Silenzioso
come quando era venuto, quel signore, ammantato di nero e dagli occhi
schermati da spesse lenti scure nonostante l’orario, si
allontanò senza aver
pronunciato parola.
Kimie gli lanciò un’occhiata perplessa, ma
notò che fu l’unica: gli altri
continuarono a conversare di temi leggeri, senza dare il minimo peso
all’accaduto.
Mi chiedo se anche io finirò con
l’abituarmi alla costante presenza di un’intera
squadra di Men in black
sguinzagliata alle mie calcagna, oppure mi
rimarrà un minimo di buon senso tale da lasciarmi continuare
ritenere che essa sia
inutile, in qualunque modo la si rigiri.. Non fanno altro che
trasmetterti
ansia, con quelle le mascelle serrate e la loro aria grave danno
l’impressione
d’esser pronti ad assistere a un terzo conflitto mondiale o
roba simile..
Sospirò piano, cercando di dissimulare
l’espressione irritata scolpita sul suo
viso.
Nella sua mente, questo soliloquio andava avanti da un po’, e
se cessò fu solo
perché aveva terminato le cose di cui lamentarsi:
inizialmente già riteneva
improbabile che sarebbe riuscita non solo a sopportare, ma a mostrarsi
lieta
della quanto mai sgradita presenza di Zero, con il quale aveva
praticamente
smesso di parlare se non quando le circostanze glielo imponevano, come
in
quella sera.
Eppure l’emozione che trovava più difficile
ignorare, talmente sentita da
arrivare a farle
bruciare gli occhi, era
un profondo biasimo, verso tutti, ma soprattutto verso se stessa.
Aveva acconsentito ad andare a questa serata, scegliendo di comportarsi
com’era
opportuno piuttosto che come credeva avrebbe dovuto: incontrare
formalmente
l’uomo che, per rendere un favore a suo fratello, col quale
avrebbe concluso a
momenti un importante affare, s’era offerto
d’ospitarla per qualche tempo nella
sua residenza piuttosto che affrontare Zero e dirgli che non aveva
intenzione
di sprecare nemmeno un attimo di più assieme a lui, che
presto, volente o
nolente, si sarebbe trovato ad acconsentire che facesse ritorno a San
Pietroburgo e che nell’attesa non aveva la minima intenzione
d’esser manovrata,
in un modo tra l’altro così palese e sconsiderato,
per i suoi interessi.
D’altronde, ripeté tra sé e
sé una volta di più, non era impuntandosi come
una
bambina che sapeva avrebbe avuto la meglio sulla questione, e in questo
caso le
rimanevano solo due opzioni da considerare se voleva riprendere a
vivere
indipendentemente: indurre Zero a farla ritornare in Russia, o
aspettare finché
non fosse divenuta maggiorenne, e dunque le conveniva accettare fin da
ora che
per la realizzazione di entrambe sarebbe dovuto passare del tempo,
tempo in cui
nulla, nessuna sua azione avventata o frase fuori luogo le potesse
essere
rivoltata contro.
E quindi eccola, a sfoggiare il più luminoso dei suoi
sorrisi, pervasa dalla
fredda consapevolezza della condotta che avrebbe dovuto sfoggiare a
prescindere
da ogni cosa, a prescindere dal fatto che, circondata da persone
estranee, con
le quali era però tenuta a intrattenersi avendo cura di non
incrinare
quell’atmosfera di falsa cordialità intessuta con
tanta cura, non c’era modo,
ne’ tanto meno motivo, per passare ad argomenti che
s’allontanassero dagli
interessi comuni condivisi, sprecandosi in complimenti, rimirando
l’eleganza
che permeava quella sala, il buon gusto con cui ogni cosa era stata
organizzata.
E dal momento che quella sera erano arrivati
nel teatro
con un largo
anticipo,
aveva avuto il tempo, che ai suoi occhi era parso infinitamente lungo,
per
iniziare comportarsi nel modo in cui si era ripromessa di fare.
E, seppure s’era resa conto che aveva sbagliato a giudicare
così negativamente
tutte le persone con cui avrebbe avuto a che fare (come ad esempio la
signora
Shido, tanto solare e spontanea da spingerla a chiedersi cosa ci
facesse una
persona come lei nella famiglia Ootori), era anche vero che il
più delle volte
i suoi pregiudizi si erano rivelati fondati.
