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Autore: keska    06/02/2013    4 recensioni
Capitoli EXTRA della storia "CULLEN'S LOVE".
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE '
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27 Giugno 2010. Una sera, dopo il bagnetto.

 

«Mammi, ti piacciono ‘e coccinelle?».

«Sono carine, ma io non amo particolarmente gli insetti» risposi, strofinandole l’asciugamani bianca sui capelli.

«A me piacciono tanto, mammi. Me ne compri una?» chiese Kate, voltandosi nella mia direzione. Non mi sarei mai stupita abbastanza di vedere gli occhi verdi di mia figlia.

Risi. «Non si possono comprare tesoro. O meglio, quelle che si comprano servono per l’agricoltura. Ma se vuoi puoi uscire un pomeriggio con papà e sono certa che ne troverete una».

Si stese sul divano del soggiorno, posando la testa sul mio fianco. Impossibile posarla sulla mia pancia, gigantesca com’era all’ottavo mese di gestazione. Sapevo che aveva sonno, e con un po’ di fortuna si sarebbe addormentata senza fare storie quella sera.

«Ometto pulito in arrivo!» esclamò Edward, sorreggendo Mark dalle ascelle, bagnato e nudo.

Finsi di coprirmi gli occhi. «Ahh Mark, copriti, copriti! Katie, svelta, copriti gli occhi, c’è un ometto nudo qui».

Kate rise, mettendosi di scatto seduta. Addio miraggio di una dormita in tempi rapidi. Mark si tese fra le mie braccia, dove lo accolsi avvolgendolo completamente in un grande telo di spugna. Gli baciai il capo. Profumava. E non perché era stato appena lavato. Profumava di bambino, di mio.

 «Vado a fare il latte» fece Edward, baciandomi la fronte. «Ce la fai con i bambini?».

Sorrisi, continuando a strofinare il capo di Mark con l’asciugamano. Lui e Kate stavano comunicando nel loro modo personale. «Ce la faccio, nessun problema. Ricordati di mettere tanti biscotti in quello di Kate».

Si sollevò, allontanandosi verso la cucina. «Consideralo già fatto!».

Misi il pigiamino a Mark. Il momento latte serviva per assicurarceli buoni fino alla mattina successiva, e soprattutto conciliargli il sonno prima della favoletta.

«Mamma? Togli questo nodo? Non ci riesco» chiese Kate, sfregandosi un occhio con la manina.

Deposi Mark sul tappeto accanto a lei. Sospirai, iniziando l’impresa titanica che voleva dire: “piegarsi sui talloni”. Disfeci il nodo a uno dei capelli della sue bambola. Anche Mark ci giocava tranquillamente. Del resto, allo stesso modo, Kate giocava con ogni robot, alieno o escavatore. Non si facevano di questi problemi. Ridacchiai: non quanto i loro zii.

Posai una mano sul tappeto, sollevandomi per rimettermi in piedi.

Kate sussultò, voltandosi di scatto nella mia direzione. «Papà!» urlò dopo tre secondi, «la mamma ha fatto la pipì addosso».

Annaspai, sentendo il bagnato espandersi fino alle ginocchia. Edward comparve all’istante nella stanza, uno sguardo perplesso. Il suo volto passò dalla sorpresa alla risoluzione in brevissimo tempo.

«Sto bene» mormorai, la voce che sembrava un piagnucolio.

Mi venne subito accanto, sorreggendomi la schiena. «Va bene, andiamo subito in ospedale. Ti fa male la pancia? Avevi già contrazioni?».

Scossi il capo, cercando di respirare con la bocca. Dovevo solo rimanere calma. «Chi-chiama Rosalie e Jasper, digli di venire qui a tenere i bambini, oppure di prenderli per portarli di là. Poi… poi andiamo in ospedale, io…» deglutii, strofinandomi la fronte «devo ancora preparare la borsa, c’è tempo. Ce la faccio».

Mi carezzò il volto, preoccupato. «Ehi, stai bene?».

Annuii velocemente. «Bene, tutto apposto. Devo cambiarmi, non posso mica venire così, no?» domandai, agitata.

Mi baciò la fronte. «Posso aiutarti se vuoi. Ci organizziamo in modo diverso».

