Scorpio esitò un attimo prima di rispondere, c’erano particolari di quello che era successo che lui stesso preferiva non ricordare, ancora. Era una sensazione che conosceva fin troppo bene, il senso di colpa. Si sedette evitando di guardare Alexi.
“È… è successo nella battaglia…” Affermò infine, titubante. “Il mio avversario è riuscito a colpire le quindici stelle dello Scorpione disposte nel mio corpo e questo, capirai, mi ha lasciato piuttosto messo male...” Fece una risatina nervosa per cercare di allentare la propria tensione. “Se poi consideri che nelle ultime trentasei ore ne ho dormite sì e no tre…”
Alexandros, però, sembrava non ascoltarlo; teneva il capo chino e lo sguardo era perso, il corpo immobile, con le mani ai lati delle ginocchia. Milo lo guardò e si ritrovò a pensare che, in quel momento, il ragazzo era bello come una statua di Apollo, ma gli si strinse il cuore ricordando il prezzo che sua madre aveva dovuto pagare per tanta perfezione. Il suo vero padre, Alexandros, infatti non lo aveva mai conosciuto. Sacrificato ad Atena, per il bene di tutti.
“Tu lo hai conosciuto…” Mormorò infine il ragazzo. “…lo hai conosciuto il Cavaliere che ha sconfitto Camus?” Domandò, alzando gli occhi blu in quelli azzurri dell’interlocutore.
Ecco, sapeva che sarebbe arrivato il momento. E adesso come gli avrebbe spiegato che, se lui non avesse salvato Hyoga, Camus ora sarebbe stato vivo? Come, se non riusciva a far capire a se stesso, che quel gesto era stato inevitabile? Per Atena l’ho fatto… per Atena… c’è chi ha perso più di un amico per Lei… c’è chi ha perso un padre…
Le parole, infine, gli uscirono stentate. “Sì…” Disse. “Sì, lo conosco…” Ammise con un groppo doloroso alla gola, mentre fissava gli occhi di Alexandros.
“Allora, lo volete il caffè?” Chiese Elettra entrando in quel momento in salotto.
Milo e Alexi si voltarono verso di lei, ringraziandola mentalmente per aver interrotto quel drammatico dialogo; nessuno dei due voleva angosciarla di più, quindi si ricomposero all’istante.
La donna posò il vassoio sul tavolino tra i due divani e si sedette accanto a Milo, poi li guardò. “Di che cosa stavate parlando?” Tra Alexi e il cavaliere passò un’occhiata allarmata.
“Di niente.” Si sbrigò a rispondere Scorpio. “Solo uno scambio di opinioni…”
Elettra aggrottò la fronte sospettosa. “Spero non si tratti di uno scambio di opinioni simile a quello che hai avuto con Ioria.” Ipotizzò sarcastica.
“Oh, no… no, davvero!” Ribatté Milo con un sorriso; nel frattempo Alexandros si alzò.
“Cosa c’è, tesoro?” Gli domandò subito la madre, ridiventando seria davanti all’espressione mesta del figlio.
“Niente, sto bene.” Rispose lui vago. “Vado in camera mia.” Annunciò quindi.
“Non lo prendi il caffè?” Chiese Elettra.
“No, grazie, non mi va.” Rifiutò il ragazzo. “Buonanotte.” Augurò a Milo, prima di uscire dalla stanza; la madre non aggiunse niente e cominciò a riempire le tazze.
La mano di Elettra, però, tremò e la donna fu costretta ad interrompere il gesto, per posare di nuovo la caffettiera di porcellana decorata sul vassoio d’argento. Si appoggiò indietro, contro lo schienale e fissò le proprie dita stringere la stoffa azzurrina del vestito.
“Non riesco a vederlo così.” Affermò quindi, con un filo di voce. “Non hai idea di cosa sia, per una madre.” Aggiunse; Milo non poté fare altro che prenderle una mano e stringerla nella sua.