Ne era un esempio la signora Yagami, vedova di un proprietario di
importanti
aziende d’elettronica, vestita con un abito nero, su cui
spiccava fin troppo
evidentemente il rossetto color carminio che infiammava le sue labbra e
le
gemme degli anelli che portava su ogni dito, e con cui – non
certo per sua
scelta – Kimie s’era ritrovata a scambiare inutili
convenevoli.
Enjyo si dovette rendere conto, almeno un po’, del suo reale
stato d’animo, o
quantomeno del pulsare innaturalmente veloce della vena sulla sua
tempia, che
andava ad accelerare ogni minuto perso a parlare con una persona che
fin
dall’inizio le era risultata particolarmente sgradevole,
perché, scusatosi per
l’interruzione e afferrato con delicatezza il polso della
ragazza, si allontanò
di qualche passo, trattenendo a stento un sorriso divertito.
Si fermò a pochi passi dalla parete e la lasciò
andare mentre Kimie, abbassate
impercettibilmente le spalle, rilassava i muscoli del viso: lo sforzo
di
mantenere una facciata di cortesia le aveva fatto dolere la bocca.
“A quanto pare, è stata un’idea quanto
mai saggia, quella di strapparti dalle
grinfie di quella donna.. Se ti può consolare, a me
è andata persino peggio:
sono abbastanza sicuro che dietro certe sue affermazioni” le
confidò con un
aria giocosamente spaventata, lanciando un’occhiata alla
giovane signorina con
cui stava parlando fino a un attimo fa per farle capire a chi si stesse
riferendo “si nascondessero chiare profferte
sessuali..”
Al sopracciglio che aveva ironicamente alzato mentre Enjyo le faceva
questa
confidenza, Kimie fece seguire uno sbuffo un po’ esasperato
quando poi lui
aggiunse, passandosi con aria distratta una mano sugli scompigliati
capelli
bruni : “Certo, non che le si possa dar torto..”
Lanciandogli un’occhiata sott’occhi mentre posava
la sua schiena sulla fredda
superficie del marmo chiaro, Kimie si trovò costretta ad
ammettere che no,
oggettivamente non lo avrebbe potuto fare: le labbra perennemente
sollevate ad accennare un sorriso sghembo, occhi in cui sembravano
danzare
fiamme color oro, la sua aria a volte quasi infantile e la sua statura
non
particolarmente alta, nonostante i lineamenti marcati e il fisico ben
delineato, lo facevano sembrare più giovane dei suoi
trentaquattro anni e
decisamente prestante, anche se non era il caso di dargli ragione, era
già una
persona fin troppo vanesia per i suoi gusti: “ Piuttosto,
continuo a non
riuscire a spiegarmi cosa spinse Mathilde a fidanzarsi con un una
persona
dall’ego così sfacciatamente
spropositato..”
“Ah Kimie, se non ti conoscessi tanto bene, potrei anche
pensare che una
sfumatura di rimprovero si nasconda tra le tue parole”
rispose lui, sbattendo
le palpebre con aria innocente.
“Sfumatura? Ma se non mi sarei potuta esprimere
più chiaramente..” ribatté la
ragazza, un sorriso ancora accennato sull’angolo della bocca.
“Bel modo per ringraziarmi per la mia gentilezza..”
bofonchiò poi Enjyo “quasi
quasi ti lascio di nuovo alla balia di quei pagliacci..”
Eppure c’era una luce divertita nello sguardo che le rivolse
quando, ascoltando
la sua proposta, Kimie non poté trattenersi dallo storcere
il naso.
“Mi pare di capire che in fondo nemmeno tu abbia una grande
opinione dei tuoi
illustri colleghi, no Enjyo?”
Lui rise seccamente alle sue parole: “Non
c’è nemmeno bisogno che io ti
risponda.. molti di loro sembrano desiderare il potere più
dell’aria che
respirano. Di certo se Ootori non fosse riuscito ad incastrarmi avrei
trovato
un modo per saltare questa serata.. ma non vedo perché
perdere altro tempo
annoiandoti coi miei borbottii. Piuttosto, perché ti ostini
a chiamarmi col
cognome?”
“Ti offenderesti nuovamente se ti facessi notare che vista la
differenza d’età
potrei sembrare quasi irrispettosa a trattarti troppo
informalmente?”