«No, no, facciamo così. Va bene. Tanto sto ancora bene, ce la faccio» mormorai, baciandogli l’angolo della bocca e affrettandomi, per quanto potessi, verso la camera da letto.

 

Edward

 

Sollevai la voce in modo che mi potesse sentire dalla nostra camera. «Lascia la porta aperta, Bella. Chiamami se ti serve qualcosa».

Grugnì qualcosa in risposta, arrancando verso la nostra stanza.  

Sospirai, voltandomi velocemente in cerca del cellulare. Sapevo, a prescindere dalle battutine ironiche scambiate ogni tanto, quanto anche lei volesse degli altri bambini. Tuttavia non potevo fare a meno, ogni tanto, di pensare a quanto stancante fosse - vampiri o non - crescere dei figli, se lo si voleva fare senza delegare compiti a destra e a manca.

«Papà! Dov’è il latte?».

«Atte» strillò Mark, sollevandosi maldestramente sulle gambe per arrampicarsi sui miei pantaloni.

«Non adesso, Kate, un attimo» mi sporsi ad afferrare la cornetta, arrendendomi a chiamare dal telefono fisso. Chissà dov’era sepolto il mio cellulare. Prese a squillare.

«Ahi, merda» sentì imprecare sottovoce nell’altra stanza.

Sgranai gli occhi, voltandomi velocemente. «Kate, prendi la cornetta e rispondi. Dì di venire qui presto, va bene?».

La bambina mi fissò seria. «Mamma non mi fa usare i’ telefono quando non c’è».

Sollevai gli occhi al cielo, ansioso. «Oggi puoi, te lo dice papà» dichiarai con decisione, mettendole la cornetta fra le manine.

Trovai Bella su letto, mentre si contorceva nel vano tentativo di liberarsi delle scarpe, i pantaloni aggrovigliati sulle caviglie. Andai subito in suo aiuto, disfacendo i lacci e liberandola degli ultimi indumenti. «Oddio, grazie» mormorò, agitata «non ci riuscivo… dove… con chi sono i bambini?».

«Non ti preoccupare, sono al telefono con Jasper» feci risoluto, prelevando dal cassettone degli abiti comodi e puliti da farle indossare. Kate si era già calata nel ruolo di perfetta centralinista. Quanto le piaceva parlare?

Mi strappò i vestiti di mano, il viso rosso. «No, Edward, dai, vai. Non mi sento tranquilla. Mi vesto da sola, ce la faccio».

«Se lo dici ancora una volta ti lego al sedile della Volvo e ti porto in ospedale in un attimo» la minacciai, con solo una punta di sarcasmo.

Sospirò, mettendosi una mano sull’attaccatura della pancia. «Vai e basta, allora».

Nel soggiorno Kate stava intavolando una discussione da donna vissuta, mentre Mark si faceva sentire urlacchiando nella cornetta. «No, ‘zio Jazz. Mamma ha fatto ‘a pipì addosso e poi papà è diventato tutto serio e ha detto che ti dovevo chiamare».

Sollevai gli occhi al cielo. Se l’avesse saputo Bella sarebbe morta di vergogna. Mi faci passare la cornetta da mia figlia. «Jasper, sono io».

«Ehi, ma che succede?».

«Le si sono rotte le acque. Tu e Rosalie potreste venire qui? Sembra che ci sia bisogno di un po’ d’aiuto. Dovreste venire a prendere i bambini».

 

«Oddio» tossì Bella, china contro il gabinetto del nostro bagno. «Edward, mi gira la testa» si lamentò, stringendosi la pancia con una mano.

La sollevai fra le mie braccia, ribaltando la sua posizione. «Non ti preoccupare, adesso andiamo in ospedale. Contrazioni?». Annuì, chiudendo gli occhi e posando il capo contro il mio petto. La deposi su un fianco, sul letto, accarezzandole i capelli. «Va bene, è un buon segno, vuol dire che il travaglio procede».

Le bambine erano più piccole di quasi un mese, rispetto alla data del parto. Ma sapevamo che per dei gemelli il parto pretermine era quasi la prassi. I bambini erano nel salotto insieme a Jasper, e Rosalie stava sfrecciando da una stanza all’altra sistemando il borsone per Bella.

«La sottoveste gialla la vuoi? Quella di cotone?».