Non era molto tardi, quando Elettra accompagnò Milo in una delle stanze da letto del secondo piano. Era una camera piuttosto ampia, ma con un mobilio essenziale: letto a due piazze, un divanetto, un cassettone, il tavolo con due sedie.
La luce proveniva dalle grandi porte finestra che davano sul balcone; almeno finché la donna non accese l’interruttore.
I mobili erano bianchi, il parquet chiaro, le tende bianche e blu; sopra al letto c’era il grande quadro di un paesaggio innevato.
“Se vuoi cambiarti per la notte, ci sono delle cose di Camus nei cassetti.” Gli disse Elettra indicandogli il comò.
Milo si voltò sorpreso. “Questa era la sua stanza?” Le chiese.
“Hm… sì…” Rispose imbarazzata lei. “A volte avevamo bisogno della nostra privacy, pur non riuscendo a stare più lontani di un paio di porte.” Aggiunse abbassando il capo con sguardo malinconico.
Milo, però, non la guardava più, stava fissando la stanza. Gli occhi vagavano senza riuscire a posarsi in un punto preciso. Le tracce della vita di Camus erano ancora presenti. C’era un libro sul comodino, si vedeva chiaramente un segnalibro vicino al termine delle pagine. Le lenzuola pulite. Alcuni indumenti stirati appoggiati su una sedia. Gli si aprì una voragine nello stomaco e contrasse la mascella per evitare di piangere.
“Se non te la senti, posso fartene preparare un’altra.” Mormorò Elettra a capo chino.
“N… no… grazie…” Balbettò Milo in risposta, posando appena gli occhi su di lei e tornando subito a guardare la stanza. La verità era che sarebbe voluto scappare, ma, allo stesso tempo, desiderava restare lì, dove la presenza di Camus era ancora così viva.
“Bene.” Annuì la donna, poi, prima di andarsene gli prese la mano e lo guardò negl’occhi. “Buonanotte.” Gli disse, stringendo le sue dita tra le proprie.
“Buonanotte a voi.” Rispose il cavaliere, salutandola con un piccolo cenno del capo; lei gli sorrise con tristezza e se ne andò.
Milo rimase solo. Chiuse lentamente la porta e vi si appoggiò con la schiena, poi allungò una mano e spense l’interruttore. Nella penombra lasciò che il dolore prendesse il sopravvento, senza violenza, sordo e cupo. La sua mascella tremò, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Il ragazzo alzò una mano e se la portò alla bocca. Il dorso e le nocche erano freddi contro le labbra, ma le lacrime bruciavano sulle guance. Scivolò lungo la porta, fino a trovarsi seduto per terra e si lasciò andare al pianto, con lo sguardo perso nella stanza vuota.

Alexandros entrò silenzioso nella stanza della madre. Erano accese solo poche luci, quelle ai lati del letto e quelle della specchiera, che s’intravedevano chiaramente oltre la curva del muro. Il ragazzo passò tra le colonne davanti alla porta del bagno, dirigendosi verso il tavolo dove avrebbe trovato la madre; infatti, Elettra era seduta davanti allo specchio.
La donna si era sciolta i capelli, ma sembrava che non trovasse la forza di pettinarsi; la sua mano destra era sulla spazzola, ma i suoi occhi erano persi sugli oggetti disposti ordinatamente davanti a lei. Il figlio si avvicinò.
“Mamma…” La chiamò.
Elettra sussultò, accorgendosi solo in quel momento del suo arrivo, però si voltò con un flebile sorriso. “Cosa c’è, tesoro? Perché non sei ancora a letto?” Gli chiese.
“Vuoi che resti qui anche stanotte?” Replicò Alexandros.
“Se vuoi farlo…” Rispose lei, sospirando e posando il mento sulle mani sollevate.
“Solo se lo desideri.” Ribatté il figlio.
Elettra sorrise e si alzò, avvicinandosi ad Alexi. “Sai che mi fa piacere.” Gli disse prendendolo con dolcezza per le spalle. “Tu sei la mia forza.” Aggiunse abbracciandolo.
“Ti voglio bene.” Mormorò il ragazzo carezzandole i capelli.
“Sei una benedizione, il mio orgoglio…” Affermò a bassa voce Elettra, stringendo forte a se suo figlio. “…è il tuo amore che mi fa sopravvivere, se tu non ci fossi mi sarei lasciata andare molto tempo fa.” La sua voce, ormai, era commossa.
“Io non ti lascerò mai.” Dichiarò con forza Alexi, pur non riuscendo a trattenere le lacrime.
“Lo so…” Rispose la madre, allontanandosi appena, per guardarlo negl’occhi. “Lo so.” Ribadì con un lieve sorriso. “Insieme siamo invincibili, finché mi sarai vicino… finché saremo uniti, supereremo qualsiasi cosa.” Gli garantì senza cedimenti, lui l’abbracciò di nuovo.
“Ce la faremo?” Domandò il figlio, con il viso sprofondato nei capelli della madre; la sentì annuire contro il suo capo.
“Sì, credimi… credimi!” Lo supplicò dolcemente, nonostante le lacrime. “So che adesso sembra impossibile, che il dolore è tanto forte, ma sai… il dolore diminuirà, si rifugerà in un angolo del tuo cuore, pronto ad uscire quando meno te l’aspetti certo, ma la vita riprenderà il sopravvento… credimi, passerà…” L’abbraccio di Alexi si fece più forte ed Elettra lo sentì singhiozzare contro la sua spalla, non riuscendo a fermare le proprie lacrime. “Passerà… io lo so…”

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