Enjyo, sentendosi etichettare, seppure indirettamente, come vecchio, le
rivolse
un’occhiata sorpresa e un po’ incredula, come se
una parte di lui fosse
convinta d’aver udito male: “Ma se abbiamo
solo..” tentò di fare il calcolo,
poi optò per una cifra approssimata “ una
quindicina d’anni di differenza! E
poi non ti sei mai fatta troppi problemi
a chiamare Mathilde col suo nome..”
Davanti alle sue osservazioni, Kimie sospirò divertita: la
prima volta che
aveva visto quella giovane scrittrice, nel salotto verde della
residenza di
Andrej, quello riservato alle visite, aveva appena otto anni e da
quanto
ricordava l’aveva subito presa in simpatia: coi suoi capelli
color cioccolata e
una spruzzata di lentiggini su tutto il corpo Mala sembrava proprio una
delle
fate che popolavano i racconti di cui scriveva..
“E’ diverso” disse solo “e poi,
già mi suona abbastanza strano non darti del
lei..”
“Per carità” alle sue parole, lui scosse
il capo con decisione “vuoi davvero
farmi sentire decrepito, eh?” ma non le diede il tempo di
rispondere che già
aveva nuovamente cambiato argomento: “Ah, prima che me ne
dimentichi.. Mala mi
ha chiesto di portarti i suoi saluti, le avrebbe fatto piacere
salutarti prima che
tu partissi, ma era fuori città..”
“Sì, l’avevo sentito.. quando
tornerà, dille che ricambio.”
“Avrò modo di farlo tra pochi giorni..”
disse lui, poi davanti allo sguardo
interrogativo della ragazza aggiunse: “Avevo pensato di
andarla a trovare in
Italia, questo weekend”
“In Italia?” domandò Kimie, non
riuscendo a capire per quale motivo lei si
trovasse lì, per poi rispondersi da sola pochi istanti dopo:
“Ah giusto, è là
che voleva ambientare l’ultima parte del suo racconto,
no?”
Enjyo le diede ragione con un cenno del capo, mentre lei gli chiedeva:
“Ma non
era entro il sei di questo mese che avrebbe dovuto consegnare il
manoscritto
all’editore?”
“Hai una buona memoria” le concesse lui
“a me ha dovuto ripetere la data un
centinaio di volte prima che la memorizzassi.. In ogni caso,
sì, hai ragione..
Ed è questo il motivo” aggiunse dopo poco, le
labbra arcuate ad accennare
l’ombra di un sorriso sghembo “che farò
in modo di non arrivare lì prima del
sette mattina, sai ci tengo alla vita io. E poi, checché tu
ne dica, sono
ancora troppo giovane e decisamente troppo bello per morire a questa
età..”
Alle sue parole, Kimie fece per ribattere, ma alla fine non
poté trattenere una
risata: aveva perfettamente ragione.
Sotto il momento della consegna, persino una persona posata come
Mathilde
diventava irascibile e intrattabile, si aggirava per casa con
l’immancabile
tazza di caffè in mano, attorno a lei un’oscura,
vibrante aria di pericolo.
“Scelta saggia” approvò infine
“e poi chissà, che stavolta tu non riesca a
imparare
sul serio l’italiano..”
“Ma se lo so parlare perfettamente!”
protestò lui, rispondendole proprio con quella lingua.
Alle sue parole, non poté trattenere un’altra
risata: Enjyo aveva l’abitudine
di prendere il dialetto dei posti che visitava, e quindi
l’italiano che parlava
era una strana accozzaglia di varie cadenze, dalla romana alla
bolognese, che
nell’insieme risultava davvero comica.
“Se così ti pare..”
gli rispose lei,
lo sguardo ridente fisso su di lui.
“E poi, potrei farti notare che
almeno io,
non lo parlo come se vivessimo ancora
nell’Ottocento..” ribatté
piccato.
A quest’affermazione, Kimie non trovò nulla da
ridire: sapeva benissimo che
stavolta era lui ad avere ragione, perché avendo imparato
gran parte delle
lingue che conosceva grazie ai libri, e leggendo principalmente scritti
antichi, si era resa conto, studiando ad esempio poeti contemporanei,
di
parlare come una reduce del Risorgimento.
Socchiuse piano i suoi occhi verdi, in cerca
di una
risposta adeguata,
ma non
ebbero il tempo di terminare il loro discorso, perché era
stato in questo
momento che, nel lasso di tempo di un minuto, era venuto e se ne era
andato
quel membro dello staff Ootori, e assieme a lui li avevano raggiunti il
signor
Ootori e suo figlio.