Aprì appena un occhio, guardandola. Subito li strinse entrambi, una smorfia di dolore. Annuì velocemente. Senza sapere bene che fare presi a carezzarle la schiena. Sarebbe andata bene. «Ce la fai ad alzarti?» le chiesi piano, sorreggendola per gli avambracci «Cominciamo a prepararci, Rosalie ha quasi finito».

Annuì, stringendo le labbra. Si sollevò malamente sulle braccia, tirandosi su a sedere. «Mi prendi le scarpe per favore?» mormorò, cercandole con lo sguardo nella stanza.

Le presi il paio che teneva sotto al letto, infilandole prima un piede e poi l’altro. Impossibile che fosse riuscita a metterle sola, con quel pancione gigantesco.

Kate e Mark giocavano eccitati sul tappeto insieme allo zio. Il trambusto della serata li aveva svegliati completamente. Appena videro la madre scattarono in piedi, correndole incontro.

Bella sorrise, accarezzando la testolina bruna di Kate. «Edward, puoi per favore…» mormorò, indicando i bambini. Sollevai prima Mark e poi Kate, permettendole di baciare la fronte a entrambi. «Fate i bravi. Non fate stancare gli zii. La mamma tornerà presto».

«Insieme alle due nuove sorelline!» sussurrai, chinandomi a salutare i miei bambini in due abbracci stretti.

Bella ridacchiò, cominciando ad arrancare verso la porta. «Jasper, se stasera non dormiranno sappi che è colpa di Edward».

La raggiunsi velocemente, stringendole il fianco con un braccio. Non avrei mai potuto immaginare tutta quella felicità.

 

«Ce la fai? Ci metto solo un secondo a parcheggiare. Basta che vai all’accettazione e che…».

«Lo so, lo so» mi interruppe, sollevando gli occhi al cielo «ho fatto altri figli, Edward. Non morirò, al massimo vomiterò sul pavimento del corridoio» balbettò arrossendo e portandosi una mano alla bocca.

Sospirai, allungandomi per baciarle la fronte. «Torno subito».

 

Bella

 

Carlisle entrò nella stanza controllando la chiamata sul cercapersone. Sollevò velocemente il viso, trovandomi seduta sulla sedia a rotelle spinta dall’infermiera. «Bella, sei qui». Sorrisi timidamente, annuendo. Mi venne vicino, carezzandomi il viso con una mano. «Cosa succede?».

Mi morsi un labbro, guardando in basso. «Credo proprio che si siano rotte le acque» balbettai.

Annuì, risoluto, aiutandomi a sollevarmi per farmi sistemare sul letto. «Va bene, è proprio come c’era da aspettarsi. Sei sola? Edward non è qui con…».

«Sono qui» lo interruppe nervoso, entrando nella stanza con il mio borsone.

Il padre gli sorrise. «Come ti senti Bella? Contrazioni?».

Mi tenni il pancione con una mano, sorretta da entrambi i gomiti da Carlisle e l’infermiera, che mi aiutavano a sistemarmi sul materasso. «Un po’ di dolori…».

Edward mi venne vicino, sollevandomi le gambe per farle posare sul letto, e sfilandomi intanto le scarpe. «Ha avuto solo un paio di contrazioni dolorose. È passata poco meno di un’ora».

Mio suocero annuì. «Va bene. Mettiti comoda Bella, fra poco passerò a visitarti. Josy, avvisa l’ostetrica» proseguì rivolgendosi all’infermiera «qualunque cosa ti serva chiedi pure» aggiunse, lasciando la stanza con un occhiolino.

Edward mi aiutò a cambiarmi, facendomi passare nella mia sottana rosa di cotone. I miei movimenti, a causa del pancione - decisamente più ingombrante rispetto alle precedenti gravidanze - erano molto limitati.

«Vuoi i calzini?» chiese, estraendoli dalla borsa.

Storsi la bocca. «Sì, grazie» decisi infine in un sospiro. Mi massaggiò ogni piede prima di infilare il calzettino bianco. Gli accarezzai la chioma rossiccia, china su di me. «Sei emozionato?».

Sollevò il viso, sorridendomi. «Molto. Non vedo l’ora di conoscerle».

Annuii, contenta. «Anch’io».

