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Autore: vannagio    06/02/2013    11 recensioni
La matematica non è un'opinione: due più due è uguale sempre a quattro.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Furto con scasso




Non può piovere per sempre.
E prima o poi anche le giornate di cacca devono finire, no? No.

Quando, al termine di un’estenuante giornata lavorativa, entrò nel suo appartamento con l’impermeabile completamente zuppo (l’ombrello era deceduto tentando di resistere pavidamente a una raffica di vento) e un’irrefrenabile voglia di cioccolata bollente, di quella che va gustata a piccoli sorsi, sul divano, con un gatto grassone acciambellato in grembo (e lei li aveva entrambi, divano e gatto grassone), Felicity si rese conto che la fine di quella giornata di cacca era ancora molto, molto, molto lontana.
Sintomi: ante della porta-finestra che si affaccia sulla scala antincendio spalancate, vetro sparso ovunque, pavimento allagato, appartamento rivoltato come un calzino.
Diagnosi: ladri in casa, furto.

Ma furto di cosa? Dal Computer e dal tablet non si separava mai. Contanti in casa, non ne teneva. Gioielli preziosi, non ne aveva (a parte la spilla a forma di libellula della nonna). Tv e lettore dvd? Erano così scassoni che un ladro non li avrebbe presi neanche in regalo. Insomma, nel suo appartamento non c’era niente che valesse la pena rubare. Sempre che i ladri non fossero nerd incalliti interessati a una collezione quasi smagnetizzata di...
Felicity si precipitò in camera da letto. Anche lì i sintomi persistevano: materasso ribaltato, contenuto dell’armadio e del cassettone sparpagliato sul pavimento. Ma ciò che preoccupava Felicity era il mobiletto in cui conservava i suoi tessssssori in formato VHS e al quale non era toccata una sorte migliore. Felicity rovistò nel mucchio di videocassette, un tempo ordinate per data di uscita, fin quando non trovò quello che stava cercando: la custodia originale della prima edizione della prima (ed ultima, per quanto la riguardava) trilogia di Star Wars. Se la rigirò tra le mani un paio di volte, con il cuore che cercava di sfondarle la cassa toracica, poi finalmente si decise ad aprirla.
Odino, ti ringrazio!
Sfogliò velocemente il libriccino, giusto per essere sicura che si trattasse di quel libriccino (non bisognava certo essere un genio informatico per sostituirlo con un falso), ma nel vedere l’ormai familiare lista di nomi si tranquillizzò. Soltanto dopo aver riposto il libriccino del Signor Steel nel nerd-nascondiglio e aver chiuso a chiave il mobiletto, però, si sentì libera di tirare il proverbiale sospiro di sollievo.


Conteggio delle vittime: vetrata della porta-finestra, spilla a forma di libellula della nonna.
Conteggio dei dispersi: gatto grassone di nome King.

Felicity contemplava il disastro in soggiorno, svuotata di ogni energia. Le ante della porta-finestra sbatacchiavano contro gli infissi a causa delle continue e fortissime raffiche di vento, facendo tremare quel poco del vetro che era rimasto appeso. I cocci sul pavimento bagnato luccicavano come piccoli cristalli. Tanto casino per una spilla: quello che si era introdotto nel suo appartamento doveva essere il ladro più stupido del mondo. Tipicamente Felicity.
Qualcuno bussò alla porta, forse i due agenti venuti per il sopraluogo erano tornati per qualche raccomandazione. Nell’aprire la porta, però, si ritrovò faccia a faccia con due grandi occhi gialli e un paio di baffi da gatto.
«King! Ma che…». Felicity guardò in sù e sbiancò. «Signor Queen!».
Oliver Queen era in piedi sul suo zerbino, con in braccio il suo gatto grassone. E lei stava ancora indossando l’impermeabile zuppo. Di nuovo, tipicamente Felicity.
«L’ho sorpreso a gironzolare solo soletto sul marciapiede». Il Signor Queen accennò col mento a King. «Dalla targhetta sul collarino ho scoperto che era tuo».
Felicity spostò lo sguardo dal Signor Queen a King (l’accostamento dei loro nomi era surreale), e da King alla porta-finestra ancora spalancata.
«Deve essersene approfittato per sgattaiolare fuori».
Felicity prese King in braccio e invitò il Signor Queen (sei sicura che non si tratti di un altro sogno?) a entrare.
«Accidenti, ho interrotto la ristrutturazione del soggiorno, per caso?».
Felicity storse il naso.
«Sì, certo. Ho assunto un ragazzo e l’ho pagato con la spilla a forma di libellula di mia nonna».
Il Signor Queen si era fatto serio, adesso.
«Mi dispiace, Felicity. Volevo solo sdrammatizzare. Hai chiamato la polizia?».
Lei annuì. «Non mi hanno dato molte speranze, però». Si guardò intorno, sconsolata. «Domani mi toccherà chiamare il tuttofare per sistemare la porta-finestra. Ah, no, accidenti. Domani è domenica». La mia solita sfiga.
Il Signor Queen aggrottò la fronte.
«Non dovrebbe occuparsene il padrone di casa?».
«Per carità! L’ultima volta che ho avuto a che fare con il Signor Fitsgerald, mi ha proposto una cosa a tre con Wand-ahehm… ma lei non è certo venuto qui per sorbirsi i racconti delle mie disavventure, dico bene?». A conferma dei suoi sospetti, un angolo della bocca del Signor Queen si arricciò all’insù. Felicity alzò gli occhi al cielo. «Cosa le serve questa volta?».
Lui fece spallucce.
«Nulla, in realtà».
L’occhiata scettica di Felicity lo fece ridere.
«Dico sul serio. Sono venuto soltanto a saldare il mio debito».
«Quale debito?».
Per tutta risposta, il Signor Queen estrasse dalla borsa a tracolla una bottiglia. Una bottiglia di vino rosso, per essere precisi. E non un rosso qualsiasi.
«Un Queen paga sempre i suoi debiti».
Felicity non sapeva cosa dire. Continuava a fissare alternativamente il Signor Queen e la bottiglia di Lafite Rothschild 1982, con gli occhi che quasi sfioravano le lenti degli occhiali, tanto erano schizzati fuori dalle orbite.
«Avanti, te la sei guadagnata e poi, dopo quello che è successo, un bel bicchiere di vino rosso ti farebbe bene».
Felicity obbedì come un automa e prese la bottiglia che lui le stava porgendo.
«Q-questo significa che…». Si schiarì la voce dall’imbarazzo. «Questo significa che ha vinto la… caccia al tesoro, Signor Queen?».
Lui parve rifletterci un momento. «Sì, diciamo di sì», rispose infine.
Felicity abbozzò un sorriso e gli agitò la bottiglia davanti al naso.
«Allora mi faccia compagnia, così brindiamo alla sua vittoria e alla mia sfiga».
«D’accordo, ma prima ti aiuto a sistemare questo disastro».
Non può piovere per sempre.
Fuori aveva smesso di diluviare, infatti. La giornata di cacca stava finalmente volgendo al termine. E non nel peggiore dei modi, in fondo.