“Ah, signor Ootori, che piacere rincontrarla” fu
Zero il primo a prendere
parola, avanzando verso i due e salutandoli con una stretta di mano.
Istintivamente, Kimie abbassò di scatto lo sguardo e, dopo
un respiro profondo,
lo rialzò lentamente.
Non avrebbe saputo dire se lui l’avesse fatto apposta per
distrarla o meno, ma
quella chiacchierata con Enjyo era riuscita a distrarla da tutti suoi
pensieri,
e per questo gli fu grata.
“Signorina
Amamiya” sentì il signor Ootori
chiamarla e fece un mezzo giro su se stessa, mentre lui continuava:
“vorrei
presentarle mio figlio, Kyouya Ootori.”
In effetti affianco a lui, vi era un giovane in un sobrio completo
grigio
scuro, che le sembrò essere più o meno suo
coetaneo.
Lui si presentò formalmente, un imperscrutabile, gentile
sorriso scolpito in
viso.
Dopo avergli lanciato una seconda occhiata, Kimie rimase immobile,
osservandolo
con interesse.
Si ritrovò a rimirare l’arco preciso
dell’occhio, la curva pronunciata degli
zigomi, la linea diritta del naso del ragazzo che le era stato appena
presentato, se non fosse stato per la strana luce che brillava nei suoi
occhi e
il fatto che in fondo era pur sempre un Ootori, non avrebbe esitato a
definirlo
bello.
Rispose al saluto lentamente, lo sguardo che esaminava con attenzione
le sue
iridi cineree che, al pari di un cielo invernale, sembravano essere
adombrate
dalla presenza di nubi dense e scure, cariche di pioggia.
Le sarebbe piaciuto ritrarlo.
Chissà che tonalità di colori avrebbe dovuto
usare.. probabilmente, si disse
tra sé e sé, fatta eccezione per un pallido rosa,
le sarebbero bastate diverse
sfumature di grigio.
Scosse debolmente la testa, seriamente, in che razza di pensieri stava
andando
a perdersi?
Distolse lo sguardo, perdendosi a fissare gli arabeschi che decoravano
il
soffitto, per poi riabbassarlo, indecisa su cosa dire.
“Si aspettava il teatro fosse stato costruito con uno stile
più tipicamente
orientale, Amamiya-san?” lo sentì domandarle.
A quelle parole, scosse piano la testa, poi aggiunse: “
E’ solo che alcuni
elementi, le finestre ad arco del primo piano o la balaustra del
terrazzo, mi
hanno ricordato l’Opéra Garnier.. Non trova anche
lei?” disse piano, ed ebbe
come l’impressione che il viso del ragazzo si irrigidisse
prima di risponderle,
ma fu solo un attimo: “Ho avuto anche io
quest’impressione.. e inoltre il
teatro fu commissionato dal signor Suou qualche mese dopo il suo
ritorno dalla
Francia, quindi è probabile che abbia ripreso alcuni
particolari di ciò che
aveva visto a Parigi.. Avete un’affinata capacità
d’osservazione, signorina” si
complimentò poi, rivolgendole un sorriso tanto bello quanto
preparato, o almeno
questa fu la sua impressione.
Perché se con gli anni aveva imparato fin troppo bene che in
alcune situazioni
pur di essere cortesi era necessaria l’ipocrisia o comunque
saper fare buon
viso a cattivo gioco, di espressioni come quella ne aveva viste tante
da
trovarle quasi banali.
Riscossasi dai propri pensieri, la ragazza aggiunse, senza fare
particolarmente
caso al complimento che le era stato rivolto: “ In effetti..
avevo sentito dire
che anche i Suou avrebbe assistito a questa première. Eppure
non ho ancora
avuto modo di vederli..”
“Dubito che verranno, signorina.. Tamaki mi ha chiamato per
avvertirmi che
avevano avuto un imprevisto” tagliò corto lui,
aggiustandosi gli occhiali che
avevano iniziato a scendergli sul viso.
Immaginano che non fosse il caso d’insistere, Kimie gli
chiese dopo aver
sollevato appena le spalle e cambiando discorso: “In ogni
caso, anche lo
spettacolo sarà una rappresentazione di un’opera
europea, o sbaglio?”
Ootori scosse appena il capo, dandole ragione: “Affatto..
Verrà recitata una
tragedia di Shakespeare, Cesare.”
“Una delle mie preferite” sorrise la ragazza.