Carlisle tornò poco dopo, portando con sé il carrello per il tracciato e l’ecografia. Insieme a lui la mia ostetrica, Emily. «Come andiamo Bella? Cambiamenti?».

Feci per scuotere il capo, ma subito mi bloccai, mordendomi il labbro e stringendo una mano sul pancione e una contro quella che mi aveva offerto Edward. «Ahi» mormorai fra le labbra, prendendo dei lunghi respiri.

Carlisle mi fece un cenno per sollevare la camicia da notte, e con le mani tastò il mio addome. «È passata?» chiese, lanciandomi un’occhiata. Mi rilassai sui cuscini, dietro la mia schiena, annuendo. Mi invitò a stendermi, in modo che potesse visitarmi.

Strinsi la mano di Edward, sollevando gli occhi al soffitto. «Ti avviso Carlisle, non sarò in grado di rimanere così per più di due minuti se voglio continuare a respirare».

Rise appena, continuando a tastarmi l’addome. «Sarò veloce, promesso».

Mi visitò, controllò i battiti e la pressione, fece un’ecografia alle bambine e mi collegò al monitor. «Stanno bene. Sei dilatata di due centimetri, che non è molto, ma già qualcosa. La prima gemella preme direttamente nelle pelvi, mentre la seconda è un po’ di traverso, ma voglio provare comunque con un naturale. Emily, diamole dell’ossitocina. Non voglio che passi molto tempo per il travaglio».

 

«Ahia, mi fa male» mi lamentai, rannicchiata su un fianco nel letto.

Edward mi accarezzò la schiena con entrambe le mani. «Shh, shh, rilassati. È l’ossitocina che accelera il travaglio. Ti vuoi alzare e camminare un po’?».

Scossi il capo, stringendomi il pancione con più forza. «Fa male» balbettai, mordendomi le labbra.

Sospirò. «Bella, amore. Che ne dici, visto che questa volta sono due, siamo ancora in tempo, e ti fa così male…» cominciò, persuasivo «di provare un po’ con l’epidurale?».

Cacciai un gemito stizzito fra i denti, allontanandomi di scatto dalle sue mani. «No» sbottai «dobbiamo replicare l’esperienza di Mark? Mi sono lasciata convincere per cosa? Farmi trivellare inutilmente la spina dorsale? No».

«Ma Bella, è stato un caso. È possibile che si trovi una calcificazione fra le vertebre e che l’ago non riesca a passare, è possibile che debbano farsi più tentativi».

«No» ripetei con più forza «no. Te lo sogni. No».

«Ma…».

Mi voltai di scatto, fulminandolo con gli occhi.

Sollevò gli occhi al cielo, alzandosi dalla sua sedia. «Vado a chiamare a casa per vedere come stanno i bambini».

«Chiama Esme, per favore» borbottai, tornando a stendermi «vorrei che fosse qui».

Spense una luce nella stanza, accostando la porta. «Sì».

Quando tornò mi stavo nuovamente contorcendo per una contrazione, le lacrime agli occhi. Strinse le labbra, fissandomi con preoccupazione e severità. C’era qualcosa nel suo sguardo che mi diceva che era molto agitato. Arrabbiato forse? Per la storia dell’anestesia? Non potevamo litigare in un momento come quello. Proprio no. Posai la mano sul lenzuolo, prendendo ampi respiri dalla bocca. «Come stanno i bambini?» domandai fra i denti.

«Bene» rispose laconicamente. Anche se fosse stato arrabbiato, mio marito non era così stupido da litigare con me durante il travaglio. Lo speravo.

Mi morsi l’interno della guancia per non rispondergli male. «E… Esme?» ansimai.

«Sta arrivando, sarà presto qui».

Fummo interrotti dall’ostetrica e dall’infermiera passate per controllare il travaglio e prepararmi per il parto. Edward uscì dalla stanza. Esme arrivò non appena Josy ebbe finito di sistemarmi nuovamente sul letto.

«Bella, tesoro» mi chiamò, venendomi incontro ed abbracciandomi. Mi prese il viso fra le mani «come stai? Mi sembri agitata. Devi solo rilassarti d’ora in poi, va bene?».

Annuii, incerta.

«Dov’è Edward?» chiese, guardandosi intorno.

Abbassai il viso. «Non lo so. È uscito prima. Mi… mi aiuteresti a…» balbettai, indicando i cuscini.