La mattina dopo Felicity venne svegliata da qualcuno che bussava alla porta con insistenza.
«Arrivo, un attimo!».
Ciabattando e sbadigliando, passò davanti alla porta-finestra e constatò che il cartone che il Signor Queen aveva usato per tappare il vuoto lasciato dalla vetrata rotta aveva fatto il suo dovere. La bottiglia di Lafite Rothschild 1982 giaceva malinconica e vuota dentro lo scatolo unto e bisunto di una fu pizza ai peperoni. I calici di vino, invece, erano ancora sul tavolinetto, velati di rosso, accanto a una ciotola contenente un gruppetto sparuto di noccioline superstiti. Felicity ne prese una e sgranocchiandola andò ad aprire.
Trovarsi a tu per tu con il Signor Fitsgerald, di domenica mattina, non era un trauma, di più. Felicity si strinse le braccia al petto, maledicendo se stessa per non aver indossato la vestaglia sopra il pigiama.
«Buongiorno, Signor Fitsgerald. Cosa posso fare per lei? Ci sono ancora problemi con la caldaia?».
Il Signor Fitsgerald scosse la testa, tenendo gli occhi bassi. Comportamento bizzarro per uno che ti faceva sentire viscida solo guardandoti.
«È quello il vetro da sostituire?», chiese indicando la porta-finestra alle sue spalle.
«Sì». Felicity aggrottò la fronte. «Ma lei come faceva a saperlo?».
Il Signor Fitsgerald non si degnò di risponderle. La spinse di lato ed entrò di corsa. Felicity rimase imbambolata a fissarlo, mentre lui armato di metro da carpentiere si affannava a prendere le misure della vetrata.
Qui gatta ci cova, pensò.
Qualcosa di morbido le fece il solletico sulla caviglia, Felicity guardò in giù e sorrise: King le si stava strusciando contro una gamba. Lo prese in braccio e lo grattò dietro le orecchie, proprio come piaceva a lui, finché non notò un sospetto scintillio in mezzo alla pelliccia nera. Non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi, quando si rese conto che, accanto alla targhetta, dal collarino rosso penzolava una libellula dorata con le ali verde smeraldo.
«E questa? Dove l’hai trovata?».
King si limitò a miagolare.
Felicity fissò lui, la spilla della nonna ritrovata e un Signor Fitsgerald insolitamente educato, sbattendo stupidamente le palpebre per qualche minuto. Poi, tutto a un tratto, le si accese la lampadina.
Ancora una volta, aveva fatto due più due.







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Note autore:
Aspettando la fatidica puntata numero quattordici, si continua con i missing moments.
Alzi la mano chi, alla fine della puntata numero undici, è rimasto male quando Oliver non ha regalato la bottiglia di vino rosso a Felicity. Io ero convinta che gliela avrebbe portata comunque, caccia o non caccia al tesoro. Tanto lui è ricco, no? Credo che si possa permettere una bottiglia di vino pregiato. Bah. Per fortuna esistono le fanfiction.
Citazioni e credits.
La frase “Non può piovere per sempre” viene dal film Il corvo. Spero che Brandon non si stia rivoltando nella tomba.
“Un Queen paga sempre i suoi debiti” è il riadattamento della frase “Un Lannister paga sempre i suoi debiti”. Chi non conosce la provenienza di questa citazione, vuol dire che come minimo vive oltre la Barriera.
La vicina Wanda e il gatto nero King sono proprietà di nes_sie, e li potete ritrovare in questa storia. Il pensiero “sei sicura che non si tratti di un altro sogno?” è sempre un riferimento alla fanfiction di nes_sie.
Il signor Fitsgerald è mio, invece. Si ispira a un personaggio/comparsa del telefilm New Girl.
Ringrazio IoNarrante per l’idea del nerd-nascondiglio; nes_sie per la consulenza/betaggio della storia e per avermi prestato i suoi personaggi.
Anche per oggi è tutto. Buona puntata numero tredici, domani. E shippate Feliver, mi raccomando!
A presto, vannagio
   
 
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