“Kimie, hai mai visitato il Foro Romano?” alle
parole del signor Enjyo,
aggrottò leggermente le sopracciglia, dubitava che avesse
seguito la loro
conversazione, ma evidentemente non gli era ancora passata la
discutibile
abitudine di unirsi ai discorsi altrui pur non avendo la minima idea di
che
cosa si stessero parlando, semplicemente perché qualcosa, un
nome, un luogo,
aveva attirato la sua attenzione.
“Sì, ma da bambina.. I ricordi che ne ho sono
abbastanza vaghi.. Scusa ma in
che modo potresti ricollegare la tua domanda al nostro
discorso?” gli rispose
in ogni caso lei.
“Di nuovo, la tua pungente schiettezza mi ferisce.”
borbottò lui, lanciandole
un occhiata profondamente offesa quando la ragazza sollevò
appena le spalle
alla sua affermazione.
“Oh” si costrinse ad aggiungere allora lei,
cercando di sfumare il tono
sarcastico nella sua voce “ non era affatto mia
intenzione. Per caso ti andrebbe
di raccontarmi il perché della sua domanda?”
Enjyo sorrise, apparentemente soddisfatto “Molto meglio.
Sarà un piacere,
signorina. Si da’ il caso che abbia comprato un appartamento
nel centro storico
della città e ascoltarvi parlare mi ha fatto pensare quanto
sia strano, il
fatto che pur avendolo comprato quasi un anno fa, non abbia ancora
avuto modo
di inaugurarlo..”
“Inaugurarlo?” gli fece eco lei, inarcando il
sopracciglio.
“Sì beh.. la regalai l’estate scorsa a
Mathilde per il nostro anniversario di
fidanzamento e..”
“Fammi indovinare, non ha accettato di andarci nemmeno una
volta?” lo
interruppe di nuovo Kimie, sorridendo apertamente: non dubitava che
Mala,
orgogliosa al punto da non accettare nemmeno che le venisse offerta la
cena,
davanti al suo costosissimo regalo avesse dovuto faticare non poco per
non
tirarglielo appresso.
“Non ha nemmeno mai voluto averne le chiavi..” le
diede infatti ragione lui, lo
sguardo basso e inconsolabile davanti al quale il sorriso della ragazza
non
poté fare a meno di aprirsi ancora di più.
“Credo che sia arrivato il momento di prendere i nostri
posti” li avvertì la
signorina Shido, mentre le persone attorno a loro iniziavano a
dirigersi verso
i rispettivi palchi.
Kimie si limitò ad annuire, guardandosi intorno incerta sul
dove andare.
“Su Kyouya, sii gentile e mostrale la strada”
aggiunse poi, pochi istanti prima
che lei ed Enjyo venissero salutati da un signore dai favoriti bianchi
e la
statura singolarmente imponente.
“Da questa parte, prego” fece subito lui,
incamminandosi a passo sicuro verso
un corridoio laterale dopo che la ragazza l’ebbe ringraziato.
“Ho sentito – riprese poi, interrompendo il breve
silenzio caduto tra loro –
che anche lei frequenterà l’istituto Ouran, non
è vero Amamiya-san?”
“Infatti. In realtà, è lì
che ho trascorso le elementari, e da qual poco che
ricordo.. era
“E’ un posto interessante, senza dubbio”
concordò lui con un mezzo sorriso.
Kimie sospirò mentre continuavano a percorrere quel
corridoio dalle pareti
scarlatte. Le risultava piuttosto difficile porsi nel modo giusto nei
confronti
di quel ragazzo quando l’unico posto dove sarebbe voluta
essere in quel momento
era a parecchi chilometri da lì, e una certa
ambiguità nel suo sguardo
le aveva fatto capire di non essere l’unica ad aver sentito
la necessità a
calarsi in un personaggio che non fosse il proprio.
Si chiese quanti mesi sarebbero passati prima che una sciocchezza qualsiasi
facesse disintegrare
il suo autocontrollo, già sufficientemente messo alla prova .
Inoltre, volevo scusarmi per il mio ritardo, non saprei dire il perché ma appeno prendo un po' di coscienza della storia che sto scrivendo, mi sembra che sia una massa di sciocchezze e smetto di scrivere (sono per caso l'unica a cui capita tipo tutte le volte? >.<)
Ma risfogliando i miei vecchi manga ne ho ritrovato uno di Host Club e mi sono ripromessa che non avrei lasciato incompleta questa ff (anche se non saprei fino a che punto questa possa essere una buona idea xD)