«Ma certo» mormorò immediatamente, sistemandomeli dietro la schiena.

Non fece in tempo ad aggiustarli che suo figlio passò dalla porta, riponendo il cellulare nella tasca dei jeans. Si passò una mano fra i capelli.

«Cosa succede?» chiesi, incerta, osservandolo.

Scosse il capo. Due secondi più tardi il monitor emise un bip, e il dolore si irradiò per tutto il mio ventre. «Ahi, merda. Merda» imprecai fra i denti, faticando a respirare correttamente. Ero già sudata.

Esme mi sollevò il collo con una mano, assicurandomi i capelli in una coda. «Shh, rilassati, ora passa» mi assicurò, accarezzandomi il ventre con movimenti lenti e circolari.

«Bella, lasciati anestetizzare, per piacere» sospirò Edward esasperato.

«No» ribadii fra i denti, stringendo la bocca per non lasciare scappare nemmeno un singhiozzo mentre le lacrime mi correvano lungo il viso.

«Allora non aspettarti che rimanga qui mentre ti contorci dal dolore!» sbottò, stressato.

Esme sussultò sul posto, voltandosi verso il figlio. Singhiozzai, arrabbiata. «Smettila di fare il cretino! Sto partorendo, cosa vuoi da me? Non posso nemmeno scegliere una cosa del genere? Vai via se vuoi. Vai via mentre nascono le tue figlie. Mi stai esasperando» strillai, gli occhi pieni di lacrime, il respiro corto.

«Shh Bella, calmati, calmati» mi invitò Esme, accarezzandomi il ventre. «Calmati. Questo non vi fa bene, prendi respiri lunghi».

Singhiozzai, annuendo e provando a calmarmi.

Edward si portò una mano fra i capelli. Deglutì. Si avvicinò al letto. «Scusa, mi dispiace».

«Un accidente» sbottai, il respiro ancora veloce «che diavolo ti prende? Calmati, e smettila di comportarti come un imbecille».

Esme si sollevò, lanciandogli un’occhiata di eloquente rimprovero. «Vi lascio soli».

Edward prese il suo posto, avvolgendo le braccia contro il mio corpo, e lo lasciai fare, perché mi sentivo troppo debole e bisognosa del suo conforto per protestare. «Mi dispiace Bella, davvero» sospirò, posando il capo sul mio seno.

Tirai su col naso, asciugandomi con il dorso della mano le lacrime. «Che ti è preso?».

Sospirò due volte prima di parlare. «Kate si è fatta male» borbottò sulla mia pelle «è caduta mentre cercava di saltare da un letto all’altro».

«Caduta?» domandai preoccupata, la rabbia contro mio marito improvvisamente scalzata via «che si è fatta?».

«Alice e Emmett la stanno portando al pronto soccorso. Credo, a quanto mi hanno detto, che si sia fatta male a un braccio».

 

«Lasciami andare! Lasciami andare!» strillai, dibattendomi sul letto, il viso rosso.

«Tesoro, Bella, calmati per piacere. Non ti fa bene, lo sai. Per favore» cercava di ammansirmi Edward, tenendomi contemporaneamente schiacciata contro il materasso.

«Bella» mi richiamò anche Esme, preoccupata.

Urlai, lottandomi per liberarmi dalla sua presa. «Fammi vedere Kate. Subito. Subito!».

«Cosa succede?» esclamò l’ostetrica, spalancando di fretta la porta della stanza. I suoi occhi vigili si posarono su mio marito. «Mr Cullen, se non mi dà immediatamente una spiegazione sarò costretta a cacciarla dalla sala travaglio. Immediatamente».

«Ah». Sussultai, serrando gli occhi e portando una mano sul ventre. Emily mi venne accanto, aiutandomi a sistemarmi fra i cuscini e riprendere a respirare correttamente. Regolò il flusso di ossitocina nella flebo.

Edward sospirò, prendendomi una mano fra le sue e accarezzandone il dorso. «Kate, nostra figlia, si è fatta male ed è al Pronto Soccorso. Bella vuole andare a vederla, ma evidentemente ora non è in condizione di farlo».

«Siete pazzi se pensate che partorirò in qualche modo senza essermi prima assicurata che stia bene» sbottai fra i denti, stringendo con tutta la mia forza la sua mano e quasi sperando di fargli del male.

L’ostetrica scosse il capo, sconvolta e scocciata dalla situazione, ma comunque risoluta. «Josy, la sedia a rotelle!» chiamò, sollevando la voce per farsi sentire dalla stanza adiacente.

Edward cacciò un respiro fra i denti, infelice, mordendosi un labbro per evitare di ribattere. Comunque non avrebbe potuto protestare a lungo, perché sapevo quanto fosse anche lui preoccupato per nostra figlia.

La trovammo in lacrime, fra le braccia di Emmett, nel corridoio dell’accettazione. Feci quasi per alzarmi dalla sedia non appena la vidi, e ci sarei riuscita se Edward non mi avesse trattenuta. La bambina alzò il capo, tendendosi subito nelle nostra direzione. Emmett coprì lo spazio fra di noi, portando la piccola fra le braccia del padre.

«Com’è successo?» domandò Esme agitata.

«Stavano giocando, stava per andare a dormire» si scusò Alice.

Edward se la strinse immediatamente al petto, baciandole ripetutamente i capelli. La piccola si teneva stretta al suo corpo nel suo pigiamino con i cuoricini rosa. «Shh amore, cosa ti sei fatta? Fai vedere a papà». Notai immediatamente il suo braccino senza vita. Mi sbracciai per accarezzarla, agitata. Edward sembrava essere molto più controllato di me, mentre lo esaminava. La bambina cacciò uno strillo, piangendo più forte, quando le sfiorò il braccio. Se la tenne al petto, stringendole il capo con la mano. «Credo proprio sia rotto».

«Katherine Cullen?» chiamò un medico venendo fuori dalle porte dell’ambulatorio.

«È lei» dicemmo contemporaneamente tutti e cinque.

L’uomo osservò stranito la situazione, la mia sedia a rotelle e la flebo. «Possono entrare solo i genitori» fece, poi, incerto.

«Bene» sbottai, sollevandomi dalla sedia a rotelle e avviandomi nella stanza sostenendomi all’asta della flebo. Erano pazzi. Pazzi se avessero creduto che qualcosa mi avrebbe impedito di sincerarmi della salute di mia figlia. Edward sospirò, ma non disse nulla.

 

«Ti fa male tesoro?» domandai preoccupata, osservandola. La bambina annuì, sfregando il viso contro il mio petto. Non avevo parlato molto, dolorante e un po’ nauseata per la situazione. Nonostante fosse molto teso Edward fu certamente più d’aiuto di me.

«Ecco qui, è evidentemente rotto. Una frattura a legno verde di radio e ulna» dichiarò il medico, rientrando nella stanza e apponendo le lastre sullo schermo luminoso.

Carezzai il visino bagnato di lacrime della mia piccola bambina.

«Adesso ridurrò la frattura e successivamente le sistemeremo un’ingessatura che dovrà portare per quaranta giorni. Non dovrebbe esserci bisogno di nessun intervento chirurgico» affermò, sedendosi su una poltroncina mobile e contemporaneamente infilando un paio di guanti. Mi lanciò un’occhiata. «È meglio che la signora esca».

«Perché?» domandai allarmata «la bambina ha bisogno di sua madre, si è appena calmata» mormorai con voce tremante. La nausea mi investiva a ondate al pensiero di quello che le avrebbero fatto.

Edward si allontanò dalla bambina, venendomi di fronte. Mi strofinò le mani sulle spalle, rassicurante. «Amore, andiamo fuori. Vieni, prendi dei bei respiri».

Lo fissai, smarrita. «E la bambina?».

«Ci penseranno Emmett o Alice» mi rispose con un mezzo sorriso.

Scossi il capo, affaticandomi per scendere giù dalla barella su cui mi ero seduta. Feci appoggiare il capo della bambina al petto del padre, dandole un bacio sulla fronte. «R-rimani con lei» balbettai, sfregandomi il viso con le mani tremanti. «Sarò qui fuori».

Esitò, poi annuì, stringendo con entrambe le braccia la bambina al suo petto.

Uscendo mi chiusi la porta alle spalle, e subito Esme, Alice e Emmett si avvicinarono avidi di informazioni. Non feci in tempo ad aprire bocca che una contrazione particolarmente forte mi fece piegare a metà sul posto, facendomi ansimare dal dolore.

Le mani forti di Emmett vennero immediatamente in mio aiuto. Mi sostenne facilmente mentre mi faceva posare su una sedia poco vicino. Esme mi venne accanto, prendendomi una mano con la sua e sfregandomi il pancione con l’altra.

La strizzai con tutte le mie forze, chiudendo gli occhi fino a vedere rosso. Tutto pur di distrarmi da quel dolore lancinante allo stomaco. Fra le mie labbra usciva un basso e smorzato gemito.

«Bella» mi chiamò la voce di mio suocero, e subito sulla mia spalla si posò la sua mano rassicurante. Non abbastanza perché aprissi gli occhi, abbandonassi la mia smorfia o riprendessi a respirare normalmente, comunque. C’erano casi in cui seguire i corsi pre-parto serviva solo per ridere al ricordo dei tempi spensierati: quello era un caso. «Bella, vieni qui con me». Dovevo aver grugnito qualcosa sul rimanere per Kate, perché aggiunse «Non ti preoccupare di questo adesso. Vieni. Pensiamo alle gemelline».

Avevo appena aperto le palpebre, dopo che il dolore si era allontanato, per guardarlo di sottecchi e riluttante accettare il suo appoggio, quando i piani di Carlisle andarono in fumo per due motivi principali: l’innocente strillo di mia figlia mi fece accapponare la pelle e di sicuro mi impedì di non preoccuparmi; la debolezza che sopraggiunse immediatamente dopo mi piegò le ginocchia impedendomi di rimanere dritta e facendomi accasciare nella presa delle sue braccia.

 

Mi risvegliai nella sala travaglio. C’era il bip costante, a riprodurre il battito del mio cuore, e il suono di uno più basso e rapido. Sbattei le palpebre, mettendo a fuoco l’immagine di Carlisle che passava con la sonda sulla mia pancia. Mi faceva male come se tante piccole fitte sopraggiungessero accavallate l’una o l’altra; e quella non era neppure una contrazione.

Mi umettai le labbra, provando a tirarmi su. «Cos’è successo?» domandai disorientata. «Stanno bene?».

«Mi hai fatto preoccupare tanto, Bella!» esclamò Esme al mio fianco, e mi accorsi in quel momento che mi stesse stringendo la mano.

«Ti sei stancata troppo. In questo momento il tuo organismo ha bisogno di riposare per prepararsi al parto e non di subire ulteriori stress» commentò velocemente Carlisle, allontanando la sonda e sedendosi al mio fianco per poter registrare la pressione sanguigna.

In quel momento ebbi uno scatto convulso verso la pancia. «Ahh» mi lamentai, digrignando i denti. Era come se sulla pancia stesse passando un camion di grossa cilindrata dotato di un rullo capace di distruggere qualunque cosa incontrasse. Le lacrime mi uscirono dagli occhi senza che potessi controllarle.

Mio suocero mi spinse con un tocco leggero con le spalle contro i cuscini, per stare semidistesa e respirare meglio. «Prendi respiri lunghi, dal naso. Così» fece, dandomi lui stesso prova di quello che avrei dovuto fare.

«Ti prego, dimmi che manca poco. Non sono sicura di potercela fare, non sono affatto sicura» singhiozzai, contando quegli interminabili secondi che non finivano mai.

«Bella, tesoro, calmati» provò ad ammansirmi Esme.

Scossi il capo, agitata. «Aveva ragione Edward. Non ce la farò mai, non con due bambine e con tutto quello che è successo a Katie. Oddio, fa male» farfugliai, per poi urlare subito dopo.

«Bella…».

«Esme, vai a prenderle una camomilla al bar qui di sotto?» fece rapidamente Carlisle, facendomi poi voltare fino a farmi trovare nel suo abbraccio. Mi carezzò la schiena con decisione. «Shh, ora passa. Calmati» mormorò, finché la contrazione non scemò fino a lasciarmi libera quanto intontita. Quando il diagramma del tracciato si stabilizzò smise di accarezzarmi, senza però staccarsi da me. La sua voce era pacata mentre mi esponeva la situazione. «Sei a sette centimetri, il travaglio procede molto bene. Nel giro di un’ora dovremmo spostarci in sala parto. Cosa ti prende, cara?» domandò con cortesia, abbassando gli occhi a scrutarmi il viso. «Eri sempre tu quella che mi spronava ad andare avanti, che voleva il parto naturale anche quando era più rischioso. Cos’è cambiato?».

Mi tremò il labbro. «E… e se avessimo fatto una sciocchezza, io e Edward? C-chi ci dice che riusciremo ad essere genitori di quattro figli, tutti assieme?» singhiozzai, rivelandogli la mia paura più grande. «Riesco a malapena a stare dietro ai primi due, dandogli tutte le mie energie! Sono solo un’umana e… io… io non…».

Si chinò, avvicinando il viso, e asciugandomi le lacrime. «Ci vuole molto impegno ma non è impossibile. Non sarete soli, ricordalo».

Mi voltai, nascondendomi il viso fra le mani. «Ma guarda cos’è già successo! Le gemelle non sono ancora nate e Kate si è rotta un braccio! Mezza giornata. Una manciata di ore. Quanto tempo starò via ora che saranno qui? Che cosa accadrà? Ah!» esclamai, stringendomi entrambe le mani sul pancione.

Carlisle mi accarezzò le spalle, rassicurandomi. La contrazione durò più delle precedenti, e scemando mi lasciò sfiancata. «Bella» mi richiamò mio suocero, il camice bagnato sulla spalla dalle mie lacrime.

«Mi dispiace» balbettai, ancora intontita.

«Figurati». Mi sorrise. «Sai, anche se può sembrarti strano, anch’io ho avuto i tuoi stessi pensieri. Ho cinque figli, con te sei. E avere cura di tutti non è affatto semplice, me ne rendo perfettamente conto. Ma non devi sentirti in colpa. Sai cosa mi fa capire che ne vale la pena, che non sto sbagliando? Vedervi felici, aiutarvi a crescere per quanto posso, confortarvi. Aiutarvi. Insegnarvi quali sono i valori in cui credo, vedervi splendere e sorridere. E sentirmi chiamare ‘papà’…».

«Mammi!» gridò mia figlia, portata in stanza da suo padre. Si sbracciò per raggiungermi con una mano, mentre l’altra, steccata e avvolta da una fascia rosa, la teneva piegata al corpicino.

«Amore, vieni qui» la chiamai, mettendomi a sedere con difficoltà e cancellandomi velocemente le lacrime.

Edward me la sistemò accanto sul letto, e subito potei stringerla forte fra le braccia. Aveva il viso rosso, segno che aveva pianto, ma le guance non erano più bagnate. Le carezzai i capelli scuri e morbidi, respirando il suo profumo.

«Come sta?» mormorò Edward a Carlisle, indicandomi con un cenno del mento.

«Niente di rotto» scherzò mio suocero facendomi l’occhiolino.

«Come sta lei?» domandai io, preoccupata.

«Se la caverà. Le hanno dato un anestetico locale, non le farà male per stanotte. È solo molto stanca emotivamente. È stata una notte movimentata» fece Edward, venendo a sedersi sulla sedia accanto al letto.

Baciai il capo della bambina, che sollevò gli occhioni verdi sul mio viso, scrutandomi.

«’sonno» balbettò.

Le carezzai il viso, sfregando la guancia contro la sua fronte. «Dormi amore, dormi, qui, con la mamma. Shh…».

Si accucciò fra i miei seni, stropicciandosi gli occhi e poi abbracciandomi. «Ti voglio bene, mammi» brontolò, scivolando subito dopo nel sonno.

Sorrisi, sollevando lo sguardo su mio suocero. «Grazie» sillabai, preparandomi a mettere al mondo altre due pestifere, chiassose, impegnative adorabili figlie.

 

 

 

 

 

 

 

Ah-ah!

Chi è la vostra zietta? Chi è che ha passato alla grande l’esame di biochimica? Chi è che ha pubblicato il capitolo super-succosissimo che aveva promesso?!

Io, io, sono io!

Non scomparirò, davvero. Credo che ci siano altri 3-4 extra alla fine definitiva di questa avventura. Non perdeteveli. No.

E grazie per aver pregato per me! Siete degli angeli!

Alla prossima!

 

PS. Se mi gira fra qualche ora pubblico anche un capitolo di “The Woodmore Sisters”. :D

Hello!

   
 
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